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Su di un livello

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De la Rúa promette cambiamenti
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dicembre 1999 - Terra di opportunità, di certezze e di trasparenza, sono le proposte agli argentini del nuovo presidente di questa nazione, Fernando de la Rúa, dopo avere giurato come presidente di fronte al Congresso della nazione argentina, la mattina del 9 dicembre.
Ha detto che una componente insostituibile della sua gestione sarà quella di una profonda convinzione di servire la gente e non se stesso o gruppi privilegiati all’ombra del potere. Subito dopo ha affermato che chi si allontanerà da queste regole elementari sarà sottoposto ai giudici della nazione.
Il presidente ha segnalato che il governo che sta concludendo la sua gestione ha vissuto l’effetto degli anni della crescita globale, ha riformato lo Stato privatizzando imprese pubbliche, ha avuto stabilità monetaria mediante la convertibilità e ha condotto una politica di rigore nel paese per sistemare i conti; in cambio lascia un enorme deficit di bilancio non in linea alla Legge di Responsabilità Fiscale.
Ha segnalato che riceve, inoltre, la crescita dell’indebitamento delle province causata dall’indifferenza del potere centrale che si è disinteressato di loro, come pure l’abbattimento della protezione sociale ai pensionati, tra altri mali che il suo governo intende mettere a posto.
Dopo aver descritto i gravi problemi lasciati da dieci anni di menemenismo si è riferito al riorientamento della politica estera per una presenza più attiva e costruttiva nei confronti del MERCOSUR, dell’America Latina e dei Caraibi come una necessaria proiezione di integrazione.
Già nella residenza del Governo si è tenuta la cerimonia del passaggio di poteri, nella quale il presidente uscente Carlos Ménem ha consegnato al suo successore la fascia e il bastone presidenziali. Hanno presenziato gli omologhi del Brasile, Fernando Cardoso; del Cile, Eduardo Frei; del Paraguay, Luis Angel González Macchi; dell’Uruguay, Julio María Sanguinetti e il nuovo eletto Jorge Batlle; della Bolivia, Hugo Banzer; della Colombia, Andrés Pastrana; del Panama, Mireya Moscoso; e altre personalità politiche del resto del continente, d’Europa e dell’Asia.
La delegazione cubana che ha partecipato alla cerimonia delle consegne presidenziali, e che ha sviluppato in seguito un’intensa attività, era capeggiata da Abel Prieto, membro del Burò Politico e Ministro della Cultura, e composta inoltre da Alfredo Morales, Ministro del Lavoro e della Sicurezza Sociale, da Jorge Lezcano, presidente della Commissione per le Relazioni Internazionali del Parlamento, oltre ad altri funzionari.

L’alleanza dell’opposizione ha ottenuto anche la prima minoranza alla Camera dei Deputati
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ottobre 1999 – L’agenzia AFP ha informato che Fernando de la Rúa è stato eletto presidente nelle elezioni generali effettuate domenica in Argentina e prenderà possesso del suo incarico il prossimo 10 dicembre.
De la Rúa ha ottenuto il 48.5 % dei voti, vincendo così al primo turno elettorale.
Tutte le prime pagine della stampa di Buenos Aires hanno riportato il trionfo di De la Rúa, riproducendo l’immagine del vincitore e del suo compagno di alleanza, Carlos "Chacho" Alvarez, notizia che, tuttavia, ha diviso il suo protagonismo con la vittoria del candidato ufficialista Carlos Ruckauf (Partito Giustizialista) nella provincia di Buenos Aires, maggiore distretto elettorale del paese.
L’Alleanza Unione Civica Radicale-Fronte per un Paese Solidario che ha candidato De la Rúa, avrà il sostegno di una prima minoranza alla Camera dei Deputati e amministrerà un terzo delle 24 province del paese.
L’alleanza ha ottenuto un totale del 45.48 % dei voti per i deputati nazionali in tutto il paese, in cui venivano messi in gioco 116 dei 130 seggi (circa la metà dei 257 della Camera Bassa).
Il Senato, dove il Partito Giustizialista (PJ) ostenta una comoda maggioranza di 38 dei 72 seggi, contro i 34 dell’alleanza, verrà rinnovato completamente per voto diretto nel 2001.
Dei suoi attuali 106 seggi di deputati, l’alleanza passerà a contare fino al prossimo rinnovo, su 124 seggi, la prima minoranza della Camera, anche se non ha conquistato il quorum di 129 per ottenere la maggioranza.
A sua volta, il PJ, che aveva dal 1997 la prima minoranza con 122 seggi, resterà da dicembre con 106 deputati.
Un risultato molto significativo per i prossimi due anni è stato quello dell’Azione per la causa della Repubblica (AR), dell’ex ministro dell’Economia Domingo Cavallo il quale, con l’8.01 %, aumenterà da tre a dieci i suoi seggi e sarà decisivo, a partire da adesso, per il quorum che definisca l’Alleanza.

