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La guerra come tabù per una prospettiva di pace

Intervista con Alex Zanotelli a cura di Leonardo Roselli

sommarietto: La violenza è diventata oggi un fatto apocalittico. Compito di tutti coloro che credono nella pace è quella di renderla un tabù attraverso la pratica della non violenza attiva

D. "La violenza ci è scappata di mano, o la rendiamo un tabù o non esisterà Più nessuna umanità. L’unica via possibile è l’esercizio della non violenza attiva".

È questo il monito forte di padre Alex Zanotelli, missionario combonianio e figura di riferimento nella riflessione del Social Forum, con cui abbiamo affrontato uno dei grandi temi che hanno animato il dibattito fiorentino: la non violenza attiva.

Il tema della non violenza ha attraversato un po’ tutto il forum, animando i giorni precedenti la manifestazione. Lo stesso tema che ti ha visto partecipe di un incontro con il capo dei disobbedienti Luca Casarini. Perché è necessario oggi ribadire il primato della non violenza e della non violenza attiva?

R. Una prima osservazione. Io non mi sarei mai aspettato che in pochi anni si potesse arrivare al punto di riflessione a cui oggi siamo arrivati. In Italia la non violenza è diventata oggetto di dibattito pubblico e politico. Solo qualche anno fa una cosa del genere sarebbe stata inimmaginabile. Anche nei giorni del Social Forum è stato un tema che più volte è ritornato. La stessa Rete Lilliput ha dedicato un convegno di due giorni su questo specifico argomento. Al termine del convegno mi è stato chiesto di tirare le conclusioni del dibattito. A seguito del mio intervento in mailing list ho assistito ad una forte discussione che ha impegnato sia cattolici che marxisti. Questo per dire che da entrambe le parti nessuno ha ancora realmente digerito "quest’osso" della non violenza, ma sta di fatto che è oggetto di dibattito ed io considero questo un passo in avanti enorme. Nei giorni del Forum di Firenze inizialmente ero fortemente scettico nel fare il dibattito con Casarini, perché temevo una strumentalizzazione da parte dei mass media. Il dibattito però è andato bene perché Casarini non ha cercato lo scontro e mi ha permesso di parlare per primo e di inquadrare il discorso della non violenza attiva nel contesto delle violenze a livello globale e della militarizzazione dell’economia e della finanza. Oggi diventa sempre più difficile poter scindere questi aspetti, ed ho affermato che oggi siamo arrivati ad un punto in cui l’unica cosa che ci potrà salvare è fare un salto di qualità quando l’uomo è riuscito ad un certo punto della sua storia a vedere che l’incesto faceva male alla sua razza lo ha reso un tabù. Io penso che siamo arrivati ad un punto in cui la violenza ci è sfuggita di mano ed ormai nulla più rimane da fare se non quello di rendere la violenza e la guerra un tabù.

D. Un discorso che cade in prossimità di una quasi certa guerra con l’Iraq. In passato più volte ti sei fermato a parlare dei numeri della guerra. È possibile fare un aggiornamento del quadro e contestualizzare così il momento che stiamo vivendo?

R. La guerra all’Iraq è soltanto la punta dell’iceberg. Di questo iceberg che io chiamo la militarizzazione dell’economia, ma ancor più della finanza. Oggi non si distingue più nulla e diventa un unico inscindibile intreccio a cui si aggiungono i servizi segreti. Teniamo ben presente che oggi gli Stati Uniti spendono da soli 38 miliardi di dollari l’anno in servizi segreti.

