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La flora del Bosco di
Capodimonte consta di 399
entità e risulta suddivisa in 108 famiglie e 274 generi. Tale flora comprende entità
autoctone, esotiche e di interesse agrario. Iniziamo col dire che
il bosco di Capodimonte dal
punto di vista vegetale fu interamente costruito
intorno a minuscoli nuclei
masserizi . Tutto l’impianto vegetale doveva essere pensato e realizzato
per le attività venatorie del sovrano. Pertanto si impiantarono specie
arboree ed arbustive idonee
per tale attività.
Si costruirono le “aree arbustate” formate da vegetazione bassa quale
era il mirto (Myrtus communis), l’olivella (Phillyrea sp.), il lauro
regio ( Prunus laurocerasus).
Nella aree vallive si strutturano ambienti più selvaggi idonei per la
caccia dei cervi.
Allo stesso tempo si misero a coltura aree per la produzione di grano,
miglio e mais.
Si crearono aree a ceduo di castagno (Castanea sativa) per la necessità
di ottenere del buon legname.
Ma il bosco di Capodimonte, divenne anche “giardino di delizie” e in
questo coacervo di specie vegetali artificialmente poste vicine, si
crearono prospettive, si progettarono viali connotati da entità vegetali
tutte assoggettata ad un
unico disegno: la grande spalliera ancora oggi presente.
La fine del secolo XVIII è da indicare come periodo di inizio di piccole
trasformazioni che porteranno ad un riassetto totale nella prima metà
dell’ 800.
Fu così che Capodimonte
progressivamente mutò la sua confermazione: aree a bosco furono eliminate
per formare prati. Camelie (Camellia japonica ), confori (Cinnamomun
canphora), eucalipti (Eucalyptus camaldulensis), podocarpi (Podocarpus
elongata), grevillee (Grevillea robusta),
taxodi (Taxodium mucronatum) si ergevano a protagoniste in uno scenario
tutto nuovo . L’avvento dei Savoia costituì una continuità per il
complesso che si modificò in alcune sue parti e si caratterizzò
attraverso l’introduzione di un numero consistente di palme di diversa
origine.
Così Sabal palmetto, Butia capitata, Phoenix canariensis, p. reclinata
provenienti da diversi areali si aggiunsero alle già conosciute P.
dactylifera e al Chamerops humilis specie endemica delle coste del
Mediterraneo. A partire dagli anni 30 del nostro secolo si iniziò ad
avere un lento è progressivo degrado che culminò con l’insorgere della
seconda guerra mondiale quando si
verificò un totale abbandono del sito.
Il giardino non più curato, non più controllato, ha dato lungo con i
suoi elementi viventi ad una
incontrollata esplosione di vegetazione. Infatti negli anni 80 il parco
era diventato lungo inaccessibile, le aree a bosco completamente soffocate
da rovi (Rubus sp.) robinie (Robinia pseudoacacia) alianti (Ailanthus
glandulosa) e sambuchi (Sambucus Nigra), non esistevano più le aree a
prato trasformate in roveti, del tutto scomparse le specie esotiche.
Dopo un’ opera di recupero delle diverse aree attualmente il bosco è
quasi del tutto recuperato: sono state riproposte le praterie, sono stati
restaurati giardini preziosi.
Nelle aree vallive, dove storicamente ricadeva il ceduo di castagno,
attualmente, con molta facilità si sta generando un processo di
“seminaturalità” con l’insorgere di una vegetazione umida ed
umbrofila.
Bisogna
fare ancora molto affinché Capodimonte continui ad essere un “opera
aperta” dove continuità e innovazione si mescolano armonicamente a
formare “unità fisica” in equilibrio nelle sue forte ed
indispensabile per la vita del complesso.
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