Ménem ha offuscato Duhalde
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settembre 1999 – Gli uomini dei sondaggi credono in Argentina che le sorti siano tratte. Solo un miracolo potrebbe far trionfare nelle elezioni presidenziali di ottobre il candidato dei laburisti, Eduardo Duhalde, che non riesce nemmeno a risolvere a suo favore la lotta con il presidente Carlos Ménem per la leadership peronista.
"Io sono il miglior candidato per vincere la Presidenza" ha detto Ménem che non riesce ad ammettere la fine vicina del suo mandato, al punto da offuscare il candidato del suo partito.
Ménem è stato eletto nel 1989 e ha riavuto la Presidenza nel 1995 grazie a una riforma costituzionale che gli ha permesso di candidarsi a un secondo mandato, pur avendo ridotto da sei a quattro anni il periodo di governo.
La costituzione non permette una terza gestione consecutiva, "ostacolo" che Ménem ha tentato di rimuovere senza riuscirvi.
Prima di dichiararsi "il migliore" in un programma giornalistico televisivo, Ménem aveva suggerito che Duhalde, governatore della provincia di Buenos Aires, fosse un candidato "da perfezionare". Ha fatto questo dopo mesi di competizione con lui per restare con il bastone di comando e la fascia presidenziale, come se si trattasse di avversari di un diverso partito.
La disoccupazione supera in Argentina il 15 % della popolazione economicamente attiva e la produzione è crollata, colpita dalle crisi dell’Asia, della Russia e del Brasile.
Il giorno dopo aver lanciato il suo programma di campagna, Duhalde aveva lanciato un’altra "bomba", avvisando che avrebbe applicato un piano segreto per svalutare la moneta se l’opposizione non avesse sottoscritto la sua idea di una concertazione per uscire dalla crisi.
Il peso argentino è ancorato al dollaro con parità uno a uno dal 1991. La svalutazione è per molti una parola maledetta, poiché quasi tutto l’indebitamento pubblico e privato è espresso in dollari.
Se si conferma la tendenza verso la quale convergono tutti i sondaggi, De la Rúa il 24 ottobre si avvantaggerà su Duhalde con un ampio stacco. Non si esclude che sia la peggiore sconfitta di un candidato del Partito Giustizialista (peronista) nella storia di questo movimento, fondato da Juan Perón più di 50 anni fa.


Il candidato alla presidenza chiede un vertice per il debito estero
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agosto 1999 - L’attuale governatore della provincia di Buenos Aires e candidato per il Partido Oficialista alla presidenza dell’Argentina, Eduardo Duhalde, ha chiesto al Papa Giovanni Paolo II di convocare per il 2000 un vertice di capi di Stato dell’America per trattare il problema del debito estero.
Per sradicare la povertà nel continente è necessario trovare una soluzione all’argomento del debito, ha riconosciuto Duhalde che sostiene la posizione del Vaticano di chiedere ai paesi ricchi la collaborazione con quelli più poveri.
Pur mostrandosi a favore del pagamento dei creditori, si è domandato a quale prezzo e ha precisato che devono essere create le condizioni affinché ciò non comporti l’impoverimento.
Dagli anni ‘80 Fidel Castro ha dimostrato che il debito estero del Terzo Mondo, per la sua entità e per le condizioni socioeconomiche di queste nazioni, risulta impagabile. Il Presidente cubano lo ha battezzato ‘il debito eterno’.
I paesi in via di sviluppo hanno pagato un miliardo di dollari dei loro debiti tra il 1983 e il 1990. Ma inevitabilmente i ritardi nei pagamenti e i nuovi prestiti hanno portato durante questa stessa decade il totale debitorio da 800.000 milioni di dollari a 1,5 miliardi.
Attualmente la cifra supera i due miliardi di dollari, dei quali gran parte di competenza dei 41 paesi altamente indebitati del mondo sottosviluppato, che vedono ostacolata la loro crescita economica e limitate le loro scarse risorse per la sanità e l’istruzione.
Uno dei settori che più soffre per questo forte drenaggio di denaro, è quello dei bambini.
Nel 1990, durante il Vertice Mondiale dell’Infanzia, 155 governi si sono impegnati a portare a termine svariati obbiettivi per il 2000, tra cui dimezzare la denutrizione dei minori di cinque anni, abbassare la mortalità e migliorare l’istruzione. Tuttavia, alle porte del nuovo millennio, il panorama dell’infanzia è ancora scuro.
Secondo un rapporto dell’UNICEF, nei paesi altamente indebitati la mortalità infantile è di un terzo maggiore, e quella materna quasi tre volte di più, di quella del resto del mondo in via di sviluppo. L’organizzazione Oxfam, con sede in Gran Bretagna, indica da parte sua che l’infanzia di questi paesi ha dieci volte meno probabilità di sopravvivere fino ai cinque anni che quella degli Stati Uniti.
Nazioni come il Nicaragua, con un debito di oltre 6.500 milioni di dollari, sperano nel condono di questo impegno per convogliare queste risorse verso l’investimento sociale e ridurre il baratro nel campo della sanità, dell’istruzione e dell’abitazione. L’Ecuador, uno dei più indebitati dell’America Latina, con un ammontare superiore ai 16.000 milioni, attraversa una severa crisi, con una disoccupazione di oltre il 18 % ed una povertà che incide per il 62,5 % della popolazione. L’Honduras spende il 60 % del suo Prodotto Interno Lordo per il pagamento del suo debito ingigantito e destina solo il 12 % all’istruzione.
Circa il 25 % dell’aiuto bilaterale che il Nord industrializzato offre al Sud indebitato, torna ai creditori in forma di pagamento del debito estero.
Benché in giugno i sette paesi più industrializzati hanno approvato la cancellazione di un terzo di quanto dovuto da alcune di queste nazioni, organizzazioni non governative e varie personalità politiche esortano alla cancellazione dell’ammontare totale.
Secondo l’agenzia IPS, il Papa avrebbe inoltrato alla Segreteria dello Stato del Vaticano la richiesta del candidato alla presidenza argentino, secondo il quale "senza il sostegno della Chiesa, sarebbe molto difficile andare avanti" nella soluzione di questo problema.
Ai governi, i cui popoli sono i veri indebitati, spetta assumere una posizione ferma davanti al flagello del debito estero.

