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Quaderni
di Quartucciu
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Anno
II - Numero 9 - Dicembre 1998 |
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Presentazione del convegno-dibattito sulla parità
scolastica
Parità: a quali condizioni?
Quartucciu 6 febbraio 1999 ore 16.00
Sala Consiliare
Le
parole sono soggette alle mode non meno di quanto lo siano gli abiti.
Una parola o una locuzione, che per lunghi decenni è rimasta, per così
dire, anonimamente classificata tra le pagine dei dizionari, improvvisamente
diventa attuale; si sporge da tutte le prime pagine, rimbalza da un
telegiornale all’altro e fa capolino negli editoriali e nei fondi firmati
dalle penne illustri.
Per
citarne alcune ricordiamoci di quanto negli anni ottanta era importante
il look, o ancora prima della necessità del compromesso, per non tornare
al vinceremo di mussoliniana memoria. L’elenco potrebbe essere molto
lungo e ogni giorno si aggiungono nuove parole chiave; oggi, per esempio,
dappertutto si parla di rete e sempre di più di superenalotto.
Parità
è una parola che, da un po’ di tempo comincia a sentirsi sempre di più,
esattamente da quando all’indomani della caduta del governo Berlusconi
(ma avrei potuto dire all’indomani del ribaltone), si fece sempre più
organica l’alleanza fra la sinistra democristiana e l’area progressista.
L’altra
parte degli ex democristiani, sempre più legata alla destra (allora)
liberaldemocratica, riteneva, probabilmente non a torto, di poter mettere
in difficoltà i vecchi amici, facendo leva sul sostegno alla scuola
privata (leggi cattolica), accusandoli di rinunciare a fare con i "comunisti"
ciò che loro stessi avevano avuto il pudore di non fare nei cinquant’anni
in cui erano stati al governo tutti assieme.
È
da allora che la questione della parità scolastica aleggia sul panorama
politico alla ricerca di un governo che duri abbastanza a lungo da potersene
occupare (a quanto pare non è stato sufficiente il governo Prodi, che
pure vanta il secondo posto assoluto per durata nei governi dell’Italia
repubblicana).
Ora
siamo alla prova dei fatti, perché essendo arrivata al governo l'UDR,
una formazione che fino a ieri era tra quelle che infieriva sui Popolari
proprio su questo argomento, capiremo finalmente se i governi non l’affrontano
per non cadere o cadono per non affrontarla.
Coerenza
vorrebbe che l’UDR difendesse la scuola cattolica ad ogni costo, anche
per gettare fumo negli occhi ai tanti che dal Polo cominciano ad infierire
su di loro; c’è un detto sardo che dice “sezzidi prus beffa che frastimmu”,
e si che i vari Cossiga, Buttiglione e Mastella di beffe se ne sono
fatti di Marini&C..
La
parola è principalmente un richiamo agli ideali di libertà e di eguaglianza.
Non è un caso i due termini compaiono affiancati nel secondo comma dell’Art.3
del testo costituzionale, a testimoniare che essi non sono scindibili;
una eguaglianza senza libertà produce il totalitarismo, una libertà
senza eguaglianza produce una società divisa in caste. Nessuna delle
due è compatibile con una Repubblica democratica (Art.1) dove tutti
i cittadini hanno pari dignità sociale (Art.3).
Non
è possibile, quindi, pensare che un generico riferimento ad un valore
costituzionale sia sufficiente a conferire ad un progetto maggiore autorevolezza;
la Costituzione non è una spilla da appuntare ora sulla giacca, ora
sul giubbotto; è piuttosto l’abito buono che si tiene riguardato per
indossarlo nelle grandi occasioni, tutto intero.
Il
convegno, al quale interverranno il Preside della Scuola Media Statale
“I.Nievo” Dott. Efisio Piras, Il Prof. Salvatore Loi, docente presso
l’Istituto Magistrale “E. D’Arborea” e autore di alcuni saggi e l’ex
parroco Don Gianfranco Zuncheddu, sarà un occasione per discuterne e
confrontarsi.
