Con l'avvento della società di massa, favorito dal boom economico e dalle
nuove risorse tecnologiche, si accese un dibattito anche attorno ai "prodotti"
in campo culturale. Nella seconda metà del novecento ed in particolare negli anni '50 e
'60, artisti inglesi e statunitensi, rifacendosi in parte alla cultura dadaista,
iniziarono ad usare oggetti di consumo nelle loro opere sia riproducendoli attraverso
accesi colori acrilici o addirittura inserendoli nell'opera stessa. In Inghilterra la
nascita del movimento viene associata ad una mostra che si tenne nel 1956, mentre negli
Stati Uniti il primo artista a fare sua questa tendenza fu Robert Rauschenberg, creatore
di assemblaggi con stratificazioni di colori, cartoline, fotografie ed oggetti domestici.
Attraverso l'uso di immagini che riflettevano la
pochezza e la volgarità della moderna cultura di massa, la Pop Art si proponeva di
sviluppare e suggerire una percezione critica della realtà più acuta e incisiva di
quella offerta dall'arte del passato.
Il movimento non si limitò esclusivamente
all'abito pittorico ma influenzò notevolmente il cinema underground; grazie all'operato
del gallerista Leo Castelli conobbe il massimo successo negli anni '60 con artisti come
Jasper Johns, con i sui dipinti delle bandiere americane, e Roy Lichtenstein, con il suo
stile ispirato ai fumetti.
Del movimento faceva parte anche Andy Warhol,
pittore e cineasta, che con le sue tecniche di riproduzione in serie mirava ad un prodotto
ripetibile e di largo consumo; integrato tanto nello star system quanto nell'underground,
egli rappresentò al meglio la figura dell'artista pop in grado di interessare unitamente
critica colta e pubblico giovanile, riuscendo a ridicolizzare il mondo dei consumi pur
sapendo far consumare se stesso.