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il "Manifesto del futurismo" di Antonio Sant'Elia, in formato .doc
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Dopo
il ‘700 non è più esistita nessun architettura. Un balordo miscuglio
dei più vari elementi di stile, usato a mascherare lo scheletro della
casa moderna, è chiamato architettura moderna. La bellezza nuova del
cemento e del ferro viene profanata on la sovrapposizione di
carnevalesche incrostazioni decorative che non sono giustificate né
dalle necessità costruttive, né dal nostro gusto e traggono origine
dalle antichità egiziana, indiana o bizantina, e da quello sbalorditivo
fiorire di idiozie e di impotenza che prese il nome di neo-classicismo.
In Italia si accolgono codeste ruffianerie architettoniche e si gabella
la rapace incapacità straniera per geniale invenzione, per architettura
nuovissima. I giovani architetti italiani (quelli che attingono
originalità dalla clandestina compulsazione di pubblicazioni d’arte)
sfoggiano i loro talenti nei quartieri nuovi delle nostre città, ove
una gioconda insalata di colonnine ogivali, di foglione seicentesche, di
archi acuti gotici, di pilastri egiziani, di volute rococò, di putti
quattrocenteschi, di cariatidi rigonfie,
Tien
luogo, seriamente, di stile, ed arieggia con presunzione al monumentale.
Il caleidoscopico apparire e riapparire di forme, il moltiplicarsi delle
macchine, l’accrescersi quotidiano dei bisogni imposti dalla rapidità
delle comunicazioni, dall’aggiornamento degli uomini, dall’igiene e
da cento altri fenomeni della vita moderna non danno alcuna perplessità
a codesti sedicenti rinnovatori dell’architettura. Essi perseverano
cocciuti con le regole di Vitruvio, del Vignola e del Sansovino e con
qualche pubblicazioncella di architettura tedesca alla mano, a
ristampare l’immagine dell’imbecillità secolare sulle nostre città,
che dovrebbero essere l’immediata e fedele proiezione di noi stessi.
Così
quest’arte espressiva e sintetica è diventata nelle loro mani una
vacua esercitazione stilistica, un rimuginamento di formule malamente
accozzate a camuffare da edificio moderno il solito bussolotto
passatista di mattone e di pietra. Come se noi, accumulatori e
generatori di movimento, coi nostri prolungamenti meccanici, col rumore
e colla velocità della nostra vita, potessimo vivere nelle stesse case,
nelle stesse strade costruite pei loro bisogni dagli uomini di quattro,
cinque, sei secoli fa. Questa è la suprema imbecillità
dell’architettura moderna che si ripete per la complicità mercantile
delle accademie domicili coatti dell’intelligenza, ove si costringono
i giovani all’onanistica ricopiatura di modelli classici, invece di
spalancare la loro mente alla ricerca dei limiti e alla soluzione del
nuovo e imperioso problema: la casa e la città futuriste. La
casa e la città spiritualmente e materialmente nostre, nelle quali il
nostro tumulto possa svolgersi senza parere un grottesco anacronismo.
Il
problema dell’architettura futurista non è un problema di
rimaneggiamento lineare. Non si tratta di trovare nuove sagome, nuove
marginature di finestre e di porte, di sostituire colonne, pilastri,
mensole con cariatidi, mosconi, rane; non si tratta di lasciare la
facciata a mattone nudo, o di intonacarla, o di rivestirla di pietra, né
di determinare differenze formali tra l’edificio nuovo e quello
vecchio; ma di creare di sana pianta la casa futurista, di costruirla
con ogni risorsa della scienza e della tecnica, appagando signorilmente
ogni esigenza del nostro costume e del nostro spirito, calpestando
quanto è grottesco, pesante e antitetico con noi (tradizione, stile,
estetica, proporzione) determinando nuove forme, nuove linee, una nuova
armonia di profili e di volumi, un’architettura che abbia la sua
ragione d’essere solo nelle condizioni speciali della vita moderna, e
la sua rispondenza come valore estetico della nostra sensibilità.
Quest’architettura non può essere soggetta a nessuna legge di
continuità storica. Deve essere nuova come è nuovo il nostro stato
d’animo.
L’arte
di costruire ha potuto evolversi nel tempo e passare da uno stile
all’altro mantenendo inalterati i caratteri generali
dell’architettura, perché nella storia sono frequenti i mutamenti di
moda e quelli determinati dall’avvicendarsi dei convincimenti
religiosi e degli ordinamenti politici; ma sono rarissime quelle cause
di profondo mutamento nelle condizioni dell’ambiente che scardinano e
rinnovano, come la scoperta di leggi naturali, il perfezionamento dei
mezzi meccanici, l’uso razionale e scientifico del materiale.
Nella
vita moderna il processo di conseguente svolgimento stilistico
nell’architettura si arresta. L’architettura si stacca dalla
tradizione. Si ricomincia da capo per forza.
Il
calcolo sulla resistenza dei materiali, l’uso del cemento armato e del
ferro escludono l’<<architettura>> intesa nel senso
classico e tradizionale. I materiali moderni da costruzione e le nostre
nozioni scientifiche, non i prestano assolutamente alla disciplina degli
stili storici, e sono la causa principale dell’aspetto grottesco delle
costruzioni <<alla moda>> nelle quali si vorrebbe ottenere
dalla leggerezza, dalla snellezza superba delle putrelle e dalla
fragilità del cemento armato, la curva pesante dell’arco e
l’aspetto massiccio del marmo.
