Almanacco dei misteri d' Italia


L' attentato alla Questura di Milano
le notizie del 2002
14 febbraio 2002 - STRAGE QUESTURA DI MILANO; NEAMI SPERA NELL' APPELLO
"Il Piccolo"
L'attentato di estrema destra che a Milano nel '73 costò la vita a quattro persone. "Non sono stati sentiti alcuni testimoni che avrebbero potuto discolparmi"
Ergastolo per strage. Il triestino Neami spera nell'appello
TRIESTE - Processo d'appello per Francesco Neami, 55 anni, triestino, condannato all'ergastolo nel marzo del 2000 per aver partecipato all'organizzazione della strage alla questura di Milano del 17 maggio 1973. Quattro persone furono dilaniate da una bomba lanciata contro il ministro Rumor dal sedicente anarchico individualista Gianfranco Bertoli, poi condannato all'ergastolo. Altre 46 persone finirono all'ospedale.
La Corte d'assise d'appello si riunirà il 15 maggio prossimo a Milano ed esaminerà i ricorsi presentati da Neami e dagli altri imputati condannati in primo grado alla massima pena prevista dal nostro Codice: il medico veneziano Carlo Maria Maggi, il suo collaboratore Giorgio Boffelli, l'ex colonnello dell'esercito Amos Spiazzi, tutti appartenenti a formazioni politiche dell'estrema destra veneta. Neami e Maggi erano dirigenti di Ordine Nuovo.
Nello stesso processo è stato condannato a 15 anni il generale Gianadelio Maletti, allora responsabile del reparto D del Sid. "Seppe dei propositi dell'attentato all'allora ministro Mariano Rumor addirittura prima che venisse perpetrato" si legge nella sentenza e omise di riferirle alla magistratura, occultando documenti e nastri magnetici.
"Sono innocente, vittima delle interessate dichiarazioni di alcuni pentiti" ha sempre affermato Francesco Neami che è entrato in questa brutta storia nel giugno del 1997, quando i carabinieri del Raggruppamento operativo speciale lo prelevarono dalla sua abitazione di via D'Alviano per trasferirlo nel carcere di San Vittore. Qualche settimana in cella, poi la liberazione, il lungo processo, la condanna all'ergastolo. Ora l'ex ordinovista deve presentarsi due volte alla settimana nella caserma dei carabinieri di via Hermet e firmare l'apposito registro. Non può uscire dallo Stato e per lasciare Trieste deve chiedere l'autorizzazione al magistrato.
"I miei legali hanno chiesto alla Corte d'assise d'appello di Milano di riaprire l'istruttoria e di rinnovare il dibattimento per dimostrare la mia estraneità alla strage" spiega Neami che dal 1980 si è allontanato dalla scena politica. "Spero che la stampa si occupi del processo d'appello con più attenzione di quella riservata alle udienza del dibattimento di primo grado. Molte cose sono sfuggite al controllo dei media e dell'opinione pubblica. Mi è stato chiesto un alibi a 23 anni di distanza dai fatti contestati, come se un innocente potesse ricordare. Non sono stati nemmeno adeguatamente ascoltati alcuni testi che avrebbero potuto discolparmi. Ho 55 anni e alla mia età una condanna così pesante ha un solo significato: non uscirò vivo dal carcere".
Claudio Ernè

18 febbraio 2002 - UNIONE FAMILIARI VITTIME PER STRAGI SU OSSERVATORIO
Comunicato delle Associazioni familiari vittime delle stragi di: Piazza Fontana, Piazza della Loggia, Treno Italicus, Stazione di Bologna del 2 Agosto 80, Rapido 904, Via dei Georgofili Firenze:
Il 12 Aprile 2001 il Ministero della Giustizia insediava l' "Osservatorio sui problemi e sul sostegno delle vittime dei reati", strumento permanente chiesto con forza da diversi anni dai familiari delle vittime con il compito di
 1. dare esecuzione alla legge-quadro del Consiglio dell'Unione Europea del 15.03.2001 per adeguare  il  codice di procedura penale in favore di tutte le vittime dei reati;
 2. procedere alla ricognizione e alla rilevazione delle esigenze delle vittime, sia nel momento del loro coinvolgimento nell'azione giudiziaria, sia in riferimento alle diverse situazioni verificabili per effetto degli specifici programmi di assistenza per esse previste.
 L'Osservatorio, composto da rappresentanti di associazioni di vittime dei reati, esperti di vittimologia e rappresentanti del Ministero della Giustizia e del Ministero dell'Interno, deve provvedere alla individuazione dei problemi delle vittime e alla elaborazione di proposte organizzative e normative.
 Al 31 dicembre 2001 l'Osservatorio ha svolto 14 sedute di cui 4 plenarie, ha realizzato con la collaborazione del CENSIS un'"INDAGINE SULLE VITTIME DI REATO ORGANIZZATE IN ASSOCIAZIONI". Ha inoltre predisposto una bozza di "legge-quadro per l'assistenza, il sostegno e la tutela alle vittime dei reati", bozza di legge che tiene conto della decisione quadro del Consiglio della Unione Europea del 15.03.2001 e inviata al Ministro Roberto Castelli il 21 dicembre 2001 con richiesta di un urgente iter parlamentare.
 Per il 6 Febbraio 2002 era già prevista la prima seduta plenaria dell'anno, ma poiché il Ministero non ha ancora provveduto al rinnovo, i lavori sono bloccati.
 Questo "blocco" rischia di vanificare l'impegnativo lavoro svolto sino ad ora, impedisce la tutela alle vittime di reato e non ottempera al dettato dell'art. 17 della decisione quadro del Consiglio dell'Unione Europea di adeguare il codice di procedura penale entro il termine del 22.03.2002.
Il Presidente
Paolo Bolognesi
Il comunicato è inoltre sottoscritto da: Maria Falcone Presidente Fondazione Falcone; Avv. Michele Costa  Presidente Comitato Direttivo Fondazione Gaetano Costa; Rosanna Rossi Zecchi Presidente Associazione Vittime Banda della Uno Bianca; Franco Corazza Presidente Associazione Parenti Vittime "Istituto Salvemini"; Maurizio Puddu Presidente Associazione Italiani Vittime del Terrorismo.

26 febbraio 2002 - FAMILIARI STRAGI; VIA IL SEGRETO DI STATO PER DELITTI STRAGE E TERRORISMO
L' Unione familiari vittime per stragi, in una conferenza stampa a Montecitorio, annuncia la riproposizione di una legge di iniziativa popolare finalizzata proprio ad abolire il segreto di Stato da tutti i delitti di strage e terrorismo: "nessun documento deve essere sottratto al magistrato che indaga". "Questa legge venne gia' presentata nel 1984, corredata da 100.000 firme, ma non e' stata mai discussa dal Parlamento", ha spiegato Paolo Bolognesi presidente dell'Unione vittime per stragi, che raccoglie le associazioni delle stragi di Piazza Fontana, di Piazza della Loggia, del treno Italicus, della stazione di Bologna, del rapido 904 e di via dei Georgofili. La proposta di legge e' composta di un articolo unico, con il quale si prevede di aggiungere alla legge n. 801 del '77 l'art. 15 bis. Questo stabilisce che "Il segreto di Stato non puo' essere opposto in alcuna forma nel corso dei procedimenti penali relativi: a) ai reati commessi per finalita' di terrorismo o di eversione dell'ordine democratico; b) ai delitti di strage previsti dagli articolo 285 e 422 del codice penale". In conferenza stampa e' intervenuto anche Manlio Milani, presidente dell'associazione della strage di Piazza della Loggia, che ha ricordato di aver scritto nel novembre scorso una lettera al presidente del Consiglio, Silvio Berlusconi ("senza avere finora risposta"), in merito all'estradizione di Delfo Zorzi. Milani, in particolare, e' tornato a denunciare la "commistione tra funzione pubblica e attivita' privata di un'autorevole esponente della maggioranza: Gaetano Pecorella, da un lato presidente della Commissione giustizia della Camera, uomo delle Istituzioni, e, dall'altro, difensore di Zorzi, uno stragista che non vuole essere estradato". "Anche nelle stragi, come vedete, c'e' dunque conflitto d'interessi", ha commentato Paolo Bolognesi. Per Falco Accame, presidente dell'Anavafaf (l'Associazione nazionale dei familiari delle vittime arruolate nelle forze armate), chiedere l'abolizione del solo segreto di Stato non serve per arrivare alla verita' nei fatti di terrorismo e nelle stragi. "Ci sono infatti una gran quantita' di documenti, forse migliaia - ha detto - che vengono normalmente sottratti alla conoscenza del giudice, senza che su di essi sia opposto il segreto. Si tratta di quei documenti, classificati e non, che vengono sistematicamente distrutti, occultati, o che non figurano nemmeno nel protocollo. In questo caso - secondo Accame - il reato da perseguire dovrebbe essere quello di 'depistaggio', che pero' non esiste nel codice penale italiano".

18 marzo 2002 – STRAGE QUESTURA MILANO: A MAGGIO PROCESSO D’ APPELLO
"Il Nuovo"
Strage questura: a metà maggio il processo d'appello
Il 15 maggio prima udienza del processo d'appello per l'attentato del 17 maggio 1973, quando Bertoli lanciò una bomba contro il ministro Rumor, uccidendo 4 persone. In primo grado otto i condannati
MILANO - Inizierà il prossimo 15 maggio il processo d'appello per la strage alla questura di Milano del 17 maggio 1973. A 28 anni dall'attentato all'ora ministro degli Interni Mariano Rumor, durante il quale una bomba uccise quattro persone e ne ferì 45, davanti alla Corte d'Assise d'appello si celebrerà il secondo grado del processo conclusosi in primo grado nell'estate del 2000.
In quell'occasione vennero condannati all'ergastolo il medico veneziano Carlo Maria Maggi, Giorgio Boffelli, Francesco Neami e Amos Spiazzi; 15 anni di reclusione furono inflitti all'all'ex generale dei servizi segreti Gianadelio Maletti, 10 anni a Gilberto Cavallini, 6 anni e 6 mesi a Ettore Malcangi e 6 anni a Enrico Caruso.
Gianfranco Bertoli, l'esecutore materiale della strage, era invece stato già condannato: arrestato subito dopo l'attentato, venne processato a parte e messo in carcere con la pena dell'ergastolo.
Nell'udienza di metà maggio l'accusa sarà rappresentata dal procuratore generale Laura Bertolè, che avrà il compito di contestare agli imputati i reati di strage, ricettazione, favoreggiamento e falso.
La strage maturò in occasione di una visita di Rumor alla questura di Milano per commemorare l'assassinio del commissario di polizia Luigi Calabresi, avvenuto nel maggio del 1972.

