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- I Persiani
di Eschilo
[al Cimitero Militare Germanico della Futa]
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Trilogia del Disorientamento: 1999/2002 |
Aristofane, Gli Uccelli - Plauto, Anfitrione - Euripide, Il Ciclope
regia Gianluca Guidotti
con
Francesco Colella
Gianluca Gambino
Gianluca Guidotti
Mariano Pirrello
Enrica Sangiovanni
Stefano Scherini
luci Giovanna Piacquaddio
foto di scena Andrea Messana
Tre anni fa a maggio abbiamo iniziato a provare Gli Uccelli di Aristofane. Quello che ci interessava del capolavoro greco era l’urgenza drammaturgica e la contemporaneità dei temi che quel materiale ci offriva. In questo nostro primo spettacolo, andato in scena in prima nazionale al Festival di Chieri (To), il lavoro quotidiano delle prove, che si è svolto con rigore e umiltà, ha permesso al gruppo di ricercare una grammatica propria e di individuare le priorità: la leggerezza e il disorientamento. Lo spettacolo è andato in tournée a Sondrio, Roma, Firenze, Pistoia, Torino, Brindisi.
La scelta successiva di mettere in scena Anfitrione di Plauto è stata una conseguenza naturale per approfondire un’idea e una pratica di teatro: conseguenza dettata dal fatto che nella tragi-commedia plautina il disorientamento attraversa l’intero meccanismo drammaturgico e la leggerezza si impone come mezzo ideale di rappresentazione. Lo spettacolo ha debuttato nel dicembre del 2000 nella stagione del Teatro di Rifredi di Firenze ed è andato in tournée a Torino, Sondrio, Cortona, Milano, Winterthur (Svizzera).
Come punto conclusivo del viaggio intrapreso realizzeremo, con lo stesso gruppo di attori, Il Ciclope di Euripide, l’unico dramma satiresco giunto fino a noi. Il significato di questa terza tappa è strettamente legato alle precedenti perché il racconto universale dell’accecamento del Ciclope esemplifica e nello stesso tempo amplifica i temi precedentemente affrontati: se ne
Gli Uccelli il disorientamento politico e civile conduceva alla manìa e in Anfitrione il gioco dei doppi all’ossessione dell’Io, in questo gran finale, come in una tragica catarsi, il gesto di Ulisse ci porta al cuore stesso dell’archetipo.
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GLI UCCELLI
di Aristofane
regia Gianluca Guidotti
con
Francesco Colella
Gianluca Gambino
Enrica Sangiovanni
Stefano Scherini
e la voce di Marisa Fabbri
musiche Paolo Vivaldi
progetto scenico Sergio Tramonti |
Note di regia
Gli Uccelli è uno spettacolo nato dalla necessità e dall’urgenza di mettere in scena un testo importante, difficile, un testo che ponesse delle domande, dei dubbi. E proprio dal tentativo di rispondere a questi interrogativi ha preso corpo e vita questa messa in scena. Si è scelto di far interpretare i quindici e più personaggi da tre attori come vuole il canone della commedia greca antica, restituendo quindi ritmi e tempi dati dall’alternarsi continuo e frenetico degli attori da un personaggio all’altro. Questo ci ha permesso di individuare nelle parti che erano in origine dedicate al coro, con i canti e le danze, un momento lirico, satirico e metateatrale a sé stante. Il coro degli Uccelli, infatti, viene recitato e danzato da una sola attrice che attraverso un linguaggio inventato di segni, movimenti scelti e ripetuti, ricrea la varietà e la moltitudine che questa importantissima e a noi oscura parte della commedia doveva avere. La dea Iride invece è la voce di Marisa Fabbri, voce amica di un’attrice divina, suono della mente, uno strano mal di testa per Pistetero, una piccola visitazione. Si è cercato di far nascere il lavoro in uno spazio scarno ma non piatto, nell’intento di ricreare una semplicità autentica. Uno spazio svuotato. La scena pensata insieme a Sergio Tramonti è costituita da una piccola pedana mobile in legno che di volta in volta si trasforma creando spazi definiti e sospesi. Durante le prove ci siamo chiesti se fosse possibile leggere questo testo senza tradirne la sostanza, senza svilirne la comicità a tratti furibonda e lo spaesamento che di volta in