Giorgio
Ledda
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La posizione del Governo
di Giorgio Ledda
La posizione del Governo sulla questione è stata
espressa da Massimo D’Alema nel corso della sua prima intervista rilasciata
al TG1 in qualità di Presidente del Consiglio, a pochi giorni dall’insediamento
del suo Governo, e ribadita durante la sua visita ufficiale allo Stato
Vaticano del 8 gennaio. Essa è racchiusa nel relativo Disegno di Legge
presentato da Luigi Berlinguer, Ministro della Pubblica Istruzione del
Governo Prodi allora e del Governo D’Alema adesso. Questo progetto,
raccolto in una leggina di appena quattro articoli per un totale di
sedici commi, ha l’obiettivo prioritario “… di favorire la generalizzazione
della domanda di istruzione … … riconoscendo anche il valore delle iniziative
di formazione e istruzione, da chiunque promosse, che siano coerenti
con gli ordinamenti generali ad abbiano livelli di qualità e di efficacia
adeguati al conseguimento del processo formativo. …”(tratto dalla relazione
del Ministro al Senato). Il Governo riprende e fa proprio il principio
secondo il quale un servizio pubblico è tale non perché erogato dallo
Stato ma in quanto rivolto a soddisfare bisogni della intera cittadinanza.
L’attenzione viene spostata dal soggetto erogante il servizio, che non
deve più essere solo lo Stato, alla qualità del servizio svolto e all’efficacia
delle strutture che lo erogano. Vengono introdotte nell’ordinamento
scolastico le scuole paritarie, che, gestite da soggetti non statali
(Enti Locali, Chiesa, partiti, sindacati, privati), affiancano le scuole
statali a tutti gli effetti. In conseguenza di ciò le spese sostenute
dalle famiglie per mandare i figli alle scuole private dovrebbero essere
abbattute con sovvenzioni e sgravi fiscali. A questo punto si pongono
alcuni problemi. Il primo di questi è il dettato costituzionale “senza
oneri per lo Stato”; il progetto di legge prevede (Art.1 comma 3) “Gli
oneri … … sono sostenuti … … con risorse iscritte nel bilancio dello
Stato …” (i 346 miliardi dell’emendamento Villetti). Il Ministro nella
sua relazione dice “Il precetto costituzionale, … … , appare … rispettato,
in quanto l’intervento è volto a sostenere i genitori e gli alunni,
…”, salvo poi disporre che “le somme destinate agli alunni delle scuole
paritarie sono accreditate presso le scuole stesse, …” (Art.3 comma
3). Un altro tema sul quale il progetto si misura è quello della qualificazione,
dell’inquadramento e della libertà di insegnamento del personale docente
delle paritarie. Il progetto si limita a prescrivere una “idonea qualificazione
professionale” e il “rispetto dei contratti collettivi di lavoro di
diritto privato” ma con una franchigia del 25% destinata alle “prestazioni
volontarie” o legate da “contratto di prestazione d’opera”. Il tema
della libertà d’insegnamento viene risolto con la clausola del “rispetto
dell’identità culturale dell’istituzione”. L’ultimo punto nodale, il
libero accesso alle scuole paritarie di tutti gli studenti, viene affermato
chiaramente ma con una limitazione; deve essere garantita “l’accoglienza
di chiunque richiede di iscriversi accettando il progetto educativo,
…”. Nessun cenno viene fatto ai programmi. Il DDL N. 2741, comunicato
all Presidenza del Senato il 5 Agosto 1997, si trova all’esame della
Commissione Istruzione Pubblica in sede referente già alla data del
3 Giugno 1998. È atteso il suo arrivo all’attenzione del Senato nei
prossimi mesi.
G.L.
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Rumore di sciabole
di Giorgio Ledda
Il
tema della parità scolastica è da sempre oggetto di grandi attenzioni.
I Padri Costituenti forse pensarono di aver risolto una volta per tutte
la questione con il celeberrimo terzo comma dell’Articolo 33 della Carta
Costituzionale. Certo non potevano pensare che qualcuno avrebbe dovuto
scriverlo a caratteri cubitali su uno striscione e portarlo alla testa
di un corteo di migliaia di studenti per difenderlo dagli attacchi del
“revisionismo” che vorrebbe intenderlo in un altro modo.
Questo è il
concetto di fondo, per esempio, del Disegno di Legge presentato dal
Senatore Riccardo Pedrizzi di Alleanza Nazionale; il suo assunto è che
quel comma non va considerato per il suo significato letterale, ma come
inciso inutile e fuorviante del complesso delle norme costituzionali.
Tuttavia non onora la Costituzione chi richiamandosi ad una sola parte
di essa tende a eluderne un dettato, finendo per sminuirla nel complesso;
sicuramente più rispettoso si dimostrerebbe colui che, ritenendo la
Carta migliorabile, si facesse promotore di un suo adeguamento, sostenendo
apertamente le proprie critiche invece di aggirarla con malriusciti
sofismi.
