Zarepta di Sidone


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Il "perchè" di un nome

Perchè il nome " Zarepta di Sidone" ?

Esso deriva da un brano del Libro dei Re, capitolo 17:
Dopo alcuni giorni il torrente si seccò, perché non pioveva sulla regione. 8 Il Signore parlò a lui e disse:
9 Alzati, và a stabilirti in Zarepta di Sidòne. Ecco io ho dato ordine a una vedova di là per il tuo cibo". 10 Egli si alzò e andò a Zarepta. Entrato nella porta della città, ecco una vedova raccoglieva legna. La chiamò e le disse: "Prendimi un pò d`acqua in un vaso perché io possa bere". 11 Mentre quella andava a prenderla, le gridò: "Prendimi anche un pezzo di pane". 12 Quella rispose: "Per la vita del Signore tuo Dio, non ho nulla di cotto, ma solo un pugno di farina nella giara e un pò di olio nell`orcio; ora raccolgo due pezzi di legna, dopo andrò a cuocerla per me e per mio figlio: la mangeremo e poi moriremo". 13 Elia le disse: "Non temere; su, fà come hai detto, ma prepara prima una piccola focaccia per me e portamela; quindi ne preparerai per te e per tuo figlio, 14 poiché dice il Signore: La farina della giara non si esaurirà e l`orcio dell`olio non si svuoterà finché il Signore non farà piovere sulla terra". 15 Quella andò e fece come aveva detto Elia. Mangiarono Elia, la vedova e il figlio di lei per diversi giorni. 16 La farina della giara non venne meno e l`orcio dell`olio non diminuì, secondo la parola che il Signore aveva pronunziata per mezzo di Elia.

Elia, il grande profeta, chiede ad una vedova accoglienza alle porte della città. Questa povera donna, senza mezzi di sussistenza, accetta di ospitare questo sconosciuto, straniero, condividendo l’ultima porzione di cibo che possiede.
Questo immenso segno di generosità cambierà la sua vita: l’olio nell’orcio e la farina nella madia non verranno mai più a mancare.


Il brano fa subito scaturire alcune riflessioni
L’inizio (vv. 8-9) dice subito di chi è l’iniziativa. La parole dei Signore è puntuale, non arbitraria: l’invito a partire, infatti, giunge nel momento in cui Elia non poteva più restare dov’era (cfr. v. 7) Allo stesso tempo, però, è una parola inaspettata, paradossale l’indicazione di luogo, Zarepta di Sidone richiama uno dei testi immediatamente precedenti, 1 Re 16,21, in cui si spiega come il re Acab, sposando la figlia del re di quelli di Sidone, ha aderito al culto di Baal: proprio là deve recarsi Elia! Il Signore, inoltre, promette ad Elia l’aiuto di una vedova, cioè dì una donna che apparteneva ad una delle categorie più povere! Una parola paradossale, dunque, e tuttavia vicina, concreta: Ho dato ordine ... per il tuo cibo.
Il Signore fa una richiesta, Elia obbedisce; Elia, poi, fa usa richiesta alla donna e lei obbedisce. Alla seconda richiesta (v. 11), però, la donna interviene (v. 12): la stessa costruzione del testo porta fin qui e poi invita a fermarsi, segnalando un momento decisivo! Viene qui introdotto il punto di vista della donna, la sua percezione della realtà, una situazione senza prospettiva di futuro.
Elia risponde dicendo prima di tutto: Non temere! È questa la prima cosa da fare, la condizione per poter vedere Cun oltre, là dove non pare esserci futuro. Elia aggiunge poi una richiesta, a dir poco, impertinente dopo la descrizione che la donna ha fatto della propria situazione:RR prepara prima una piccola focaccia a me. È la richiesta di una precedenza da dare all’altro, si tratta di mettere l’altro – uno che viene da lontano – al primo posto, niente di più niente di meno. È questo lo spazio, grazie al quale si apre una prospettiva di futuro in una realtà che sembrava non avere futuro: la farina non finirà, l’olio non si esaurirà (v. 14).
Anche Gesù parla di questa vedova (Lc4,25): C’erano molte vedove in Israele al tempo di Elia.. ; ma a nessuna di esse fu mandato Elia, se non ad una vedova in Zarepta di Sidone... Una preferenza che mi ha sempre lasciato un po’ male. Ma alla luce del racconto di 1Re, sembra che determinante non fosse tanto il fatto che quella vedova fosse straniera, quanto la sua disponibilità nei confronti di uno straniero, Elia, e della sua richiesta inaspettata. In questa disponibilità si apre uno spazio in cui la promessa di Dio si può realizzare: la farina non finirà, l’olio non si esaurirà.
La parola del Signore dice che la vera realtà non corrisponde alla percezione della donna, ma è una promessa cui va data fiducia. La vera realtà è una promessa.
Vivere dando fiducia ad una promessa significa rinunciare a vivere contando sulle proprie risorse: si tratta di due modi diversi di vivere! Possiamo allora intuire lo spessore di questo testo: non la storia commovente di una povera donna, ma la battaglia di Elia contro una mentalità diffusa nel suo tempo e sempre attuale.
La mentalità contro cui Elia combatteva era quella di considerare, sì, Jahwe come guida del popolo e della sua storia, punto di riferimento nelle grandi decisioni, ma di escluderlo dall’ambito del quotidiano, delle necessità immediate. Per queste: meglio fare da sé, cioè meglio fare come gli altri popoli e, dunque, rivolgersi al dio cananeo Baal, che poteva dare la pioggia, i frutti della terra... La battaglia di Elia si colloca, infatti, nel complesso percorso attraverso il quale Israele impara a riconoscere Jahwe come Signore di tutti gli ambiti della vita.
Significativamente, nel breve resoconto finale (vv. 15-16) non troviamo termini che indichino abbondanza, pienezza. Ne deriva la necessità di una fiducia quotidiana (così anche per la mamma nel deserto) e, dunque, la necessità di rimanere in un costante rapporto con Dio: qui si gioca la differenza tra il Dio vivo e gli idoli. In questa fiducia accordata giorno per giorno, c’è lo spazio perché la promessa si attui nella storia.
La strada concreta per rimanere in questa fiducia e non tornare indietro in una percezione della realtà senza prospettiva di futuro è quella di una focaccia con cui dare precedenza all’altro.
La Parola diventa preghiera: preghiamo per noi ma anche per le nostre società, perché lo Spirito Santo, che è presente anche là dove meno immaginiamo, continui a realizzare il vero miracolo di questo testo: l’altro, uno che viene da lontano, messo al primo posto (Anna Fumagalli, missionaria secolare scalabriniana).



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