volta si insinua fino a diventare motivo centrale. Forse proprio il germe dello spaesamento ha spostato la nostra attenzione per esempio sul gioco di sguardi che disegnano qualcosa che non c’è: due uccelli invisibili conducono i due vecchi in uno spazio magico in cui avvengono le epifanie del mondo alla rovescia. La musica composta da Paolo Vivaldi tende ad esaltare queste sospensioni informando l’immaginario con i corali, i larghi e le ruvide viole da gamba. Un’incursione nel paese delle meraviglie in cui gli attori balzano nei personaggi con rapidità e li abbandonano per altri sempre nuovi, senza mai trascurare lo straniamento che li attraversa dall’uno all’altro. Un lavoro vivo per gli attori, sempre aperti ai giochi teatrali, sempre ricettivi nei confronti della materia che spogliata dei meccanismi comici immediati diventa inquietante. Un testo contemporaneo per uno spettacolo che evidenzia la disfatta dell’utopia, il sogno che si fa incubo notturno, il salto nel vuoto della fantasia. Nient’altro: due vecchi sedotti da una forma di libertà abbandonano la polis. La proposta di un modello ideale di città condurrà uno dei due vecchi ad essere ingabbiato dalla sua propria manìa. Si è cercato di raccontare tutto questo rispettando il testo originale senza rielaborazioni ma soltanto asciugando quanto necessario. Si è cercato di trovare una possibilità visiva alle suggestioni irreali e visionarie di Aristofane.
Le Date
1999
12/13 luglio – Firenze – Teatro Pop. d’Arte, Mascarà
18 luglio – Chieri (TO) – Festival di Chieri
31 luglio – Chiavenna (SO) – FestTeatro Estate
3/4/5 dicembre – Roma – L’Isola che non c’è
7/8/9/10/11 dicembre – Firenze – Teatro di Rifredi
2000
19 aprile – Firenze – Teatro della Pergola, il Debutto di Amleto
28/29/30 aprile – Pistoia – Studio Paint Factory
9 maggio – San Mauro Torinese (TO) – Teatro Gobetti
25 maggio – Mesagne (BR) – Festival Teatro Antico
2002
Trilogia del Disorientamento – Gli Uccelli/Il Ciclope/Anfitrione
18 settembre – Winterthur(Svizzera) – Winterthur Theater
Gli uccelli di Aristofane
12 ottobre – Cornacchiaia, Firenzuola – Pieve romanica di Cornacchiaia
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IL CICLOPE
di Euripide
regia Gianluca Guidotti
con
Gianluca Gambino – Ulisse
Mariano Pirrello – Satiro
Enrica Sangiovanni – Sileno
Stefano Scherini – Ciclope
maschere, ‘supermarionetta’ e oggetti Enrica Sangiovanni
luci Giovanna Piacquaddio
musiche di scena Claudio Monteverdi e Antonio Vivaldi |
Note di regia
Il Ciclope di Euripide è l’unico dramma satiresco giunto fino a noi. Ad Atene, duemilacinquecento anni fa, si recitava un dramma satiresco dopo la trilogia tragica, a completamento della tetralogia che ogni autore-regista-attore presentava, dall’alba al tramonto, a tutti i cittadini. Dopo Aristofane e Plauto affrontiamo l’opera più singolare del tragico greco. E’ la rilettura in chiave satiresca di uno dei miti più cari al Mediterraneo: Polifemo e Odisseo. A differenza del racconto omerico, questo dramma satiresco è ambientato in Sicilia, alle pendici dell’Etna. Ci troviamo in un’isola vulcanica favolosa, incantata, dove vivono schiavi del ‘Ciclope mandriano’ Sileno e Satiro, antenati di tutte le creature dei boschi e archetipi per la commedia latina e la commedia dell’Arte; reclusi senza Bacco e in astinenza di vino; il Ciclope vive da pastore in una grotta, mangia carni e beve latte a sazietà; ma il terreno dell’azione è infido, aspro. L’isola/Ciclope, isola nello spazio e nel tempo, confina a nord con l’Odissea, a est con gl’inni bacchici, a ovest con l’Omeros di Dereck Walcott ed è soltanto a sud che riusciamo ad aprirci un varco, verso il mare nostro aperto. Ed è a largo di questo tracciato che Euripide, con grande maestria e con versi perfetti (nel caso nostro voltati in italiano e siciliano da C.Sbarbaro e da L.Pirandello), ha inscenato la storia dell’incontro-scontro di due civiltà: da un lato la curiosità, l’inganno, la tecnica, la ragione, l’irrequietezza, la sete, dall’altro l’isolamento, l’anarchia, la forza, la fatica, il nomadismo, la fame.