3 maggio 2002 – ANTICIPAZIONI SUI DIARI DI TAVIANI
"La Stampa"
RIVELAZIONI SU TRAME EVERSIVE, STRAGI E MISTERI DELLA PRIMA REPUBBLICA NEI DIARI DEL LEADER DC, DA LUNEDÌ NELLE LIBRERIE. LI ABBIAMO LETTI IN ANTEPRIMA TAVIANI i giorni dell´Italia in nero
IL 27 giugno dello scorso anno, su ordine della Procura di Brescia, il reparto Antieversione dei Ros si presentò nella sede del Mulino, a Bologna, per sequestrare una copia dei diari di Paolo Emilio Taviani, morto nove giorni prima. Il senatore a vita - lo nominò Cossiga nel 1991 - aveva più e più volte, in diverse sedi, promesso rivelazioni sui misteri della Repubblica. Ne aveva in verità qualche titolo essendo stato grande capo partigiano, segretario della Dc, ras di corrente, ministro della Difesa e dell'Interno varie volte, nell'arco di un periodo cruciale, dagli anni cinquanta alla metà degli anni settanta. Ricevuta la visita dei Ros, il responsabile della sezione Storia del Mulino, Ugo Berti, dichiarò in ogni caso all'Ansa: "La pubblicazione procede regolarmente secondo i programmi. Nei prossimi mesi dell'anno prossimo il volume sarà in libreria". Eccolo, dunque: Politica a memoria d'uomo (445 pagine, 20 euro). In una delle ultime pagine, nel tirare le somme, Taviani scrive: "Fu guerra, calda o fredda, ma sempre guerra (...). Non sono sicuro di aver mai sbagliato. Per un uomo politico è già un successo salvarsi l'anima". Anche per mezzo dei diari. Per cui ecco subito quanto probabilmente interessava a magistrati e carabinieri. Taviani l'ha racchiuso in una quarantina di pagine. Piazza Fontana - di cui si occupò tornato al Viminale nel 1973 insieme con i vertici dell'Antiterrorismo (Santillo) e degli Affari Riservati (D'Amato) - offre la prima sorpresa. "La responsabilità della strage è interamente dell'estrema destra e in particolare di Ordine nuovo: uomini tecnicamente seri, collegati con settori deviati dei servizi segreti". La Cia non c'entra nulla, ma l'esplosivo, venne fornito a uomini di On da un "agente nordamericano" che proveniva dalla centrale tedesca e apparteneva al servizio segreto dell'esercito: "Assai più efficiente della Cia". In Italia qualcuno seppe e anzi cercò di evitare. Taviani racconta di un certo avvocato Fusco, con frequenti legami con il Sid, che la sera del 12 dicembre doveva andare a Milano per "recare il contrordine sugli attentati previsti". Ma a Fiumicino seppe della bomba. Poco dopo la strage, da Padova, un ufficiale del Sid raggiunse Milano "per sostenere il depistaggio sulla sinistra". La bomba non doveva, secondo Taviani, causare morti, come accadde a Roma. Lo deduce dal fatto che, "una volta verificato che nel crimine erano implicati anche alcuni uomini delle istituzioni, non è supponibile che essi cinicamente pensassero di uccidere tanti innocenti". A meno che gli esecutori abbiano poi "disatteso gli ordini ricevuti". A questa ricostruzione Rumor, Fanfani e Moro non vollero mai credere. Taviani al contrario, come "atto politico" e sulla base della sentenza ottenuta dal pm Occorsio, decretò lo scioglimento di Ordine nuovo. La fine della teoria degli "opposti estremismi" ebbe sanguinose conseguenze. Tornato al Viminale liquidò anche alcuni agenti e confidenti arruolati dal precedente ministro (Restivo); "servizi paralleli", si disse in seguito, erroneamente identificandoli con Gladio. Tali spezzoni divennero "schegge impazzite". Mario Tuti ne fu il tipico esponente. A questo ambiente para-golpista, Taviani imputa la strage dell'Italicus. Era il 1974. Ma pure sull'attentato di Bertoli il ministro ebbe il dubbio che l'"anarchico" venuto da Israele potesse essere stato aiutato dal Sid del generale Maletti, di cui ricorda che era "filo-israeliano" (mentre il generale Miceli era filo-arabo). Anche la strage di Brescia è collegata a On: "i carabinieri vi avevano infiltrato un informatore". La bomba era in realtà destinata all'Arma, per vendetta, ma per la pioggia i militi si erano spostati dall'area prescelta per l'esplosione.
Il padre di Gladio
Taviani si assume in pieno la responsabilità di aver fatto iniziare le indagini su Edgardo Sogno; e sostiene anche di aver duramente pagato la sua convinzione che le stragi fossero state "sicuramente ed esclusivamente di destra". Quando cadde il governo venne sostituito - e si riporta un vivace resoconto di come il sinedrio Dc, riunito a piazza del Gesù, distribuisse gli incarichi, con offerte, battute crudeli e sbattimenti di porta. Nel novembre del 1974 finirebbe in realtà il potere governativo di Taviani, l'uomo che in nome dell'atlantismo mise in piedi Gladio. Ma la sua influenza politica continua. Del tutto ingiustificata, la campagna contro l'organizzazione Stay Behind, a suo giudizio, venne aperta con l'obiettivo di contrastare Cossiga che aveva buone speranze di conquistarsi a picconate un secondo mandato presidenziale. In più - ed è una rivelazione - i comunisti sapevano non solo di Gladio, ma anche della base di Capo Marargiu: e questo perché l'aveva detto lui, Taviani, all'allora segretario Longo. Sulle Br, oltre a numerosi sospetti sui collegamenti con i seguaci di Secchia, è annotata una confidenza del generale Dalla Chiesa secondo cui nel 1977, e cioè pochi mesi prima del sequestro Moro, l'evasione di Prospero Gallinari "venne favorita con lo scopo di scovare Moretti". Sui servizi segreti esteri c'è un'abbondante aneddotica. Dall'idea di utilizzare la Stasi in funzione anti-Tito al Mossad che Taviani considera responsabile dell'attentato all'aereo Argo 16; dall'"ottusità" anticomunista della Cia all'"abilità" del Kgb, di cui pure nega che sia riuscito - come scritto nel dossier Mitrokhin - a mettergli una segretaria alle calcagna. Entrambi i servizi delle grandi potenze della guerra fredda, comunque, "convergevano a un medesimo risultato: mantenere l'Italia in tensione". Questo dunque - con inevitabile sintesi e conseguenti forzature di chi gli ha riservato una prima lettura - contengono più o meno le pagine più scabrose delle memorie tavianee. Un autentico tesoro per gli appassionati di trame e misteri. Ma i diari dei potenti, per fortuna, interessano anche gli storici e i normali lettori. E infatti sarebbe ingiusto ridurre questo volume, tra i più interessanti nella memorialistica della Prima Repubblica, a una sequela un po' paranoica di verità, sospetti, cospirazioni. Taviani si salva l'anima, infatti, anche raccontando in profondità il suo lungo tempo di leader e capocorrente democristiano. Gli anni avventurosi, ma indimenticabili della Resistenza, quelli che un giorno spingeranno Fidel Castro a rivolgerglisi come "colega en la experiencia guerrillera".
Affrancarsi dal Vaticano
Come pure l'austerità della Costituente, quel pasto di "pane, mele e un bicchiere di vino bianco" al primo congresso Dc. Le ramanzine di Sturzo, le "manovre" di Gedda, in sostanza la dura lotta sotterranea per liberarsi dalla tutela vaticana, la lettura tra le righe dell'Osservatore romano, il timore degli effetti che un certo discorso avrebbe suscitato sull'"Uomo Bianco", cioè il Papa. Timori a loro modo giustificati, e fino all'ultimo, se è vero che da Oltretevere non gli perdonarono di essere andato lui, come ministro dell'Interno, ad annunciare in tv i risultati del referendum sul divorzio. In più viene fuori il personaggio: gastronomo, amante della famiglia, celebre studioso di Colombo. Come ogni grande democristiano, è al tempo stesso spregiudicato e spirituale, per cui fa cose assai discutibili, le fa a fin di bene e le racconta pure. La volta che, da ministro, per far dimettere sul serio il tentennantissimo De Nicola da presidente della Corte costituzionale chiede ad alcuni suoi amici ex partigiani di appendere dei manifesti contro di lui nel quartiere di Napoli dove abita. Oppure la volta che per aggirare le difficoltà, si fa costruire dall'esercito un aeroporto a Lampedusa. O acquista - in Senegal! - un pacco di lettere (poi rivelatesi false) in cui Pio XII si rivolge chiaramente a una specie di fidanzata. Sfila nel diario tutto un mondo. De Gasperi pensoso, Dossetti irrequieto, La Pira ardente, Fanfani volitivo. E Nenni, e i comunisti. Ecco: a distanza di anni, davvero colpisce nei diari tavianei l'intensità con cui la Dc cerca a tutti i costi - e trova, non c'è dubbio - un rapporto di convivenza con il Pci. E di nuovo occorre tornare ai segreti rivelati se nel gennaio del 1955, in piena Guerra Fredda, i servizi italiani scoprono che l'Urss ha appena finanziato il pci con un cifra che corrisponde a 40 miliardi di oggi. Ebbene, in una riunione con Scelba e Martino, si decide di far finta di niente: "Abbiamo sempre detto che il Pci è pagato da Mosca. Ma dare pubblicità alle carte di quel finanziamento comporterebbe necessariamente mettere al bando il Pci. Dunque la guerra civile". Taviani arriva a corteggiare apertamente il Pci a metà anni settanta. Nel 1975 prova a convincere addirittura la Cia dell'affidabilità di Berlinguer; e l'anno dopo a Mosca sonda i sovietici se nel quadro della distensione sarebbero disposti a comprendere un governo che veda insieme Dc e Pci... Come poteva uno come lui, pure profeta inascoltato di Tangentopoli, comprendere quel che stava per accadere? Eppure "il nome di Di Pietro - scrive - è forse l'unico fra gli italiani degli anni novanta che rimarrà nella storia e non nella cronaca. Proprio come vi restò Giovan Battista Perasso detto Balilla. Con una differenza; che quest'ultimo, gettato il sasso, non pretese rimanervi nella storia, al punto tale che alcune balzane correnti storiografiche ne contestano l'identità". Riflessione tortuosa, ma efficace: molto democristiana.
 Filippo Ceccarelli

