Le teorie
del progresso
Hegel
Nella Fenomenologia dello spirito
Hegel si propone di esporre il percorso che la coscienza deve compiere per giungere
al sapere assoluto.
Per Hegel lo sviluppo concreto della coscienza avviene attraverso una scelta intellettuale, non in un solo colpo. La coscienza infatti
impara a dubitare ciò di cui era certa soltanto attraverso un percorso accidentato,
segnato da esperienze negative e sconfitte. La coscienza, nel suo progredire verso il
sapere assoluto verrà dunque a passare delle tappe, che sono comunque proprie di un percorso
obbligato. Queste tappe (o figure) rappresentano momenti in cui l'assoluto si
manifesta. L'assoluto, o spirito, non si rivela però solo nella coscienza singola, ma si
manifesta oggettivandosi nella vita, nelle comunità umane. Lo
spirito cioé si oggettivizza in civiltà storiche che fioriscono in un determinato
punto dello spazio e del tempo. In questo senso lo spirito si sviluppa nel tempo; è
storia, cioé si manifesta successivamente in tempi diversi.
La formazione della coscienza singola non avviene dunque in una condizione di astratto
isolamento, ma si svolge sulla base della cultura, anche filosofica, dell'epoca; le idee e
i valori dominanti ne condizionano in misura più o meno profonda il punto di vista. La
formazione individuale consiste nel prendere coscienza da parte dell'individuo della
sostanza spirituale del proprio tempo, al di sotto delle modalità esteriori nelle quali
si manifesta. Ciò sarà possibile solo alla conclusione dell'itinerario formativo, da
parte di uno sguardo filosofico.
Ma, per elevarsi al punto di vista della filosofia la coscienza è chiamata a rivisitare
il movimento storico dello spirito, che ha generato l'epoca presente, e nella quale
l'eredità spirituale delle età precedenti si conserva, benché trasformata e plasmata.
Da qui una concezione di progresso racchiusa nel termine Aufhebung: "superare
conservando", cioé un superamento che allo stesso tempo "conserva".
Per dare una fondazione speculativa alla storia, la filosofia deve metterne in luce l'immanente razionalità che ne guida teleologicamente lo sviluppo,
verso l'attuazione dello scopo universale del divenire storico, cioé la definitiva realizzazione
della libertà. Questa per Hegel coincideva con l'affermazione sempre più matura dei
concreti istituiti dell'eticità.
Alla base di questa concezione c'è la convinzione che la storia non sia dominata dal caso
e dall'accidentalità, ma che il suo svolgimento rappresenti il manifestarsi di un unico
principio spirituale e razionale, lo spirito del mondo, nella vicenda dei popoli
nello spazio e nel tempo. Il movimento dello spirito si realizza dialetticamente
attraverso il conflitto tra i popoli rappresentanti di volta in volta gradi differenti
dello sviluppo spirituale.
Uomini e popoli, mentre sono convinti di operare per i propri scopi individuali e
collettivi, agiscono in realtà, senza averne consapevolezza, quali strumenti della
realizzazione dello scopo universale della ragione, immanente
nella storia.
Il
positivismo
Il positivismo elaborò con Comte e la sua
"legge dei tre stadi" una filosofia della storia, centrata sull'idea di progresso, inteso e misurato sulla base dello sviluppo
delle conoscenze e delle capacità intellettuali dell'umanità.
La legge dei tre stadi sostiene che ogni scienza, nel suo cammino evolutivo, deve
percorrere tre differenti stadi: teologico, metafisico, positivo. Nello stadio teologico i
fenomeni naturali vengono spiegati facendo appello a entità e potenze sovrannaturali;
nello stadio metafisico tali potenze sono sostituite da entità concettuali, essenze e
principi astratti (la "forza vitale" e la "forza motrice"): dalla
fantasia e dall'immaginazione si passa alla riflessione e alla ragione, ma sempre con
l'obiettivo di individuare le cause prime dei fenomeni. Solo nello stadio
positivo tale pretesa è abbandonata: non si ricercano più le cause ma le leggi,
ovvero le relazioni tra i fenomeni, e ci si avvale del metodo scientifico basato
sull'esperienza e sul ragionamento.
