L'uomo, accanto alla descrizione esistenziale che dà sul tempo, è costretto a fare i conti con lo stesso tempo oggettivato nella storia. Il tempo della storia non è un tempo lineare, ma assume accelerazioni o brusche decelerazioni in pochi anni. Un esempio di questa situazione lo fornisce la prima guerra mondiale, quando si manifestarono i segni di una generale impreparazione ai ritmi imposti dalla guerra stessa.
Il tempo inoltre è una variabile che deve necessariamente essere tenuta sotto controllo nei processi industriali. Possiamo infatti rintracciare nelle teorizzazioni di Taylor l'importanza che il tempo assume nei processi di produzione che si basano sulla catena di montaggio.
Alla fine del XIX secolo, l'economia dei paesi
industrializzati conobbe una fase di espansione intensa e prolungata, interrotta solo da
una breve crisi nel 1907-1908. Se il periodo 1873-95 era stato caratterizzato soprattutto
dalle innovazioni tecnologiche, dall'affermazione di settori giovani (acciaio, chimica,
elettricità) e dalla crescita di nuove potenze (Germania e Stati Uniti), gli anni
1896-1913 furono segnati da uno sviluppo generalizzato della produzione che interessò
quasi tutti i settori e toccò anche paesi "nuovi arrivati" come la Russia e
l'Italia. in questo periodo, l'indice della produzione industriale e quello del commercio
mondiale risultarono più o meno raddoppiati. I prezzi, che erano sempre stati calanti a
partire dal 1873, crebbero costantemente, anche se lentamente, dopo il 1896. Ma crebbe
anche il livello medio dei salari, e il reddito pro-capite dei paesi industrializzati
aumentò nonostante il cospicuo aumento della popolazione. La crescita dei redditi
determinò a sua volta lallargamento del mercato. Le industrie produttrici di beni
di consumo e di servizi si trovarono per la prima volta a dover soddisfare una domanda
che sempre più assumeva dimensioni di massa. Beni la cui produzione era stata fin
allora assicurata solo dal piccolo artigiano o dallindustria domestica, cominciarono
a essere prodotti in serie e venduti attraverso una rete commerciale sempre più
estesa e ramificata. Lesigenza della produzione in serie per un mercato di massa
spinsero le imprese ad accelerare i processi di meccanizzazione e razionalizzazione
produttiva. Nel 1913, nelle officine automobilistiche della Ford di Detroit, fu introdotta
la prima catena di montaggio: uninnovazione rivoluzionaria che consentiva di
ridurre notevolmente i tempi di lavoro, ma, frammentando il processo produttivo in una
serie di piccole operazioni, ciascuna affidata a un singolo operaio, rendeva il lavoro
ripetitivo e spersonalizzato.
La catena di montaggio fu, del resto, il culmine di una serie di tentativi volti a migliorare la produttività non solo mediante lintroduzione
di nuove macchine, ma anche attraverso un più razionale controllo e sfruttamento del
lavoro umano. Il tentativo più organico e più fortunato in questo senso lo si deve a un
ingegnere statunitense, Frederick W. Taylor, autore nel 1911 di un libro intitolato
Principi di organizzazione scientifica del lavoro, in cui espone la sua
teoria riguardo alla razionalizzazione del lavoro in fabbrica, frutto di uno studio
approfondito sul tempo e sul movimento.
«I punti generali da fissare sono i seguenti:
- Trovare dieci o quindici uomini differenti, i quali siano specialmente qualificati per quel particolare lavoro, che si deve analizzare e preferibilmente in stabilimenti separati e in differenti località.
- Studiare la serie esatta delle operazioni elementari o movimenti che ognuno di questi uomini fa compiere il lavoro da analizzare, e gli strumenti che egli usa.
- Studiare con un cronometro il tempo richiesto per compiere ognuno di questi movimenti elementari, e quindi scegliere il modo più rapido di fare ogni elemento.
- Eliminare tutti i movimenti falsi, inutili e pigri.
- Dopo aver eliminato tutti movimenti non necessari, raccogliere in una serie tanto quelli più rapidi e migliori come i migliori strumenti.»