E sono germi di tragedia: quasi che il vecchio Euripide non riesca a scrollarsi di dosso parassiti, fermenti, muffe che abitano il proprio peso tragico. Non rimane che una bava di scrittura e deve venir voglia, a colui che crede ancora nella simpatia del Teatro, di tosarlo nuovamente questo vello e nuovamente batterlo e filarlo, al fine di restituire al pubblico il tessuto dalle cui trame ancora, e forse per puro caso, si riescono ad intravedere e immaginare con la fantasia mondi che sono la nostra terra, la nostra mente, il nostro codice.
Eppure! ‘semplicemente’ cerchiamo di riraccontare questa storia a grandi e piccini, a coloro che già la sanno ma che ne vogliono gustare un diverso tono, a coloro che la intuiscono per la prima volta. E’ la storia antica di un viaggio per mare e di un gigante, di un accecamento e di una cecità; è una leggenda di conquista e il mito di una perdita: di un altro disorientamento dell’Altro provocato da un disorientato che si fa chiamare Nessuno.
Le Date
2002
27/28 luglio – Firenze – Villa Strozzi, Rassegna “Carillon”
3 agosto – Firenzuola – Cortile Bob Kennedy
Trilogia del Disorientamento – Gli Uccelli/Il Ciclope/Anfitrione
18 settembre – Winterthur(Svizzera) – Winterthur Theater
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LA NOTTE
tratto da: La Nuit di Elie Wiesel
traduzione: Daniel Vogelmann - Editrice La Giuntina
drammaturgia: Gianluca
Guidotti ed Enrica
Sangiovanni
direzione artistica e regia: Gianluca
Guidotti
coordinamento del progetto: Enrica
Sangiovanni
produttore: Marc Fleishhacker
con
Luciano Ardiccioni
Loriano
Della Rocca
Erjon Fejzaj
Enrica
Sangiovanni
Stefano Scherini
Federica Toci
Realizzazione video: Francesco Lagi, Stefano Tognarelli, Gianluca
Guidotti
Musiche di scena: Trio Shir-am 3, Claudio Monteverdi
Libri in scena realizzati da Cecilia Ricci
Luci: Giovanna Piacquaddio
Amministrazione: Tamara Rinaldi
Foto di scena: Luca D’Agostino e Andrea
Messana |
La Notte è un
progetto teatrale multimediale, tratto da La Nuit di Elie Wiesel,
considerata una delle testimonianze più importanti e sconvolgenti
sull’Olocausto, una delle riflessioni più profonde sull’esistenza di
Dio.
Elie Wiesel (premio Nobel per la pace 1986) ha autorizzato per la prima
volta l’adattamento de La Notte, in cui testimonia la storia della
deportazione e della morte ad Auschwitz della sua famiglia.
Il prof. Elie Wiesel ha anche accettato di realizzare un video nel quale
legge alcune parti del suo libro, ci ha concesso un’intervista e ha
risposto a domande su temi contemporanei e sull’Olocausto.
Il video è stato realizzato a Boston da Archivio Zeta il 25 ottobre 2001.
Inoltre Archivio Zeta sta preparando un film che comprenderà anche le
immagini del nostro viaggio Buchenwald-Auschwitz-Birkenau-Sighet, 7-14
dicembre 2001.
Obiettivi
1. Onorare la Memoria dell’Olocausto, mantenerla viva per le generazioni
future.
2. Far conoscere a chi ancora non conosce e ricordare al pubblico il
pericolo e i potenziali rischi dell’odio, del razzismo e
dell’antisemitismo, in una civiltà che si trova di fronte ai problemi
dell’immigrazione, delle diversità etniche e religiose.
3. Riflettere sulla dimenticanza e l’oblio. Considerare come l’uomo
possa ripetere, dopo l’Evento dell’Olocausto, atrocità e ingiustizie
(Cambogia, Ruanda, ex-Jugoslavia…).
Dobbiamo, in tempi come questi, di violenza e terrore, tenere alta
l’attenzione e vigilare sul nostro futuro.
4. Tener conto, esaminare e valutare le fondamentali questioni teologiche
che l’Olocausto ha sollevato.
Pubblico
La Notte porta avanti un messaggio universale ed è nostra intenzione che
questa produzione riesca a comunicare ad un pubblico il più possibile
eterogeneo, con particolare attenzione ai giovani.
