Le Interviste del Boss

Springsteen, Il Rock
di Gino Castaldo
da la Repubblica, 04-06-1985

la Repubblica - Martedì, 4 giugno 1985 - pagina 26
dal nostro inviato GINO CASTALDO

Più di centomila persone hanno assistito al castello di Slane, vicino a Dublino, alla prima esibizione europea del musicista
SPRINGSTEEN, IL ROCK

Amore e rabbia di un "american hero"

DUBLINO - "Sono solo un prigioniero del rock' n' roll". Con queste parole Bruce Springsteen ha salutato la massa di giovani presenti, dopo averli esaltati con tre ore e mezza di concerto di altissimo livello. Non ci poteva essere un inizio più clamoroso per il tour che toccherà le principali città europee (per l' Italia, come è noto, una sola data a Milano il 21 giugno, già esaurita). Circa centomila giovani, un record assoluto per l' Irlanda, ma anche per Springsteen, hanno sommerso la stupenda valle che si apre davanti allo Slane Castle, a circa cinquanta chilometri da Dublino (tutta l' area è stata messa a disposizione dal proprietario del castello, Lord Mountcharles, compreso il bellissimo maniero che è servito da tribuna stampa e da salotto per i tantissimi ospiti arrivati da ogni parte del mondo, tra cui rockstar di spicco come Pete Townshend, Eric Clapton, gli Spandau Ballet). Un luogo incantevole, chiuso a valle da un fiume lungo il quale è stato disposto il gigantesco palcoscenico, con due grandi videoscreen laterali che rimandavano ai più lontani le immagini del concerto. La giornata si è trasformata in una straordinaria festa del rock, fin dalla prima comparsa di Springsteen, pochi minuti dopo le 17, mentre ancora affluivano migliaia di giovani in ritardo per le lunghe file di automobili che si erano create nelle strette strade di campagna della zona. All' inizio, la prima sferzata "Born in Usa", e l' urlo rabbioso di Springsteen si è diffuso per tutta la valle, cantando di reduci dal Vietnami, di raffinerie, di "ombre di penitenziari". C' è già tutta la sua filosofia: "Sto bruciando da dieci anni lungo la strada, non avendo nessun posto dove correre, nessun posto dove andare". In pochi secondi i suoi dischi impallidiscono. Si capisce subito che Springsteen è un formidabile talento da palcoscenico. Ascoltarlo dal vivo è tutta un' altra cosa. La sua voce, piena di ruggine blues e di violenza rock, sprigiona energia, un' irresistibile comunicativa, la capacità di sfondare ogni barriera tra platea e palcoscenico. E' una voce che potrebbe incarnare il rock stesso, e che è riuscita a portare questa purezza primitiva e in qualche modo classica nel pieno dell' era elettronica e artificiale. Di artificiale, Springsteen non ha proprio nulla. Definito in America come l' ultimo degli innocenti, come un tipico "working class hero", denuncia ad ogni momento del suo spettacolo quella che è la sua principale ossessione: raccontare la verità, le storie degli emarginati, il sapore delle strade di periferia, delle corse in autostrada, del suo personale riscatto che l' ha portato dall' adolescenza povera in cerca di confuse libertà fino al successo. Dopo alcuni pezzi sfrenati, un' altra grande emozione: The river, uno dei suoi pezzi più noti, con l' inconfondibile attacco di armonica a bocca, mentre saggiamente le telecamere inquadravano le anse del fiume che scorreva dietro il palco, rimandandole negli schermi come un commento alla canzone. E anche qui storie di perdenti, di emarginazione, una costante autobiografia che va dal realismo esasperato fino alla trasfigurazione romanzesca. Alcune di queste storie sembrano quelle che una certa cultura americana ha sempre cercato di raccontare. Dylan innanzitutto, che è uno dei suoi maestri, ma prima ancora di Dylan gli scrittori della Beat Generation. La sua fuga verso il nulla, i suoi amori in autostrada, ricordano quelli di "On the road", ma al posto del bebop, come colonna sonora c' è il rock, ed il più trascinante che si possa immaginare. Il concerto è andato avanti come una macchina inarrestabile, coprendo quasi tutti i brani dell' ultimo disco, e ogni tanto pescando nel passato alcuni piccoli capolavori, come Johnny 99, tratta dall' album Nebraska (che fece molto scalpore in quanto registrato a casa con il solo accompagnamento della chitarra), oppure Rosalita, inno sensuale alla vita e al desiderio. Tutto questo sorretto da una band perfetta, solidissima, nella quale spiccano il chitarrista Nils Lofgren, che ha sostituito Little Steven, e il fedelissimo sassofonista nero Clarence Clemmons, definito da Springsteen "the big man", "the master of the masters". L' enorme folla ha ballato per quasi tutto il tempo, incitata da Springsteen, mentre di tanto in tanto gli schermi rimandavano in primo piano la sua faccia da ragazzo italiano (è di origini per metà irlandesi per metà italiane), capace di oscurarsi all' improvviso, cantando una delle sue storie più disperate, o di sorridere allegramente mentre gioca con la band, inscenando buffe pantomime, o corse fino agli estremi lati della passerella collocata davanti al palco. Rarissimi i momenti di pausa, subito ripresi, come quando in Pink Cadillac ha lanciato sempre più veloce "Come on! Come on!", mescolando toni e tecniche da predicatore a quelle più tipiche del concerto. Al colmo dell' euforia, quando ha attaccato Dancing in the dark, se ne è andato da solo a cantare lungo la passerella, mentre la band martellava il riff del pezzo, e, clamorosamente, ha effettivamente preso una ragazza dal pubblico per ballarci insieme, esattamente come avviene nel videoclip del pezzo, un finto concerto dal vivo girato da Brian De Palma, come a sottolineare che i sogni si avverano, che lui non vuole separazioni tra fantasia e realtà, e che quello che lui cerca è un diretto contatto col pubblico. Verso la fine del concerto, il pezzo che tutti aspettavano: Born to run, la sua più bella intuizione, di quelle che valgono una carriera rock, quando dice "Perchè vagabondi come noi, baby, sono nati per correre", un geniale concentrato del suo modo di raccontare, e anche l' inno di una generazione che cerca la verità nel movimento, nel nomadismo, in una libertà che è sempre da qualche altra parte; un pezzo che dal vivo risplende di frenesia e vitalità, quello in cui più di ogni altro Springsteen appare come un eroe romantico, come il protagonista di un' altra delle sue più belle canzoni, Thunder road, anche questa cantata con irresistibile passionalità. Una passione che, oltre il ribellismo innato nel personaggio, spesso trascende nella parabola, in una religiosità della vita comune, dell' amore per la propria terra, nella quale molti hanno visto tracce della cultura puritana, di cui Springsteen è impregnato, come l' altra faccia dell' America ufficiale reaganiana. Ma a vederlo così rimane soprattutto un "american hero", vestito con jeans e T-shirt, che ha cominciato come tutti i fans, imparando a suonare la chitarra per cantare la sua rabbia e imitare i suoi idoli. E da bravo ex-fan, diventato a sua volta rockstar, ha voluto chiudere il concerto con un lungo travolgente remake di Twist and shout.

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