La legge dei tre stadi individua un modo di lettura non solo della storia delle scienze,
ma della storia dell'uomo nel suo complesso.
Per quanto riguarda la classificazione delle scienze, esse hanno tempi di evoluzione
differenti: la "scala enciclopedica" che ne risulta è crescente per
complessità, va cioé dalle scienze più generali e astratte, e perciò più semplici, a
quelle specializzate, quindi più complesse.
Per quanto riguarda la dinamica sociale, la sua trattazione nel Corso di filosofia
positiva consiste in gran parte nella dimostrazione storica di come la legge dei tre stadi governi lo sviluppo progressivo dell'umanità.
Questa dimostrazione permetterà, a giudizio dell'autore, di usare la legge dei tre stadi
con "razionale sicurezza", per collegare il complesso del futuro a quello del
passato, sottoponendo il corso del cammino umano a una "regola costante".
Comte delinea una filosofia della storia connettendo fatti intellettuali, morali, politici
ed economici in un disegno che mostra come ciascuna fase, dopo aver svolto una funzione
costruttiva, sia inevitabilmente soggetta a essere superata in quanto diviene elemento non
più di un progresso, ma di stagnazione e di ostacolo al corso storico.
L'elemento che guida lo sviluppo è quello intellettuale dal quale gli altri dipendono; il
progresso sembra consistere in una serie di successivi adeguamenti,
a livello sempre più alto, dell'ordine fra i diversi fattori, appartenendo infine alla
epoca positiva, inaugurata dalle grandi conquiste della moderna scienza sperimentale e
dalla rivoluzione illuministica, il compito di realizzare una condizione ottimale di
equilibrio tra conoscenza, morale, arte, politica ed economia.
Entrando nello stadio positivo, l'umanità si trova finalmente nella condizione di
conciliare i due termini sempre ritenuti antitetici: ordine e
progresso. Dice Comte: «Nessun ordine reale può essere stabilito, né soprattutto
durare, se non è pienamente compatibile con il progresso; nessun grande progresso
potrebbe effettivamente compiersi, se non tendesse infine all'evidente consolidamento
dell'ordine».
La società positiva deve essere basata sui diritti dell'uomo, la libertà, l'uguaglianza,
la sovranità popolare. Questi non devono però esser considerati assoluti, altrimenti
impedirebbero l'instaurazione di un nuovo ordine razionale. La solidarietà fondamentale
delle parti che costituiscono la società positiva, implica una divisione e
gerarchizzazione, e così il problema di una società positiva è quello di
istituire vincoli gerarchici di subordinazione, trasparenti e razionali. La gerarchia non
può avere come base la ricchezza, ma, in quanto razionalmente fondata, si ispirerà alla
gerarchia espressa nella classificazione delle scienze e porrà al grado più elevato i
rappresentanti del potere spirituale.
Comte non s'illude che l'instaurazione della società positiva porrà fine ai conflitti:
ritiene però che l'ordinata mobilità sociale, l'educazione positiva e soprattutto l'alto
arbitrato dell'autorità speculativa verranno a moderare e a ridurre tali conflitti. Il
potere spirituale dovrà affrontare il problema delle condizioni del proletariato: in
questo consiste, anzi, la sua missione caratteristica e a questo lo chiama la sua
affinità con il proletariato, dal momento che il potere spirituale sarà detenuto da
«uomini capaci i cui diritti legittimi sono quasi altrettanto misconosciuti oggi quanto
quelli dei proletari».
Comte non crede alle declamazioni anarchiche, alle esortazioni all'insurrezione, agli
obiettivi comunistici dell'uguaglianza economico - sociale e dell'abolizione della
proprietà; non crede nemmeno, d'altra parte, all'idolatria della libertà di iniziativa
professata dal liberismo. Crede nelle legittimità delle
disuguaglianze, se collocate entro una razionale gerarchia sociale; alla
proprietà e all'iniziativa privata, se armonizzate con gli interessi collettivi.