La povertà non si piega con cifre macroeconomiche
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giugno 1999 - Anche se è riuscita a stabilizzare i prezzi, a frenare l’iperinflazione e registrare una crescita sostenuta del Prodotto Interno Lordo, l’Argentina non può nascondere il pesante aumento della povertà.
Secondo fonti della Banca Mondiale (BM), il 27.4 % delle famiglie, vale a dire 9.2 milioni di persone, vivevano al di sotto della soglia di povertà nel 1994. L’anno scorso i poveri erano già 13.4 milioni, il 36 % della popolazione.
Questo periodo coincide con il secondo mandato di Carlos Ménem, durante il quale la cifra degli indigenti è aumentata da 1.6 a 3.2 milioni di persone.
La pubblicazione di questi dati nel quotidiano del mattino ‘Página 12’ ha provocato il malessere del Governo e persino la stessa BM ha cercato di minimizzare l’importanza delle sue ricerche. Tuttavia le eloquenti cifre sono state poi riconfermate da vescovi della Chiesa Cattolica, in particolare dal presidente della Caritas Argentina, Rafael Rey, e da funzionari della stessa Segreteria dello Sviluppo Sociale, dipendente dalla Presidenza della nazione.
Durante il corrente mese, una funzionaria di questa Segreteria è stata sospesa dal suo incarico per aver diffuso che il 45 % delle bambine e dei bambini del paese nasce in case povere. Tuttavia, a seguito della denuncia del fatto da parte del giornale ‘Clarín’ e di altri media, Irene Novacovsky è stata reintegrata nel suo posto di lavoro.
L’evoluzione della macroeconomia non si riflette in una migliore distribuzione degli introiti. Anche nel 1994, quando si era verificato un picco nella crescita economica del paese, la disoccupazione era cresciuta oltre il 18 %. Anche gli indici macroeconomici stanno invertendo la rotta dalla metà del 1998. Nel secondo trimestre di quest’anno è crollata l’attività industriale e si prevede che per dicembre il Prodotto Interno Lordo regredisca di almeno l’1.5 %.
Perfino la polizia argentina riconosce la situazione di povertà, poiché anche lei ne soffre. Alcuni giorni fa l’agenzia IPS riferiva che un gruppo di donne di questo corpo armato nella provincia di Corrientes si è messo a reclamare il pagamento degli stipendi dovuti a maestri, medici, poliziotti e funzionari locali. "Non vogliamo uscire a reprimere i cittadini, ma accompagnarli nella loro pretesa, perché anche noi siamo persone e abbiamo figli che da due mesi non hanno né scuola né servizi sanitari", ha denunciato una delle insorte.