8 maggio 2002 - STRAGE QUESTURA DI MILANO: NEAMI IN ATTESA PROCESSO D'APPELLO
"Il Piccolo"
Da due anni è in libertà con l'obbligo di presentarsi due volte alla settimana ai carabinieri. Sta ancora e inutilmente cercando prove che lo scagionino
Neami: "Se condannato, mi lascerò morire"
Insiste nel definirsi assolutamente estraneo alla strage del '73 a Milano
TRIESTE - Conta i giorni che mancano all'apertura del processo d'appello. Conta i giorni con speranza alternata a paura Francesco Neami, 56 anni, l'ex militante triestino di Ordine Nuovo condannato in primo grado all'ergastolo per aver partecipato all'organizzazione della strage alla questura di Milano del 17 maggio 1973. Quattro persone furono dilaniate da una bomba destinata all'allora ministro degli Interni Mariano Rumor. L'ordigno fu lanciato dal sedicente anarchico individualista Gianfranco Bertoli.
Conta i giorni Francesco Neami ma ormai siamo agli sgoccioli: ancora una settimana e si troverà di fronte ai giudici della Corte d'assise d'appello. Ore 9 del 15 maggio, palazzo di Giustizia di Milano. "Imputato si alzi".
E' l'ultima chance che la legge gli offre per cercare di scardinare l'apparato accusatorio costruito in anni e anni di indagine. Negli ultimi due anni, nonostante la condanna all'ergastolo, Neami ha vissuto da uomo libero o quasi e ha occupato tutto il suo tempo a cercare prove e indizi che confermassero la sua tesi d'innocenza, il suo alibi. Unica restrizione l'obbligo di presentarsi il martedì e il venerdì nella stazione dei carabinieri di via Hermet. Una firma, un saluto, una libertà limitata e sorvegliata.
La ricerca di prove per "discolparsi" nel processo d'appello era iniziata pochi giorni dopo la sentenza di primo grado che gli ha inflitto la massima pena prevista dal Codice. Era l'11 marzo 2000. Uno squillo del telefonino, la parola "ergastolo", il mondo che crolla.
"L'ho saputo dal mio difensore. Erano le 11.30 del mattino e da quel momento sono entrato in un tunnel. Speranze e incubi. Non auguro a nessuno questa altalena di sentimenti tra volontà di spiegare l'innocenza negata e la paura di un secondo processo. Ho vissuto e vivo con angoscia e rabbia, rafforzate dalla coscienza di essere estraneo a quella strage. Gianfranco Bertoli non l'ho mai visto, nè conosciuto anche se un pentito, un ex camerata, a più di 25 anni dalla strage, dice che io l'ho addestrato e tenuto sotto sorveglianza in un appartamento-covo di Verona.
"Secondo l'accusa - spiega Neami - l'addestramento risale al marzo del 1973: prima o seconda settima di quel mese. In quei giorni era appena nato il mio primo figlio e poco dopo mi ero sposato. Per confermare che all'epoca ero a Trieste e non a Verona, ho chiesto alla questura e ai carabinieri, ma anche alla Telecom e alle Poste di trovare in archivio antiche registrazioni di eventuali accessi alla mia abitazione. Se mi sono stati recapitati lettere raccomandate, atti giudiziari, querele o altre notifiche, qualcosa deve essere rimasto scritto nei registri. Ero un militante di Ordine Nuovo e più volte ho avuto a che fare con magistratura e polizia. Le mie istanze alla questura non hanno avuto risposta. I carabinieri mi hanno rimandato alla Procura che a sua volta ha ritenuto di non comunicarmi alcunchè. Un fragoroso silenzio. La Telecom si è limitata a dire che per le intercettazioni cui ero stato spesso sottoposto in quegli anni aveva unicamente fornito le linee agli inquirenti. Null'altro. Non una data, non un riferimento. Ecco perché ritengo che il mio diritto di difesa sia stato per lo meno compresso. A 27 anni di distanza dai fatti è difficile ricordare, fornire un alibi. Specie se si è innocenti".
"Sono stato un militante di estrema destra. Un militante duro anche in piazza. Non rinnego nulla della mia vita. Rifarei tutto ciò che ho fatto perché non ho nulla di cui vergognarmi. Ho pagato e sto pagando ma mi sento ancora fascista e credo nei valori della Repubblica sociale: carta di Verona, socializzazione. Credo in Dio e per questo sono contrario alla pena di morte. Se la condanna all'ergastolo dovesse essere confermata anche in appello non mi sottrarrò alla giustizia. Non scapperò anche se alla mia età, 56 anni, la condanna al carcere a vita equivale alla morte. Non mi suiciderò ma farò come gli irlandesi dell'Ira: sciopero della fame e della sete, congiunto a quello delle medicine. Sono ammalato cronico e in dieci giorni toglierò il disturbo".
Scandisce le parole Francesco Neami. Parla lentamente, precisa, puntualizza, mette a fuoco. Parla di vecchi militanti, di anni difficili, di processi, di chi l'ha lasciato solo in questa situazione. Cerca solidarietà, forse anche si commuove. E' mille miglia lontano dal militante di Ordine Nuovo che negli anni Sessanta e Settanta scendeva in piazza a ogni richiamo.
"Non credo più che i mascalzoni stiano solo da una parte. Non basta una tessera o un'idea politica per diventare galantuomini, diavoli o angeli. Ci vuol ben altro. La memoria storica, il passato, la tradizione, devono essere coltivati, non rimossi com'è accaduto per tanti, troppi anni. Sono d'accordo al 100 per cento con Roberto Menia. E' vergognoso che a 57 anni di distanza dalla fine della guerra si discrimini tra morti buoni e morti cattivi. Non parlo di idee e di progetti politici, parlo di gente che ha pagato comunque con la vita. Certo, l'Italia sta cambiando, apprezzando i temi che noi avevamo proposto tanti anni anni fa. Oggi il clima politico è molto diverso da quello in cui è stato celebrato il processo in cui mi hanno inflitto l'ergastolo. Uno dei pentiti dell'inchiesta sulla strage di piazza Fontana, Martino Siciliano, ha ritrattato e anche questo avrà i suoi riflessi sull'inchiesta che mi ha coinvolto. Comunque temo le conseguenze dello scontro in atto tra magistrati e governo. Come imputato non credo di essere favorito dalla radicalizzazione delle posizioni. Ci serve invece un giudizio sereno, in cui gli atti possano esser letti tranquillamente e senza passioni. Lì dentro c'è la prova della mia innocenza"
Claudio Ernè

E con lui tra gli imputati
Maggi, Spiazzi e Boffelli
TRIESTE - Francesco Neami non sarà solo sul banco degli imputati mercoledì prossimo a Milano. Con lui due anni fa sono stati condannati all'ergastolo con l'accusa di strage il medico mestrino Carlo Maria Maggi, già referente di "Ordine Nuovo" per tutto il Triveneto; il colonnello dell'esercito Amos Spiazzi, assurto alla ribalta pubblica assieme alla "Rosa dei Venti", una delle tante organizzazioni di estrema destra nate all'inizio degli Anni Settanta; l'ex mercenario Giorgio Boffelli, stretto collaboratore di Maggi.
La Corte d'assise ha anche condannato a 15 anni l'ex generale Gian Adelio Maletti, già al vertice del Sid, il Servizio segreto militare e 10 anni di reclusione sono stati inflitti a Gilberto Cavallini.
Prosciolti gli ex ordinovisti e ora "pentiti" Carlo Digilio e Martino Siciliano. Quest'ultimo di recente ha cambiato nuovamente schieramento e dichiarazioni. Se prima le sue ammissioni avevano contribuito a far condannare i presunti responsabili della strage alla Questura del 1973 e di quella di piazza Fontana del 1969, ora un suo memoriale scagiona Delfo Zorzi condannato all'ergastolo. Vive in Giappone e ne è diventato cittadino. "Non ha nulla a che fare con piazza Fontana. Mi sono pentito di aver collaborato con la Giustizia italiana" sostiene Siciliano.
Autore materiale della strage alla Questura, in via Fatebenefratelli, è Gianfranco Bertoli, sedicente anarchico individualista, morto un anno fa. Lanciò una bomba a mano contro la gente che stava uscendo dal palazzo dove era stato commemorato il commissario Luigi Calabaresi. Quattro morti, 45 feriti. All'attentato sfuggì l'allora ministro degli Interni Mariano Rumor, vero obiettivo della bomba. Per Ordine Nuovo, secondo le indagini del giudice istruttore Antonio Lombardi- Mariano Rumor era 'colpevole' della linea dura del governo contro l'estrema destra.

9 maggio 2002 – APPELLO ALLA RAI PER RITRASMETTERE ‘LA NOTTE DELLA REPUBBLICA’
"L' Unione Sarda"
Alla Rai: "Ritrasmettetela" Appello per l'inchiesta "La notte della Repubblica"
Don Luigi Ciotti e Rita Borsellino sono i primi firmatari di un appello ai vertici Rai perché sia ritrasmesso, "magari nell'ambito di Rai Educational, o in orari meno penalizzanti", il programma di Sergio Zavoli "La notte della Repubblica", "un'inchiesta di grande profilo civile e culturale". L'iniziativa è stata presa dopo "i nuovi, barbari omicidi di stampo terroristico" come quello di Biagi. L'appello è firmato anche da Olga D'Antona, Rita Levi Montalcini, Mariapia Fanfani, Ermanno Olmi, Franco Zeffirelli, Vittorio Foa, Giano Accame, Pietro Scoppola, Folco Quilici, Mario Morcellini, Giovanni Bollea, Pasquale Squitieri, Lucio Villari, Francesco Rosi, Cecilia Gatto Trocchi, Gillo Pontecorvo, Dario Antiseri, Giuseppe De Rita, Paolo e Vittorio Taviani.

13 maggio 2002 - STRAGE QUESTURA DI MILANO:IL 15 COMINCIA PROCESSO APPELLO
"Il Nuovo"
Strage Questura: processo d'appello per Ordine Nuovo
Secondo grado di giudizio per gli estremisti di destra veneti condannati per la strage alla Questura di Milano del 17 maggio del 1973. La prima udienza è fissata per mercoledì 15.
MILANO - Il processo per la strage alla Questura di Milano del 17 maggio 1973 avrà inizio mercoledì, davanti ai giudici della Corte d'Assise d'appello di Milano. I giudici hanno già fissato tre udienze e il processo potrebbe concludersi nelle prime settimane di giugno.
Gianfranco Bertoli, un mercenario che risultò essere il braccio armato di Ordine Nuovo, fu condannato all'ergastolo per aver lanciato la bomba che uccise quattro persone e ne ferì 45. Sulla strage alla Questura di Milano fu aperta un'altra inchiesta nei primi anni '90, grazie alle indagini dei giudici Salvini e Lombardi. L'indagine portò al processo conclusosi l'11 marzo del 2000 con la condanna all'ergastolo per gli esponenti veneti di Ordine Nuovo Carlo Maria Maggi, Francesco Neami e Giorgio Boffelli e dell'ex colonnello della 'Rosa dei Venti' Amos Spiazzi.
I giudici, in primo grado, condannarono a 15 anni di carcere anche il generale Gianadelio Maletti, ex capo del reparto D del Sid: Era in possesso di preziose informazioni sull'organizzazione dell'attentato ma non le rese note.
Per gli altri militanti di Ordine Nuovo ci furono condanne meno pesanti: 10 anni per Gilberto Cavallini, sei anni e sei mesi per Ettore Malcagni, sei anni per Enrico Caruso e per Lorenzo Prudente. I due pentiti storici delle inchieste sul terrorismo di destra, Martino Siciliano e Carlo Digilio, furono prosciolti.
Le motivazioni della sentenza di primo grado descrivono così l'episodio: la strage venne organizzata per uccidere Mariano Rumor che quella mattina era in visita alla questura di Milano. Rumor era ritenuto "colpevole" di aver iniziato il processo per la messa fuori legge del movimento Ordine Nuovo. La difesa degli imputati sostenne la totale infondatezza della tesi accusatoria: a firmare il decreto di scioglimento del gruppo fu il ministro degli Interni Paolo Emilio Taviani, e non Rumor. I giudici di primo grado precisarono: fu Taviani a firmare lo scioglimento del gruppo estremista "in epoca, sia pur di poco, successiva alla strage". Ma: "La deposizione dell'onorevole Rumor consente di comprendere che egli avviò il meccanismo che fu poi portato a compimento sul piano politico da chi ne aveva rilevato la carica di ministro degli Interni, avendo assunto egli quella di presidente del Consiglio dei ministri".
Ad accusare il movimento estremista anche Vincenzo Vinciguerra, condannato all'ergastolo per la strage di Peteano. Pur non essendo un collaboratore di giustizia - motivo per il quale ha sempre rifiutato ogni sconto di pena - Vinciguerra ha preso le distanze dal mondo dell'eversione e nel 1984 spiegò al giudice istruttore di Bologna quello che sapeva sulla strage di Milano.
Nel 1972 Carlo Maria Maggi e Delfo Zorzi gli proposero di uccidere Mariano Rumor. Vinciguerra non accettò, insospettito dalle dichiarazioni dei due a proposito della scorta di Rumor: "Rifiutai - ha spiegato - avendo cominciato a nutrire seri dubbi sulle figure di Maggi e Zorzi e sul loro inquadramento nei servizi di sicurezza".
Delfo Zorzi, condannato all'ergastolo insieme a Carlo Maria Maggi per la strage di Piazza Fontana, non fu mai indagato per la bomba alla Questura: Vinciguerra rifiutò l'incarico e gli ordinovisti dovettero cercare un altro killer. Zorzi, infatti, partì per il Giappone prima del "reclutamento" di Bertoli. Di Gianfranco Bertoli, un mercenario che aveva operato in Libano e in Israele, parla Carlo Digilio: era stato addestrato alla strage in un appartamento di Verona di proprietà di Marcello Soffiati e in caso di arresto avrebbe dovuto dichiarare di essere un "anarchico individualista" e che non aveva altri complici.
I giudici di primo grado spiegarono che la strage poteva essere evitata perché 'annunciata da più parti': "L'eccidio - scrivono i giudici - si inserisce a pieno titolo nella strategia della tensione che in quegli anni ha avuto di mira la destabilizzazione del Paese, in realtà per 'stabilizzarlo'. Che tra i protagonisti della strategia della tensione vi era la cellula eversiva di Ordine Nuovo di Venezia-Mestre, incontrastato capo carismatico della quale era Carlo Maria Maggi. Tale cellula sopravvisse alla riunificazione con il Movimento sociale italiano, che fu solo di facciata".
Esiste poi un memoriale, scritto dal pentito Martino Siciliano e inviato dalla Colombia, luogo in cui vive da anni, nel quale dichiara false le accuse mosse agli ex camerati per la strage di Piazza Fontana. Nel memoriale non ci sono riferimenti alla strage della Questura ma, probabilmente, i difensori degli imputati riterranno utile produrlo agli atti.