Elie Wiesel è originario dell’Ungheria, oggi Romania, deportato ad
Auschwitz in Polonia e a Buchenwald in Germania, dopo la guerra ha vissuto
per molti anni in Francia e in Israele, attualmente è cittadino
americano.
Proprio per questo, considerando l’universalità del suo messaggio e
della sua opera, lo sforzo sarà quello di far sì che lo spettacolo sia
facilmente traducibile e fruibile in più lingue
Produzione
Il Produttore dello spettacolo è Marc Fleishhacker, residente a Milano,
originario di San Francisco, il quale ha coinvolto Archivio Zeta come
gruppo artistico per realizzare questo progetto. Una moderna concezione
della produzione esecutiva e la diretta collaborazione al progetto del
Prof. Elie Wiesel ci hanno permesso di raccogliere in anticipo i fondi
necessari alla produzione dello spettacolo, grazie a diverse fondazioni e
ad alcuni donatori privati statunitensi.
La produzione di questo progetto è completamente senza scopo di lucro.
Gli eventuali incassi dello spettacolo saranno reinvestiti nella
diffusione delle repliche future de La Notte, affinché l’universalità
del suo messaggio possa continuare a vivere e a comunicare al maggior
pubblico possibile.
Conclusioni
Teniamo a precisare, dopo i tragici eventi dell’11 settembre 2001, che
il nostro progetto ha un valore assolutamente umano, civile e universale.
Elie Wiesel, che da anni si occupa di Pace e di diritti umani, portando
con sé la terribile esperienza del Campo, è un simbolo per le nostre
generazioni e il messaggio dell’intera sua opera ci deve aiutare a
capire l’oggi, senza mai dimenticare le sofferenze e le umiliazioni del
passato.
Il nostro recente emozionante incontro con Elie Wiesel e la sua diretta
partecipazione al progetto sottolineano l’importanza e la coerenza di
questa iniziativa che tenta di combattere l’oblio e la dimenticanza.
Biografia di Elie Wiesel
Elie Wiesel è nato nel 1928 a Sighet, in Transilvania, oggi parte della
Romania. Aveva quindici anni quando con la sua famiglia fu deportato dai
nazisti ad Auschwitz. Sua madre e la sorella minore morirono, le due
sorelle maggiori si salvarono. Elie e suo padre furono successivamente
portati a Buchenwald, dove il padre morì poco prima che il campo venisse
liberato nell’aprile del 1945.
Dopo la guerra studiò a Parigi e più tardi divenne giornalista. Durante
un’intervista con Francois Mauriac fu persuaso a scrivere delle sue
esperienze nei campi di sterminio. Il risultato fu la sua testimonianza La
Notte, apprezzata in tutto il mondo e tradotta in più di trenta lingue.
Nel 1978 il Presidente americano Jimmy Carter lo nominò responsabile
della Commissione sull’Olocausto. Nel 1980 ha fondato il United States
Holocaust Memorial Council. E’ anche fondatore dell’Accademia
Universale delle Culture a Parigi. Devoto sostenitore di Israele. Elie
Wiesel ha anche difeso la causa di ebrei russi, indios Miskito del
Nicaragua, desaparecidos argentini, rifugiati cambogiani, curdi, vittime
della fame in Africa, vittime dell’apartheid in Sud Africa e vittime
della guerra in ex-Jugoslavia.
Dal 1976 Elie Wiesel è Professore di Scienze Umane presso la Boston
University. Elie Wiesel è autore di più di quaranta libri: romanzi,
testimonianze, racconti, testi teatrali e due volumi di memorie
autobiografiche.
Per le sue attività letterarie e a favore dei diritti umani ha ricevuto
numerosi riconoscimenti negli Stati Uniti. Nel 1986 ha ricevuto il Premio
Nobel per la Pace. Pochi mesi dopo insieme alla moglie Marion ha fondato
la Elie Wiesel Foundation for Humanity. Cittadino americano dal 1963, vive
a New York con la moglie e il figlio.
Note
di regia: Il controcampo è negli occhi!