Il problema
si complica quando a sostenere questa interpretazione, sebbene in modo
più velato, è il Ministro della Pubblica Istruzione, rappresentante
della sinistra storica, e membro di un governo di centro-sinistra che
enumera al suo interno forze laiche, come i Comunisti di Cossutta, i
Verdi, i Socialisti ed i Repubblicani, e forze di chiara ispirazione
cattolica, come i Popolari e l’UDR. In mezzo i DS con il loro leader
D’Alema che devono conciliare la nuova vocazione governista con la vecchia
anima barricadera.
Le forze in
campo, già ben distinte prima, si sono schierate per la prima volta
in modo palese in occasione della votazione sull’emendamento presentato
dal SDI Roberto Villetti che proponeva lo svuotamento di un capitolo
di bilancio di 346 miliardi a favore di innovazioni legislative in itinere
in materia scolastica. Più
d’uno avevano intravisto in questa dicitura così nebulosa la contropartita
degli accordi tra D’Alema e Cossiga sui fondi alla scuola cattolica.
Mastella lo
esplicita senza remore: “l’impegno sulla parità scolastica è un tema
sul quale non siamo disposti a transigere, anche per dare una seria
dimostrazione al mondo cattolico”; Volontè dello stesso partito
è ancora più esplicito: “sulla parità scolastica si gioca il nostro
appoggio al Governo” e gli fa eco Antonello Soro dei Popolari che
parla di “… lacerazioni che accorciano l’orizzonte del Governo”.
Sull’altro
fronte una compagine che è andata via via infoltendosi nel dare corpo
ad una campagna a favore del rilancio della scuola pubblica e del rispetto
della costituzione contro gli appetiti della Chiesa.
A dare il La
ci hanno pensato Paolo Sylos Labini, Alessandro Galante Garrone, Vito
Laterza e Giorgio Bocca con gli amici di Critica Liberale, con la stesura
di un appello-manifesto per la scuola pubblica (che riproduciamo in
allegato).
Tra i primi
a raccogliere il testimone il quotidiano comunista Il Manifesto che
oltre a pubblicare l’appello ha schierato in prima linea l’editorialista
Rossana Rossanda. Uno scontro di tale portata ha rinvigorito coscienze
laiche un po’ appannate come Giorgio La Malfa, che ha trovato in questa
crociata nuovi stimoli e nuove platee.
Anche dall’interno
dei DS si sono levate alcune voci; Gloria Buffo e Achille Occhetto si
sono fortemente differenziati dalla linea del ministro arrivando a dire
che non voteranno la legge.
Tutta la polemica
si basa sulla sensazione diffusa che scuola privata significherà sempre
scuola d’elite, come dice La Malfa, alla quale andrebbero a formarsi
i rampolli della attuale classe dirigente che ambisce a perpetuarsi,
laica o cattolica che sia.
Gloria Buffo,
che evidenzia l’assurdo della detraibilità fiscale delle rette, grazie
alla quale alle rette più alte corrisponde lo sconto più grande mentre
la scuola pubblica è in ristrettezze da sempre, annuncia già il suo
voto contrario; anche perché si concederebbe il diritto di formare i
figli contro i principi costituzionali con i soldi dello Stato.
Gli studenti
come sempre hanno trovato lo slogan: “scuole dei preti, scuole private,
signori ricchi ve le pagate”.
G.L.
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L'APPELLO DI SYLOS LABINI, BOCCA,
LATERZA E GALANTE GARRONE.
Pubblichiamo di seguito l'appello sottoscritto
da intellettuali e da personalità del mondo laico liberale e riformista,
promosso da "Critica liberale", pubblicato sui maggiori quotidiani
e periodici nazionali.
1. Sì all'autonomia e al pluralismo dello stato.
2. No alle ingerenze delle gerarchie ecclesiastiche.
3. Sì alla rigenerazione della scuola pubblica.
4. No al finanziamento statale diretto o indiretto delle scuole
confessionali.
5. Sì alla libertà di insegnamento.
6. No ai trucchi per aggirare il dettato costituzionale: ".... senza
oneri per lo stato....".
7. Sì alla libertà di espressione di tutte le religioni.
8. No ai privilegi della Chiesa cattolica.
9. Sì alla libertà delle scelte morali e culturali di ciascun individuo.
10. No ad una legislazione che provoca disuguaglianza tra i cittadini.
Esiste anche un'altra Italia. E se ne deve tenere conto.