Crede, in sostanza, in una società in cui la solidarietà è forza attiva di educazione
morale, in cui questo è il compito del potere spirituale e della filosofia positiva:
«far comprendere che le relazioni industriali, invece di rimanere affidate a un
pericoloso empirismo o un antagonismo oppressivo, debbono essere sistematizzate secondo le
leggi morali dell'armonia universale.»
Marx
Anche Marx, come i positivisti, si rende conto del ruolo centrale che
assumerà il proletariato, contrapposto alla classe dirigente, arrivando però a
conclusioni diverse sul progresso della società, raggiungibile solo attraverso la
rivoluzione.
Marx parte da un'analisi della società capitalistica. La
borghesia è cresciuta nel seno della società feudale sino a che lo sviluppo delle forze
produttive non ha reso i rapporti di proprietà feudali vere e proprie "catene"
da spezzare per via rivoluzionaria.
Analizzando l'accumulazione capitalistica, Marx vi rintraccia alcune tendenze
contraddittorie, la più importante delle quali è la legge della caduta tendenziale
del saggio medio di profitto. La necessità di aumentare incessantemente la
produttività del lavoro conduce ad investimenti tecnologici sempre più massicci e quindi
all'aumento della composizione organica del capitale; poiché solo il capitale variabile
produce plusvalore, il saggio di profitto, misurato dal rapporto tra il plusvalore e il
capitale globale, tenderà a diminuire. Questa legge generale è contrastata
dall'intensificazione del grado di sfruttamento del lavoro, dalla riduzione dei salari e
dalla creazione di un esercito di disoccupati in concorrenza con gli occupati.
Rimane il fatto che questa legge è prospettata da Marx come una necessità logica,
conseguenza necessaria di un processo di accumulazione che costituisce la ragion d'essere
del capitalismo. Connesse infatti all'accumulazione sono le crisi,
che ciclicamente si abbattono sull'economia capitalistica, derivanti da un'offerta di beni
superiore alle capacità di consumo della società.
Un processo analogo a quello che ha portato la crisi del sistema feudale sembra perciò a
Marx in atto nel presente.
Da un lato, queste crisi economiche, coniugate alle misure per superarle (distruzione di
ricchezza, maggiore sfruttamento intensivo ed estensivo dei mercati) non possono che
preparare "crisi più estese e violente", inevitabili per ottenere il progresso
della società.
Dall'altro, la borghesia stessa ha creato la sua classe antagonista, il soggetto di una
nuova rivoluzione: il proletariato. La dipendenza del
proletariato dal capitale, lo sfruttamento, l'alienazione nel lavoro crescono con lo
sviluppo stesso delle forze produttive borghesi: la crescita quantitativa del
proletariato diventa crescita della contraddizione in cui esso è immerso e della
coscienza di tale contraddizione.
Marx descrive perciò tutto il processo storico che coinvolge borghesia e
proletariato stabilendo una relazione tra estensione della potenza economica e
semplificazione e radicalizzazione del conflitto sociale: è entro queste condizioni che
si rende possibile la formulazione di una teoria e l'attuazione di una pratica
rivoluzionaria. Perciò Marx può dire che solo il proletariato «è
una classe veramente rivoluzionaria» e che «i proletari possono
impossessarsi delle forze produttive sociali soltanto abolendo il loro modo di
appropriazione attuale, e con esso l'intero attuale modo di appropriazione».
Solo attraverso la pratica rivoluzionaria,
secondo Marx si può realizzare il progresso. La dissoluzione del
capitalismo, appare in questa luce una transizione verso «condizioni di produzioni
comuni, sociali, generali», verso un'organizzazione economica e sociale in cui la
produzione e la distribuzione della ricchezza siano soggette alla decisione cosciente dei
«liberi produttori associati».