La caduta delle illusioni
[sfera rapporto con la storia]

La rivoluzione che la maggioranza sembrava volere, che avrebbe dovuto portare ad una sostanziale liberazione da modelli culturali e sociali del passato, in realtà prese poi una piega incontrollabile. Il fine era quello della liberazione (come intitola il suo saggio Marcuse), proprio come in 1984. Non importa se i regimi erano diversi o se nella realtà Winston sarebbe stato affiancato da migliaia di "compagni", il punto è che in entrambe le situazioni si lottava, si pensava contro un sistema e si moriva per la libertà. Marcuse teorizzava una rivoluzione in mano agli emarginati, ed effettivamente anche in Italia quelli che ebbero voce in questi rivolgimenti sociali furono proprio coloro i quali non potevano fare sentire la loro voce da secoli: operai e donne. Il grande rifiuto è stato senz'altro una efficace teorizzazione, anche se la situazione così ben ordinata sulla carta, nella realtà iniziò a "sfuggire di mano". Al nostro Winston la situazione di isolamento sembra invece risolversi, anche se, come sappiamo, stava andando invece rapidamente incontro al suo crollo delle illusioni. Dopo le dovute considerazioni ci troveremo alle stesse conclusioni. Gli anni '50 e parte degli anni '60 servirono nelle coscienze surriscaldate della popolazione a fomentare la pericolosa convinzione che per ottenere la tanto invocata liberazione dei costumi fosse necessaria l'azione violenta. Tanto per fare due esempi, forse i più noti, due gruppi si fecero portavoci di due differenti ideologie che avevano da sempre spaccato in due l'Italia: Lotta Continua, uno dei gruppi della sinistra extraparlamentare e i Nucleo Armato Rivoluzionario, uno dei gruppi del terrorismo di destra, definiti dall'unica donna del gruppo come "sei pazzi meravigliosi che sono contro tutto e contro tutti e in grado di ammazzare chiunque vogliono". Al di là delle azioni terroristiche che entrambi gli schieramenti compirono, quello su cui ho soffermato la mia attenzione è come una rivoluzione che aveva come fine l'utopia, si possa essere risolta in un periodo di lutti ed orrore, assumendo i tratti dell'antiutopia e spaccando un Paese che vide di nuovo gli italiani contro gli italiani. Dal momento che non ho vissuto quelle situazioni ho cercato di capire il più possibile l'atmosfera che si respirava nell'Italia degli anni di piombo. Nei documenti che ho esaminato mi ha particolarmente colpito come ogni ambito sia stato rapidamente invaso da una insensata ed inaudita violenza, che sembra ancora particolarmente attuale dal riemergere di quelle che sono state chiamate le nuove Br e da un indagine di una Commissione delle Stragi istituita sul finire degli anni '80. Il parlamento ha affidato alla Commissione nel giugno del 1991, e quindi molto di recente, di analizzare il periodo '69-'84, che si chiude con la cosiddetta "strage di Natale". Secondo i dati di questa commissione questa sarebbe la data che ha segnato la fine del terrorismo, una data che possiamo già chiamare "i giorni nostri". [Tratto da "Luci sulle stragi, ed. Manni, gennaio 1996, pag.13] C'è da precisare che tutti gli ideali della liberazione culturale teorizzati da Althusser, Marcuse, Reich, in Italia assunsero un particolarissimo e caratteristico colore politico. Si intendeva raggiungere la liberazione, e in particolare mi pare emblematico il caso delle brigate rosse (per prendere ad esempio una vicenda molto conosciuta), che lasciano una scia di sangue dietro di sé solo per rivendicare la non ingerenza dello Stato nei movimenti extraparlamentari, quasi a costituire una sorta di stato parallelo con le sue leggi implicite, i suoi tribunali, i suoi giudici, e ciò è particolarmente evidente dal comportamento assunto dalle Br nei confronti di Moro. Il fine è chiaramente espresso dai comunicati dalle Br, estremo delirio di una situazione ormai totalmente incontrollabile: uccidere il "re", il capo degli avversari per liberare l'Italia "dal regime democristiano che da trent'anni opprime il popolo italiano" e ottenere di conseguenza una prima vittoria sullo Stato obbligandolo a trattare con dei terroristi. A questo punto, mi pare che siamo rapidamente giunti al paradosso orwelliano: ottenere la libertà con la violenza. Tutte le illusioni dorate dei filosofi della rivoluzione, gli striscioni colorati, i costumi rilassati di questi nuovi ribelli sono stati cancellati dal sangue che li ha succeduti. LambrettaLe facce felici, che trovo nelle foto degli italiani del dopoguerra, da quelle scattate dopo la proclamazione della Repubblica a quelle degli italiani in Lambretta, sono nella mia mente sono offuscate da quelle della strage di Bologna.
Bologna
Bologna, marzo '77. La città messa a soqquadro dagli scontri tra Autonomi e militanti di Comunione e liberazione. Uno studente di sinistra Francesco Lo Russo, viene ucciso da un carabiniere.