Note
del produttore
2002
27 gennaio – Trieste – Teatro Miela
2003
22 gennaio - Firenzuola
27/28/29/30/31 gennaio, 1/2 febbraio – Milano – Teatro Franco Parenti
2004
Cinema Teatro Don Puccetti, Firenzuola (FI):27 gennaio, ore 21
Teatro Comunale degli Avvalorati, Città della Pieve (PG): 6 e 7 frbbraio, ore 21
Teatro Everest Firenze (Galluzzo): 16, 17, 18, 19 e 20 febbraio, ore 10.30 (per le scuole); 19, 20 e 21 febbraio, ore 21, 20 e 21 febbraio ore 21; 22 febbraio ore 16.30
Teatro Mignon,Tirano (SO): 1 e 2 aprile, ore 21
PROMO
DELLO SPETTACOLO
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SENTIERI NEL GHIACCIO
di Werner Herzog
con Mariano Pirrello
adattamento e regia Gianluca Guidotti
suono Angelo Giordano |
NOTE DI REGIA
Per scavare a mani nude si deve ancora credere nell’invenzione del teatro. Scavare per approfondire un’idea e una pratica di teatro.
Oggi mettiamo in scena una voce sola: il diario del viaggio a piedi intrapreso da Werner Herzog nell’inverno del 1974 per andare da Monaco a Parigi, dove si trova, gravemente malata, Lotte Eisner, sceneggiatrice e studiosa del cinema tedesco.
Herzog spera con questo viaggio forsennato di poter salvare la sua vecchia amica e approfitta di quei giorni per rimanere solo con se stesso. E’ proprio da questo cammino in solitario che nasce l’ipotesi e la materia drammaturgica per uno spettacolo senza rete. Lo spiraglio o l’appiglio è quella voce sconnessa: l’urgenza. Herzog è un fiume in piena nel suo annotare, fissare; il flusso continuo potrebbe far affiorare affinità con la struttura rotta di James Joyce, invece, niente di letterario: ciò che permane è l’occhio assetato, che osserva onnivoro, registra, trasforma. La parola è qui fotogramma e l’occhio è continuamente ferito nel suo pellegrinaggio folle.
Monaco-Parigi, 23 novembre – 14 dicembre 1974; siamo negli anni settanta certo, ma la passeggiata del folle rimanda al Kleist a Thun di Robert Walser oppure meglio al Lenz di Georg Buchner. In Herzog, come nel suo cinema, c’è un arcano ritorno a quella tensione romantica, basti pensare agli studi preparatori con Bruno S./Kaspar Hauser e con Klaus Kinski/Woyzeck: esperimenti radicali con attori fuori dal tempo.
Qui, nel romantico andare, si inserisce il Novecento che tutto trasforma in periferia, desolazione, vuoto. Ecco allora la lotta per la sopravvivenza, il pellegrinaggio estremo come i vecchi navajos sui loro cavalli nella bufera. Per assurdo la coerenza è identica a quella di Simon del desierto, immobile stilita; così come la ricerca di equilibrio. Raccontare un viaggio in teatro ci costringe, per forza di cose, a fare i conti con i mezzi propri del teatro stesso che, bene o male, sono i medesimi da sempre: spazio, corpo, voce. Il teatro nasce da un patto e in questo caso la voce sola e il corpo dell’attore sono la radiografia di questo sacrificio. Ma, come in Bunuel, niente di mistico: nello spazio tragico fisso si narra “del camminare a piedi nel ghiaccio”: è un saggio sull’anatomia dell’irrequietezza, sul “mi ritrovai per una selva” Nera, in Germania nel ’74.
Il corpo dell’attore si esercita ad essere braccato, la voce si fa arco, la parola freccia (campo, controcampo, soggettiva, dettaglio). Da spettatore privilegiato alleno l’attore, cerco con l’attore l’essenziale, scaviamo con le unghie.
Le Date
2000
17/18 luglio – Torino – Festival delle Colline Torinesi
2001
11 aprile – San Mauro Torinese (TO) – Teatro Gobetti
23 luglio – Firenze – Limonaia di Villa Strozzi, rassegna Carillon
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I
Persiani
di Eschilo
al Cimitero
Militare Germanico della Futa
Se
un ignoto, un nemico, diventa morendo una cosa simile, se ci si
arresta e si ha paura a scavalcarlo, vuol dire che anche vinto
il
nemico è qualcuno, che dopo averne sparso il sangue bisogna
placarlo, dare una voce a questo sangue, giustificare chi l’ha
sparso. Guardare certi morti è umiliante. Non sono più faccenda
altrui; non ci si sente capitati sul posto per caso. Si ha
l’impressione che lo stesso destino che ha messo a terra quei
corpi, tenga noialtri inchiodati a vederli, a riempircene gli occhi.
