Le Interviste del Boss

I Miei Figli? Preferiscono la Spears.
di Edna Gundersen
da la Repubblica, 07-04-2001

I Miei Figli? Preferiscono la Spears.

Parla il Boss dopo due anni dall'inizio della tournée della mitica E Street Band che ha prodotto "Live in New York City".

di Edna Gundersen

LOS ANGELES - A due anni dall'inizio della tournée della grande "reunion" della E Street Band, ci sono ancora molti fan di Bruce Springsteen che si stanno domandando: siamo alla fine o è soltanto un nuovo inizio? Lui non si sbilancia, però fa capire chiaramente che la corsa non è ancora conclusa: "Mi piacerebbe incidere ancora un altro disco di studio con i ragazzi, ma in questo momento non sono in grado di fare previsioni sui tempi. Se dovessimo continuare a fare concerti, la voglia di registrare materiale nuovo aumenterebbe. Ma non parliamo di date". Certamente l'attesa non sarà quella quasi decennale che ha "costretto" il Boss a incidere Human Touch, Lucky Town e The Ghost of Tom Joad con altri musicisti (solo all'ultimo collaborarono Danny Federici e Garry Tallent a titolo "personale").
"Abbiamo dovuto ricostruire e riscoprire la band. Ma adesso siamo tornati a godere del nostro lavoro. Le energie creative si sono riattivate". La ritrovata armonia è lampante nelle 20 canzoni del nuovo album Live in New York City. Forte di classici ben rivisitati, di momenti oscuri e di un paio di canzoni nuove (la già leggendaria American skin e Land of hope and dreams, eseguita come bis), il doppio cd non è uno svogliato flashback, ma la conferma dello spessore e della forza della band. Al disco si aggiunge uno special (il primo lungometraggio televisivo di Springsteen e della E Street Band) realizzato dalla tv americana via cavo HBO. Il film contiene le riprese di 14 canzoni e verrà proposto alle nove di questa sera, ora di New York.
Disco e film catturano l'indispensabile e ancora saldo legame che unisce il Boss ai suoi "streeters": Roy Bittan, Clarence Clemons, Danny Federici, Nils Lofgren, Patti Scialfa, Garry Tallent, Steven Van Zandt e Max Weinberg, i quali hanno accettato tutti di buon grado di accantonare i loro progetti individuali per ritrovarsi e tornare a suonare insieme. Così, per quanto preso dal suo personaggio di mafioso nella soap The sopranos (uno dei programmi tv preferiti di Bruce), Van Zandt non ha avuto problemi a sentirsi di nuovo a casa con la chitarra in mano accanto ai suoi vecchi amici. E nessuna esitazione ha avuto Patti Scialfa, la moglie di Springsteen, a posticipare l'uscita del suo secondo album solista. Lo stesso Boss, in fondo, ha messo avanti a tutto (altri progetti acustici) la voglia di incidere nuovamente con la E Street Band.
Sprinsgteen, 51 anni, arriva per l'intervista in scarpe da lavoro, jeans neri, camicia a scacchi e orecchini a cerchio: il look di uno alla mano. Solo che le battaglie di quest'uomo alla mano, i suoi messaggi di riscatto e il suo spirito di fratellanza continuano a ispirare e infuocare fan di tutte le età. I suoi tre figli, 10, 9 e 7 anni, ancora non capiscono: "Loro fondamentalmente pensano che io sia uno superato. Preferiscono, come è giusto che sia, Britney Spears. Li conosco a memoria i dischi di Britney Spears". Posa occhiali e portafogli sul tavolo. Poi si predispone a spiegare le scelte di un'intera carriera. Ma i "glory days" non sono affatto alle spalle perché l'impressione è che il meglio debba ancora venire.
Lei ha dato il suo consenso per uno special tv dopo aver rifiutato per anni di comparire in televisione ed aver scritto la pungente 57 channels (and nothin' on). E' ancora convinto che la tv non faccia bene alla musica?
"Direi che non era fondamentale per ciò che abbiamo fatto. La questione tv è un punto dolente per i musicisti rock. I Beatles dell'Ed Sullivan Show erano terribilmente eccitanti e anche molto formali, ma avevano un atteggiamento perfetto per la tv. Noi proponiamo un impatto diverso, più caldo, difficile da comprimere nel piccolo schermo. Noi sudiamo e vogliamo far sudare".
E allora cosa vi ha fatto cambiare idea?
"All'inizio degli anni Novanta dissi che volevo filmare tutto quello che avremmo fatto da quel momento in poi per evitare di restare a secco di documentazione sull'attività della band, come è avvenuto per gli anni Settanta, dove siamo scoperti. Ma durante l'ultimo tour abbiamo iniziato a filmare soltanto a partire dalle ultime serate. Siamo comunque riusciti a catturare il senso dei nostri concerti, come se fosse un racconto".
