Le Interviste del Boss

La Pastorale Americana di Springsteen, il Rocker che fa Parlare la Gente
Anonimo
da Il Foglio, 31-07-2002

La Pastorale Americana di Springsteen, il Rocker che fa Parlare la Gente.

I recensori italiani sostengono che "The Rising" non condanna i kamikaze Non è vero, è il solito Bruce

Anonimo

Un consiglio a Sergio Cofferati, lasci stare l'articolo 18 e la concertazione. Dia un'occhiata, piuttosto, ai testi di Bruce Springsteen e al suo campionario di operai, metalmeccanici, tornitori, manovali, lavoranti e braccianti alle prese con le miserie della vita di tutti i giorni. Gente senza niente, se non la speranza, e la voglia, di riscattarsi e di farcela. In quelle canzoni, Cofferati, o chi per lui, troverà molto più di un programma di governo, troverà la chiave per entrare nell'anima di chi ha poco da perdere; troverà la ricetta per parlare a chi cerca un'idea, una visione, alla quale aggrapparsi per poi risollevarsi e ripartire. Chi sta male, spiega Bruce Springsteen, non vuole essere assistito, non ha bisogno di carità né di beneficenza. Cerca piuttosto di vivere ogni santo giorno in modo migliore rispetto al precedente. Vuole migliorarsi. E' dura, durissima. Ma l'uomo è nato per correre, per uscire dal tunnel in cui si trova, per lasciarsi alle spalle la noia e la stanchezza, per dimenticare il buio in cui è sprofondato. E per riuscire ci vuole speranza e fede e ottimismo. Ecco, speranza, fede e ottimismo. Sono questi gli ingredienti che secondo Bruce portano alla redenzione. Soprattutto dopo l'11 settembre. Lo dice nel suo ultimo disco, "The Rising" ("Sollevarsi") edito dalla Columbia. Springsteen è Springsteen perché più di chiunque altro è riuscito a sintonizzarsi con l'America che gli appartiene, e cioè quella che parte dal nulla, da umili origini, da un passato di immigrazione e di povertà e di sofferenza. L'America rurale che ha abbracciato Ronald Reagan, e la parte che è uscita a pezzi da quella rivoluzione. Se la vita si fa dura, state certi che arriva il Boss a raccontarla (The Boss è il nomignolo con cui i fan si rivolgono a Bruce). Non a caso, Springsteen si è tenuto in disparte negli anni ye-ye di Bill Clinton, quando l'economia tirava e tutto andava bene-madama-la marchesa. Allora, era il 1995, mentre la sinistra chiacchierava di Ulivi Mondiali, Bruce scrisse un album che non piacque ai più (fidatevi: era un capolavoro) dedicato alla figura di Tom Joad, un eroe reso immortale nel 1940 da Woody Guthrie, il padre della canzone folk americana e il maestro sia di Bruce sia di Bob Dylan. Attraverso il fantasma di Tom Joad, Springsteen si domandò che cosa potesse accadere a una società che improvvisamente dimentica il significato della povertà. Era l'epoca dei baby boomers, i cinquantenni nati nel Dopoguerra, cresciuti negli agi e nella spensieratezza e in quegli anni al timone dell'America. Per una volta Springsteen mise da parte il suo proverbiale ottimismo. I personaggi di Tom Joad vivevano ai margini della società e morivano in modo violento. Il disco non era in linea con il karma di quei giorni, "è l'economia, stupido" si diceva a chi obiettava, ma in realtà non piacque perché più che un cd di Springsteen era un disco folk, quella stessa musica tradizionale americana che nel 2001 è diventato l'evento discografico dell'anno grazie alla colonna sonora di "O Brother, where art thou?", il film dei fratelli Cohen. Dai tempi di Tom Joad Dai tempi di Tom Joad sono passati sette anni. Bruce non è più riuscito a trovare l'occasione per sintonizzarsi di nuovo con l'America più profonda. Non voleva commettere gli errori del passato, quando dopo i fasti di "Born in the Usa" scrisse un album intimo sui suoi problemi familiari ("Tunnel of love", 1987). Non piacque, non c'era niente di epico. Lo stesso con i suoi due album successivi, usciti contemporaneamente nel 1992 ("Human Touch" e "Lucky Town"). Dissero che si era imborghesito, specie dopo il trasferimento a Beverly Hills in una villa milionaria che ora ha abbandonato per tornare nella sua hometown, in New Jersey. Ci furono un paio di eccezioni, ovviamente. La canzone per il film sull'Aids, "Philadelphia" (che nel 1993 gli valse l'Oscar e quattro Grammy Awards) e le 41 pistolettate che nel 1999 un poliziotto di New York scaricò sul corpo di Amadou Diallo, un immigrato che stava per estrarre un portafoglio scambiato per arma da fuoco. Bruce scrisse "American skin (41 shots)" "Pelle americana (41 colpi)". Qui c'è da fare una parentesi, che verrà utile anche per capire il nuovo disco del Boss. Bisogna fare attenzione a non commettere l'errore che spesso facciamo noi europei, quello cioè di applicare alla realtà americana i nostri schemi culturali e ideologici. Bruce Springsteen è di sinistra, d'accordo. Ma è un liberal, però, parola che tradotta letteralmente vuol dire "liberale". La sinistra americana è liberale, fa parte cioè di quella famiglia politica che in Europa dall'avvento del socialismo e poi del comunismo viene collocata alla destra dello schieramento. Questo non vuol dire niente, se non che in America sono poco inclini a quella curvatura ideologica che pervade la nostra vita quotidiana. Se un poliziotto spara 41 volte su un povero ragazzo di colore oppure