15 maggio 2002 - AL VIA PROCESSO APPELLO PER STRAGE QUESTURA DI MILANO
"Liberazione"
Quella bomba contro Rumor e i diari di Taviani Milano, strage alla Questura: al via l'appello Saverio Ferrari Prenderà il via oggi a Milano, davanti alla terza Corte d'Assise d'Appello, il processo di secondo grado per la strage in Via Fatebenefratelli del 17 maggio 1973. Quel giorno, come è noto, alla fine di una cerimonia tenutasi nel cortile della Questura di Milano, in occasione del primo anniversario dell'uccisione del commissario Luigi Calabresi, venne lanciata una bomba a mano che, battendo contro uno degli stipiti del portone d'ingresso, esplose tra la folla assiepata sul marciapiede: 4 i morti e 45 i feriti. Immediatamente fu arrestato sul posto, come autore materiale della strage, Gianfranco Bertoli che si proclamò anarchico. Disse anche di aver agito da solo per vendicare la morte di Giuseppe Pinelli. La bomba secondo il suo racconto, proveniva da un kibbutz israeliano e aveva viaggiato con lui fino a Milano.
Bertoli venne condannato all'ergastolo, ma le sue parole non furono mai credute da nessuna Corte giudicante e le indagini proseguirono. Sul suo nome, per altro, non calò mai il silenzio: molti anni dopo, nel 1991, il suo nominativo comparve negli elenchi di Gladio (nonostante una quanto mai imbarazzata smentita del Sismi per presunta omonimia) e soprattutto su di lui si appuntarono nel corso degli anni i racconti di diversi testimoni e pentiti interni ai gruppi stragisti neofascisti che lo dipingevano non come un anarchico ma come "un buon camerata".
Da Bertoli a Maletti
La svolta si ebbe con la decisione del giudice istruttore Antonio Lombardi che, dopo un lunghissimo supplemento d'inchiesta, rinviò a giudizio il 21 luglio del 1998 altre sette persone per concorso nella strage. La sentenza-ordinanza di rinvio ed i nomi degli imputati rovesciarono totalmente la ricostruzione precedente. La strage era stata ideata e organizzata da Ordine Nuovo, il gruppo neonazista fondato da Pino Rauti e Giulio Maceratini, per colpire l'onorevole Mariano Rumor, allora ministro degli Interni, "traditore" ai loro occhi del progettato "colpo di Stato" dopo le bombe del 12 dicembre 1969, quando rivestiva la carica di presidente del Consiglio. Bertoli, in questo quadro, risultava semplicemente essere stata una pedina di un più vasto disegno. La vera natura della sua figura emergeva ora in modo inequivocabile: finto anarchico, agente prima del Sifar poi del Sid con il nome in codice "Negro".
Il resto è storia recente: il 6 aprile del 1999 si apriva a Milano il nuovo processo, l'11 marzo 2000 la Quinta Corte d'Assise condannava all'ergastolo Carlo Maria Maggi (ritenuto il mandante della strage, capo indiscusso di Ordine Nuovo nel Triveneto, condannato successivamente anche per la strage di Piazza Fontana); Giorgio Boffelli (ex-legionario, interno al gruppo di Ordine Nuovo, ritenuto dalla Corte uno degli addestratori dello stesso Bertoli); Francesco Neami (altro addestratore del Bertoli a Verona); Amos Spiazzi (ex-colonnello dell'Esercito in pensione, già inquisito per la "Rosa dei Venti", capo di Ordine Nuovo a Verona, città dove Bertoli venne "istruito" al lancio della bomba a mano, tipo ananas, procurata tramite la base Nato di Verona). Insieme a loro veniva anche condannato a 15 anni per occultamento di notizie riguardanti la sicurezza dello Stato Gianadelio Maletti, all'epoca capo del Reparto D del Sid.
Cia, servizi e fascisti
Il 3 agosto del 2001 con il deposito delle motivazioni della sentenza si metteva in evidenza come dietro la strage parte fondamentale avessero avuto i rapporti tra Ordine Nuovo, la Cia e i servizi segreti italiani. Le prove e i riscontri, invece, della conoscenza da parte dei vertici del Sid, prima della strage, delle intenzioni degli attentatori, erano all'origine della condanna del capo del Sid Giandelio Maletti, ora latitante in Sudafrica.
Proprio in questi giorni, ironia del caso, giunge in libreria il diario di Paolo Emilio Taviani ("Politica a memoria d'uomo"), pubblicato a quasi un anno dalla sua scomparsa dalla casa editrice Il Mulino. A questa vicenda della strage alla Questura Taviani, tra i fondatori della Dc e a lungo ministro degli Interni, ha dedicato alcune non trascurabile pagine. Due gli appunti. Il primo il 24 agosto del 1974, solo un anno dopo i fatti: "Bertoli. .. era manovrato da qualcuno. .. le vicende della preparazione accreditano l'ipotesi che tutto sia stato predisposto per accreditare la colpevolezza degli anarchici nella prima strage alla Banca dell'Agricoltura. I legami con Padova e Mestre sono stati accertati. A Padova e Mestre stanno di casa gli ordinovisti veneti". La seconda nota, scritta in anni più recenti, riguarda invece la figura di Gianadelio Maletti: "Nell'agosto 1974 ebbi il dubbio che egli fosse implicato nel rientro da Israele in Italia di Gianfranco Bertoli, al servizio dei cospiratori veneti di Ordine Nuovo". Parole pesantissime, scritte dopo ripetuti colloqui con i vertici della Polizia e dell'Antiterrorismo. Un ulteriore prova degli intrecci in quegli anni tra apparati statali e terrorismo neofascista.
Ora il processo d'appello. A quasi un anno dalla sentenza di condanna per le bombe del 12 dicembre 1969, alla Banca Nazionale dell'Agricoltura, e in attesa, fra qualche mese, di un nuovo rinvio a giudizio, sempre riguardante i fascisti di Ordine Nuovo, per la strage del 28 maggio 1974 di Piazza della Loggia a Brescia.

15 maggio 2002 - STRAGE QUESTURA DI MILANO: COMINCIA PROCESSO D' APPELLO
ANSA:
E' iniziato davanti alla terza corte d'Assise d'Appello con la relazione del giudice a latere il processo per la strage alla Questura di Milano il 17 maggio 1973 (4 morti e 45 feriti) causata dalla bomba a mano fatta esplodere da Gianfranco Bertoli, un legionario che si era fatto passare per anarchico individualista ma che in realta' altro non era che "il braccio armato" di Ordine Nuovo. In primo grado per la strage della Questura sono stati condannati all'ergastolo il colonnello della "Rosa dei Venti" Amos Spiazzi, l'ex ispettore di Ordine Nuovo del triveneto Carlo Maria Maggi, condannato all'ergastolo anche per la strage di piazza Fontana, e gli ordinovisti Giorgio Boffelli e Francesco Neami. A 15 anni di reclusione e' stato condannato l'ex capo dell'ufficio del Sid Gianadelio Maletti. A pene minori sono stati condannati: Gilberto Cavallini (10 anni), Ettore Malcangi (6,6 anni), Lorenzo Prudente (6 mesi) e Enrico Caruso (6 anni). In aula sono presenti solo tre imputati: Amos Spiazzi, Francesco Neami e Lorenzo Prudente. La pubblica accusa e' sostenuta dal sostituto procuratore generale Laura Bertole' Viale.

15 maggio 2002 - PROCESSO APPELLO STRAGE QUESTURA MILANO: DIFESE CHIEDERANNO DEPOSIZIONE ISRAELIANI
ANSA:
Uomini dei servizi segreti israeliani e del kibbutz di Karmia potrebbero essere chiamati a deporre al processo d'appello per la strage alla questura di Milano, iniziato oggi davanti ai giudici della terza Corte d' assise d'appello di Milano. I difensori degli imputati, infatti, sono intenzionati a chiedere la parziale rinnovazione del dibattimento per chiarire molti punti che, a loro giudizio, scagionerebbero i loro assistiti. Le testimonianze degli israeliani servirebbero a smentire cio' che i giudici di primo grado hanno scritto nelle motivazioni della sentenza, e cioe' che Gianfranco Bertoli, il mercenario che il 17 maggio del 1973 lancio' una bomba a mano davanti alla questura di Milano, uccidendo 4 persone e ferendone altre 45, non era un anarchico individualista, ma un uomo di Ordine Nuovo. Secondo i giudici Bertoli, tra il 1971 e il 1973, dal kibbutz di Karmia si reco' piu' volte a Marsiglia e anche in Italia. Sarebbe stato proprio durante uno di questi viaggi che avrebbe incontrato Carlo Maria Maggi, il quale gli avrebbe proposto l'attentato a Mariano Rumor davanti alla questura di Milano. Secondo la difesa di Maggi (avvocati Paolo Tebaldi e Carlo Taormina), invece, Bertoli era un anarchico individualista che agi' da solo e che non ebbe mai contatti con Ordine Nuovo, perche' rimase sempre nel kibbutz. Una tesi, quella dell'azione di un anarchico individualista, sempre sostenuta fin dall' arresto di Bertoli, bloccato subito dopo la strage e smentita solo qualche decennio dopo dalle indagini del giudice Lombardi, sfociate nel processo che ha portato alle condanne degli ordinovisti Carlo Maria Maggi, Giorgio Boffelli, Francesco Neami, dell'ex colonnello Amos Spiazzi e dell'ex capo dell'ufficio D del Sid, Gianadelio Maletti. Una tesi negata dall' allora ministro degli Interni Paolo Emilio Taviani del quale, proprio in questi giorni, e' uscito in libreria il diario. Gia' nel 1974 Taviani scriveva di essere certo che Bertoli non avesse agito da solo, ma per conto degli ordinovisti veneti. Inoltre aveva scritto di avere sospetti che nel suo rientro in Italia l'allora capo dell' ufficio D del Sid avesse avuto un ruolo. Su questo punto, tra l' altro, proprio recentemente in un archivio della questura milanese e' stata rinvenuta un'informativa dalla quale risulterebbe che Bertoli aveva una sorta di recapito postale in via Ponte Vetero a Milano. Amos Spiazzi, l'ex colonnello coinvolto nell'inchiesta della 'Rosa dei venti' e ora condannato all'ergastolo per la strage della questura, difeso dall'avvocato Roberto Bussinello, candidato sindaco a Verona per Forza Nuova, e' intenzionato a dare battaglia per dimostrare la sua innocenza. "Questa condanna - dice in una pausa dell'udienza - mi umilia perche' io sono un ufficiale e ho il senso dell'onore. Condanno la violenza e mai e poi mai avrei potuto partecipare ad un' azione che prevedeva la morte di civili". Spiazzi, che oggi e' impegnato in politica e a Sermide, un piccolo paese della provincia di Mantova, sostiene una lista che ha come simbolo il fascio della Repubblica di Salo', non nega le sue idee: "Io - dice - non rinnego il mio pensiero: sono anticapitalista e antimarxista, voglio recuperare la politica sociale del fascismo. Sono un ghibellino tradizionalista che combatte contro i mali della societa' moderna". Il processo, dopo la lunga lettura della relazione da parte del giudice a latere, e' stato aggiornato al 22 maggio prossimo quando prenderanno la parola il pg Laura Bertole' Viale, le parti civili e le difese.

