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TRENT REZNOR, L’AMERICANO CON UNA MARCIA IN PIU’

Trent Reznor è la sorpresa più forte ed inquietante che il rock abbia espresso dopo Kurt Cobain. Nato 35 anni fa in una cittadina della Pennsylvania, talento precoce al piano classico, emigrato adolescente a Cleveland, Ohio, il giovanotto diventa un topo di studio, fino a creare con i Nine Inch Nails un suono duro e industriale, vertiginosamente "sinfonico", che fa già sensazione con il primo album Pretty Hate Machine, uscito un decennio fa. Ma è 5 anni dopo, nel 1994, che i NIN si ripresentano con ben altre credenziali e maturità grazie al secondo album ufficiale, The Downward Spiral, un’opera sofferta, depressiva, che però sfoggia un sound incredibilmente tagliente ed innovativo. E il tanto bistrattato metal sporco e cattivo, che tritura riff chitarristici, paccottiglia sanguinolenta e kitsch si nobilita all’improvviso in qualcosa di urgentemente espressivo, visionario, restituendo al rock tutta l’energia e la vitalità perse da tempo.

In America Reznor diventa un personaggio corteggiato da molti, sempre scontroso e tormentato, ma esce dal guscio per formare una vera rock-band con la quale cimentarsi in tour. I NIN non sono più una one-man-band, con Trent tuttofare affannato giorno e notte in sala di registrazione a suonare tutte le parti di un gruppo immaginario, ma sul palco è il leader carismatico di un quintetto che cerca di tradurre dal vivo le corrosive idee già abbozzate su disco. Anche il cinema si accorge delle sue doti di musicista subliminale: Oliver Stone lo chiama per la colonna sonora di Natural Born Killers e David Lynch per Lost Highway.

E’ sempre Reznor a contribuire come produttore all’aura satanica di Marilyn Manson col suo album-rivelazione Antichrist Superstar, ricevendone in cambio pesanti pettegolezzi sulla sua biografia-scandalo. Il trionfo nel 1994 a Woodstock e gli apprezzamenti di David Bowie, che invita l’anno dopo i NIN ad aprire il suo tour americano, portano alle stelle il nome di Trent Reznor. La rivista "Time" lo include tra le 25 personalità più influenti d’America, insieme al presidente Clinton e a Bill Gates. Ma tanto chiasso e tanta pressione fanno precipitare il musicista in un baratro di malinconia e negatività. Volontariamente segregato nella sua vecchia casa di New Orleans, riesce a liberarsi e a riemergere solo con l’impegnativa produzione del terzo album dei NIN, The Fragile, un doppio, fluviale concerto personale distillato con geniale fantasia tra le pareti domestiche.

A conoscerlo di persona, Reznor sembra un tipo tranquillo, perfino cordiale con la sua fama di depresso cronico, maniaco dei thriller e delle storie gotico-funerarie. Ma è vero che la musica per Trent funziona dove la psicanalisi ha fallito? "Ho scoperto 10 anni fa, quando è uscito il mio primo album, che quello che mi motivava a fare musica era anzitutto la ricerca di un’espressione di bellezza. E alla fine, mi sentivo anche meglio. E’ un’occupazione così intensa e profonda che ha per me un effetto catartico, mi fa bene al sistema nervoso. Specie quando sono arrabbiato col mondo intero, la musica è la medicina migliore".

Lei ha mostrato spesso segni d’insofferenza verso l’ambiente musicale: che cosa le dà più fastidio delle persone e del contesto che circonda il rock oggi? "Fin dall’inizio mi sono chiesto come volevo espormi per essere giudicato e ho scelto l’onestà che mi veniva dal pubblico che aveva apprezzato spontaneamente il mio primo album. E’ nata così la voglia di fondare una band e girare in tour per conoscere gente sconosciuta, anche se la prima impressione era che il pubblico ricevesse più di quanto sentivo io dentro. Dopo il grande successo del secondo album, è scattata una molla diversa in America. Senza perdere l’onestà interiore, mi sono cadute addosso molte più responsabilità. Non ero preparato ad occuparmi di affari, tasse, contratti e tutta quella merda che ruota attorno al mondo artificiale della musica. Ho preso tempo ed ho dovuto mettere di nuovo ordine nella mia testa. Voglio fare musica perché la amo realmente, cercando di dimenticare le conferenze stampa, le notizie sensazionali e tutto quanto non è musica. Dopo due anni di tour americano, sono aumentate le foto sui giornali e anche i soldi in tasca, ma non voglio trovarmi più con l’anima vuota. Rivalutare il ruolo della musica nella mia vita è l’unica cosa che mi interessa veramente".

Da dove nasce e si alimenta la sua versatilità nel suonare o manipolare gli strumenti più diversi? E come descriverebbe la sua musica? "La mia è una musica sottile e sovversiva nello stesso tempo. M’interessa l’elettronica, ma parto dalla concezione tradizionale della forma-canzone, finendo per adattare le melodie ad un contesto sonico più sperimentale. Quando suonavo Mozart da piccolo, ero molto rigido nel formalismo classico e mi sbizzarrivo solo col rubato. Poi è prevalso l’altro mio aspetto che rifiutava i ruoli, la gente, i professori, i parenti. Ero un ribelle contro tutto e contro tutti. Allora ho pensato che volevo sfruttare lo spirito, l’energia e la concisione della musica popolare. Perciò ho cominciato a imparare a orecchio gli strumenti, basandomi più sul feeling e sul cuore che sulla tecnica. Quando mi sedevo di nuovo al piano, chiudevo gli occhi e improvvisavo per ore scatenando tutto il mio subconscio. Oggi suono abbastanza bene il piano, anche se lo facevo meglio una volta. Non sono un chitarrista molto buono, ma credo di riuscire a far convivere in maniera soddisfacente la tecnica con l’entusiasmo". In passato anche Reznor, come il suo ex pupillo Marilyn Manson, ha usato nei suoi video scene di sangue, horror e violenza. Ma ora sembra aver cambiato atteggiamento. "Con Manson siamo ancora amici, ma la differenza tra lui e me è che io voglio comunicare esclusivamente con la musica, mentre lui usa anzitutto il folklore più raccapricciante. Senza negare l’aspetto più spettacolare, sono ansioso di comunicare, ma lascio la gente libera di giudicare la mia musica come vuole. Non faccio musica per i soldi, che mi servono solo per vivere senza preoccuparmi dell’affitto di casa e per costruire prodotti musicali sempre più sofisticati. Mi gratifica lavorare da solo in studio di registrazione, ma oggi sto scoprendo l’emozione di suonare dal vivo, e di sacrificare in tour due anni interi della mia vita, e dialogare con i miei compagni di gruppo. Rispetto agli altri, sono un leader democratico, io".

 

Desidero ringraziare Sara (sarafurlani@tin.it) per aver trascritto l'articolo

 



Data ultimo aggiornamento: 22/04/00

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