La dollarizzazione di Ménem
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giugno 1999 - Il presidente Carlos Ménem impiegherà la maggior parte del tempo che gli rimane di mandato per fare tutto il possibile riguardo alla dollarizzazione del paese.
Anche se argomenta che con questa misura impedirà che il futuro successore possa svalutare il peso (moneta nazionale) e contribuirà a diffondere più stabilità e crescita all'economia, molti considerano che il vero obiettivo del presidente sia quello di mantenersi in primo piano nel dibattito pubblico fino a dicembre.
Non è niente di nuovo. In realtà, Ménem ha lanciato per la prima volta l'idea della dollarizzazione nello scorso gennaio, nel mezzo della crisi valutaria brasiliana, come un approfondimento della convertibilità, che stabilisce un rapporto di uno a uno tra il dollaro e il peso.
Da quando entrò in vigore nel 1991, la legge di convertibilità obbliga la banca centrale a mantenere tanti dollari di riserva quanti pesos circolano nel mercato interno. Almeno sul piano macroeconomico si sono visti risultati, che hanno permesso all'economia argentina una crescita senza inflazione, fatto che ha riscosso grande simpatia tra gli imprenditori e tra gli economisti locali.
In cambio, il sistema ha reso il paese più vulnerabile alle crisi esterne, dovuto al fatto che non permette al Governo di far uso della politica monetaria. Per contrarrestare questa vulnerabilità, il Presidente ha tirato fuori dalla manica l'asso della dollarizzazione.
Per gli imprenditori la sparizione del peso non implica che svaniscano magicamente i tre mali che - secondo quanto dichiarato alla Reuters - incombono sull'economia argentina: il deficit pubblico, la rigidezza del mercato del lavoro e la forte pressione fiscale. Tantomeno sarebbe la bacchetta magica che toglie il paese dalla recessione in cui è affondato dopo la svalutazione del real brasiliano nel gennaio scorso.
Quello che si nasconde dietro la proposta di Ménem "è la confessione del crollo del paese, incapace di mantenere uno dei più importanti strumenti di sovranità: tenere la propria moneta", ha scritto qualche giorno fa l'ex presidente brasiliano José Sarney sul quotidiano brasiliano "Fohla de Sao Paulo". Riferendosi al Mercosur, ha espresso che un ampio spazio economico e politico nell'America del Sud non lo si costruisce con "pessimismo, sottomissione e milonghe stonate".
Riferendosi alla natura dei vincoli con gli Stati Uniti che presuppone la dollarizzazione, Sarney ha affermato che "invece di soci, avremo relazioni di dipendenza, senza condizioni per poter dire la propria opinione".
Nello stesso senso si è dichiarato lo stesso direttore del Fondo Monetario Internazionale, Michel Camdessus, per il quale sarebbe molto fattibile l'adozione di una moneta comune in America Latina prima della dollarizzazione e ha avvertito che "bisogna prestare attenzione, perché sono cose con pesanti conseguenze per i popoli". Ha ricordato che per arrivare all'euro, le nazioni europee hanno vissuto un processo di convergenza delle loro economie, senza che un solo paese si imponesse un impatto maggiore.
Tuttavia a Buenos Aires si dice che il Banco Central abbia già preparato il decreto per portare a termine il progetto e che lo emetterà nel caso in cui si produca una nuova crisi monetaria nel paese, secondo quanto pubblicato dal quotidiano finanziario tedesco "Handelsblatt".

Nuovo crimine: ci sarà castigo?
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maggio 1999 - La verità ha molteplici volti e può avanzare attraverso differenti strade. La verità, anche senza una voce che la proclami, vive quando incarna ciò che sente la gente. Questa verità, che fa male a chi viene denunciato e gonfia i petti di chi difende, non può morire - e non muore - né con torture, né con pallottole, né con aerei né con razzi.
Il giornalista argentino Ricardo Gangeme era - e continuerà a essere per il suo esempio - tra i pubblici portabandiera di questa verità, che anche affronta le mafie corrotte.
Per questo lo hanno assassinato a Chubut, territorio argentino, dove era il direttore di "Informador Chubutense". Questo giornale stava pubblicando una serie di notizie su un caso di corruzione in una cooperativa edilizia in quella località. Gangeme aveva ricevuto minacce dal proprietario della cooperativa, secondo la denuncia fatta al commissariato di quella provincia lo scorso fine settimana. Uno sparo alla testa ha posto fine alla sua vita pochi giorni dopo.
Con i precedenti di impunità per crimini ancora recenti nel giornalismo argentino - Mario Bonino e José Luis Cabezas - l'Unione dei Lavoratori della Stampa a Buenos Aires ha reclamato, con tutto il diritto, un'accurata indagine "che non può circondarsi di nessun tipo di impunità che protegga chi in qualunque modo sia coinvolto nel crimine".
L'Unione dei Giornalisti di Cuba, ricordando come la NATO pretenda di far tacere la verità jugoslava sopprimendo la sua televisione e gli altri mezzi di stampa e arrivi così ad assassinare tre giornalisti cinesi, fa suo l'appello della UTPBA alle autorità e alla giustizia argentina perché rivelino la verità sull'assassinio di Ricardo Gangeme.
Così come sta succedendo nell'europea Jugoslavia, la libertà di stampa e la democrazia hanno appena subito un nuovo e brutale colpo in Argentina. I colpi, uguali sia che provengano da una pistola o da razzi, cercano di ridurre al silenzio chi denuncia la corruzione o chi non si piega di fronte ai nuovi conquistatori. Di fronte a questi crimini, bisogna sperare che arrivino anche dei castighi, nonostante alcuni ritardino più di altri.
Unione dei Giornalisti di Cuba.