22 maggio 2002 - PROCESSO APPELLO STRAGE QUESTURA MILANO: MAGGI, OPERA DEI SERVIZI SEGRETI
ANSA:
Carlo Maria Maggi, l' ideologo di Ordine Nuovo in Veneto, condannato all' ergastolo per la strage di piazza Fontana, si e' presentato oggi in aula al processo d' appello per la strage alla Questura di Milano del 17 maggio 1973 (quattro morti e 45 feriti) per la quale, in primo grado, era pure stato condannato al massimo della pena. A causa del suo stato di salute Maggi non e' in carcere e ha come unico obbligo quello di risiedere a Venezia. "Voglio partecipare a questo processo - ha detto appoggiandosi al bastone - perche' voglio vedere come va a finire. Mi sembra che fino ad ora mi abbiano appioppato ergastoli con troppa facilita'". Il suo legale, nel corso dell' udienza, ha chiesto la rinnovazione del dibattimento per vari motivi, tra i quali il memoriale che qualche mese fa il pentito Martino Siciliano ha inviato alla magistratura. Un memoriale nel quale Siciliano, che per un decennio ha accusato Maggi, Delfo Zorzi e tutto il mondo di Ordine Nuovo per le stragi e gli attentati avvenuti alla fine degli anni Sessanta e dei primi anni Settanta, si rimangia tutte le accuse. "Non sono convinto - ha dichiarato Maggi - che Siciliano si sia pentito. Vorrei capire cosa c'e' dietro. Come diceva Giulio Andreotti la vita mi ha insegnato che a pensare male non si sbaglia mai. Certo che se questo pentimento fosse sincero sarebbe commovente". Le dichiarazioni di Martino Siciliano per quanto riguarda il processo per la strage della Questura di Milano sono abbastanza marginali. Piu' pesanti, contro Carlo Maria Maggi, sono quelle di Carlo Digilio e di Vincenzo Vinciguerra. "Digilio e' legato mani e piedi agli inquirenti - ha detto Maggi -. Vinciguerra, invece, all' epoca era solo un ragazzino. Le sembra possibile che io abbia proposto ad un ragazzino di eliminare Mariano Rumor?". Vinciguerra sta scontando l'ergastolo per la strage di Peteano per la quale si e' assunto tutte le responsabilita': "noi lo chiamavamo il 'minigorilla' o il 'rasoterra' per la sua statura. Forse ha sviluppato questo odio nei miei confronti perche' lo scherzavamo. Oppure perche' sapeva che noi avversavamo il suo amico Stefano Delle Chiaie che avevamo il sospetto fosse legato ai servizi segreti. Un sospetto che ho tuttora". Maggi, che ha ricoperto la carica di ispettore di Ordine Nuovo nel triveneto, esclude che la sua organizzazione abbia avuto un ruolo nelle stragi e a proposito del diario dell'ex ministro dell'Interno Paolo Emilio Taviani, pubblicato in queste settimane, nel quale e' scritto il contrario, afferma: "eravamo dei poveracci. Attorno a me e a Gastone Romani c'erano ragazzini del liceo". Allora dietro le stragi chi c'era? "I servizi segreti - risponde - e dietro quella della Questura penso abbia agito il Mossad israeliano che era il piu' efficiente".
Gian Adelio Maletti, ex capo dell'ufficio D del Sid, condannato a 15 anni di reclusione al processo di primo grado per la strage alla questura di Milano del 17 maggio 1973, per aver omesso di informare che era in corso l'organizzazione di un attentato ai danni di Rumor, sarebbe disposto a collaborare per la ricerca della verita'. In un memoriale, parte del quale e' stato prodotto oggi dal suo difensore al processo d'appello in corso a Milano, l'ex generale, che ora vive in Sudafrica dove ha acquisito la cittadinanza, spiega che, avendo ora la Cia declassificato i documenti segreti, si sente sollevato dal patto di segretezza. Non solo, nelle tre paginette prodotte oggi al processo, Maletti afferma anche che in effetti il capitano La Bruna gli disse che c'era chi era intenzionato ad eliminare Mariano Rumor ma che le bobine registrate non le fece sparire lui. Maletti spiega che se quelle bobine non sono state trovate e' perche' gli investigatori non sono stati capaci di trovarle. L'avvocato Federico Sinicato, patrono delle parti civili, e il sostituto procuratore generale Laura Bertole' Viale hanno dato il loro consenso all'acquisizione del memoriale di Maletti. "E' la prova - hanno sostenuto - della sua colpevolezza. E' vero che aveva avuto informazioni sull'attentato a Rumor e non le riferi"'. Sinicato ha quindi sottolineato il comportamento del generale Maletti: "Dice che oggi che la Cia ha tolto il segreto su alcuni documenti potrebbe parlare? Allora ci deve spiegare se e' stato un doppio agente e se era fedele all'Italia o agli Stati Uniti. E' 30 anni che cerchiamo di avere informazioni da Maletti, ma non le abbiamo mai avute". I giudici della Corte d'assise d'appello decideranno giovedi' prossimo se accogliere le istanze di rinnovazione del processo con l'ammissione di nuovi testimoni.

23 Maggio 2002 - PROCESSO APPELLO STRAGE QUESTURA DI MILANO: DAI GIORNALI
"Il Gazzettino"
MILANO Strage alla Questura, le accuse di Maggi: "C'entravano i servizi segreti e il Mossad"
Milano
Carlo Maria Maggi, l'ideologo di Ordine Nuovo in Veneto, condannato all'ergastolo per la strage di piazza Fontana, si è presentato ieri in aula al processo d'appello per la strage alla Questura di Milano del 17 maggio 1973 (quattro morti e 45 feriti) per la quale, in primo grado, era pure stato condannato al massimo della pena. A causa del suo stato di salute Maggi non è in carcere e ha come unico obbligo quello di risiedere a Venezia. "Voglio partecipare a questo processo - ha detto appoggiandosi al bastone - perché voglio vedere come va a finire. Mi sembra che fino ad ora mi abbiano appioppato ergastoli con troppa facilità". Il suo legale, nel corso dell'udienza, ha chiesto la rinnovazione del dibattimento per vari motivi, tra i quali il memoriale che qualche mese fa il pentito Martino Siciliano ha inviato alla magistratura. Un memoriale nel quale Siciliano, che per un decennio ha accusato Maggi, Delfo Zorzi e tutto il mondo di Ordine Nuovo per le stragi e gli attentati avvenuti alla fine degli anni Sessanta e dei primi anni Settanta, si rimangia tutte le accuse. "Non sono convinto - ha dichiarato Maggi - che Siciliano si sia pentito. Vorrei capire cosa c'è dietro". Le dichiarazioni di Martino Siciliano per quanto riguarda il processo per la strage della Questura di Milano sono abbastanza marginali. Più pesanti, contro Carlo Maria Maggi, sono quelle di Carlo Digilio e di Vincenzo Vinciguerra. "Digilio è legato mani e piedi agli inquirenti - ha detto Maggi -. Vinciguerra, invece, all'epoca era solo un ragazzino. Le sembra possibile che io abbia proposto ad un ragazzino di eliminare Mariano Rumor?". Vinciguerra sta scontando l'ergastolo per la strage di Peteano per la quale si è assunto tutte le responsabilità. Maggi, che ha ricoperto la carica di ispettore di Ordine Nuovo nel Triveneto, esclude che la sua organizzazione abbia avuto un ruolo nelle stragi e a proposito del diario dell'ex ministro dell'Interno Paolo Emilio Taviani, pubblicato in queste settimane, nel quale è scritto il contrario, afferma: "Eravamo dei poveracci". Allora dietro le stragi chi c'era? "I servizi segreti e dietro quella della Questura penso abbia agito il Mossad israeliano che era il più efficiente".

"L' Arena"
Il generale in aula per la strage alla questura di Milano
Processo Spiazzi Chiamato Cossutta
Il leader comunista citato come testimone
Carlo Maria Maggi, l ' ideologo di Ordine Nuovo in Veneto, condannato all ' ergastolo per la strage di piazza Fontana, si è presentato i eri in aula a Milano al processo d' appello per la strage alla Questura del capoluogo lombardo del 17 maggio 1973 (quattro morti e 45 feriti) per la quale, in primo grado, era pure stato condannato al massimo della pena così come il generale veronese Amos Spiazzi, anche lui coinvolto in questo processo d'appello . A causa del suo stato di salute Maggi non è in carcere e ha come unico obbligo quello di risiedere a Venezia. "Voglio partecipare a questo processo- ha detto appoggiandosi al bastone- perchè voglio vedere come va a finire. Mi sembra che fino ad ora mi abbiano appioppato ergastoli con troppa facilità".
Il suo legale, l'avvocato Paolo Tebaldi, nel corso dell' udienza, ha chiesto la rinnovazione del dibattimento per vari motivi, tra i quali il memoriale che qualche mese fa il pentito Martino Siciliano ha inviato alla magistratura. Un memoriale nel quale Siciliano, che per un decennio ha accusato Maggi, Delfo Zorzi e tutto il mondo di Ordine Nuovo per le stragi e gli attentati avvenuti alla fine degli anni Sessanta e dei primi anni Settanta, si rimangia tutte le accuse. "Non sono convinto- ha dichiarato Maggi- che Siciliano si sia pentito. Vorrei capire cosa c ' è dietro. Come diceva Giulio Andreotti la vita mi ha insegnato che a pensare male non si sbaglia mai. Certo che se questo pentimento fosse sincero sarebbe commovente".
Le dichiarazioni di Martino Siciliano per quanto riguarda il processo per la strage della Questura di Milano sono abbastanza marginali. Più pesanti, contro Carlo Maria Maggi, sono quelle di Carlo Digilio e di Vincenzo Vinciguerra. "Digilio è legato mani e piedi agli inquirenti- ha detto Maggi-. Vinciguerra, invece, all' epoca era solo un ragazzino. Le sembra possibile che io abbia proposto ad un ragazzino di eliminare Mariano Rumor?".
L'avvocato Tebaldi ha anche chiesto di ascoltare come testimone il leader dei Comunisti italiani Armando Cossutta.
L'avvocato Roberto Bussinello, che difende Amos Spiazzi, ha invece chiesto che vengano ascoltati come testimoni i due dirigenti veronesi di Ordine Nuovo. Il processo riprenderà giovedì 30 maggio.

