Supporti magnetici
Memorie magnetiche
Le memorie magnetiche, introdotte nei primissimi computer, avevano la caratteristica di mantenere i dati in esse contenuti anche quando non vi era alimentazione, ma per l’esecuzione dei programmi serviva a poco preservare i dati, mentre era necessario un rapido accesso ed una elevata velocità di lettura e scrittura (transfer rate). Questo tipo di memoria fu subito abbandonato, ma la tecnologia magnetica venne utilizzata per realizzare nastri e dischi magnetici. Questo tipo di supporti offriva diversi vantaggi in termini di velocità e capienza rispetto alle memorie magnetiche di tipo statico.
Fino agli anni ‘70 circa venivano utilizzati i nastri magnetici, sotto forma di bobine di nastro e, successivamente, sotto forma di cassetta o cartuccia. Il problema principale dei nastri magnetici era quello di avere un accesso sequenziale, cioè per reperire i dati che interessano bisogna far partire il nastro dall’inizio e scorrere tutti i dati che precedono quello voluto, esattamente come accade quando si ricerca un brano su una musicassetta.
I dischi godono invece dell’accesso casuale (random access),
poiché tramite un apposito indice, ci si può spostare al loro interno in modo
molto veloce. La velocità di rotazione permette un transfer rate molto più alto
di quello dei nastri magnetici e le dimensioni ridotte delle testine permettono di
aumentare notevolmente la capacità del supporto.
Le prime unità
a disco furono i floppy disk (dischi flessibili) da 5,25” che inizialmente
avevano una capacità di 180 Kb. Per poterli leggere vi era un’apposita
apparecchiatura chiamata drive. In futuro la tecnologia ha permesso di
raggiungere capacità più alte (360 Kb, 720 Kb, 1.2 Mb, 1.44 Mb, 2.8 Mb). Oggi
ciò che resta dei floppy disk sono i drive da 3,5” ed i floppy da 1.44 Mb,
mantenuti solo per compatibilità, ma soppiantati dal più capiente e veloce
compact disk.
Struttura interna di un floppy disk
Lo spazio all’interno di un disco è suddiviso tramite tracce concentriche e settori, che sono blocchi logici, creati per comodità per gestire meglio piccole unità di memorizzazione. La numerazione delle tracce e dei settori parte da 0. Le tracce partono dal centro del disco, mentre per i settori viene utilizzato come riferimento un foro o un bit posto sull’anello più esterno. Quando il foro passa sotto un apposito led o, nei moderni dischi, quando il bit viene intercettato dalla testina di lettura, viene inviato il segnale di sincronizzazione. La quantità di informazioni che è possibile memorizzare su un settore o su una traccia dipende dallo spessore della testina ed è quindi legata alle caratteristiche costruttive del disco. Infine, il disco può essere a singola faccia (SS o Single Sied) o a doppia faccia (DS o Double Sied). Siccome ogni traccia contiene un cero numero di settori, per il calcolo della capacità del disco, si considerano il numero di settori per traccia ed i byte per settore (capacità di un settore). In questo modo si può calcolare:
Capacità = superfici x tracce x settori per traccia x byte per settore
Per esempio, un disco da 1.44 Mb è formato da
80 tracce, 18 settori contenenti 512 byte, su due facce. Così 2 x 80 x 18
x 512 = 1.474.560 byte = 1.440 Kb = 1.44 Mb
Alcuni programmi preferiscono individuare un identificatore chiamato cluster,
che non è altro che il raggruppamento delle coppie di tracce e settori. In
questo modo, conoscendo il numero di cluster ed i byte per settore si conosce la
capacità di un disco. Per esempio, sempre il disco da 1.44 Mb contiene: 2 x 80
x 18 = 2880 cluster, cioè 2880 x 512 = 1.474.560 byte.
Un disco vergine deve essere preparato alla scrittura tramite l’operazione di formattamento o formattazione. Questo termine fa parte del gergo di informatica, adottato dalla parola inglese format, cioè formato, disposizione. Durante la formattazione il disco viene suddiviso in tracce e settori e vengono creati spazi aggiuntivi per le informazioni addizionali quali la data e l’ora dei file, la loro posizione ed un codice di controllo chiamato CRC (Cyclical Redundancy Code). Durante questa operazione gli spazi di memoria del disco vengono creati se non esistevano o azzerati. Quindi attenzione alla formattazione, perchè si perdono tutti i dati contenuti nel disco.
clicca sull'immagine per vedere la schematizzazione di un hark disk
L’hard disk è
un’unità formata da più dischi impilati allo scopo di aumentare la capacità
disponibile. Per questa particolarità i primi hard disk venivano denominati
Winchester, perché ricordavano il famoso fucile multistrato. E’ detto anche
disco fisso, perché è composto dal drive e dai dischi, racchiusi in un unico
alloggiamento che viene in genere fissato all’interno del computer e connesso
direttamente al controller dei dischi.
Per calcolare la capacità di un hard disk al posto delle superfici si utilizza
il numero di testine ed al posto delle tracce vengono identificati i cilindri.
Un cilindro è identificato dalle tracce di ogni disco viste una sopra l’altra.
Inoltre, per aumentare la velocità di accesso ai dati, l’hard disk è sempre in
rotazione e la testina si abbassa sul disco fino ad una distanza di 3 micron
circa (3 millesimi di millimetro) solo quando deve leggere o scrivere. Quando
viene tolta l’alimentazione, gli elettromagneti che attirano i braccetti in
posizione vengono disalimentati e le testine raggiungono la posizione di riposo.
Si dice così che le testine sono parcheggiate. I vecchi hard disk non
parcheggiavano automaticamente le testine e, per evitare danni durante il
trasporto o urti accidentali, vi era un apposito programma che allineava le
tesine nella land-zone. Ora è il sistema operativo, in fase di
spegnimento, che parcheggia le testine, anche se tutti i dischi rigidi sono già
dotati di testine auto-parcheggianti.
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