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JAM n 54 novembre 1999

NINE INCH NAILS

 

Ore 10.30. Una fredda mattina di ottobre. Fuori c'è un sole splendente. Dentro, negli uffici della Universa!, dove attendo di essere messo in contatto telefonico con Mr. Trent Reznor, rimbomba il suono oscuro, devastante di We're In This Together, singolo nonché video tratto dal bellissimo nuovo album dei Nine Inch Naiis, The Fragile. Appena finito di visionare il video, cinque minuti in bianco e nero di paranoia, claustrofobia ed arte illuminante e illuminata, squilla finalmente il telefono. Ancora scosso dalla potenza di We're In This Together, dall'ipnotico e rumoroso incedere di questo anthem per tutti coloro che soffrono di 'dipendenze' (dalle droghe, dalle cose, dalle persone che sono loro accanto), mi trovo a parlare con Trent, con uno dei musicisti rock più sensibili e geniali di questo decennio. E fin dalle prime battute dell'intervista, nonostante ci separino centinaia e centinaia di chilometri (lui è ad Amburgo), nonostante la personalità di Reznor sia filtrata dal freddo e impersonale mezzo telefonico, percepisco, nel suo modo di parlare, nel modo in cui, sceglie con maniacale precisione le parole, lo spessore del personaggio. Un personaggio che nell'arco della nostra chiacchierata finisce, consciamente o inconsciamente, per usare in maniera ciclica termini che fanno capire quanto la musica, per Reznor, diventi, durante il processo creativo, un maniacale viaggio dentro se stesso. "Per questo disco", esordisce Trent, "ho fatto una promessa a me stesso e alla casa discografica avrei fatto promozione. In passato sono sempre stato restio a fare queste cose. Oggi è diverso. Abbiamo deciso che si sarebbero fatte delle interviste anche in Europa, ad Amburgo e a Londra." Certo, incontrare un artista del calibro di Reznor sarebbe stato diverso che averlo al telefono... "Per me è okay", taglia corto Trent. "L'importante è che abbia modo di parlare di ciò che vuoi dire per me The Fragile." E allora via con le domande. La prima, la più spontanea che viene da farsi quando si mette nel lettore questo doppio, mastodontico album, è il perché di un disco così lungo. "Ho pensato molto ai rischi che avrei potuto correre nel fare un disco doppio come The Fragile", risponde Reznor pesando una ad una le parole. "Avrei potuto cadere nell'autoindulgenza. Avrei potuto annoiare molta gente. È stata comunque una scelta quasi obbligata. Durante le registrazioni del disco, durante gli anni passati tra The Downward Spiral e The Fragile, ho accumulato così tanto materiale che è stato difficile, anzi impossibile, decidere di tralasciare delle cose. Certo, ci sarà anche gente che si stancherà di questo disco, lo stesso sono consapevole che ci siano pochi album doppi nella storia del rock che mi sono veramente piaciuti. The Fragile è uno di questi." Sicuro di sé, contento del lavoro appena portato a termine, Reznor prosegue dicendo che quando ha iniziato a lavorare all'album "l'idea che avevo in testa era di fare un disco strumentale, una collezione di brani esoterici, costruiti attorno a suoni strani, deragliati. Brani che non avrei mai potuto tagliare, lasciar fuori dalla scaletta del disco solo per assecondare i meccanismi della discografia odierna. Così, già da allora è stato chiaro il fatto che avrei lavorato su questo materiale, che mi sarei preso la briga di attraversare certi confini, 'invisibili' ma sempre presenti, nella discografia e nella testa delle persone che ascoltano musica". Ecco, quindi, che ancora una volta viene a galla l'aspetto più positivo e interessante di questo progetto, di questo artista la voglia insopprimibile di 'andare oltre', di rompere delle barriere, andare al di là dei confini prestabiliti e sondare nuove frontiere. È stato così in The Downward Spiral, un album in cui Reznor riuscì a traslare alla perfezione quel mondo inferiore e caoticamente confuso, quell'ammasso di emozioni forti e disperazioni infinite che potrebbero essere la perfetta colonna sonora dì un american psycho degli anni 90, grazie a cui sfondò le porte dell'indifferenza e si erse a paladino del nuovo rock postindustriale. È così ancora oggi, con The Fragile, con questo iter a spirale nel mondo sommerso di Reznor e di tutti coloro che hanno voglia, come dice Reznor stesso, "di perdersi" in se stessi e di scoprirsi. Con qualche differenza di fondo. "Dopo The Downward Spiral c'era una sorta di rifiuto per i sintetizzatori, per quelle macchine con cui fino ad allora avevo sempre lavorato. C'era la consapevolezza che queste "macchine facessero parte del cliché dei Nine Inch Nails. Era un cliché che volevo assolutamente evitare. Così mi sono trovato a maneggiare strumenti come la chitarra acustica, il violoncello, strumenti che non avevo la minima idea di come potessero essere usati. E sta proprio in questa non conoscenza dello strumento l'aspetto interessante della scelta che mi sono trovato a fare per The Fragile il fatto che non sapessi maneggiare gli strumenti a corde mi ha dato la possibilità di essere più naive, più innocente nell'approccio alla musica di questo album. Credo che questa esperienza mi abbia dato l'opportunità di seguire ancora più l'istinto, lavorando i pezzi molto meno che in passato. E l'istinto mi ha dato ragione. Ora ascolto The Fragile e capisco che è stata la cosa giusta da fare. La cosa che mi ha permesso di alzare la posta, di andare a un altro livello, insomma, di progredire." Non solo. "In The Downward Spiral ero consapevole del nesso che c'era tra le canzoni", dice ancora Trent, "sapevo che sarebbe stato un concept album. Questa volta è stato diverso. non avevo ben chiaro dove sarei andato a finire con The Fragile. Le cose si evolvevano mentre ci lavoravo sopra. Oggi, guardandomi indietro, ormai staccato dal processo creativo, posso vedere chiaramente un nesso tra le canzoni. Capisco che c'era una storia che doveva essere raccontata, la mia storia di questi anni. Rispetto a The Downward Spiral è venuta a galla in modo spontaneo. Ma alla fine, oggi, quando rileggo i testi, vedo attraverso le parole che ho usato, un senso compiuto anche in The Fragile. Un senso che per me assume dei significati che possono coincidere o essere totalmente diversi da quelli che darà chiunque ascolti il disco." Non è chiaro quindi, o almeno, ognuno può chiarire dentro sé cosa vuole esprimere Trent in The Fragile, cosa si può trovare nelle canzoni dell'album. È chiaro invece che, in un periodo in cui tutto sembra essere stato già detto, in un'epoca in cui le parole passano in secondo piano per lasciare spazio alla musica strumentale (vedi alle voci musica elettronica e postrock), per Trent Reznor le parole abbiano ancora un significato ben preciso. "Fin da quando ho iniziato a suonare, fin dai tempi di Pretty Hate Machine, ho sempre dovuto lottare con me stesso per capire cosa era più importante nei miei pezzi la musica o le parole. All'inizio la tentazione era di scrivere testi che potessero riempire degli spazi, che potessero aggiungere suoni ai suoni già esistenti. Usare parole senza senso. Era questo ciò che volevo fare. Poi però mi sono accorto che le cose non funzionavano. Allo stesso tempo, una volta iniziato a lavorare sui pezzi, mi ci perdevo dentro, mi lasciavo travolgere da essi. Decisi che avrei dovuto esprimere qualcosa di vero, di sentito. Di colpo mi sono trovato a mettermi a nudo come mai avrei voluto ho potuto pensare di fare. È quello che è successo anche con The Fragile. Oggi, a volte, mi trovo qui a dirmi forse mi sono esposto come non avrei dovuto. Forse mi sono concesso troppo. Ho svenduto il mio io. Ma poi mi dico anche okay, tutto questo è nato, si è sviluppato naturalmente. Ho iniziato a lavorare a The Fraglie e The Fragile mi ha travolto. Sono entrato in un vortice da cui mi è stato impossibile tirarmi fuori. E ne sono felice, perché alla fine con i Nine Inch Nails non voglio fare solo dischi. Voglio creare delle reazioni. Fare in modo che la mia musica sia d'impatto. Andare oltre i cliché. Se questo vuoi dire perdere me stesso, dare via me stesso e convogliarlo nella musica in modo creativo, per me è okay." Per noi pure, finché questo vuol dire poter ascoltare dischi onesti, potenti ed emozionanti come The Fragile.

