Trent Reznor, fragile violento
L'uomo dietro la sigla Nine Inch Nails parla di sé, della propria
inesauribile voglia di fare musica, dell'ultimo album "The Fragile".
Ritratto di un musicista inquieto.
di Daniela Bozza
A cinque anni
dall'uscita di The Downward Spiral, è uscito The Fragile uno
degli album più attesi, o forse il più atteso, dell'anno. E nonostante alcuni
Grammy Awards, un paio di dischi dalle vendite multimilionarie, critiche
universalmente positive e nel 1997 la copertina della rivista Time che lo
indicava come una delle 25 persone più influenti d'America, Trent Reznor
non è ancora un uomo sereno. The Fragile è un disco enigmatico e
complesso, definito dallo stesso Trent in una nota scritta ai fans diffusa lo
scorso agosto come "una cronaca di sistemi falliti e oggetti in caduta
libera". La spirale sembra scendere ancora più in basso.
Un album doppio, 23
brani, più di 100 minuti di musica, due anni di lavorazione. Provando a mettere
da parte le cifre, come definiresti The Fragile? Di che parla The
Fragile?
Oddio è una domanda difficile. E' ispirato principalmente ad una sorta di
viaggio che ho fatto, partendo da ciò che l'ultimo disco, The Downward
Spiral, aveva lasciato da parte, arrivando sino ad oggi, e può essere
considerato un riesame di me stesso come musicista e come persona, per provare a
riscoprire in primo luogo perché ho bisogno di fare musica. Dovevo ritrovare la
passione per la musica e adottare una giusta prospettiva per molte cose della
mia vita, anche privata.
Hai scritto e
registrato il 95% di questo album a New Orleans in una residenza del XIX secolo.
Come mai hai deciso di spostarti in quella città?
Ho scelto di vivere a New Orleans che è un posto piuttosto strano, dal punto di
vista musicale. Non mi sento di certo legato a quella scena musicale, ma ho
scelto di star tranquillo e di lavorare senza seccature, è davvero un posto
interessante, mi piace moltissimo anche dal punto di vista estetico, a
differenza della gran parte dei posti in America. Diciamo che mi sono divertito
abbastanza a chiudere la porta e a concentrarmi, e a pensare perché mi
interessa davvero questo mestiere e perché non mi stanco di ripeterlo. Per
riassumere, quando si e' concluso il tour di The Downward Spiral, eravamo
alla fine di due anni estenuanti, e soffrivamo dell'essere stati complici nel
compiersi di una profezia, ovvero, diventare una band piuttosto importante,
almeno in America. Ci sentivamo individui piuttosto confusi: il tour bus si era
fermato e noi...
Insomma era un periodo
molto strano, disorientante e c'era bisogno di passare attraverso una serie di
fasi. Io e Rob (Robin Finck, chitarrista N.d.R) ci siamo separati in maniera
amichevole per un po', lui fatto le sue cose mentre io ho passato un po' di
tempo, così, senza far nulla. Avevo dimenticato perchè mi piaceva la musica,
quasi che il business avesse preso il sopravvento sul resto, ascoltavo una serie
di nonsense intorno a me, ed ero proprio annoiato. Insomma dovevo riprovare
piacere nel mettermi a fare musica e l'ho ritrovato nel processo di creazione di
questo disco, e di qui è iniziata una nuova fase positiva, per me. Forse era
una congiuntura necessaria, o almeno credo.
Hai sofferto del
blocco dello scrittore, abbiamo racconti di un crollo emotivo, depressione.
Ero davvero
messo male, abbastanza stravolto. Non lo considero un blocco creativo, perché,
sì, forse non mi venivano in mente idee, ma neanche mi sedevo, né provavo a
concentrarmi: è un blocco anche quello. Comunque, non avevo intenzione di
scrivere un disco fino a che non mi fossi trovato nel giusto spazio mentale per
crearlo, e c'è voluto un po' di tempo, poi quando l'ho raggiunto, ho deciso di
fare un disco complesso, lungo, che mi ha preso più tempo di quanto l'industria
ritenesse opportuno. Ma ho creduto in questa direzione, e alle mie regole, e
fortunatamente sono stato messo in condizione di poterlo fare.
Ancora una volta per The
Fragile, hai scritto e prodotto e suonato ogni singola nota. Non credi che
sia un eccesso di controllo da parte tua?