Questo testo si presta a molti commenti. Innanzitutto il
taylorismo portò al definitivo tramonto delloperaio di
mestiere e alla sua sostituzione con quello di "massa", intercambiabile e
dequalificato. Anche se questo può sembrare a prima vista un cambiamento importante, ma
nulla di più, in verità rappresentò un cambiamento epocale. Luomo perse il potere
sugli oggetti che costruì e sulle macchine che li costruivano. Non serviva più abilità
manuale nella creazione di mobili, prodotti tessili
, ognuno diverso dallaltro,
ognuno una piccola opera darte. Loperaio diventa perciò uno strumento,
finalizzato al funzionamento della macchina, non più allinizio del processo di
trasformazione della natura, ma assume il ruolo di mediatore.
industria tessile
per produzioni in serie
Il lavoro non è più dunque espressione di un sapere, di una conoscenza: questi ultimi
sono ora incorporati nella macchina e dunque, con le parole di Marx "la scienza non
esiste nella coscienza delloperaio, ma agisce, attraverso la macchina, come un
potere estraneo su di lui, come potere della macchina stessa."
L'eliminazione degli sprechi di tempo diventa indispensabile
per la competitività dell'azienda. Marx si era reso conto che il valore di una merce era
dato dalla quantità di lavoro necessaria alla sua produzione. Il lavoro viene dunque
misurato in ore, e sarà appunto nel tempo di lavoro che il capitalista ricaverà il
pluslavoro, che sarà poi alla base dell'accumulo di denaro capitalistico. Questo
sfruttamento intensivo delle ore di lavoro, questa riduzione dell'uomo a semplice
mediatore, saranno i motivi di scioperi, manifestazioni, comportamento teorizzato dallo
stesso Marx che lo riteneva indispensabile per ottenere il progresso.
L'applicazione del taylorismo a livello industriale, ebbe comunque una grande diffusione,
anche perché, oltre a ridurre gli sprechi e sfruttare al meglio le capacità produttive
di una fabbrica, diminuì i rischi di sbagli, eliminando le
possibili sorprese e difficoltà nel futuro.
Il carattere temporale della crisi del Luglio 1914 e della prima guerra mondiale.
Questo ultimo secolo ha visto uno sviluppo progressivo
della tecnica, del modo di fare la guerra, dello stesso modo di vivere. L'accelerazione di
questi processi si manifesta con chiarezza all'inizio del secolo, soprattutto durante il
la prima guerra mondiale. Per capire l'evolversi della crisi, la stessa guerra e anche i
nuovi sviluppi della tecnica non si può fare a meno di considerare la variabile tempo.
La guerra impose un tempo omogeneo: se prima della guerra si
pensava che gli orologi da polso fossero idegni di un uomo, durante la guerra essi
divennero parte regolare dell'equipaggiamento militare. Prima di ogni battaglia gli
orologi da polso erano sincronizzati in modo che tutti uscissero all'attacco nello stesso
istante.
La delicata sensibilità per il tempo personale di Joyce e di tutti i letterati dell'inizio del secolo non
aveva alcun posto nella guerra: fu cancellata dalla forza schiacciante di movimenti di
massa che irregimentavano le vite di milioni di uomini con il tempo pubblico degli
orologi, da polso e non. Questa imponente coordinazione di tutte le attività secondo un
unico tempo oggettivo rovesciò la spinta culturale
dominante degli anni d'anteguerra che esplorava la molteplicità dei tempi personali.
Nell'estate del 1914, dal 23 luglio al 4 agosto, vennero redatti cinque
ultimatum con tempi brevi, tutti implicanti o minaccianti esplicitamente la guerra
se le richieste non fossero state accolte, e negli ultimi giorni, le esigenze pressanti
delle tabelle di mobilitazione consumarono le ultime briciole di pazienza. L'assassinio
dell'arciduca Francesco Ferdinando, erede al trono austro - ungarico, scatenò una crisi diplomatica internazionale che fu un mero preludio alla
guerra imminente. E fu proprio la diplomazia a venire plasmata dall'uso del telefono e del
telegrafo. Questi nuovi mezzi di comunicazione infatti non lasciarono alcun tempo alla
riflessione o alla consultazione, e richiesero decisioni immediate e
spesso affrettate su materie di importanza vitale.
Tutte le facilitazioni delle comunicazioni, che avrebbero dovuto essere rivolte a usi
pacifici, furono utilizzate al frenetico servizio della guerra.