picchia un giottino dentro una caserma, trattasi di azione infame che va condannata a prescindere dalle idee politiche. In casi come questi, in America non scatta il riflesso condizionato che a Genova ha portato la destra a giustificare gli abusi polizieschi e la sinistra a trasformare in santi alcuni teppisti. Lo stesso è accaduto dopo l'11 settembre. Di fronte all'attacco, tutti hanno sventolato le bandiere e ascoltato "Born in the Usa", "No surrender" e "Thunder Road" del Boss, finanche in ambienti radicali, come quelli della rivista The Nation. I rockers americani e inglesi, a differenza dei girotondisti italiani che blaterano di complotti della Cia e del Mossad, sono stati i primi a mobilitarsi con i concerti-telethon che hanno raccolto centinaia di milioni di dollari in favore dei parenti delle vittime. Tra questi ovviamente c'era Bruce Springsteen, che sul palco ha cantato "My city in Ruins", la canzone che chiude il nuovo album. E mentre Neil Young con "Let's Roll" ha ricordato l'atto di eroismo dei passeggeri del volo 93 che si sono sacrificati per evitare un'altra strage, Bruce ha fatto una scelta differente. Diversa anche da quella di Paul McCartney che con "Freedom" ha cantato la superiorità dei valori occidentali ("We will fight for the right to live in freedom"). Bruce ha scavato più in fondo. Testi come racconti, "azione limitata" I testi delle canzoni di Springsteen sono racconti con un inizio e una fine, brevi storie con personaggi che dialogano e interagiscono. Gente che vive ai margini, che ha segreti da tenere o una vita da riscattare. Canzoni con azione limitata, ma ben precisa. Ragazzi che scappano da casa, gite al fiume, incidenti stradali e così via. Alla fine c'è sempre una speranza di redenzione. E' l'eterna pastorale americana in note da canzonetta. E' la messa in musica dello Spirito di una Nazione, la forza della working class, la cronaca romanzata della vita quotidiana della gente comune, l'epica paesana di chi al massimo si concede il vizio di una birra. Springsteen è un americano, un americano vero, ed è per questo che Reagan volle usare "Born in the Usa" per la sua campagna elettorale (ma il Boss rifiutò). L'11 settembre ha fornito a Springsteen l'occasione di continuare su questa strada e raccontare la tragedia dalla prospettiva dei pompieri, delle famiglie, di quelli la cui vita e il cui destino sono cambiati radicalmente. C'è poca retorica in "The Rising", una collezione di storie come quei "Portraits of Grief", i ritratti del dolore pubblicati dal New York Times. Ce n'è talmente poca di retorica che i recensori italiani di "The Rising" l'hanno interpretata come una critica alla guerra al terrorismo. E' stato scritto che si tratta di "un'esortazione a quell'America sincera che rifiuta la guerra a oltranza di Bush" e di un'opera che rompe il pensiero unico. Balle, le solite panzane sull'Altra America, quella parte buona che si contrappone al mostro imperialista. "The Rising" è un disco americanissimo. Tanto per cominciare a Time, che questa settimana gli ha dedicato la copertina, Bruce ha detto che l'invasione dell'Afghanistan è stata condotta molto bene da Bush. Poi c'è "Paradise", la canzone che secondo i critici avrebbe scatenato chissà quali polemiche in patria. Ci è stato raccontato che Bruce si era messo dalla parte del kamikaze, e che non lo aveva condannato. La canzone, è vero, inizia indagando da questa prospettiva, poi però Bruce cambia il soggetto narrativo. E' una donna americana, una vedova dell'11 settembre, che racconta di come in Paradiso ci sia andato suo marito, la vittima del terrorista. E che comunque l'Aldilà non è di sollievo per la vita terrena. Chiacchiere nostrane, dunque. Da noi bisogna sempre buttarla in politica. Se i critici avessero ascoltato la canzone (bellissima tra l'altro) si sarebbero magari accorti che musicalmente "Paradise" è una via di mezzo tra "Sound of Silence" di Simon & Garfunkel e "Brothers in Arms" dei Dire Straits. Se polemica ci sarà, è su un presunto plagio. Materia da Striscia la Notizia, piuttosto. Racconta Time che la canzone è nata dopo una telefonata fatta alla vedova di una delle vittime del Pentagono. Tutto il disco è nel mainstream dell'America di oggi. Di più. Racconta i demoni del post 11 settembre "da una prospettiva populista e innegabilmente nordamericana" ha scritto l'altro ieri il critico del Chicago Tribune, riferendosi ai ripetuti cenni al sentimento di vendetta ("voglio un occhio per occhio", scrive a un certo punto) e ai ricorrenti richiami a Dio, ai miracoli, alla vocazione che fanno di "The Rising" un disco più "cattolico" che "antagonista". Per il resto, "Into the fire" è dedicata ai pompieri. "Nothing Man" a un sopravvissuto che non riesce a capacitarsi di come tutti facciano finta di niente e continuino la loro vita come se niente fosse. "Empty Sky" descrive il cielo dopo il crollo delle Torri. "You're missing" è la storia di uno che a casa quel giorno non è tornato. "The Rising" racconta la voglia di rinascita dell'America. E' un buon disco. Accontenta tutti, sia chi ama il Boss delle ballate acustiche, sia chi preferisce l'energia del rocker Born in the Usa.
Da Il Foglio 31 luglio 2002

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