"Il Giorno"
Strage questura
Parla Maletti Gian Adelio Maletti, ex capo dell'ufficio D del Sid, condannato a 15 anni di reclusione al processo di primo grado per la strage alla questura di Milano del 17 maggio 1973, per aver omesso di informare che era in corso l'organizzazione di un attentato ai danni di Rumor, si dice ora disposto a collaborare. In un memoriale, l'ex generale, che vive in Sudafrica, afferma che il capitano La Bruna gli disse che c'era chi era intenzionato ad eliminare Rumor ma che le bobine registrate non le fece sparire lui.

31 maggio 2002 – PROCESSO APPELLO STRAGE QUESTURA DI MILANO: CONVOCATO POLLARI, DIRETTORE SISMI
"L' Arena"
Udienza a Milano per la strage alla questura del 1974. La Corte d'assise d'appello si riserva di ascoltare anche altre persone informate sui fatti
Processo al generale Amos Spiazzi Testimonierà il direttore del Sismi
Il direttore del Sismi, Nicolò Pollari, è stato convocato per il 10 giugno prossimo all'udienza del processo d'appello per la strage alla Questura di Milano del 17 maggio 1973 (quattro morti e 45 feriti) , nel quale è imputato anche il generale veronese Amos Spiazzi condannato all'ergastolo in primo grado . Lo hanno deciso ieri i giudici della terza Corte d'Assise d'Appello di Milano, davanti ai quali si sta celebrando il processo, accogliendo un'istanza presentata dal difensore dell'ex capo dell'Ufficio D del Sid, Gianadelio Maletti. Il direttore del Sismi dovrà testimoniare in relazione all'arruolamento come informatore di Gianfranco Bertoli, autore della strage. I giudici che hanno respinto l'eccezione di nullità del processo di primo grado, hanno anche disposto l' acquisizione dei verbali dell'incidente probatorio di Carlo Digilio, pentito storico all' interno dei processi dell' eversione nera, per la strage di Brescia e le motivazioni della sentenza del processo per il Golpe Borghese. La Corte, per ora, si è riservata di decidere su altre istanze difensive tra le quali quelle di Amos Spiazzi, avanzate dall'avvocato Roberto Bussinello. Stesso discorso per la richiesta dell'avvocato Paolo Tebaldi, difensore di Carlo Maggi, il medico veneziano anche lui condannato all'ergastolo in primo grado. Tebaldi, nella scorsa udienza del 22 maggio, aveva chiesto di poter ascoltare come testimone il leader dei Comunisti italiani Armando Cossutta su alcune dichiarazioni fatte da altri personaggi sull'imminente attentato a Milano.

10 giugno 2002 - PROCESSO APPELLO STRAGE QUESTURA MILANO: POLLARI (SISMI), BERTOLI ERA INFORMATORE
ANSA:
Il sistema di archiviazione del Sid in relazione ai rapporti avuti con Gianfranco Bertoli, autore della strage alla Questura di Milano del 17 maggio 1973 (4 morti, 45 feriti), e' stata al centro della deposizione del generale Nicolo' Pollari, attuale direttore del Sismi. Pollari, sentito dai giudici della terza Corte d'Assise d'Appello di Milano, ha confermato che Bertoli e' stato un informatore del Sifar prima, e del Sid in seguito. Il generale ha anche confermato che Bertoli, che si e' sempre dichiarato anarchico individualista, ha avuto rapporti con i servizi segreti negli anni '50 fino al 1960. Pollari non ha invece confermato se Gianfranco Bertoli abbia o meno ripreso a collaborare con il servizio nel 1966. Esiste, infatti, agli atti la copertina di un fascicolo con il titolo 'Fonte negro' cioe' il nome ci copertura di Bertoli datato 1966. Secondo tre ex ufficiali del Sid, che avevano parlato della collaborazione di Bertoli negli anni '50 (Viezzer, Genovesi e Cogliandro) la fonte negro poteva essere stata riattivata nel 1966. Pollari ha spiegato che con ogni probabilita' quest'ultimo fascicolo e' in realta' stato aperto dopo la strage alla Questura nel '73 che la data 1966 fa riferimento alle norme di archiviazione.
L'ex capo del reparto 'D' del Sid, il generale Gian Adelio Maletti, ha scritto un memoriale ai giudici della terza Corte d'Assise d'appello, davanti ai quali si celebra il processo per la strage alla questura di Milano del 17 maggio 1973 (4 morti 40 feriti) per protestare la sua innocenza e per confermare che Gianfranco Bertoli, l'autore materiale dell'eccidio, che si e' sempre proclamato anarchico individualista, e' stato un informatore del Sifar fino al 1960. Maletti, da anni cittadino sudafricano, che e' stato condannato in primo grado a 15 anni di reclusione perche' avrebbe omesso di riferire notizie sull'attentato che stava per essere organizzato contro Mariano Rumor, ha raccontato nel memoriale che ebbe la prima notizia su Bertoli tra il 17 e il 18 maggio del 1973. "Ci pervenne da Israele la prima notizia della permanenza di Bertoli in quello Stato per cui mi attivai sia per inviare un agente in Israele e sia per contattare il centro C.S. di Genova, affinche' chiedesse informazioni all'omologo organo di Marsiglia". Bertoli, infatti, da Israele era giunto in Italia attraverso Marsiglia. In Israele, ha ricordato Maletti, venne inviato il capitano Di Carlo: "Al suo ritorno - ha scritto l'ex capo del reparto 'D' del Sid - notai dal testo del rapporto che da parte israeliana si era specificamente espresso il desiderio che, nei prevedibili contatti con il servizio francese, nessuna menzione venisse da noi fatta della collaborazione, nella specifica materia, da Israele". Dalla ricostruzione di Maletti, tra l'altro, risulta che il servizio francese non informo' quello italiano nonostante nel gennaio e nel novembre del 1971 Bertoli fosse stato schedato dal Reinseignements Generaux. L'ex capo dell'ufficio 'D' del Sid ha quindi sottolineato: "E' ben vero che noi sapevamo dal 14 dicembre 1974 della spiccata matrice neo-fascista dell'Istituto italiano di cultura di Marsiglia, attraverso la nota del centro di controspionaggio di Genova, compilata sulla base di notizie da fonte estera, ossia il Reinseignements Generaux, ma e' altrettanto vero che era stato proprio detto servizio francese ad escludere categoricamente con nota del 20 maggio 1973, cosi' come era stata proprio la Pg francese, con nota 20 giugno 1973, a negare di avere informazioni sul Bertoli". Dopo aver ribadito che Bertoli non fu mai un informatore del reparto 'D' del Sid, Maletti ha avanzato un'ipotesi esaminando una nota indirizzata al Ministero dell'Interno: "Cio' - ha scritto nel memoriale - mi richiama alla mente tutta una serie di considerazioni ed episodi riferiti a quel periodo di tempo e all'eversione di destra. Precisamente: la protezione assicurata a Delle Chiaie, importante e pericolosa figura dell'estremismo di destra, dall'Ufficio affari riservati del ministero dell'interno e specie dal suo capo, dottor D'Amato. La connivenza di elementi di quello stesso ministero con i golpisti di Junio Valerio Borghese cui furono virtualmente aperti accessi al Viminale (dove venenro rubate armi) la notte del 9 dicembre 1970". Lanciata questa ipotesi, Maletti ha concluso: "Non e' pertanto assolutamente da escludersi che un personaggio come Bertoli, a noi a malapena noto, fosse invece ben noto ad altri organi istituzionali. Mi pare dunque strano che il servizio israeliano si preoccupasse tanto di non far pervenire al servizio francese notizie su un guardiano di polli, se non avesse saputo che esistevano altri scenari, contatti e retroscena a noi non noti". Infine l'ex generale Maletti ha negato di avere "coperto" il Bertoli e di non sapere nulla sulla presunta manomissione dei nastri registrati dal capitano La Bruna con l'informatore Orlandini, che avrebbe segnalato che si stava organizzando un attentato a Rumor. "Informative (spesso risultanti da delicate e a volte rischiose penetrazioni di valenti operatori del 'D' negli ambienti dell'eversione di estrema sinistra, ad esempio le Brigate rosse o dello spionaggio straniero) - ha scritto Maletti - si affollavano letteralmente nella mia giornata di lavoro al reparto". E ha concluso: "L'ipotesi da taluno formulata che io possa aver fatto cancellare da un nastro registrato un quanto mai vago riferimento a imprecisate minacce al ministro degli interni allora in carica, mi sembra piu' che fantasiosa, semplicemente risibile".

17 settembre 2002 - PROCESSO APPELLO STRAGE QUESTURA MILANO: PROCESSO RINVIATO PER SCIOPERO AVVOCATI
ANSA:
Lo sciopero degli avvocati ha fatto saltare l' udienza di oggi al processo di secondo grado per la strage avvenuta il 17 maggio 1973 davanti alla Questura di Milano: in quell'occasione una bomba a mano lanciata da Gianfranco Bertoli contro la gente che usciva dopo la commemorazione del primo anniversario dell' uccisione del commissario di Pubblica Sicurezza Luigi Calabresi, provoco' quattro morti e una quarantina di feriti. La Corte d' Assise d' Appello ha preso atto della situazione ed ha aggiornato i lavori a venerdi' prossimo quando comincera' la discussione della causa con gli interventi delle parti civili (l' avvocato Corso Bovio per il Comune di Milano e l' avvocato Federico Sinicato per i familiari delle vittime). Seguira' la requisitoria del sostituto procuratore generale Laura Bertole' Viale il cui intervento durera' diverse ore. Il processo continuera' poi il 24, 25 e 26 settembre per le arringhe difensive, mentre l' udienza del 27 dovrebbe vedere le eventuali repliche e il ritiro del collegio giudicante in Camera di consiglio per preparare la sentenza.