Hanno descritto la resistenza dello stato italiano a non cedere alle brigate rosse eroica e il declino del terrorismo come una vittoriosa controffensiva da parte delle forze di polizia. Si è detto che il merito più grande degli italiani fu quello di non concedere il loro appoggio al terrorismo. A me pare che tutto l'interesse e le commemorazioni che ancora oggi ci sono attorno alla figura di Moro, significhino in parte anche il peso della colpa di non essere stati capaci a fermare quell'ondata di violenza. Non solo alla strage di Brescia (28 maggio 1974) è succeduta quella del treno Italicus, e a quella dell'Italicus quella della stazione di Bologna, a queste ne sono succedute altre e altre e altre ancora. A livello europeo la conquista della liberazione si è mantenuta tale solo negli scritti utopici dei filosofi prima citati, a livello italiano, non solo non siamo stati capaci di rendere reali le utopie, ma mescolando alla rivoluzioni la politica, ci siamo anche visti investiti da un'ondata di lutti e d'orrore. Quello su cui ho posto l'attenzione è l'eredità che gli anni '70 hanno lasciato alla società italiana. Il tasso d'inflazione - come nota incisivamente Mughini nel suo libro "Il grande disordine" - che nel 1970 era stato del 5,1 %, nel 1980 era salito ormai al 21,1 %, una percentuale sudamericana. Erano ormai otto anni che l'inflazione a due cifre piagava l'economia italiana. Erano gli anni in cui sulle copertine dei giornali di tutto il mondo appariva l'immagine di un piatto di spaghetti condito in salsa cilena, il simbolo della convinzione diffusa che l'Italia fosse ormai al collasso. Ci sarebbero voluti quattro anni perché l'inflazione scendesse sotto il dieci percento; solo nel 1995, quindici anni dopo, sarebbe tornata al livello del 1970, il 5,3%. A livello economico la rinascita è stata lentissima, sul piano politico mi sembra che l'utopia anche dopo il superamento delle ferite non sia mai più tornata, considerando che gli anni '80 hanno conosciuto i rivolgimenti sociali della Germania del muro e dell'est Europa e l'Italia degli anni '90 la piaga di nuove stragi questa volta di stampo mafioso. Mi sembra anche che l'obiettivo indicato da Moro, e cioè quello di trasformare l'Italia in una democrazia pienamente occidentale, nella quale due schieramenti potessero liberamente alternarsi al governo, una sorta di conciliazione fra le due storiche ideologie di destra e di sinistra, sia comunque fallito, perché l'Italia conosce ancora e vivissima questa frattura al suo interno. Questi avvenimenti mi sembrano la prova più evidente di come l'antiutopia possa trasformarsi in realtà. Cito a simbolo di ciò che ho appena affermato un'immagine particolarmente realistica , che traggo da un libro letto sull'argomento:
"Il 9 febbraio è una data importante nella storia della controcultura giovanile degli anni Settanta. È il giorno in cui un'emittente radiofonica bolognese; Radio Alice, avvia le sue trasmissioni. […] Sarà esaltata da tutta la stagione eroica di Radio Alice la commistione tra gusto del linguaggio d'avanguardia e ammiccamento all'uso della violenza in politica. È come se la cultura e la sensibilità dell'avanguardia fossero avvolte entro la corteccia di un linguaggio inesorabile nell'alludere ed evocare la rivoluzione violenta. È il limite, ma anche il segno di quella stagione di Radio Alice. Una stagione che si chiuderà il 12 marzo 1977, all'indomani della morte di Francesco Lo Russo, uno studente bolognese ucciso durante una manifestazione. È il giorno in cui un immenso corteo a Roma sfocia in scontri di piazza di una violenza mai vista, armerie devastate e razziate, la sede della Dc bersagliata dalle bombe molotov, cinque ore di sparatorie per ogni dove. Al quinto piano di via del Fratello 41, dove sono gli impianti di Radio Alice, alle 11.15 di sera di quel sabato, arriva la polizia e loro trasmetteranno "in diretta" il momento in cui l'emittente simbolo del Settantasette viene chiusa e sequestrata con l'accusa di fomentare le violenze di piazza. Uno dei "fogli" del movimento racconterà così l'avvenimento: "Ore 23. Radio Alice, che ha costantemente trasmesso gli scontri, la lotta, i punti di concentramento, che ha svolto cioè la sua funzione di strumento di informazione al servizio del movimento ed, ad un tempo di proposta politica, lancia un messaggio drammatico: A tutti i compagni, ai compagni del collettivo giuridico. La polizia sta forzando la porta della sala di trasmissione; sono già dentro… non sparate, non sparate… le mani le abbiamo già in alto… ci stanno togliendo il microfono dalle mani." Fine dell'utopia.

Bibliografia:
  • "Il grande disordine", Giampiero Mughini, Mondadori, gennaio 1998;
  • "Luci sulle stragi", ed. Manni, gennaio 1996
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