Rossana Bossaglia ha scritto diversi testi sull'opera di Cannaò:                                               

Tauromachie (1999)                                                                                                                                                 

Questa è l’arte (2002)

Il privilegio dei veri artisti (2005)                                                                                                

Tauromachie       

                                                                                  
(...) A un certo punto si impone, venendo in primo piano, la tematica del toro. Nella cui immagine esplicitamente Cannaò si specchia e si rappresenta, in sostanza si identifica; il toro è visto come essere vivente in preda alle proprie pulsioni messo a confronto con le consuetudini sociali; la sua vicenda è personale che si fa testimonianza  del  male del  mondo (o anche, se si vuole,  della  sua spietata bellezza, della sua acre godibilità). ll toro di Cannaò - che, si badi bene, è appunto il  toro della corrida, quindi già imprigionato, dalle prime battute, in una liturgia ineludibile - è certamente vittima; destinata alla sconfitta nel sangue, la testa selvaggia e superba è, dal primo momento, nella sua dirompente vitalità, simbolo di macabro trofeo.

Carica (1989), olio su tela, cm 80x100

Cannaò riesce, con una forza espressiva assolutamente singolare, a darci insieme il senso della gagliarda e brutale innocenza e dell'istintiva consapevolezza del dolore; sopra il ghigno eccitato incombe un velo di malinconia suprema. (...)

Cannaò è anzi un artista di vigorosissima mano; che sa conferire ai suoi personaggi una varietà straordinaria di espressioni, ciascuna energica e perentoria: un dono in cui si  riconosce anche l'artista di teatro, creatore di maschere, non in quanto semplificazione bensì sublimazione dei singoli momenti psicologici.

La tecnica pittorica asseconda questa qualità: una pittura tagliente, che si fa calda a contatto con la fisicità dei personaggi e li rende come presenza fisica diretta. Nel bianco e nero, soprattutto se disegno, la vicenda è narrata come in controcanto, nella cupezza del non-colore; ma la fisicità rimane; e il segno sottile e vibrato delle eccellenti acqueforti restituisce la selvosità ispida del vello animalesco. Talvolta, la testa del toro dalla potente struttura ossea, lo sguardo magnetico, le corna incurvate, pare una simbologia satanica. Perché no? Il lungo racconto del dolore parte dal massimo dell'innocenza al massimo della perversione in un abbraccio ininterrotto.

 

Questa è l’arte

Come ogni artista vitale, ricco di impulsi e di passioni, Cannaò evolve nel tempo la propria maniera espressiva; ma come ogni artista dalla caratterizzante personalità, egli continua a trattare e sviluppare temi che sono fondamentali sia alla sua fantasia sia alla sua riflessione intellettuale, per non dire etica. L’artisticità di Cannaò è una sorta di magma in continua tensione, che esplode via via in varie direzioni, senza che se ne perda mai il nucleo di base; con un rapporto continuo tra la produzione grafica e pittorica e l’esibizione teatrale.

(...) Cannaò parte, negli anni Settanta, da un paesaggismo caldo e vibrante, che già testimonia la sua volontà di indagare sulle tensioni interne a ciò che si vede. E subito dopo, infatti, le illustrazioni, non descrittive ma emotive, di testi teatrali sviluppano queste scelte interpretative; e questo presentarci ogni realtà come teatro, dunque come finzione, ma appunto per ciò simbolo.  Cannaò da questo momento sviluppa, sia nella pittura sia nell’incisione, quella sua energia deformante, se

si vuole di matrice picassiana, che tocca punti di grottesca tragicità. La patetica goffaggine del toro che procede, a passo di danza, divertito nel suo esibizionismo, è uno dei momenti alti di questa interpretazione del vivere come assurdità permanente.

Ci sono anche momenti, nella produzione di Cannaò qui giunta a una sua ampia sicurezza espressiva, dove la struttura compositiva tocca i limiti dell’astrattismo; o, meglio ancora, l’impalcatura della scena, i fondali – sempre permeati di teatralità – utilizzano schemi di tradizione metafisica. Ma è sempre come se l’artista utilizzasse ogni stimolo culturale o suggestione iconografica per farne degli stralunamenti insieme beffardi e tragici; quando le immagini, specie se sono ritratti, assumono una fisionomia più pacata, dentro vi leggiamo soprassalti trattenuti, l’ansia del mistero.

Nell’ultima produzione, Cannaò sviluppa in particolare il tema del sogno; un tema alla Cervantes, reso più narrativo dalla presenza di personaggi in costumi di epoche diverse; ma si tratta appunto di costumi, cioè vesti da spettacolo, che frammischiano gli antichi romani ai signori del Cinquecento. Il tono leggendario, o di rievocazione fantastica, permea questa suggestiva opera pittorica e grafica di una coinvolgente capacità di seduzione: come se il male del vivere, facendosi spettacolo, divenisse propositivo. Questa è l’arte: rendere accettabile il male del mondo.

 

QUESTO è CANNAò

Che cosa intendiamo se parliamo di un vero, significativo ritrattista?

Intanto, e con semplicità, indichiamo un artista capace di rendere riconoscibile la fisionomia della persona che rappresenta. A un artista è lecito interpretare come vuole i soggetti che ha scelto a tema, o modello, della sua opera; ma se lo definiamo ritrattista è necessario che ci trasmetta un’immagine comunicativa, nella quale noi fruitori riconosciamo il modello.

È una riflessione che giunge particolarmente opportuna a proposito di Cannaò, disegnatore e pittore dal forte temperamento e dalla specifica personalità, che è ben identificabile in tutto il percorso della sua attività. Identificabile di volta in volta nella spietatezza e intensità del tratto, nel corposo spessore che egli sa conferire all’immagine, nella pesante ma comunque evidentissima resa fisionomica; ogni volta, appunto, esemplare interprete della caratterizzazione del suo modello. Sicché, per concludere, ogni volta diciamo “questo è Cannaò”, riconoscendone lo stile; e contemporaneamente, se la persona ritratta è di nostra conoscenza, anche casuale, “Questo è… eccetera”.

E si badi: i ritratti possono essere di personaggi gradevoli e dolci, oppure di violenta connotazione; in tal caso lo stile dell’artista è particolarmente adatto a renderne la tipicità; ma anche là dove si tratta di una fisionomia armoniosa, Cannaò, pur non venendo meno al proprio caratteristico stile, non ne offende né oblitera la piacevolezza.

Pittore dalla mano sicura, non è soltanto ritrattista; è però nel ritratto che lo identifichiamo con maggiore chiarezza e intensità; pur se, in vari casi, si tratta di personaggi inventati o liberamente trasfigurati.

Se vogliamo riassumere in un sintetico giudizio l’insieme della sua attività creativa, dovremo dire che essa ha un largo respiro: muovendo egli da argute o addirittura beffarde sequenze caricaturali per giungere a profonde introspezioni nei sentimenti. Ma questo è appunto il privilegio dei veri artisti: di essere sempre se stessi senza ripetersi mai.

 

 

 

    

 

 

 

Fuma! (1989), olio su tela, cm 80x100