Delinquenza e sfiducia politica
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maggio 1999 - Gli alunni di una scuola dell'area suburbana di Buenos Aires si sono rifiutati per alcuni giorni di andare a scuola senza scorta, dopo che 600 di loro erano stati presi come ostaggi da tre ladri che volevano rubare lo stipendio degli insegnanti.
In effetti, il crescente indice di delinquenza è la principale preoccupazione degli argentini, dopo la disoccupazione, secondo i sondaggi di opinione diffusi dalla stampa locale. A tal punto, che l'argomento viene ampiamente utilizzato dai politici che pretendono di ricoprire incarichi alle elezioni generali di ottobre, secondo quanto riportato da EFE.
Il Presidente Carlos Ménem ha ordinato di mobilitare tutte le forze di sicurezza del paese, che si sommeranno alla Polizia Federale e provinciale per pattugliare le strade della capitale, dove la metà degli intervistati dall'Istituto di Politiche Pubbliche e di Sicurezza Urbana hanno detto di avere subìto aggressioni nell'ultimo anno.
Per il Presidente, la mancanza di lavoro e l'acuirsi della povertà e dell'emarginazione non sono la causa dell'incremento dei delitti. Secondo la sua opinione, ciò si deve all'uso di droghe e al fatto che le leggi permettano una rapida scarcerazione.
Però un esperto di tossicodipendenza, il Professor Jorge Grindson, ha dichiarato che il motivo dell'ondata di violenza è "la spaventosa disuguaglianza, il disordine crescente di una ricchezza accumulata da un settore minoritario di fronte a un altro che si impoverisce ogni giorno di più".
Il peggio è che in più della metà dei casi, questi atti vengono compiuti da minori di 21 anni. Si tratta di giovani che sono "disposti a morire" a causa "dell'amputazione del loro futuro" dice Grindson.
Nel conglomerato urbano di Buenos Aires, di 11 milioni di abitanti, si stima che i civili armati siano un milione. Gli addetti all'industria delle armi assicurano che i loro clienti chiedono pistole sempre più di maggior calibro, per farsi giustizia con le proprie mani.
"Ripuliremo le strade dai delinquenti e garantiremo il diritto alla sicurezza di tutti", esclamò Ménem. Però gli argentini non gli credono.
Dal 1992 a oggi, la sfiducia nel Governo è cresciuta dal 50 all'89 % e quella nella polizia dall'80 all'82 %, secondo uno studio effettuato dall'istituto tedesco Demoskopie. E' anche aumentata la percentuale di giovani che manifestano un minimo o nessun interesse per la politica, dal 68 al 79 %, in questi sei anni. "E' una tendenza che dovrebbe richiamare l'attenzione", ha segnalato a IPS Hartmut Hentschel, direttore di Demoskopie.
La maggioranza è dell'opinione che non c'è protezione e c'è insicurezza, disuguaglianza nelle opportunità e, in generale, sfiducia.
"Noi esistiamo solo quando è il momento di votare o quando diamo problemi", ha commentato una studentessa di 18 anni, che ha aggiunto che l'interesse della società si risveglia solo quando i giovani rubano, uccidono o si drogano.