L'Italia laica di chi crede che la convivenza civile si fondi sullo
spirito critico di ciascun cittadino. Di chi condanna ogni integralismo
ideologico o reli-gioso. Di chi è determinato a rispettare e difendere
le regole della tolleranza e del dialogo. Di chi sa che la libertà dello
Stato si fonda sulla sua autonomia. Di chi soprattutto trova ripugnante
volere imporre ad altri - soprattutto alle nuove generazioni - valori
univoci e verità rivelate. Il tutto con soldi pubblici.
Di chi vorrebbe che l'individuo maggiorenne fosse padrone di se
stesso e quindi libero di scegliersi le proprie relazioni e la propria
morale. Di chi vorrebbe che all'individuo minorenne non fossero imposte,
né dallo Stato né dalla famiglia né dalle chiese, visioni del mondo
univoche e totalizzanti che condizionano fortemente il suo futuro. Di
chi pensa che ogni singolo debba avere effettivamente la massima libertà
d'esprimersi, coltivare e realizzare la sua personalità senza altri
vincoli se non quelli derivanti sia dalla libertà degli altri sia dall'obbligo
di promuoverla, garantirla, difenderla.
Siamo molto preoccupati dalle ricorrenti e sfacciate rivendicazioni
clericali, dalle aperte ingerenze sui pubblici poteri, ma ancor di più
dall'acquiescenza e dai segnali di resa delle forze politiche e culturali
che hanno, o dovrebbero avere, valori pluralistici contrapposti al fondamentalismo
nostrano.
Corriamo il rischio, frutto del neocinismo imperante, che sia messa
sotto i piedi la nostra Costituzione e i principi di laicità che fondano
lo Stato moderno. Soltanto concezioni ferme al medioevo possono ancora
concepire l'individuo sottoposto ad autorità ideologiche esterne e il
pluralismo come la sommatoria di sistemi chiusi ed imposti.
Il principio dello Stato moderno, quello che ha salvato l'Europa
dalle guerre religiose e ha garantito la libertà di culto, è la distinzione
tra diritto e morale. La gerarchia ecclesiastica cattolica non si è
ancora pacificata con questo principio. Essa interviene pesantemente
sia sull'attività del governo e del Parlamento sia, addirittura, sulle
trattative per la formazione degli esecutivi. Poiché i cattolici non
hanno più (o ancora) un solo grande partito, è il Vaticano a farsi partito
[....]
Oltre a continuare a battere cassa pubblica per le proprie scuole
confessionali [....] Ugualmente inaccettabile è il monopolio dei cattolici
nel Comitato nazionale per la bioetica. La Chiesa infierisce - come
non succede in nessuno degli Stati occidentali - direttamente nelle
scelte politiche della nostra Repubblica, perché non accetta quello
che per lo Stato liberale e democratico è invece il fondamento indiscutibile:
"Tutti i cittadini hanno pari dignità sociale e sono quindi uguali davanti
alla legge, senza distinzioni di sesso, di razza, di lingua, di religione,
di opinioni pubbliche, di condizioni sociali". [Art. 3 della Costituzione]
É chiaro che lo Stato non impone, né privilegia particolari scelte
morali. Secondo la Chiesa romana, invece, i cittadini non dovrebbero
essere trattati ugualmente, ma in relazione alla loro adesione ai principi
religiosi cattolici. Questa pretesa, occorre ribadirlo con forza e senza
ambiguità alcuna, è in totale disaccordo con il nostro patto costituzionale
e con la cultura politica nella quale i cittadini italiani si riconoscono
tramite questo patto.
Confidiamo che il governo difenda questa fondamentale prerogativa
di civiltà, che sia davvero il governo di tutti, e non il governo della
sola cultura cattolica [....]
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Sottrarre la scuola al monopolio dello
stato apre alla scuola nuovi orizzonti.
Seguiamo l'esempio della sanità
di Paola Argiolas
Oggi la scuola statale è fondata dallo Stato
ed è finanziata con il denaro pubblico. Essa adotta programmi stabiliti
da un apposito ministero governativo.
Nel medioevo l'iniziativa scolastica era nelle mani della Chiesa. Dunque
fu merito della Chiesa aver custodito il sapere dell'antichità e, in
particolare, il sapere dell'antichità greco-romana, che fu così a noi
trasmesso. Lo Stato lasciò fare ai monasteri, ai Vescovi, ai Papi o
ad esponenti della società, facenti capo alle Corporazioni delle Arti
e dei Mestieri, e alle libere iniziative private.