Sebbene siano in molti, soprattutto fra i fan sfegatati della scena industrial di Chicago, a pensare che i Nine Inch Nails siano soltanto una mutazione di gruppi come Ministry e Skinny Puppy, non si può mettere in dubbio che Trent Reznor abbia contribuito non poco alla diffusione di questa musica e sia stato il primo a colpire con fermezza l'immaginario rock. È riuscito a farlo perché le armi da lui usate erano più varie rispetto a quelle di Alan Jourgensen (leader dei Ministry) o Nivek Ogre (cantante degli Skinny Puppy). Dalla sua infatti Reznor ha una capacità di esprimere sentimenti, paranoie e vibrazioni, claustrofobici mood che lo fanno sembrare molto più spontaneo e diretto dei suoi predecessori. Oltre a ciò,Reznor prosegue idealmente, seguendo percorsi diversi, quel discorso iniziato da gruppi come Red Hot Chili Peppers o Rage Against The Machine, quel processo di contaminazione dei generi che tutti conosciamo come crossover. Lo fa con quelle architetture di sonorità 'industriali', attorno a cui accatasta con cura, a seconda di dove l'emozione del momento lo porta, frammenti di metal, di rock (garantiti da una chitarra che ci rovescia addosso, in quasi tutti i casi in cui è usata, la rabbia e la frustrazione), linee di basso techno, rumori in loop che sembrano essere stati registrati negli inferi, progressioni hardcore punk, improvvise pause da ambient isolazionista e lancinanti melodie pop di una tristezza senza fine. E dietro a tutto questo, Reznor nasconde le sue canzoni. Le canzoni di un'anima inquieta che vive appieno la fine del millennio, con tutte le vibrazioni e gli umori che si porta appresso. Non è quindi un caso che Reznor sia diventato punto fermo per molti gruppi a venire. Anzitutto perché con la sua etichetta, la Nothing, ha spinto, negli States, musiche che nessuna major si sarebbe sognata di spingere AphexTwin, Squarepusher, Plaid, Einsturzende Neubaten, Autechre, Plug, che mostrano, ancora una volta, la propensione di Trent Reznor a 'dissacrare' suoni e ritmi secondo una logica 'disturbante' che distorce, contorce, contamina tutto con il fine ultimo di rendere la musica 'malata' (in linea con il movimento ambient di New York). Trent è diventato punto fermo anche per gruppi come Filler, God Lives Underwater e molti altri ancora (12 Rounds, Prick, Bowling Green, tutti accasati alla Nothing). E poi non va scordato che è grazie a Reznor che è venuta alla luce una delle icone più riconoscibili del rock anni 90 come Marilyn Manson, a cui fu vicino per la realizzazione di Antichrist Superstar, a tutt'oggi il disco più riuscito del signor Brian Warner.



Data ultimo aggiornamento: 12/04/00

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