Il rapimento di bambini e l’Operazione Cóndor
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aprile 1999 - Estela Carlotto e Rosa Roisinblit, rispettivamente presidente e vicepresidente dell’organizzazione argentina ‘Abuelas de la Plaza de Mayo’, si sono incontrate recentemente a Madrid con il giudice Baltasar Garzón, accusatore dell’ex dittatore Augusto Pinochet catturato in Gran Bretagna l’ottobre scorso, e gli hanno comunicato la loro decisione di porsi come privati accusatori contro il generale cileno e contro gli altri ex dittatori argentini.
Le ‘Abuelas de la Plaza de Mayo’, nei 20 anni della loro esistenza, hanno portato avanti ricerche e denunce in merito all’assassinio, ai sequestri e al cambio di identità dei figli nati in prigione dalle donne poi desaparecidas durante gli anni della dittatura militare (1976-1983) che, secondo i calcoli, ammontano a oltre 200 bambini.
Le rappresentanti di questa organizzazione hanno comunicato allo spagnolo Garzón che sono in possesso di prove che gli consentiranno di estendere le ricerche ben oltre Pinochet, fino ai dittatori di Argentina, Bolivia, Paraguay, Brasile e Uruguay, complici nella cosiddetta Operazione Cóndor definita come - ha informato l’agenzia IPS - "un’operazione sistematica, coordinata e multinazionale" mediante la quale si sono commessi crimini contro l’umanità.
La creazione dell’Operazione Cóndor è attribuita a Pinochet e ha implicato il coordinamento delle organizzazioni repressive delle dittature a partire dal 1974. L’associazione argentina proverà che i rapimenti e la consegna dei bambini ai loro stessi repressori è stata parte di tale operazione.
Grazie al lavoro continuo delle ‘Abuelas de la Plaza de Mayo’, in Argentina sono stati arrestati militari di alto grado e altri di grado inferiore poiché, in seguito alle leggi relative all’Obbedienza Dovuta e di Punto Finale e all’amnistia generale del 1990 per i comandanti delle giunte militari, gli unici delitti per cui in Argentina possono essere processati sono solamente quelli relativi ai bambini.
A Buenos Aires, le ricerche in merito sono condotte dal giudice Adolfo Bagnasco e gli imputati potranno essere giudicati solo per questi crimini e non per i crimini di tortura e di assassinio.
Tra gli imputati ci sono due ex presidenti, gli ex generali Jorge Videla e Reynaldo Bignone, l’ex comandante dell’esercito Cristino Nicolaides, l’ex ammiraglio Emilo Massera, il capo della Marina Rubén Franco e Jorge Acosta, ex direttore della Scuola Meccanica Navale di Buenos Aires, noto centro di tortura.
Si spera - segnala la rivista ‘The Economist’ - che se i giudici decideranno di continuare il processo, Bagnasco decida di avviare una pratica contro l’altro ex presidente, Leopoldo Galtieri "la cui fallita invasione delle isole Falkland (chiamate così dalla Gran Bretagna) ha portato nel 1982 il regime al collasso".
Precisamente lo scorso 2 aprile è stato il 17° anniversario della guerra delle Malvine, un arcipelago di 12.000 km2 nell’Atlantico del sud, la cui sovranità è rivendicata dall’Argentina dal 1833.
L’attuale Capo di Stato Maggiore dell’Esercito argentino, generale Martin Balza, ha qualificato questa guerra - costata circa mille morti - come una "decisione improvvisata" e ha poi deplorato i crimini del passato e ha considerato totalmente giustificata l’indagine sul sequestro dei minori.
Nonostante ‘The Economist’ segnali che "ci sono molti criminali ancora in uniforme" e che il presidente Carlos Ménem "ha fatto pressioni e interferito nelle indagini" (tra cui quella relativa all’assassinio del generale cileno Carlos Prats a Buenos Aires), ora sembra il momento giusto tanto in Argentina quanto internazionalmente (dato il caso Pinochet e gli ordini internazionali di arresto di militari argentini) perché una certa giustizia possa giungere a un più appropriato punto finale.

Ménem per una terza candidatura, nonostante la Costituzione
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marzo 1999 - Sondaggisti, giuristi, intellettuali e analisti politici considerano "ridicola" e "irrazionale" la proposta per una consultazione popolare che riguardi una seconda rielezione presidenziale consecutiva di Carlos Ménem, fatto che oltretutto è proibito dalla Costituzione.
L’idea è nata nelle alte sfere dell’Alleanza di opposizione per contrastare la minaccia di Ménem di ricandidarsi il 9 maggio alle elezioni interne del Partito Giustizialista, tenendo in considerazione che la maggioranza degli argentini intervistati sul tema respinge l’idea di una nuova rielezione.
Secondo la IPS, Eduardo Duhalde, governatore di Buenos Aires e rivale di Ménem per la leadership del Partito Giustizialista, ha minacciato di ritirarsi dalla competizione qualora Ménem vincesse il plebiscito.
Lo scrittore Marcos Aguinis, d’altronde, considera che l’opposizione "ha perso la bussola" ed è caduta nella trappola di prestarsi al gioco per forzare la legge.
La sondaggista Graciela Romer giudica l’idea di una "irrazionalità assoluta", perché un plebiscito deve essere uno strumento per dirimere temi d’interesse pubblico che suscitino forti discussioni, durante le quali si manifestino posizioni equilibrate. Questo, ha ricordato, non è il caso.
Mariano Grondona, analista politico, ritiene che chiederlo alla gente sarebbe un brutto precedente. Per assurdo "una maggioranza circostanziale potrà proporre in futuro un plebiscito per sapere se la cittadinanza vuole o no che si violino i diritti umani".
Il gesto di accettare la sfida del plebiscito si è trasformato in un avallo per il Presidente, il quale assicura che trionferà nella consultazione, nelle elezioni interne e nelle presidenziali di ottobre.
Il quotidiano La Nación in una recente edizione, ha rilevato che "Carlos Ménem si sente al centro del sistema solare: di conseguenza si è circondato della più grande costellazione politica che nessun dirigente abbia mai potuto immaginare in Argentina".

