La sfida
di Angela Manganaro                                                                                                
                                                                                           

(...) La corrida, luogo di passione e di morte, di conoscenza e di iniziazione, si ritrova in tante opere di Cannaò (...). Inevitabile il confronto con la tauromachia di Goya e di Picasso verso cui l'artista tradisce un amore naturale ma da cui si distacca per la diversa valenza del toro: laddove Goya illustra, partecipe, l'opposizione toro-torero e Picasso, nel recupero di una «privata mitologia», predilige l'opposizione cavallo-toro, Cannaò ribadisce l'opposizione toro-toro, ovvero - superata la trasposizione simbolica - incentra la sua ricerca nell'opposizione dell'uomo con se stesso alla conquista di una libertà nutrita di faticosa coerenza.
Fatica, lotta e paura vengono filtrate dalle lenti di una salutare ironia, spesso difficile da rintracciare per il carattere dissacrante con cui si profila stendendosi sulla superficie caparbiamente bidimensionale della tela. E non potrebbe essere altrimenti per un toro che di fronte alla ineluttabilità di una morte incolpevole e ignara all'interno di un perimetro definito come quello dell'arena (labirinto univoco) sceglie di abbandonarlo, «sceglie la possibilità di scegliere», conscio - adesso sì - che il suo destino, il cuore di questo nuovo labirinto - sarà la morte, ma questa volta intesa come cambiamento, come possibilità di essere altro. È la fuga dal preordinato che bisogna attuare, non dalla morte in sé, ma dalle morte già condita di tutti gli ingredienti, una morte - e quindi una vita - dal sapore saputo.
L'altro da sé, nelle opere di Cannaò, è un torero in cui specchiarsi per riconoscere parti mancanti al mosaico di autocoscienza che il toro faticosamente recupera. Da qui un processo di metamorfosi che va pian piano radicandosi nel toro diventato sempre più antropologicamente riconoscibile nel suo nemico, a partire dagli occhi, via via sempre più umani per andare a finire nel carattere, nelle tensioni, nei vizi. Il toro qui ha bisogno di capire il gioco da cui è fuggito (la corrida), le regole di quell'infernale labirinto, attraverso l'appropriazione dei pensieri dell'altro da sé (il torero), l'altro sacerdote del rito, il sacerdote cannibale, appunto (...) 

Non attacco, (1984), acquaforte
Autoritratto (1984), olio su tela