Le Interviste del Boss

Springsteen, la Rabbia e la Speranza.
di Paolo Zaccagnini
da Il Messaggero, 12-08-2002

Springsteen, la Rabbia e la Speranza.

Al concerto nel New Jersey che inaugura un tour mondiale per lanciare l'ultimo cd "The rising". Forse il 18 ottobre tappa a Bologna.
Nel suo nuovo album una forte valenza politica e riferimenti all'11 settembre.


di Paolo Zaccagnini

NEW YORK - Cosa c'è rimasto di magico nella vita? Henry Potter, la Roma e, citiamo Lawrence d'Arabia, i "dieci pilastri della saggezza (rock)", Bruce Springsteen e la E Street Band, vale a dire i chitarristi Steven Van Zandt e Nils Lofgren, i pianisti e tastieristi Danny Federici e Roy Bittan, il bassista Garry W. Tallant, il sassofonista Clarence Clemmons, il batterista Max Weinberg, la signora Springsteen, Patti Scialfa, a cori e chitarra acustica, più la "recluta", rossa come Patti, Soozie Tyrrell al violino. Scherzi a parte, Bruce insieme a loro ha messo al tappeto i rapiti, felici presenti, mercoledì scorso, alla Continental Arena di East Rutherford nel suo New Jersey, c'è nato e ci vive, si è ripetuto sabato con gli ululanti alla MCI di Washigton, D.C, e oggi sicuramente conquisterà i fortunati newyorchesi che, beati loro, riempiranno il Madison Square Garden (in Italia dovremmo godercelo il 18 ottobre a Bologna poi, all'aperto e, speriamo, all'asciutto l'estate prossima).
Springsteen sarà, sì, rinsavito e invecchiato - compie 53 anni, portati benissimo, il 23 settembre, auguri - suonerà meno - addio alle 3-4 ore alle quali ci aveva abituato e nelle quali ci strapazzava (grazie, per l'eternità) come solo lui sa fare - ma quando sale su un palco è sempre...Bruuuuuuuuuuce. Non potrebbe essere diversamente, coscenzioso come è: 2 ore e 16 minuti di concerto - la puntualizzazione viene da lui, felice abbracciato a Patti dopo lo show - sono strepitose, stellari se aggiungete 2 ore di prove, nelle quali Bruce è esigente, educato, esilarante e trova anche il tempo di salutare lo stagionato, barbuto fan italiano - il sottoscritto, al 777esimo cielo - che lo guata nel buio.
Palco nudo, come per il tour '99, con Bruce conta la sostanza non la forma, nessuna chiaccherata se non la tradizionale, meritata presentazione-esaltazione della E Street Band, perfette "scaletta" e il chiaroscuro scelto per colorare molti pezzi. The rising, è brivido, orrore prima orgoglio poi, Weinberg implacabile, tonante, Lonesome day, più coralmente drammatica. L'intramontabile, trascinante Prove it all night offre Bruce ruvido, sorridente solista. The fuse. Darkness on the edge of town. Altro dolore. Quello che riempie il cielo, vuoto, desolante. Empty sky. Assenza. Morte. You're missing, flashes minimalisti - "camicia nell'armadio, scarpe nel corridoio...polvere sulle scarpe" - in attesa del sole. Waiting on a sunny day, primo squarcio d'allegria collettiva, sostenuto e incalzato dal violino piuttosto country della Tyrrell.
The promised land, la terra promessa, contesa, lordata. Maledizione, i mondi sono lontani (e grondanti ingiustizia, miseria, sangue), Worlds apart, arabeggiante, impreziosita da un pregevole duetto-duello chitarristico Springsteen-Van Zandt, protagonisti spalla a spalla in Two hearts, l'Amore.
Niente da fare, sono momenti, terre brutte. Badlands, imperioso il sax di Clemmons. Se continua così è suicidio collettivo. Allora Bruce ci invita da un'amica, tipo le Mary, Candy, Kitty, Rosalita di una volta: Mary's place, rock d'altri, rombanti, sudati tempi. Non questi. Dove anche i non credenti debbono sperare nei miracoli, Countin' on a miracle. O ergersi contro il razzismo omicida, American skin, per il venditore ambulante Amadou Diallo, abbattuto anni fa con 41 pallottole dai poliziotti newyorchesi, unica colpa la pelle, nera. Fradicia di sangue, rosso. Come quello di noi bianchi.
Into the fire è l'Undici Settembre. Esplosioni. Fuoco. Fumo. Polvere. Vite inghiottite nel nulla. Sbigottimento. Cuori e menti gonfi d'emozione. Rotta dallo scrosciante, liberatorio applauso. La musica è finita, il rito espiatorio anche. No. Gente come te e noi, lo sai, Bruce, è nata per correre, lottare, sognare, amare, sbagliare. Born to run, pezzo col quale ci fece innamorare, gioventù, amore & rabbia. Glory days. Cantate tutte da tutti. Sfogo, ricordo puri.
Non può finire così, ballando e scherzando. Bruce Springsteen e la E Street Band hanno scritto pagine importanti dell'America, dell'universo contemporaneo, il loro non è mai stato solo rock'nd'roll, su quel palco, se guardate attentamente, c'è anche un combattivo fantasma, Tom Joad. My city of ruins, prima l'amata Asbury Park ora New York, le rovine, anche quelle che sono in noi e siamo noi. Poi ringhia Born in the Usa, antinazionalista, infine Land of hope and dreams. La terra della speranza e dei sogni, immalinconita dal mandolino pizzicato da Van Zandt, da raggiungere su un treno pieno di splendidi "falliti". La destinazione finora è risultata introvabile ma Springsteen va cocciutamente cercandola. Raccontandosi, e dipingendoci, con crudezza, dolcezza, semplicità, verità. Non perdetelo quel treno, cercatela quella terra, acchiappateli quei sogni, tenetevi stretti l'amico di Freehold, con lui rialziamo la testa, cresciamo, guardiamo avanti. Coscienti il suo amore, la sua musica, le sue parole non ci lasceranno mai. E noi, giuraci Bruce, mai te.

Da Il Messaggero 12 agosto 2002

Tutti i diritti sono dei rispettivi proprietari. Il materiale contenuto in questo sito non può essere utilizzato a fini di lucro. I trasgressori saranno puniti a norma di legge.