Le Interviste del Boss

Un Gentiluomo a New York City
di Enrico Sisti
da Musica! n. 277, 29-03-2001

Un Gentiluomo a New York City


Battono i quarantuno rintocchi della giustizia. Sembrano spari, ma l'eco della strada può ingannare e se i colpi rimbalzano sulle facciate dei grattacieli o sul corpo martoriato di un innocente può anche darsi che prima o poi diventino una succulenta opportunità per imparare la lezione, per vergognarsi, per non abbassare lai la guardia. A New York il gentiluomo del New Jersey era tornato per spiegare alle persone di buona volontà che non è possibile che una città così grande e così in vista continuasse a macchiarsi di crimini razzisti, prendendosela con i poveracci, meglio se di colore, disarmati e non abbastanza in grana per pagarsi un avvocato. Il gentiluomo si sentiva in diritto di dire la sua perché amava quella città come nessun altro e lo aveva dimostrato cantandole serenate di imbarazzante dolcezza. La città, le strade, le macchine, la supervisione morale di una giustizia fisiologica: amori difficili da cancellare. La polizia però la prese male e quando fu il momento, ficcata dalla denuncia di "American skin" e fortemente imbarazzata per l'intero caso Diallo, criticò aspramente l'operato del gentiluomo e invitò a boicottare i suoi imminenti concerti. Ma le cose non andarono come si era augurato Bob Lucente, il capo della NYPD, agli occhi del quale il gentiluomo appariva come "un sacco d'immondizia": gli ultimi concerti della riformata E-Street Band delimitarono ancora una volta il territorio della musica pulita e del canto libero. Live in New York City non è l'ultimo valzer. È una promessa mantenuta.

Meno male che la sensazione è sempre la stessa. Un ferribotte al largo di Manhattan, la luce che splende sulla baia, il Madison Square Garden che lentamente si riempie e quando lui sale sul palco è come se ti dicesse: contate pure su di me. Springsteen non è mai stato semplicemente il futuro del rock'n'roll . fosse stato solo quello, avesse avuto soltanto la forza di scardinare qualche regoletta dopo averla imparata a memoria, a quest'ora conteremmo i morti sul campo di battaglia e i suoi dischi sarebbero soltanto belle "zattere". Invece la sua musica continua a trasmettere l'identità di un solo, sterminato paese: il paese di chi in vita non ha mai fatto altro che nutrire incondizionata fiducia nella "bright side of the road". Quello che scorre nelle canzoni di Springsteen è il sangue pulito della verità. Un muro incrollabile - fatto di mattoni bianchi e mattoni più scuri, di tradizione popolare e interferenze soul - mette al riparo i minuti di ogni singola canzone come fossero figli da proteggere. Il songbook di Springsteen è alimentato da una sapienza narrativa che il rock'n'roll non ha mai preteso dai suoi frequentatori, certamente non in questa sbalorditiva misura. Questa lievitazione letteraria della canzone strofa-ritornello-inciso rappresenta di fatto il plusvalore regalato da Springsteen alla cultura moderna. Partendo dal centro, ossia dall'America, Springsteen continua a denunciare le miserie di un mondo in cui emigrazione, diseguaglianze e razzismo producono paura e violenza. Il volto della sofferenza non può che ridisegnarsi giorno dopo giorno in base al numero di diritti civili negati e ai crimini che rimarranno per sempre impuniti. Gli uomini non ce la fanno più a gridare "no justice no peace" perché gli sembra di non gridare nulla e là fuori raramente c'è qualcuno che ascolta. Intanto i confini della "land of hope and dreams" si restringono sempre di più. Questa la terra desolata con cui bisogna fare i conti. Questo il pane quotidiano di un gentiluomo che superati i cinquant'anni ha saputo convertire l'esperienza personale in linguaggio universale, intrecciando il proprio passato con il futuro degli altri. Ora sappiamo che se Springsteen prende una posizione la mantiene. Se canta un pezzo di storia, quella storia non andrà mai in pezzi, ma sarà un problema (per gli altri) rintuzzare il suo attacco. Il tour che Live in New York City documenta attraverso 9 canzoni (e con la ventesima Born to Run che si potrà scaricare dalla rete ma non si sa ancora se verrà inclusa nel disco) è l'ultimo atto di un intreccio creativo che va da "Lost in the flood" ad "American skin" (separate da quasi trent'anni di musica, ma unite dal tema della morte in strada) e che appartiene ad ogni singolo membro della E-Street Band. Le sere dell'estate dello scorso anno al Madison Square Garden furono schiacciate dalla pressione del caso Diallo e avvelenate dal risentimento del governo cittadino. Ma un concerto di Springsteen non è mai stato un concerto qualsiasi. Differisce per intensità, durata, colore. E così quando il gentiluomo è andato in scena, i pochi che si erano illusi di assistere ad una marcia indietro, con relativa cancellazione dell'esecuzione di "American skin", hanno dovuto ricredersi in fretta e furia e incassare di ritorno i 41 colpi del misfatto, 41 colpi amplificati dal consenso di un pubblico capace ancora di leggere fra le righe e di indignarsi. Ora tutto questo suona in un CD. L'esposizione dei fatti, tesa e dolce, conferma che non è mai stato soltanto rock'n'roll. Persino le canzoni con le quali si cercò di individuare la terra promessa hanno un altro sapore. Adesso sono un invito a non staccare mai gli occhi da quello che ci succede intorno. Diamoci da fare. Ce lo chiede Springsteen. Non uno qualsiasi.

Enrico Sisti

da Musica! n. 277, 29-03-2001 (Supplemento de la Repubblica)

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