Mentre preparavo
il disco ho mantenuto un certo controllo perché sapevo esattamente ciò che
volevo, anche se non suono tutti gli strumenti come negli altri dischi, e
rispetto al passato ci sono molte più collaborazioni. Anche il rapporto con il
produttore Alan Moulder (coproduttore del disco con Reznor, N.d.R) è stato più
intimo, inoltre c'è un buon numero di artisti ospiti (Steve Albini, Charlie
Clouser, Dr. Dre, Keith Hillebrandt). Soprattutto adesso che il disco è finito,
ho intorno a me una band che rispetto, e verso i quali c'è un rapporto di
collaborazione. Adesso considero la band un'entità differente, c'è più
democrazia e condivisione di responsabilità.
Anche come live band, ci
siamo dati molto tempo per provare, il tour sta partendo adesso, ma comunque
siamo in giro già da un po' di mesi, e in estate ci siamo chiesti come stavamo
messi musicalmente. C'è Rob, con cui suono già da un po' di anni, lui è
sempre stato bravo ma adesso è anche meglio, poi c'è un nuovo batterista,
Jerome Dillon, che ha cambiato radicalmente il potenziale della band. Quello che
non avevo intenzione di fare era semplicemente prendere una nuova band per nuove
canzoni. Invece abbiamo preferito prendere tempo per conoscerci, per acquisire
fiducia, come una vera band. Poi, insieme abbiamo scelto le canzoni che
ritenevamo appropriate e la sorpresa successiva è arrivata quando abbiamo
ripreso il vecchio materiale da Pretty Hate Machine. E sembrava fresco,
emozionante, potrebbe anche essere un caso ma io non ci credo. Il nostro primo
disco, Pretty Hate Machine , appunto e' uscito 10 anni fa e in questi 10
anni sono successe un mucchio di cose.
E se dovessi
ricordare qualcosa in questi 10 anni cosa ti viene in mente?
Ci sono stati un
paio di momenti assolutamente eccezionali, quelli in cui pensi "ci sono e
voglio ricordarmelo", in cui ho sentito che eravamo connessi con qualche
forza spirituale. Uno è stato sul palco a Woodstock il 13 agosto 1994, per il
luogo e per il tempo in cui è avvenuto, per l'energia che sentivo mentre
eravano sul palco, ho veramente pensato "questo momento e' importante"
e non avevo piu' paura, poi ho guardato il nastro con la nostra esibizione e
devo dire che abbiamo suonato malissimo, era terribile, eravamo coperti di fango
e gli occhi bruciavano e i suoni erano sporchi, ma per quella mezz'ora sul palco
l'illusione è esistita, ed è stata grandissima per me. E il secondo momento di
grossa emozione è stato durante il tour con David Bowie, nell'autunno del '95.
Il nostro set sfociava nel suo e si suonava insieme per alcuni pezzi, e quando
lui cantava una delle mie canzoni, e io stavo sul palco accanto a lui, pensavo
"questo non è il mio posto", non mi sembrava vero, surreale dividere
lo stage con l'idolo della mia infanzia. Bellissimo.
Ritorniamo al 1999
con The Fragile. Durante questi anni di assenza avevi spesso parlato di
semplicità, di un disco dall'approccio decostruttivo, anche se adesso lo
definisci un album complesso. Cosa è successo durante la registrazione?
Quando ho
iniziato volevo che il disco fosse minimalista nei suoni e che ci fossero non più
di 10 brani, essenziali. E ho fallito, ho fallito completamente, e si è
trasformato in quello che è. Ora sto pensando che nel prossimo disco voglio
davvero utilizzare un quattro piste, ma ho imparato che non posso dire cosa e
come sarà, finché non mi siedo e comincio a scrivere, a creare, a trovare una
motivazione. Questa volta quello che mi ha dato la spinta è stato esplorare,
perché adesso ho il mio studio e tutto quello di cui abbiamo bisogno. Per
esempio, in passato usavamo campionamenti del piano, degli archi, dei violini,
invece per questo disco si prendeva fisicamente il violino e si provava a creare
un suono che potesse essere interessante; non so quanto di tutto ciò fosse
ridicolo, probabilmente in parte lo è stato, ma c'è un trama intessuta in
questo disco che è stata meticolosamente creata a mano, e io ne sono
profondamente orgoglioso.