La maggior parte degli aristocratici e dei gentiluomini che costituivano i corpi
diplomatici nel 1914 appartenevano alla vecchia scuola ed erano perciò diffidenti verso
le nuove tecnologie, sia in campo delle comunicazioni che in quello strettamente militare.
I diplomatici mancarono di comprendere completamente l'influenza delle comunicazioni
istantanee senza l'effetto correttivo del ritardo. Non si poteva più trattare faccia a
faccia, ma attraverso fili di rame. L'ultimatum dell'Austria rivela le esigenze che la
nuova tecnologia poneva alla diplomazia di vecchio stile: l'ultimatum fu redatto in uno
spirito di fretta straordinaria e poneva un limite di tempo che era
impensabile prima dell'epoca del telefono e del telegrafo, ma richiedeva una
risposta accurata, che a sua volta esigeva una consultazione e una ponderazioni
impossibili in quel breve lasso del tempo.
Inoltre l'importanza della velocità e della mobilitazione e nella concentrazione degli
uomini sul campo di battaglia era già una lezione ricavata dalla guerra franco-prussiana
del 1870. Gli eserciti del 1914 erano più grossi di quelli messi in campo nella guerra
del 1870: ancora più acuta diventava la necessità della precisione
dei tempi. La sincronizzazione diventava perciò fondamentale: dal momento in cui
la mobilitazione era stata ordinata, ogni uomo doveva sapere dove riunirsi e raggiungere
il punto in un dato tempo; le unità dovevano rispettare le tabelle di marcia per poter
raggiungere i luoghi stabiliti in treno.
La prima guerra mondiale stabilì raccapriccianti record di velocità e sincronismo.
L'esercito tedesco iniziò ad essere trasportato al di là del Reno su 11000 treni. I
successi iniziali furono talmente rapidi da impedire un adeguato rifornimento alle truppe,
che dovettero quindi fermarsi ad aspettarli. I francesi, anche se subirono inizialmente
alcune rapide sconfitte, riuscirono a mobilitare 2 milioni di uomini con 4278 treni, di
cui solo 19 accumularono dei ritardi.
Anche se gli eserciti si stabilizzarono nelle trincee e la
guerra si trasformava in una guerra di posizione da guerra di movimento qual era, il
combattimento effettivo fu assai più veloce di ogni altra cosa nella storia,
rivoluzionato dal largo uso di fucili a ripetizione, di
cannoni di artiglieria a fuoco rapido e di mitragliatrici - simbolo tipico di un uccidere
fulmineo - che da sole provocarono l'80% dei morti. Gli inglesi, nelle prime ore della
guerra subirono 21.000 morti e più di 40.000 feriti.
La rapidità con cui le grandi potenze pensavano di sbrigare la guerra, rende evidente la
difficoltà dei contemporanei di rendersi conto che il tempo della guerra era radicalmente
cambiato: non più la rapidità, ma la guerra di usura, di
logoramento. La Francia, che dopo la prima guerra mondiale sembrava aver imparato
la lezione, per proteggersi da Hitler costruì un'imponente trincea, la linea Maginot.
Ancora una volta la Francia si trovò impreparata, perché Hitler si limitò ad aggirare
con una manovra rapidissima la linea, sconfinando a nord e a sud di questa.
La stampa contribuiva inoltra a creare l'idea di una guerra
simultanea. La gente aveva infatti la possibilità di sapere quasi nello stesso
momento ciò che accadeva sul fronte. Inoltre la necessità che l'industria appoggiasse la
guerra, faceva sì che la vita comune si adeguasse alla situazione particolare.
L'anno del 1917 contrassegnò l'inizio di pesanti bombardamenti
regolari sulle città dagli aereoplani. Cannoni di contraerea, palloni di sbarramento,
osservatori, localizzatori del suono, sirene attirarono l'attenzione sia del personale
civile che militare. I vari momenti della giornata non erano più regolati sui ritmi
consueti, ma sulle sirene antiaeree, che imponevano comportamenti simili a tutti i civili,
come l'oscuramento delle finestre la sera per non essere individuati dai cacciabombardieri
nemici
La prima guerra mondiale può quindi essere presa come esempio calzante per spiegare e
rendere evidente il processo di accelerazione e rapido cambiamento in cui si trovò
coinvolta tutta la società, dunque non solo i miiltari ma per la prima volta anche i
civili, tanto che è stato possibile definire la Grande Guerra come la prima esperienza di
massa