20 settembre 2002 - PROCESSO APPELLO STRAGE QUESTURA MILANO: RAPPRESENTANTI ACCUSA
ANSA:
Al processo di secondo grado per la strage avvenuta il 17 maggio 1973 davanti alla Questura di Milano e' iniziata oggi la discussione della causa, e l'intera giornata e' stata dedicata alle voci d'accusa. I legali di parte civile, primi a parlare in mattinata, hanno sostanzialmente chiesto la conferma della condanna di primo grado con cui i principali imputati della vicenda, il medico veneziano Carlo Maria Maggi e l'ex colonnello Amos Spiazzi furono condannati all'ergastolo in relazione alla responsabilita' organizzativa dell'attentato materialmente compiuto da Gianfranco Bertoli (preso nell'immediatezza dell'episodio e condannato all'ergastolo). L'ordigno era destinato a colpire l'allora ministro degli Interni Mariano Rumor, che aveva assistito alla cerimonia di commemorazione del commissario di polizia Luigi Calabresi nel primo anniversario della sua uccisione. La macchina del ministro era pero' gia' uscita dalla Questura e la bomba fini' tra la gente che si trovava sul marciapiede, provocando la morte di quattro persone e il ferimento di altre 44. L'avvocato Federico Sinicato, parlando per conto dei familiari delle vittime, ha ricostruito l'episodio sottolineando soprattutto la credibilita' del pentito Carlo Di Gilio, le cui dichiarazioni hanno trovato ampia conferma. L' avvocato Corso Bovio ha pure chiesto la conferma della sentenza di primo grado, rilevando la legittimazione della costituzione nella causa del Comune di Milano per effetto delle ferita che quell'attentato rappresento' per la citta' la cui vita collettiva subi' un comprensibile turbamento. A meta' pomeriggio ha preso la parola i sostituto procuratore generale Laura Bertole' Viale, che ha iniziato la requisitoria ricordando come oggi sia il 20 settembre, data storica per lo Stato Italiano. Prima di addentrarsi nella ricostruzione dell'attentato nell'esame delle singole responsabilita', la rappresentante della pubblica accusa ha sottolineato come nell'esame della vicenda sia utile sganciarsi da ogni considerazione politica per giudicare secondo le regole del codice, in quanto, ha detto, "non ci sono differenze tra il terrorismo di destra e quello di sinistra". Durante la ricostruzione, fatta dal sostituto Pg Laura Bertole' Viale, dei molti sanguinosi attentati collocati nella cosiddetta strategia della tensione degli anni '60-70, le lacrime hanno fatto brillare gli occhi di una delle giudici popolari. L'intervento della rappresentante della pubblica accusa non ha trascurato alcun particolare: dalla vita del sedicente anarchico individualista Pierangelo Bertoli ai contatti degli ordinovisti veneti con personaggi delle istituzioni. In serata, considerando che il sostituto Pg avrebbe avuto ancora bisogno di un paio d'ore per concludere le sue argomentazioni, il presidente della Corte d'Assise d'Appello Santo Belfiore ha deciso di interrompere l'udienza aggiornandola per la prosecuzione e le richieste della pubblica accusa al 24 settembre prossimo. Poi cominceranno le arringhe difensive.

24 settembre 2002 - PROCESSO APPELLO STRAGE QUESTURA MILANO: CHIESTA CONFERMA PENE
"Il Nuovo"
Strage alla Questura, chiesta la conferma della pena
Quattro ergastoli confermati. E' quanto chiede il sostituto procuratore generale a conclusione della sua requisitoria sulla strage del 17 maggio 1973.
MILANO - Quattro ergastoli. Questa la conclusione della requisitoria per le pene inflitte in primo grado nel processo per la strage avvenuta il 17 maggio 1973 davanti alla Questura di Milano. Si tratta della conclusione del sostituto procuratore generale, Laura Bertolé Viale, nel processo che si è svolto davanti alla Corte d'Assise d'Appello.
Il massimo della pena dovrebbe essere confermato, secondo la richiesta, per Giorgio Boffelli, Carlo Maria Maggi, Francesco Neami e Amos Spiazzi. La vicenda riguarda le conseguenze della bomba a mano lanciata da Gianfranco Bertoli (già condannato separatamente) contro le persone che uscivano dalla Questura il 17 maggio '73, dopo la cerimonia di commemorazione del commissario di pubblica sicurezza Luigi Calabresi, assassinato un anno prima. L'ordigno avrebbe dovuto colpire l'allora ministro Mariano Rumor la cui auto si era però già allontanata. Nello scoppio rimasero uccise quattro persone e altre 44 riportarono ferite.
La rappresentante della pubblica accusa ha chiesto la conferma della condanna a 15 anni di carcere inflitta al generale Gianadelio Maletti, ex capo dell'ufficio D del Sid al centro di episodi di depistaggio. La sentenza potrebbe arrivare a fine settimana.

27 settembre 2002 - PROCESSO APPELLO STRAGE QUESTURA MILANO: TUTTI ASSOLTI
ANSA:
Dopo nove ore di camera di consiglio la Corte d' Assise d' Appello ha assolto tutti gli imputati accusati della strage avvenuta davanti alla Questura di Milano il 17 maggio 1973. Le assoluzioni per Francesco Neami, Giorgio Boffelli, Amos Spiazzi e Carlo Maria Maggi dall' accusa di strage sono state decise perche' il fatto non sussiste o per non aver commesso il fatto. I giudici hanno quindi completamente rovesciato la sentenza di primo grado, che aveva inflitto ai quattro la condanna dell' ergastolo. Assolto anche il generale Gianadelio Maletti che in primo grado aveva avuto 15 anni di reclusione.

"Una sentenza che viene a correggere un momento terribile della mia vita": l' ex colonnello dell' esercito Amos Spiazzi ha commentato con queste prime parole in questo modo la sentenza di assoluzione nel processo d' appello per la strage di 29 anni fa davanti alla Questura di Milano. Una sentenza che l' ex ufficiale ha ascoltato sull' 'attenti'. "Sono sempre stato una persona leale, e ho sempre disapprovato azioni commesse contro degli innocenti - ha detto Amos Spiazzi -. Sono azioni che non si possono giustificare ne' con un' ideologia, ne' con una religione. Non possono essere giustificate da nessun motivo". "Essere accomunato a un individuo che ha fatto una strage - ha proseguito l'ex ufficiale -, mi ha profondamente prostrato". Spiazzi ha infine commentato: "In questo diciannovesimo processo che subisco la verita' e' stata finalmente accettata dai giudici".

La decisione ha lasciato nello sconcerto le voci dell'accusa, sia pubblica che privata. In particolare, la rappresentante della Procura Generale, Laura Bertole' Viale, ha lasciato immediatamente l' aula garantendo che ci sara' un ricorso in Corte di Cassazione. In aula, al momento della lettura della sentenza da parte del presidente Santo Belfiore, c'era un solo imputato, l'ex colonnello Amos Spiazzi, che in attesa della sentenza ha sempre sostenuto di avere "fiducia nella giustizia". Il processo era iniziato nella meta' dello scorso maggio. In primo grado i giudici della Corte d' Assise avevano inflitto l' ergastolo a Boffelli, Maggi, Neami e Spiazzi. In quella occasione ci furono anche condanne per tre imputati minori accusati di ricettazione di passaporti: sei anni e sei mesi per Ettore Malcangi, sei anni per Enrico Caruso e Lorenzo Prudente. Anche per costoro le pene sono state cancellate, per avvenuta prescrizione. Sempre in primo grado ci fu il proscioglimento per i due pentiti della vicenda, Martino Siciliano e Carlo Di Gilio. Per effetto della decisione presa oggi dalla Corte d' Assise d' Appello sono state cancellate anche le pene accessorie relative al risarcimento dei danni ai parenti delle vittime, costituitesi parte civile con il patrocinio dell' avvocato Federico Sinicato, e al Comune di Milano, che era rappresentato dall' avvocato Corso Bovio. L' avvocato di Parte Civile dei familiari delle vittime, Federico Sinicato, ha cercato di contenere la sua evidente delusione alla lettura della sentenza di assoluzione per gli imputati nel processo d' appello per la strage della Questura di Milano. "Credevamo che in primo grado si fosse raggiunta una verita' processuale solida, utilizzabile - ha detto il legale -. La Corte d' Appello non ha ritenuto che ci fossero elementi a sufficienza. Leggeremo la sentenza: credo ci sara' un ricorso in Cassazione". Dopo le assoluzioni di oggi, in pratica, l' unico condannato rimane l' ex neofascista Gilberto Cavallini, condannato a 10 anni di reclusione, il quale non aveva presentato ricorso in appello. Il pentito 'storico' delle inchieste sul terrorismo di destra, l' ex armiere di 'Ordine Nuovo' Carlo Di Gilio ha avuto, invece, il reato prescritto proprio grazie alla sua collaborazione nel corso delle indagini sull' attentato di via Fatebenefratelli.

28 settembre 2002 - SENTENZA APPELLO STRAGE QUESTURA MILANO: DAI GIORNALI
"Il Corriere della sera"
Tutti assolti per la strage alla Questura
Milano, in appello cancellati quattro ergastoli. Scagionati gli imputati della pista nera: ora a rischio il processo su Piazza Fontana
MILANO - Tutti assolti dalla corte d'assise d'appello. Il nuovo giudizio per la strage della questura (17 maggio 1973: quattro morti e 45 feriti) si è chiuso proprio come lo storico processo di Catanzaro: i giudici di secondo grado hanno cancellato quattro ergastoli e scagionato tutti gli imputati della "pista nera", i neofascisti Carlo Maria Maggi, Francesco Neami, Giorgio Boffelli e il generale Amos Spiazzi. Resta così senza mandanti né complici un attentato pieno di misteri: l'esecutore, Gianfranco Bertoli, arrestato subito dopo aver scagliato una bomba a mano sulla folla, aveva confessato soltanto le proprie colpe ed è morto due anni fa da condannato all'ergastolo. La sentenza di ieri demolisce l'ultima istruttoria sul terrorismo di destra e annulla anche la condanna a 15 anni del generale dei servizi Gianadelio Maletti, che resta quindi colpevole solo dei depistaggi per piazza Fontana. Il verdetto smentisce totalmente il pentito Carlo Digilio, fondamentale anche nel nuovo processo sulla strage di piazza Fontana, dove sempre Maggi è tra i condannati in primo grado. Un ribaltone con ripercussioni politiche: Bertoli s'era sempre proclamato "anarchico individualista", mentre la precedente sentenza lo bollava come neofascista stipendiato dai servizi (Sifar e Sid). La Procura generale ricorrerà in Cassazione. LA STRAGE - La bomba di Bertoli colpisce la folla riunita in questura con il ministro Rumor per il primo anniversario dell'omicidio del commissario Calabresi. Dopo l'arresto Bertoli urla "viva Pinelli" e insiste di aver fatto "tutto da solo". Il giudice Antonio Lombardi (lo stesso istruttore del processo a Sofri) scopre che invece Bertoli fu accompagnato in questura da almeno un complice e che è appena rientrato in Italia dopo un misterioso biennio in Israele, con un passaporto rubato a un comunista. Le inchieste venete, poi, confermano che gli amici di Bertoli erano tutti neofascisti. L'ipotesi dell'accusa è che l'attentatore fosse soltanto una pedina, manovrata da terroristi neri per depistare le colpe sugli anarchici, come nel caso Valpreda.
I SERVIZI - Solo nei primi anni Novanta i servizi segreti confermano la scoperta di fondo della nuova istruttoria: "Dal 1954 al 1960" Bertoli ha effettivamente lavorato per il Sifar, come altri neofascisti. In primo grado i documenti convincono la corte d'assise che Bertoli è rimasto a libro paga dei servizi (ribattezzati Sid) fino al 1971 e probabilmente fino alla strage. In appello il nuovo capo dei servizi (oggi Sismi), Niccolò Pollari, smentisce invece che Bertoli abbia collaborato dopo il 1966, contraddicendo così i generali Viezzer e Cogliandro. Solo le motivazioni della sentenza chiariranno se la corte abbia azzerato il ruolo del Sid, riaccreditando Bertoli come vero anarchico, o giudicato solo irrilevante la sua affiliazione ai servizi.
ORDINE NUOVO - Dal 1995 anche Carlo Digilio, il primo pentito del terrorismo di destra, parla della bomba in questura e la collega a Piazza Fontana. Digilio sostiene che Bertoli fu "addestrato" alla strage da Maggi, capo di Ordine nuovo nel Triveneto, Boffelli, ex mercenario e suo guardaspalle, e Neami, neofascista di Trieste. A procurare soldi e coperture sarebbe stato l'allora colonnello Spiazzi, che fu assolto in appello nel processo trasferito a Roma contro la "Rosa dei Venti". L'accusa sembrava confermata anche da intercettazioni clandestine del Sid: bobine con le confessioni dei finanziatori del terrorismo, consegnate ai giudici solo dopo vent'anni. Per la loro distruzione era stato condannato il generale Maletti, ora assolto come tutti.
LE REAZIONI - Il generale Spiazzi ha ascoltato l'assoluzione sull'attenti, incredulo: "Sono emozionato. La Corte è stata onesta e ha riconosciuto la verità: ho sempre disapprovato le stragi di innocenti". L'avvocato Carlo Taormina, ex difensore di Maggi, esulta: "Dissi che i primi giudici volevano riscrivere la storia con la penna rossa. Ora la corte mi dà ragione".
"E' incredibile - commentano invece gli avvocati delle vittime, Sinicato e Bosisio -. Restiamo convinti che le condanne di primo grado rappresentassero una verità processuale incancellabile". Gelido il sostituto pg Laura Bertolè Viale: "Le sentenze non si commentano, s'impugnano".
LA BEFFA - Della precedente sentenza sopravvive soltanto la prescrizione concessa al collaboratore Digilio, che non ha fatto appello. Il risultato è che l'unico colpevole di strage, oltre a Bertoli, ora è proprio il pentito.
Paolo Biondani