E' difficile la
scelta dei singoli tra piu' di 100 minuti di musica?
Ti spiego qual
è il nostro modello di riferimento: decidiamo quale brano possa essere
radiofonico e interessante, giriamo un video, ci lavoriamo duro e appena il
disco esce, le radio cominciano a trasmettere un'altra canzone, allora
rimescoliamo le carte e ripartiamo da capo. Ed è quello che sta succedendo
anche adesso. Scherzi a parte, il processo vero e proprio di scelta dei singoli
è davvero strano.
Quando sono in studio a
lavorare sul disco, lo considero davvero un momento artistico e mi preoccupo
solo di rendere il lavoro più bello e interessante possibile, ma quando il
lavoro è finito, improvvisamente smetti di vestire quei panni e lo devi
promuovere. Inevitabilmente l'opera deve essere divisa, tagliata a fettine. Devi
immaginarti come presentarlo al pubblico, parlarne, trovare i brani che rendano
bene anche come video, e ci si immerge necessariamente in un territorio che è
meno artistico, in cui io, come molti altri non mi sento molto a mio agio, ma lo
faccio, perché credo nel disco e vorrei che tutti avessero la possibilità di
ascoltarlo. Potrei rifiutare, non fare tutto il necessario, non andare in tour,
non parlarne, evitare tutti questi "mali necessari", ma credo che The
Fragile non sia il tipo di disco che la gente va a cercarsi, forse va un po'
spiegato, per cui arriviamo dritti al punto, per favore, compratelo. Compratelo
subito.
Proviamo a essere un
po' provocatori. Che mi dici di "Starfuckers Inc." che molti
considerano ispirata a Marilyn Manson e Courtney Love...
Ho scritto
quella canzone Starfuckers Inc . abbastanza presto rispetto al
resto del disco. La gente crede che non ci sia il minimo sense of humour
nella musica dei Nine Inch Nails, adesso questa voce si va attenuando ma girava
allora. Insomma l'ho scritta, ci ho lavorato e probabilmente avevo 60 versi
pronti in un solo giorno, e sì, ha a che fare con tutto il fenomeno di
Hollywood e un branco di persone ridicole che ho avuto intorno per un po'. Se
riguarda quelle persone? Sì, naturalmente loro, e cento altre di cui non sapete
nulla. Alla fine quando il disco ha preso una piega più seria e un tono più
scuro, c'è stato il problema se inserirlo oppure no, e fino all'ultimo eravamo
indecisi. Poi l'abbiamo incorporato nel secondo disco dove sta bene, mentre
forse era fuori luogo in qualsiasi altra sequenza. E' lì, esiste, e adesso mi
sentirò fare questa domanda un milione di volte ancora.
Mah, non direi che
hai proprio risposto...
Insomma,
abbastanza!
Perché avete deciso
di partire con un tour europeo?
Abbiamo deciso
di iniziare il tour in Europa perché ci siamo sempre sentiti un po' menomati in
passato, per la sprorporzione tra l'America, dove andiamo piuttosto bene, e
l'Europa. E' possibile che l'Europa non ci ami molto, ma di certo c'è stata
anche una mancanza di supporto da parte dell'etichetta locale che spero venga
corretta. Vogliamo proprio concentrarci e focalizzare l'attenzione in Europa,
abbiamo anche in progetto di ritornare, se ci volete, naturalmente. Ma sta
andando bene, cioè abbiamo suonato un solo concerto sino ad oggi (Barcellona,
14 novembre 1999, N.d.R.) ma è andato cento volte meglio di quanto ci
aspettassimo.
Come sara' questo
tour, come l'avete preparato, che ci riservera' lo show?
E' lo show più
lungo che abbiamo mai fatto. Oddio, no, non suona bene. E' un concerto molto
solido. Una delle sfide che ci eravamo prefissati nel presentare questo set era
incorporare l'alone di raffinatezza che è parte integrante del nuovo disco, e
creare un equilibrio con le cose migliori del passato. L'enfasi è sui brani
nuovi, ma devono funzionare nell'economia dell'intero concerto, che è più
dinamico, ha una forte sfera emozionale e una musicalità mai avuta prima. Sì,
devo dire che lo show mi piace, con un margine di fiducia minima, visto che
abbiamo suonato solo una volta. Siamo pronti per il mondo intero.