Quando gli Imperatori e i Re intervennero per fondare università, non
si atteggiarono a maestri, prescrivendo programmi e orari, ma affidarono
tutto ciò ai dotti. Neppure la Chiesa, nel promuovere scuole e università,
pretese di imporre particolari regolamenti.
Il monopolio scolastico Statale affonda le sue radici nel luteranesimo;
il primo ordinamento scolastico con regolamenti disciplinari fu infatti
approvato da Lutero nel 1528, per la Sassonia. Nel XVII secolo la tendenza
dello Stato a interferire nella scuola si fece sempre più audace, sotto
l'impulso delle teorie illuministiche.
La rivoluzione francese inflisse un colpo decisivo alla Chiesa in campo
scolastico. Da allora i liberali, e i governi che si ispirarono ai loro
principi, ingaggiarono una ignobile lotta contro la Chiesa, gli ordini
religiosi dediti all'istruzione e all'educazione della gioventù. La
scuola divenne lo strumento più efficace di dominio delle coscienze.
Lo stato moderno, liberale o totalitario, lascia alla Chiesa libertà
di culto e il compito di accudire ai poveri e agli emarginati. La progressiva
monopolizzazione della scuola ha accentuato la tendenza a considerare
la professione dell'insegnante come un impiego statale; una profonda
frattura si è scavata tra famiglie e scuola, poiché l'insegnante non
si sente il mandatario dei genitori nell'educazione.
La Chiesa e i cattolici hanno sempre rivendicato il diritto alla scelta
della scuola, riconoscendo nella famiglia (e non nello Stato) il soggetto
primario di educazione dei figli. Anche una parte della cultura liberale
(Benedetto Croce, Luigi Einaudi, Giovanni Gentile) si è schierata dalla
parte della libertà in campo scolastico, considerando che soltanto in
una condizione di libera scelta (e, dunque, di concorrenza) le scuole
sono stimolate a migliorare le loro prestazioni.
Molti sono concordi nell'affermare che è ora giunto il momento di riconsiderare
serenamente tutto il problema ed allinearci alla situazione degli altri
Paesi europei, nei quali convivono, senza traumi, scuole statali e scuole
gestite da privati, enti, ecc...., le une e le altre accomunate in un
unico sistema scolastico nazionale pubblico.
Credo che sarebbe fuori luogo e fuori tempo far rivivere antichi fantasmi,
contrapporre il modello di scuola statale al modello di scuola privata.
Il vero problema è quello di avere una scuola all'altezza dei cambiamenti
del nostro tempo e, dunque, una scuola di qualità: non importa da chi
gestita. In molti comparti sociali (dalla Sanità all'Assistenza, dai
mass-media ai Trasporti) coesistono diversi modelli gestionali e nessuno
teme il prevalere di un soggetto sull'altro.
Liberalizzare la scuola non significa assolutamente rinunciare ad ogni
regola e affidarsi alla sola legge del mercato. Occorre, altresì, salvaguardare
alcune norme di garanzia (per esempio, sul piano dei "saperi minimi",
dei servizi, del tempo-scuola, ecc....) che dovrebbero essere affidate
al sistema nazionale di valutazione, in modo da garantire una certa
omogeneità del servizio scolastico.
E se poi qualcuno si azzardasse ad usare il principio della parità
scolastica per attività non compatibili con le leggi di questo Stato,
con progetti politici di disgregazione della nostra Nazione, la parola
passerebbe alla magistratura e a quanti sono tenuti a garantire l'intangibilità
dei dettami costituzionali.
Paola Argiolas
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Oggi interroghiamo...
di Sara Pisu
All’inizio stai fermo nel tuo posto
a pregare e sperare, poi arriva il tuo momento.
Ti alzi con passo tremolante e, occhi impauriti, vai verso
il tuo freddo destino; lì cominci a dire ciò che sai e ciò che sei,
c’è freddo e un brivido ti sale per la schiena.
Ti raggomitoli e guardi intorno, ma un muro di ghiaccio
ti isola e ti allontana dal mondo.
Cerchi di stabilire contatti con gli altri, ma i tentativi
sono vani.
Dopo tanta sofferenza, per caso o per legge stabilita,
il ghiaccio si rompe e tu sei libero tra i liberi.
Ormai non t’importa degli altri e mentre ritorni al tuo
posto lasci un sorriso ed un sospiro di liberazione che ti riscalda
il cuore e ti fa sentire beato tra i beati.
Sara Pisu
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