La
formidabile antitesi tra il mondo moderno e quello antico è determinata
da tutto quello che prima non c’era. Nella nostra vita sono entrati
elementi di cui gli antichi non hanno neppure sospettata la possibilità;
vi sono determinate contingenze materiali e si sono rilevati
atteggiamenti dello spirito che si ripercuotono in mille effetti; primo
fra tutti la formazione di un nuovo ideale di bellezza ancora oscuro ed
embrionale, ma di cui già sente il fascino anche la folla. Abbiamo
perduto il senso del monumentale, del pesante, dello statico, ed abbiamo
arricchita la nostra sensibilità del gusto del leggero, del pratico,
dell’effimero e del veloce. Sentiamo di non essere più gli uomini
delle cattedrali, dei palazzi, degli arengari; ma dei grandi alberghi,
delle stazioni ferroviarie, delle strade immense, dei porti colossali,
dei mercati coperti, delle gallerie luminose, dei rettifili, degli
sventramenti salutari.
Noi
dobbiamo inventare e rifabbricare la città futurista, simile ad un
immenso cantiere tumultuante, agile, dinamico in ogni sua parte, e la
casa futurista simile ad una macchina gigantesca. Gli ascensori non
debbono rincantucciarsi come vermi solitari nei vani delle scale; ma le
scale, divenute inutili, devono essere abolite e gli ascensori devono
inerpicarsi, come serpenti di ferro e di vetro, lungo le facciate. La
casa di cemento di vetro di ferro senza pittura e senza scultura, ricca
soltanto della bellezza congenita alle sue linee e ai suoi rilievi,
straordinariamente brutta nella sua meccanica semplicità, alta e larga
quanto più è necessario, e non quanto è prescritto dalla legge
municipale deve sorgere sull’orlo di un abisso tumultuante: la strada,
la quale non si stenderà più come un soppedaneo al livello delle
portinerie, ma si sprofonderà nella terrà per parecchi piani, che
accoglieranno il traffico metropolitano e saranno congiunti per transiti
necessari, da passerelle metalliche e da velocissimi tapis roulants.
Bisogna
abolire il decorativo. Bisogna risolvere il problema
dell’architettura futurista non più rubacchiando da fotografie della
Cina, della Persia e del Giappone, non più rimbecillendo sulle regole
del Vitruvio, ma a colpi di genio, e armati di un’esperienza
scientifica e tecnica. Tutto deve essere rivoluzionato. Bisogna sfruttare
i tetti, usare i sotterranei, diminuire l’importanza delle facciate,
trapiantare i problemi del buon gusto dal campo della sagometta, del
capitelluccio, del portoncino in quello più ampio dei grandi
aggruppamenti di masse, della
vasta disposizione delle piante. Finiamola coll’architettura
monumentale funebre commemorativa. Buttiamo all’aria monumenti,
marciapiedi, porticati, gradinate, sprofondiamo le strade e le piazze,
innalziamo il livello della città
- Tutta
la pseudo-architettura d’avanguardia, austriaca, tedesca e
americana.
- tutta
l’architettura classica solenne, ieratica, scenografica,
decorativa, monumentale, leggiadra, piacevole.
- L’imbalsamazione,
la ricostruzione, la riproduzione dei monumenti e palazzi antichi.
- Le
linee perpendicolari e orizzontali, le forme cubiche e piramidali
che sono statiche, gravi, opprimenti ed assolutamente fuori dalla
nostra nuovissima sensibilità.
- L’uso
di materiali massicci, voluminosi duraturi, antiquati, costosi.
E
PROCLAMO:
- Che
l'architettura futurista è l'architettura del calcolo, dell'audacia
temeraria e della semplicità; l'architettura del cemento armato,
del ferro, del vetro, del cartone, della fibra tessile e di tutti
quei surrogati del legno, della pietra e del mattone che permettono
di ottenere il massimo della elasticità e della leggerezza;
- Che
l'architettura futurista non è per questo un'arida combinazione di
praticità e di utilità, ma rimane arte, cioè sintesi,
espressione;
- Che
le linee oblique e quelle ellittiche sono dinamiche, per la loro
stessa natura, hanno una potenza emotiva superiore a quelle delle
perpendicolare e delle orizzontali, e che non vi può essere
un'architettura dinamicamente integratrice all'infuori di esse;
- Che
la decorazione, come qualche cosa di sovrapposto all'architettura,
è un assurdo, e che soltanto dall'uso e dalla disposizione
originale del materiale greggio o nudo o violentemente colorato,
dipende il valore decorativo dell'architettura futurista;
- Che,
come gli antichi trassero ispirazione dell'arte dagli elementi della
natura, noi - materialmente e spiritualmente artificiali - dobbiamo
trovare quell'ispirazione negli elementi del nuovissimo mondo
meccanico che abbiamo creato, di cui l'architettura deve essere la
più bella espressione, la sintesi più completa, l'integrazione
artistica più efficace;
- L'architettura
come arte delle forme degli edifici secondo criteri prestabiliti è
finita;
- Per
architettura si deve intendere lo sforzo di armonizzare con libertà
e con grande audacia, l'ambiente con l'uomo, cioè rendere il mondo
delle cose una proiezione diretta del mondo dello spirito;
- Da
un'architettura così concepita non può nascere nessuna abitudine
plastica e lineare, perché i caratteri fondamentali
dell'architettura futurista saranno la caducità e la transitorietà.
Le case dureranno meno di noi. Ogni generazione dovrà
fabbricarsi la sua città. Questo costante rinnovamento
dell'ambiente architettonico contribuirà alla vittoria del Futurismo,
che già si afferma con le Parole in libertà, il Dinamismo
plastico, la Musica senza quadratura e l'Arte dei rumori, e pel
quale lottiamo senza tregua contro la vigliaccheria passatista.
Antonio
Sant’Elia.
Architetto
Milano,
11 Luglio 1914
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