Non è paura, non è la solita viltà. Ci si sente umiliati perché
si capisce – si tocca con gli occhi – che al posto del morto
potremmo essere noi: non ci sarebbe differenza, e se viviamo lo
dobbiamo al cadavere imbrattato. Per questo ogni guerra è guerra
civile: ogni caduto somiglia a chi resta, e gliene chiede ragione.
Cesare
Pavese, La casa in collina, 1948
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LO
SPAZIO
Archivio
Zeta nell’estate 2003 metterà
in scena I PERSIANI di Eschilo presso il Deutcher Soldatenfriendhof
Futa-Pass, il Cimitero Militare germanico del Passo della Futa (nel
territorio del Comune di Firenzuola e della Comunità Montana del
Mugello): questo cimitero fu costruito tra il 1962 e il 1965 da Dieter
Oesterlen e vi sono seppelliti 31.229 giovani soldati nazisti mandati a
combattere sulla Linea Gotica. La progettazione del cimitero venne
affidata all’architetto Oesterlen il quale doveva interpretare nella
forma il motto che: "le tombe di guerra incitano alla pace,
chiunque voglia collaborare alla diffusione delle idee per la pace è il
benvenuto". Il cimitero fu inaugurato il 28 giugno del 1969 ed è
il maggiore sacrario germanico in Italia. L’idea che la costruzione dà
è quella di una spirale senza fine che improvvisamente si
interrompe. Infatti è costituita da un muro di duemila metri che sale a
spirale attorno alla montagna fino alla cima e circonda i sepolcri dei
caduti.
PERCHE’
I PERSIANI
Abbiamo
scelto di mettere in scena I PERSIANI al Cimitero della Futa perché
la tragedia di Eschilo è ambientata presso la tomba di Dario il Grande e
parla di una guerra, quella tra il grande impero persiano e Atene, e di
una distruzione, quella del glorioso esercito persiano guidato da Serse
nella battaglia di Salamina del 480 a.C..
Il
cimitero ci è sembrato subito il palcoscenico naturale per
rappresentare questo testo: davanti alle infinite lapidi e allo spazio
vuoto che si dilata a perdita d’occhio si avvertono immediatamente i
segni della guerra, il prezzo altissimo della barbarie e l’infinito
dolore che ogni vita interrotta porta con sé. Fare di questa spirale di
terra il luogo in cui si pronunciano questi versi antichi ma ancora
presenti ci riporta alle parole lucide e scarne di Cesare Pavese: ‘…ogni
guerra è guerra civile: ogni caduto somiglia a chi resta e gliene chiede
ragione.’. Allora questo monumento di pietra diventa la reggia
persiana, il campo di battaglia a Salamina ma contemporaneamente lo spazio
aperto della terra martoriata nella seconda guerra mondiale e lo
scenario ipotetico concreto delle stragi future.
LA
TRAGEDIA
Eschilo
in questa, che è la più antica tragedia giunta fino a noi, mette in
scena un fatto realmente accaduto e al quale partecipò direttamente, caso
unico nella storia del teatro antico che si occuperà da allora in poi
solo di miti. E lo fa dando la parola al nemico, ai vinti: i
Persiani che in lingua greca piangono il disastro della loro distruzione.
L’eco di quei versi, irripetibili per pietà e umanità, è alla
base della nostra riflessione e marca il segno della nostra proposta
teatrale in questo luogo altrettanto devastato dalla Storia e
faticosamente ricomposto nella dignità della morte. Il vincitore,
nell’arco di tempo della tragedia, cede la parola al vinto, si
immedesima in lui, soffre della sua stessa sofferenza. Così facendo il respiro
tragico si amplia e la riflessione sul dolore insanabile dell’uomo
diviene altissima: si invoca una pietà arcaica, si chiede un superamento
dell’identità fine a se stessa, si sperimenta un riconoscimento
sconvolgente nell’Altro che muore per demolire in noi la nostra stessa
appartenenza. Un uomo nuovo nasceva nel teatro di Eschilo, un uomo la
cui nascita sarebbe dipesa indissolubilimente da una morte cupa e grave, e
la cui esistenza per essere tale avrebbe dovuto, per forza di cose,
nutrirsi di una nuova civiltà.