Maquillage verde per un affare
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febbraio 1999 - Non sempre piantare alberi è benefico per la natura. Almeno gli ambientalisti argentini sono giunti a queste conclusione di fronte a una nuova legge forestale che si prefigge di attirare investimenti milionari per triplicare il numero dei boschi in dieci anni.
Coloro che sono preoccupati avvisano che dietro il progetto apparentemente sostenibile, si nasconde il degrado dell’ambiente. Juan Carlos Villalonga, dell’organizzazione Greenpeace, segnala che alcuni produttori di petrolio stanno tentando di migliorare la loro immagine pubblica attraverso il rimboschimento e, allo stesso tempo, facendo nuovi affari.
La nuova legge garantisce stabilità per 50 anni per gli investimenti ed esenta gli investitori dal pagamento di determinate imposte. "Lo scopo è aumentare la superficie boscosa per riattivare le economie regionali e fornire un beneficio ambientale mediante l’assorbimento del biossido di carbonio prodotto dalla combustione di petrolio e carbone" ha detto l’ingegnere Daniel Maradei, consigliere della Segreteria dell’Agricoltura e autore del progetto. Però ha ammesso che, al di là degli obbiettivi dello sviluppo sostenibile, "l’idea è molto redditizia".
Già ci sono imprese che investono in estese piantagioni di eucalipto, pino e araucaria. Altre, quasi tutte straniere, si mostrano molto interessate. Le compagnie petrolifere argentine YPF e Pérez Companc, come pure la anglo-olandese Shell, sono completamente coinvolte nell’affare. Nella maggioranza dei casi stanno piantando eucalipti.
Villalonga ha spiegato che gli alberi scelti crescono rapidamente ed erodono il suolo, poiché richiedono una preparazione intensiva del terreno e avanzano nella vegetazione originale, provocando la perdita della biodiversità.
Lo scorso anno, leaders ecologisti di vari paesi riuniti in Uruguay hanno messo in guardia sui rischi di queste piantagioni di monocoltivazioni. "Hanno poco in comune con i boschi", hanno segnalato.
In molti casi, l’installazione di piantagioni è preceduta da incendi dei boschi originali, per cui si tramuta in una nuova e importante causa di disboscamento.
Per Greenpeace sarebbe molto meglio che le compagnie petrolifere, invece di piantare, riducessero realmente le emissioni di gas che provocano danno nell’atmosfera, che le industrie sostituiscano l’energia sporca con tecnologie alternative e che lo Stato sostenti tali progetti.
Gli ambientalisti sono mobilitati in modo che nessuno si faccia trasportare dal cosiddetto "maquillage verde" che conclamano le compagnie petrolifere e non si permetta che l’albero impedisca di vedere il bosco.

Sinistro gioco politico

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febbraio 1999 - La Comisión Episcopal para la Pastoral de las Migraciónes de la Iglesia Católica argentina ha definito "sinistro gioco politico" l’intento del Governo di collegare i problemi della delinquenza e della disoccupazione all’immigrazione illegale.
L’aumento esplosivo della violenza criminale e il male endemico della disoccupazione e della sottooccupazione, che rappresentano un 25 % della forza lavoro - afferma la comunicazione - sono due problemi argentini, i cui protagonisti sono per la maggior parte argentini.
Aggiunge che oltretutto molti stranieri non possono ottenere la residenza in Argentina "per le innumerevoli trafile burocratiche della Dirección de Migraciones, che dipende dal Ministero dell’Interno".
Anche la delegazione delle Associazioni Israelite dell’Argentina - massimo organismo rappresentativo della comunità ebraica - si è unito alla critica del progetto di riforma della Legge sull’Emigrazione che il Presidente Carlos Menem si appresta a presentare al Congresso.
L’Associazione ha opinato che il progetto possa incrementare le attitudini xenofobe e degenerare in manifestazioni violente e ha respinto la connessione che il Governo sostiene esista tra l’aumento della delinquenza e la presenza di immigrati clandestini.
Il Presidente Raúl Alfonsín, coordinatore dell’Alleanza UCR-FREPASO, ha convenuto con il documento della Chiesa e ha considerato che l’incremento delle azioni delittuose in varie città corrisponde ai problemi economici della gente.
Il progetto di riforma della Legge sull’Emigrazione autorizza il Ministero dell’Interno a espellere chiunque sia condannato a una pena superiore ai due anni, invece di cinque come stabilisce la norma attuale, e contempla multe da 500 a 500.000 dollari per chi dia un impiego a immigrati illegali.
Secondo statistiche ufficiali, tra il 1993 e il 1997 si sono stabiliti in Argentina 250.000 stranieri, ma il governo ritiene impossibile precisare la quantità di immigrati illegali, che stima siano oltre un milione.
Lo stesso Menem ha annunciato pubblicamente che saranno espulse tutte le persone prive di documentazione, la maggioranza delle quali provengono dal Perù, dalla Bolivia, dal Paraguay e dall’Uruguay.
La stampa di Buenos Aires ha commentato che la "smodata offensiva" del Governo contro l’immigrazione illegale si realizza quando una delle primordiali preoccupazioni dei cittadini - che dovranno votare alle presidenziali di ottobre - è la insicurezza nelle grandi città.
Gli immigrati illegali - dice - sembrano essere il capro espiatorio scelto dal Governo per spiegare la disoccupazione e la insicurezza.