Born to Run è stata aggiunta sul disco troppo tardi per comparire sul libretto. Come mai una decisione così tardiva?
"Più si avvicina la pubblicazione di un disco e più tendi a guardarlo con gli occhi del pubblico. Ci siamo accorti che mancava qualcosa: una canzone riassuntiva, e nessuna canzone più di Born to Run riassume il senso della mia carriera e spiega la mia filosofia, ieri come oggi".
Ma perché ha sentito il bisogno di riformare la E Street Band?
"Non faccio mai piani a lunga scadenza. A un certo punto non sapevo che fare della band. E oltretutto mi stavo trovando bene anche con altri musicisti. Solo dopo Tom Joad mi sono reso conto che era passato troppo tempo da quando avevo smesso di suonare il rock. Mi stava mancando soprattutto il lato fisico della musica e quindi pensai che non si poteva considerare chiusa quell'epoca, che quelle cose erano ancora una parte di me. Passai un intero inverno a scrivere e a registrare in casa abbozzi di canzoni pensando alla band. Stavo per compiere 50 anni, stava per finire un secolo e io ero lì a domandarmi cosa avrei potuto fare per dare un senso a queste scadenze importanti. La risposta era E Street Band".
Non ha mai avuto paura che la reunion potesse venire considerata solo un'operazione nostalgica?
"No. Non mi sarei mai limitato ad una riproduzione del passato o a una statica autocelebrazione. Tutti avrebbero dovuto considerare i nostri concerti come "il loro presente". Durante le prime prove, suonammo pezzi mai suonati prima, canzoni di sinistra e nuove versioni di brani come Youngstown. Era importante trovare energia nuova. Volevo che il pubblico potesse sentirsi a casa".
I suoi compagni si sono mostrati subito ricettivi?
"All'inizio qualcuno di loro mi è parso cauto, forse pensava: ma sarà vero? Le perplessità sono totalmente scomparse non appena abbiamo iniziato a provare".
Il suo entusiasmo sembra essere a mille, specialmente nel fervore gospel di 10th Avenue freeze-out. Era così tutte le sere?
"Certo. Se uno non riesce a farlo per sé allora vuol dire che non riuscirà a farlo per il pubblico. Ci sono stati dei giorni in cui mi sentivo in ansia perché sapevo che nel giro di qualche ora mi sarei dovuto trasformare in un isterico, delirante lunatico. Ma è così. Io devo essere lì, altrimenti non funziona. E' un lavoro tremendo, ma è anche bello perché alla fine è divertente salire sul palco, suonare il rock'n'roll e andare un po' fuori di testa. Ho scritto una montagna di canzoni piene di considerazioni e riflessioni. Ho lavorato sempre tanto. Ora queste canzoni sono dentro di me e quando vado in scena è come se ogni volta le facessi rivivere".
Adesso è ricco e famoso: come fa a rimanere coerente con il mondo costruito ed esplorato attraverso le sue canzoni?
"Come potrei fare diversamente? E' dalle canzoni che proviene la mia forza vitale. Creare aiuta a capire molto di se stessi. Per molto tempo mi sono sentito un outsider, che è poi la condizione da cui gran parte dei musicisti partono. Poi uno inizia a lottare per trovare un linguaggio con cui possa rivolgersi alla gente e col quale possa anche parlare a se stesso. Ebbene, io penso che buttar via un patrimonio simile è come buttar via se stessi. Ho sempre avuto paura che ciò potesse accadere anche a me, come accadeva alle persone intorno a me, anche a quelle con le migliori intenzioni e i migliori talenti. Poi ho scoperto che aver paura mi ha aiutato a superare le difficoltà".
Le sue canzoni sono tutte autobiografiche?
"Per scrivere canzoni bisogna ottenere un'alchimia di capacità diverse e ciò avviene col tempo: dall'ispirazione si passa al momento in cui si desidera scavare nella propria vita emotiva trasformando poi tutto in un personaggio. In pratica si scrive sempre di se stessi. Bisogna farlo. E' questo che rende sincera una canzone e che dà consistenza al personaggio. Uno scopo che non smetto mai di perseguire. Lo potremmo definire il percorso di un'intera esistenza".
Lei ha compiuto 50 anni mentre era in tournée. Un traguardo traumatico?
"Per venti minuti forse. Ero perfettamente a mio agio fino al momento in cui mio cugino ha fatto alcune gratuite osservazioni proprio per farmi sentire vecchio. La mia risposta è stata: "Beviamoci su". Siamo andati al bar, ci siamo fatti un paio di bicchieri e la paura è passata".

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e la Repubblica

(07 aprile 2001)

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