I
versi di Eschilo saranno la materia dello spettacolo che, come nei teatri
greci, sarà recitato alla luce del tramonto, senza illuminotecnica
e senza altro se non la presenza degli attori e del Coro che diranno la
Storia di ‘un’altra distruzione’ dell’umanità.
CORO
E PERSONAGGI
Particolare
cura sarà prestata alla formazione del Coro dei Vecchi saggi persiani,
che rimangono a fianco della Regina nell’attesa di un responso sulla
battaglia e successivamente nel dolore per l’esito disastroso: i
Vecchi saranno 12 uomini scelti sul territorio del Comune di Firenzuola,
non attori, vecchi che hanno nella memoria, indelebili, le tracce della
loro guerra su questi monti. Il Coro di Donne invece sarà
interpretato dal Coro Femminile di Firenzuola: Corale Mulieris Voces.
Gli
altri personaggi saranno interpretati da attori professionisti che
lavoreranno a fianco, in un laboratorio da aprile ad agosto, del Coro di
Vecchi e del coro di Donne.
Il
PROGETTO
Questo
spettacolo fa parte del Progetto Triennale Linea Gotica: Archivio
Zeta ha deciso di inaugurare il Progetto con questo testo perché lo
consideriamo un archetipo fondante della poesia tragica, il primo segno
della necessità del teatro nella civiltà occidentale e nello stesso
tempo un testo che chiede un confronto spietato con il passato doloroso
di questo nostro Paese e il presente-futuro che di nuovo e ancora mette in
scena lo scontro violento tra Oriente e Occidente.
Il
gesto di Eschilo, nostro contemporaneo, dispiega una forza e un rigore che
l’attualità non fa altro che amplificare e dà al nostro teatro la
possibilità di concentrarsi e rispecchiarsi in quelle parole ferite
composte 2500 anni fa: ci
ritagliamo quindi questo sacrario della memoria per inscenare l’eterna
tragedia e sdoppiandoci ci regaliamo l’unica vittoria rimasta, quella di
riconoscersi nei vinti.
PROGRAMMAZIONE
Lo
spettacolo andrà in scena in agosto, il debutto è previsto per sabato
2 agosto e le repliche saranno nei successivi fine settimana, con
inizio un’ora e mezza prima del tramonto estivo. Sarà uno spettacolo di
circa un’ora e un quarto, itinerante all’interno del cimitero:
ci saranno delle tappe in cui verranno allestiti posti a sedere.
Prevediamo
che verranno fatte circa una decina di repliche, ogni volta con un massimo
di sessanta spettatori con prenotazione obbligatoria, per
consentire al pubblico di seguire agilmente il percorso. Le repliche
saranno nei giorni di venerdì, sabato e domenica.
PROMOZIONE
A
livello promozionale Archivio Zeta si impegnerà a diffondere manifesti
e volantini nella zona del Mugello, a Firenze e Bologna.
Si
cercherà di pubblicizzare l’evento tramite un ufficio stampa che
renderà pubblica la manifestazione anche a livello nazionale.
L’impegno sarà quello di portare un pubblico più vasto ed eterogeneo
possibile a scoprire o riscoprire questo luogo.
La
valorizzazione del territorio del Comune di Firenzuola e dell’Alto
Mugello è uno degli obiettivi primari di questo Progetto.
La
Direzione del Cimitero Militare Futa-Pass ha già dato il consenso alla
rappresentazione di questo spettacolo.
Il
nuovo Progetto produttivo triennale di Archivio Zeta si chiamerà Progetto
Linea Gotica. Il Progetto Linea Gotica si svilupperà nei prossimi tre
anni coinvolgendo artisticamente e co-produttivamente anche altre
Associazioni Culturali e altre Compagnie teatrali e si estenderà su
tutta l’area storicamente facente parte della Linea Gotica: da Massa
Carrara a Pesaro/Rimini. A questo proposito stiamo cercando di tracciare
una mappa delle realtà teatrali e culturali che potrebbero essere
interessate a sviluppare un tassello e una tappa del Progetto (già da
gennaio 2003 stiamo collaborando con il Teatro degli Auras di Massa
Carrara per il Progetto "Vagondrom" sulla Memoria della Shoà).
Il Progetto Linea Gotica cercherà, nell’arco dei tre anni, il sostegno
di tutti quei Comuni, Comunità Montane, Province, Regioni che di volta in
volta vedranno il loro territorio interessato da spettacoli ad esso
legati.