"La Stampa"
TRE DECENNI FA, UNA CITTA´ DIVISA DAGLI OPPOSTI ESTREMISMI L´"annus horribilis" tra paure di golpe e utopie rosse Cominciò a gennaio con l´uccisione di un universitario e un mistero mai risolto
IL 1973, l´anno dell´attentato dinamitardo di Gianfranco Bertoli alla questura di Milano, non fu peggiore di quelli che lo avevano preceduto e di quelli che lo avrebbero seguito. Ma neppure migliore. Semplicemente fu pessimo, con Milano divisa fra l´angoscia per un "golpe" da destra fin troppo annunciato e l´utopia rivoluzionaria che pensava di opporglisi e una destra che dichiarava di combattere il comunismo da strada. Poco più di tre anni avanti c´era stata la bomba alla Banca dell´Agricoltura, in piazza Fontana, e la strage che aveva provocata venne chiamata "di Stato". Per la prima volta, quel giorno, la gente si era sentita vulnerabile, indifesa. Nessuno poteva saperlo, ma quell´ordigno micidiale che aveva assassinato 17 persone e ferite 88, era il prologo a una lunga stagione di violenza, ferocia, intolleranza e sospetti che, forse, neppur oggi è del tutto tramontata. Violenza da destra e violenza da sinistra. Quando lo presero, subito dopo aver scagliato la bomba, Bertoli sembrò uno venuto dal nulla. Con sé aveva una copia de "L´unico" del filosofo Kaspar Schnidt Stirner, detto "Max". E così venne indicato come anarchico individualista: un´etichetta troppo semplice o troppo complicata, in ogni modo inutile per spiegare quell´uomo e il suo gesto omicida che era costato la vita a quattro persone, mentre altre 44 erano rimaste ferite. L´obiettivo, si disse, sarebbe stato Mariano Rumor, ministro democristiano dell´Interno, che aveva partecipato alla cerimonia di commemorazione per l´assassinio del commissario Luigi Calabresi, quello che aveva indagato sulla bomba alla banca dell´Agricoltura e che era stato accusato dalla sinistra più radicale di aver scaraventato fuori dalla finestra della questura Giuseppe Pinelli, ferroviere anarchico fermato pochi giorni dopo l´attentato. La campagna contro il commissario pareva non dover finire: la sua fotografia veniva stampata sui giornali dell´ultrasinistra e qualcuno incitava a "fare giustizia". Lui rappresentava il potere e il potere era, agli occhi dei "proletari", il peggio del peggio. I fine settimana erano fine settimana "di lotta": i cortei con le bandiere rosse percorrevano le strade di Milano, dalle periferie al centro, a piazza San Babila, indicata come il cuore nero della città. "Sanbabilini" erano quei giovani della destra più cocciuta che contendevano ai gauchistes quel coriandolo di città, spranga contro spranga, ma anche coltello contro chiave inglese. Tempo di sommosse e tempo di lutti. Un giorno di marzo del `72 giovani della sinistra extraparlamentare riuniti in corteo tentarono di impedire un comizio del missino Giuseppe Nicolai. Ci fu uno scontro con la polizia e un candelotto centrò Giuseppe Tavecchia, 60 anni, impiegato, militante socialista: era l´11 marzo, tre giorni più tardi morirà all´ospedale. E il 15 salta in aria sul traliccio che stava minando l´editore guerrigliero Giangiacomo Feltrinelli: aveva 46 anni e il sogno di rispondere con le armi a quello che lui chiamava il pericolo della destra fascista. La morte di colui che, con sarcasmo, qualcuno chiamò il "Che Guevara dei Navigli", venne celebrata da tutta l´ultrasinistra che allora amava chiamarsi "rivoluzionaria". La temperatura in città era torrida, alcuni fra i giovani che partecipavano ai cortei avevano già fatto la scelta della clandestinità e della lotta armata. Alla manifestazione per le case popolari, in via Mac Mahon, mi disse di aver partecipato anche Alfredo Bonavita che, poco più tardi, sarebbe entrato nelle Brigate rosse, in quello che venne chiamato il gruppo storico. Ai cortei si andava con le bandiere attaccate ad aste grosse come travi, con le "bottiglie molotov" che più tardi sarebbero state definite "armi da guerra", con le spranghe. Le pistole fecero la loro comparsa più tardi, e rimane incerto chi per primo le abbia impugnate: i dimostranti o gli agenti in borghese usati troppo spesso come agenti provocatori. Giorni tremendi e il 17 maggio fu fra i peggiori. Un killer freddò per strada il commissario Calabresi e si aprì un ennesimo mistero che, qualcuno, ancor oggi vorrebbe insoluto. Naturalmente, non c´era soltanto Milano: a Gorizia, l´ultimo giorno di quel mese, un´auto imbottita di tritolo uccide tre carabinieri e ne ferisce altri due. Se la "P38" è l´arma della sinistra, le bombe sembrano quella della destra. Per l´attentato ai carabinieri viene accusato Ordine Nuovo. Il Paese sembra essersi cacciato in un tunnel da quale non soltanto non riesce ad uscire, ma neppure scorge la luce. Ed eccolo, l´annus horribilis che fa da cornice all´attentato di Bertoli. Si apre, il 23 gennaio, con il ferimento di Roberto Franceschi, universitario, militante nell´ultrasinistra: il giovane partecipava a un corteo davanti all´università Bocconi, raggiunto da un colpo di pistola sparato da un agente, morirà il 30 marzo in ospedale. E a maggio, la bomba dell´"anarchico individualista". Ma le indagini non impiegarono troppo tempo a mettere in luce una trama di intrighi che, purtroppo, ancor oggi dev´essere dipanata. Come troppe altre, del resto. L´anno dopo sarà quello della strage di piazza della Loggia a Brescia, e quella sul treno Italicus, attribuite alla destra assassina, quindi ci si immergerà nei così detti anni di piombo. Sul palcoscenico si alterneranno brigate rosse e terroristi neri, potere e contropotere, assassinii e sequestri, ricatti e colpi di mano. Sequestro Moro e strage alla stazione di Bologna, servizi segreti deviati e terroristi prezzolati. Decisamente quel 1973 non fu peggiore di quelli che lo avevano preceduto e di quelli che lo avrebbero seguito.

"Il Piccolo"
Ha atteso la sentenza a casa, in via D'Alviano: "Sono felice, finalmente la mia sofferenza e quella dei miei cari ha potuto concludersi"
Neami dall'ergastolo all'assoluzione
Il rigattiere triestino aveva sempre sostenuto la propria innocenza
Assolto. Francesco Neami, 56 anni, rigattiere triestino condannato due anni fa in primo grado alla pena dell'ergastolo per aver partecipato all'organizzazione della strage alla questura di Milano del 17 marzo 1973 da ieri sera si è liberato di un incubo. Assolti anche il medico veneziano Carlo Maria Maggi, il suo collaboratore Giorgio Boffelli e l'ex colonnello dell'Esercito Amos Spiazzi. La sentenza è stata pronunciata ieri verso le 20. I giudici hanno quindi completamente rovesciato la sentenza di primo grado, che aveva inflitto ai quattro la condanna all'ergastolo. Assolto anche il generale Gianadelio Maletti che in primo grado aveva avuto 15 anni di reclusione.
"Sono felice. - ha detto commosso Neami che ha atteso la sentenza a casa, in via D'Alviano - Finalmente la mia sofferenza e quella dei mei cari si è conclusa. Questa è la dimostrazione che in Italia ci sono giudici onesti che hanno un profondo coraggio intellettuale".
La Corte d'assise d'appello del Tribunale di Milano si era ritirata in camera di consiglio poco dopo le 11. Nove ore dopo il presidente Santo Belfiore ha pronunciato la sentenza liberatoria. L'altra mattina il sostituto procuratore generale Laura Bertolè Viale aveva chiesto per Neami e gli altri tre la conferma del giudizio emesso dalla Corte d'assise.
Ora per quella strage rimane un solo un colpevole: Gianfanco Bertoli, il sedicente anarchico individualista che quel giorno materialmente lanciò una bomba a mano contro la gente che usciva dopo la cerimonia di commemorazione del commissario Luigi Calabresi, assassinato un anno prima. Ma rimangono anche nuovi e vecchi misteri.
L'ordigno scagliato da Bertoli avrebbe dovuto colpire l'allora ministro Mariano Rumor, la cui automobile però aveva già lasciato la questura. Nello scoppio rimasero uccise quattro persone e altre 44 riportarono ferite. Bertoli è stato condannato all'ergastolo già qualche anno fa.
Francesco Neami era stato coinvolto in questa inchiesta dalle indagini del giudice istruttore Guido Salvini. A raccontare al magistrato milanese le trame dell'eversione nera, erano stati primi fra tutti gli ex ordinovisti mestrini Martino Siciliano e Carlo Digilio. A loro successivamente si erano affiancati alcuni veronesi, anch'essi militanti nella stessa organizzazione.
Gianfranco Bertoli, era entrato in questa brutta storia dopo essere stato "contattato" in un'osteria di Mestre, sua città natale, da Giorgio Boffelli. Dopo l'addestramento a Verona, sempre secondo l'accusa, Bertoli, per sviare le indagini, si era recato su indicazione dei mandanti in Israele per rientrare poi in Italia e compiere l'attentato. Una bomba tipo ananas, fu lanciata contro la gente che usciva dalla questura al termine di una cerimonia in memoria del commissario Luigi Calabresi.
"Sono innocente, vittima delle interessate dichiarazioni di alcuni pentiti" ha sempre affermato Francesco Neami che è entrato in questa brutta storia nel giugno del 1997, quando i carabinieri del Raggruppamento operativo speciale lo prelevarono dalla sua abitazione di via D'Alviano per trasferirlo nel carcere di San Vittore. Qualche settimana in cella e la provvisoria liberazione. Poi la devastante condanna all'ergastolo. "Nel processo di primo grado mi era stato chiesto un alibi a 23 anni di distanza dai fatti contestati, impossibile ricordarsi...". Ora mi hanno creduto. "Sono innocente".
Corrado Barbacini
 
 
 


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