Messo in questa chiave meglio si capisce l’assurdità in cui tutti noi viviamo. Il complesso militar-industriale americano ha utilizzato l’11 settembre ed i sentimenti scaturiti, per rilanciare alla grande la militarizzazione dell’economia e della finanza. È notizia di pochi giorni fa che Bush ha firmato quest’anno un budget di 369 miliardi di dollari per spese in armamenti. Ma è molto probabile che gli Stati Uniti da soli arrivino a spendere 500 miliardi di dollari. L’Europa dovrebbe invece raggiungere i 250 miliardi. Con una facile somma solo quest’anno dovremmo spendere 750 miliardi di dollari in armamenti. A questo devono essere aggiunti i 60 miliardi che l’America sta usando per rinnovare l’intero arsenale atomico. E non dimentichiamo che gli Stati Uniti hanno cambiato la loro politica estera e ci dicono che ovunque i loro interessi vitali saranno minacciati gli americani useranno la bomba atomica. Terzo punto da non trascurare è che gli Stati Uniti hanno tenuto da parte 70 miliardi di dollari per fare lo scudo spaziale. L’Italia è naturalmente coinvolta in tutto questo. Altro punto, sono già stati messi da parte 100 miliardi per la guerra in Iraq, che a detta degli esperti militari, dovrebbe costarci sui 200 miliardi di dollari. Da qui si capisce in che mani siamo. Giunti a questo punto, con la minaccia della bomba atomica, o usciamo fuori da questa che si annuncia come una guerra infinita (perché prima c’è stato l’Afghanistan, poi ci sarà L’Iraq, poi lo Yemen e poi ancora la Somalia) oppure basterà un cerino e scoppierà tutto. Ecco allora che la violenza ci è scappata di mano, ecco la crisi antropologica. Non penso che Balducci avesse mai parlato di una crisi antropologica in questi termini. Il gene della violenza è uscito dalla bottiglia dov’era tenuto rinchiuso dagli stati, e nessuno ha oggi più la forza di rimetterlo dentro. La violenza è ormai apocalittica. O la leghiamo, la rendiamo un tabù, oppure ci spazzerà via tutti. Ecco che l’unico salto possibile è quella del rifiuto e dell’esercizio della non violenza attiva.

D. Proviamo ad identificare meglio questo termine della non violenza attiva. Un termine spesso legato alla figura di Gandhi, ma che nella nostra realtà si stenta a darne una connotazione in senso diverso, o forse anche solo più occidentale.

R. Come credente credo che ci si debba soltanto vergognare del fatto che sia stato Gandhi a scoprire per primo i Vangeli ed averci insegnato la non violenza attiva. E che oggi il Magistero della Chiesa, riesce ancora a dire che è Gesù che ha inventato la non violenza attiva. Con questo termine io intendo essenzialmente quel salto antropologico di cui anche Ernesto Balducci parlava, identificandolo con l’Uomo Planetario. Come in un certo momento della storia è nato l’Homo Sapiens, oggi deve nascere questo uomo nuovo se la razza umana vuol sopravvivere. Ricordiamo quello di cui anche Paolo parlava nelle sue lettere, che altri non era che Gesù. È il tentativo di vedere l’uomo al di fuori di una logica imperiale, una logica in cui ogni uomo è un volto unico ed irripetibile. Una logica per cui nessun uomo può essere usato per una qualsiasi causa. Tutto questo può avvenire solo se scatta quella volontà di dire no alla violenza radicale, ma un sì al volto dell’altro, inteso come fratello e come comunità. Un sì al volto dell’altro inteso come uomo negato, come volto del crocifisso con la C maiuscola. Quel "volto Crocifisso" che rimette in discussione l’ordine del mondo costituito che è disordine, come diceva anche Balducci. È questo salto in umanità che deve avvenire, che Martin Luther King chiamava la forza dell’amore. Oggi ci troviamo dinanzi ad un bivio storico, oggi è la fine. O l’uomo fa questo salto o non ci sarà più nessuna umanità. Ecco la gravitò di questo momento. Non possiamo più illuderci di continuare ad ignorare questo richiamo fondamentale. Se lo rifiutiamo sarà la fine del pianeta, sarà la fine dell’umanità.

D. Insomma Come diceva anche Balducci "o l¹uomo del futuro sarà uomo di pace non sarà!"

R. Esattamente: è tutto qui! Avremmo avuto bisogno di Ernesto Balducci in questo momento. Manca ad oggi una profezia che sia collettiva.

D. I movimenti, in questo senso, possiamo definirli come una profezia collettiva?

R. Non in tutto, ma nel messaggio di idealità di cui i movimenti sono portatori, sicuramente sì. In questo momento la profezia deve farsi collettiva, e questo oggi non è solo possibile, ma è ormai diventato necessario. Come spesso si sente dire un mondo altro non è solo possibile, ma necessario.

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