Il
Progetto Linea Gotica avrà come obiettivo quello di individuare i luoghi
della memoria sul territorio e farne palcoscenico naturale di spettacoli
ed eventi che abbiano come tema: l’assurdità della guerra, le ferite
della Storia, la dignità violata e l’importanza della memoria. La
prima tappa sarà I PERSIANI di Eschilo.
La
Linea Gotica era una lina difensiva che fu costruita dai militari
tedeschi nel 1944 per impedire che gli alleati raggiungessero la pianura
padana. Partendo da Massa si dirigeva a sud e proseguiva lungo i monti
sopra Lucca e Pistoia, descriveva poi un arco verso nord fino ai Passi
della Futa e del Giogo e terminava seguendo i crinali appenninici fino al
loro declinare, nella stretta fascia litoranea tra Rimini e Pesaro per una
lunghezza totale di 320 Km.
Questo
Progetto avrà finalità didattitiche e storiche oltre che
artistiche e civili.
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di immagini
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INTERVISTE
IMPOSSIBILI
da Italo Calvino
diretto
e interpretato da
Gianluca
Guidotti e Enrica Sangiovanni
|
Il
15 ottobre 2003 Italo Calvino avrebbe compiuto ottant’anni.
Il
18 ottobre 2003 presso il Capannone Polivalente del Comune di Firenzuola
(FI) Archivio Zeta ha presentato il suo nuovo progetto: Interviste
impossibili da Italo Calvino. Mettiamo in scena due ‘Dialoghi storici’:
‘L’uomo di Neanderthal’ scritto per la radio nel 1974 e ‘Henry
Ford’ scritto per la televisione (e mai realizzato!) nel 1982. Questi
due dialoghi, ‘storici’ in quanto lezioni di storia dell’uomo, sono
interviste impossibili a causa della distanza spazio-temporale tra
l’Interlocutore e i rispettivi protagonisti. Ed è appunto questa
impossibilità che rende Calvino un anti-giornalista incredibilmente
documentato, un anti-storico che si attiene ai fatti. Da questa
‘leggerezza’ nascono i dialoghi.
Neander,
l’uomo nuovo, l’origine della specie Homo, da fossile parlante
risponde alle domande di un’Intervistatore in cerca di scoop: e lo
scoop, la ‘notizia esclusiva’ è l’emergere di un contrasto, di uno
scontro potremmo dire generazionale: l’uomo di Neanderthal, liquidate le
domande paleoantropologiche di rito, scardina il rapporto con la curiosità
giornalistica per affermare l’archetipo di una civiltà scomparsa.
L’età della pietra inaugura un destino, racchiude un codice genetico
primigenio: “…tutto quello che è stato detto e pensato e significato
c’era già in quello che dicevo e pensavo e significavo, tutta la
complicazione della complicazione era già lì…”.
Ed
ecco che la complicazione della complicazione viene a galla nel secondo
dialogo.
Con
Henry Ford, inventore della catena di montaggio, prototipo e simbolo del
Nuovo Mondo, Calvino mette in scena il processo impossibile al progresso e
al consumo. L’Interlocutore qui diventa una coscienza tragica perché
consapevole del proprio presente. La tensione dialogica mostra una crepa
insanabile: da una parte un umanesimo vigile e preoccupato e dall’altra
la volontà di potenza e l’utopia di voler “fabbricare uomini”.
Accostando questi due
dialoghi vorremmo portare in scena un’analisi del progresso: due
riflessioni per il nuovo millennio. La scena è uno spazio vuoto: un
parcheggio e uno schermo, una finestra sulla nostra memoria
pre-industriale e industriale, su cui si fissano fotografie d’archivio a
partire da fine ottocento (scavi archeologici, cave di pietra, fabbriche
Ford a Detroit, primi modelli di auto…) e fotogrammi del cinema muto: un
archivio visivo difficile da rintracciare, immagini disperse nel magma
infinito dei nostri occhi rotti dall’abuso e dall’assuefazione a cui
ci inchiodano i media di massa. Per questo inseriamo nella partitura
queste foto e questi fotogrammi ancestrali: per creare una connessione tra
la realtà e la lezione di storia di Calvino.
.
Queste
interviste diventano possibili in teatro, medium antico ma nonostante
tutto per fortuna ancora vivo: dunque Interviste impossibili possibili
perché ripropongono con coraggio il rito greco della dialettica!
Gianluca Guidotti e Enrica Sangiovanni
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