Le Interviste del Boss

Piccolo Grande Ragazzo Americano
di Gino Castaldo
da la Repubblica, 23-06-1985

la Repubblica - Domenica, 23 giugno 1985 - pagina 19
di GINO CASTALDO

Il concerto di Springsteen: una delle più belle feste collettive di questi nostri anni
PICCOLO GRANDE RAGAZZO AMERICANO

Quel che cattura è la semplicità

MILANO - Sudore, urla, emozioni incontenibili. Bastano poche battute iniziali, quelle inconfondibili di Born in Usa, per capire che tra i dischi e le esibizioni dal vivo di Bruce Springsteen corre un abisso. Su disco è un grande rocker, ma anche monocorde e ripetitivo, dal vivo è un vulcano di energia rock capace di galvanizzare per quattro ore uno stadio gremito di giovani. Un suo concerto non dà tregua, scorre implacabile e martellante, scandendo il ritmo di una delle più belle feste collettive prodotte dalla cultura pop. Quattro ore di musica, una durata insostenibile per chiunque altro, volano via in un baleno, e alla fine la gente non è ancora sazia. Perfino lo stadio, ben diverso dalla idilliaca valle dello Slane Castle di Dublino, dove lo abbiamo visto suonare all' apertura di questa torunèe europea, diventa un luogo festoso ed eccitante. Ma qual è il segreto di questo piccolo grande ragazzo americano che sta conquistando il mondo? La sua musica è molto semplice, continua fedelmente una strada del rock' n roll aperta e sviscerata da altri prima di lui, una corrente elettrica che sembrava sopraffatta dalla recente rivoluzione tecnologica. Eppure Springsteen è lì, e a nessuno verrebbe mai in mente di pensare che la sua musica è vecchia, anche se costruita sui muscoli del batterista, sul fiato reboante del "big black man" Clarence Clemons che soffia ondate di rhytm' n blues nel suo sassofono, su strazianti note di chitarra, su giri armonici canonici e collaudatissimi. Quello che cattura è proprio la sua autenticità. E' "il selvaggio" e " l' innocente" che sono in lui (come recita il titolo di un suo famoso disco) a travolgere emotivamente la folla, la sua disgraziata energia, la sua rabbia viscerale di ragazzo cresciuto nelle "strade secondarie" ("nasconderci in strade secondarie, dove abbiamo giurato amicizia eterna, fino alla fine in strade secondarie"), nelle periferie delle grandi metropoli, bruciando fuochi di strada, amori notturni, corse verso nessun luogo. Bruce Springsteen è la purezza dell' America primitiva, nomade, avventurosa, è un Walt Whitman dei nostri giorni che canta verità elementari ma che trafiggono la sensibilità collettiva. A Milano Springsteen ha suonato con forza demoniaca, come e più degli altri concerti europei, sfruttando anche per una lunga parte della esibizione che per fortuna si è svolta di notte (è la notte, ricordiamocelo, il tempo del rock), un buio complice e intrigante che Springsteen stesso ha celebrato regalando al pubblico italiano la celebre Because the night, portata al successo da Patti Smith: "Il desiderio è fame, è il fuoco che respiro... ora mi puoi toccare, perchè la notte appartiene agli amanti". E poi Trapped di Jimmy Cliff, oltre alla sue più note canzoni: Glory Days, dove a lungo ha giocato a botta e risposta col pubblico, The river, Rosalita, Dancin in the dark, dove come di consueto ha fatto salire una ragazza del pubblico ballando con lei l' ultima parte della canzone, tra le ovazioni generali. Ogni brano una frustata di emozioni scagliata contro il pubblico che la assorbiva e la rimandava moltiplicata all' infinito. La sua voce roca, ruvida, sofferta, è l' incarnazione del rock, ma anche il segno di una vitale sopravvivenza, il gesto dell' ultimo degli eroi romantici che con istinto da ribelle e intensità da puritano riesce ad infiammare i giovani. E' , in fondo, un grande narratore, autore di un' epopea della strada in cui è facile riconoscere tutta la letteratura che negli anni passati ci aveva abituato a immaginare un' altra America. Un' identificazione globale e incondizionata, rappresentata dalle migliaia di braccia sollevate al cielo ritmicamente quando, al bis, Springsteen ha cantato il suo inno, la sua più bella e insuperabile invenzione. Born to run, dove si intravede la fiammante visione di una intera generazione in corsa verso il nulla. Una canzone che sembra rivolta al pubblico, perchè cantata in prima persona plurale: "perchè vagabondi come noi siamo nati per correre", e chi, prima o poi, non ha pensato questo della propria vita? E infine un finale irresistibilmente festoso con una lunga inarrestabile versione di Twist and shout, che ha fatto ballare chiunque fosse presente allo stadio, forse anche le numerose autorità presenti in tribuna d' onore, uscite per una volta dal palazzo, forse per cercare di capire cosa ci trovano i giovani di tanto divertente in una festa del rock. E più che una festa, è stato un atto di passione per la vita, un' esplosione di energia che da tempo il rock non riusciva più a innescare.

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