Per i Ghiacci Continentali

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gennaio 1999 - Una spedizione cilena, in più di 90 giorni di viaggio, ha in programma di attraversare da nord a sud i cosiddetti Ghiacci Continentali, una parte dei quali - circa 2.300 chilometri quadrati - è stata la causa di una controversia, che pare stia per essere superata, tra Cile e Argentina.
La zona completa abbraccia più di 14.000 chilometri quadrati ghiacciati. Il manto gelato misura circa 350 Km di lunghezza, 60 Km di larghezza e un’altezza di 1.500 metri sul livello del mare, ed è pertanto la terza area glaciale del pianeta, dopo l’Antartide e la Groenlandia.
Le esplorazioni internazionali cominciarono nel 1913 ma, secondo l’ANSA, dei quasi 30 progetti di attraversare i Ghiacci fino a questo momento nessuno finora è stato portato a compimento.
Elaborato da legislatori e tecnici cileni e argentini, il nuovo documento è stato denominato Accordo per la precisazione del percorso del confine dal Monte Fitz Roy fino al Cerro Daudet, e riprende sostanzialmente il citato criterio delle alte cime divisorie che è servito nel secolo scorso per demarcare la frontiera.
L’accordo attuale sui confini è stato firmato il 16 dicembre scorso a Buenos Aires dai Presidenti Carlos Menem, dell’Argentina, e Eduardo Frei, del Cile.
Il 29 dello stesso mese è stato ratificato dalla Camera dei deputati del Congresso argentino e nel gennaio di quest’anno è stato preso in esame e approvato dal Senato cileno. Secondo quanto è stato stipulato, seguiranno in marzo il Senato argentino e, infine, i deputati cileni.
Si spera che Menem e Frei sottoscrivano simbolicamente il documento il 23 febbraio sullo Stretto di Magellano, lo stesso luogo nel quale nel 1881 fu firmato il primo accordo sui confini tra i due Paesi.

Sequestri di bambini
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gennaio 1999 - Nel 1987 con le leggi di Obbedienza Dovuta e di Punto Finale, in Argentina si conclusero i processi penali contro i repressori che agirono negli anni della dittatura militare (1976-1983) e nel 1990 venne concesso un indulto ai comandanti delle giunte militari.
Ma nel 1996 le Nonne di Piazza di Maggio presentarono una denuncia contro i comandanti che attuarono il golpe del 1976 e contro quelli che si sono succeduti al potere, per il sequestro e per il cambio di identità dei figli di donne "desaparecidas" durante la dittatura.
Questi sono gli unici delitti per i quali si può, in Argentina, denunciare i responsabili della repressione. Hanno dovuto passare due anni prima che la giustizia portasse agli arresti, anche se domiciliari, l'ex generale Jorge Videla, e l'ammiraglio Eduardo Massera, e che chiamasse a comparire l'ex presidente di fatto Reynaldo Bignone, l'ex capo dell'Esercito Cristino Nicolaides, e l'ex capo della Marina Ruben Franco.
Secondo le Nonne di Piazza di Maggio oltre 200 bambini furono sequestrati e consegnati alle famiglie dei militari dopo che le madri furono assassinate.
Nei suoi venti anni di esistenza questa organizzazione ha ritrovato 61 bambini sequestrati e ceduti in adozione. Il Congresso argentino ha approvato un fondo di risarcimento affinché le Nonne possano continuare la ricerca per mezzo della Banca Nazionale dei Dati Genetici.
Le accuse contro Massera, ex capo della nota Scuola di Meccanica della Marina, riguardano i figli delle coppie formate da Cecilia Viñas e Hugo Penino, e Patricia Roisinbilt e Manuel Pérez Rojo, detenuti e poi scomparsi.
Cecilia Viñas era al settimo mese di gravidanza quando venne arrestata nel 1977 e il suo bambino, nato nella Scuola Navale, fu consegnato all'ex capitano di Marina Jorge Vildoza, attualmente profugo.
All'età di venti anni, il giovane - Javier Gonzalo Vildoza - si è sottoposto volontariamente alla prova del DNA che ha rivelato chi sono i suoi veri genitori, Cecilia e Hugo, e oggi mantiene i contatti con la sua famiglia biologica.
Videla, per parte sua, è agli arresti da giugno, quando un giudice federale lo ritenne responsabile del sequestro di cinque bambini nati in un ospedale militare, tra i 230 sequestri che gli vengono attribuiti.
Inoltre, in dicembre, la giudice istruttrice svizzera, Christine Junod, ha emesso a Ginevra un ordine di arresto internazionale contro Videla per la sua presunta responsabilità nella detenzione, nel 1977 a Buenos Aires, di uno studente svizzero-cileno che venne poi consegnato alla polizia politica cilena, nel contesto dell'Operazione Condor, e da quel momento scomparso.
Nelle cause contro i massimi responsabili della dittatura argentina - dicono le Nonne di Piazza di Maggio - si concentrano ora le speranze di giustizia.