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Scienze della Mente, Filosofia, Psicoterapia e Creatività

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    MEMORIA E  PSICOANALISI.

 

di Mauro Mancia

Mauro Mancia è Professore Ordinario di Fisiologia Umana all'Università di Milano, presso la stessa Università è dal 2001 Direttore del "Centro di Ricerca Sperimentale sul Sonno G. Moruzzi". Inoltre è socio ordinario della Società Psicoanalitica Italiana. Il suo prestigiosissimo curriculum professionale sia come neurofisiologo sia come psicoanalista annovera complessivamente diverse centinaia di lavori tra libri e pubblicazioni che coprono un arco di tempo che va dagli anni '50 ai giorni nostri. Tra i suoi libri ricordiamo: "Neurofisiologia e vita mentale" (Zanichelli, Bologna, 1980), "Il sonno e i suoi disturbi" (Cortina, Milano, 1985, in coll. con S. Smirne), "Il sogno come religione della mente" (Laterza, Roma-Bari, 1987), "Super-Io e ideale dell'Io" (Astrolabio, Roma, 1990), "Nello sguardo di Narciso" (Laterza, Roma-Bari, 1990), "Dall'Edipo al sogno" (Cortina, Milano, 1994), "Neurofisiologia" (Cortina, Milano, 1994), "Percorsi. Saggi sulla psicoanalisi contemporanea" (Bollati Boringhieri, Torino, 1995), "Sonno & Sogno" (Laterza, Roma-Bari,1996), "Breve storia del sogno" (Marsilio, Venezia, 1998), "Coscienza, sogno,memoria" (Borla, Roma, 1998), "Temi e problemi in psicoanalisi" (Bollati Boringhieri, Torino, 1998, in coll. con L. Longhin), "Sentieri della mente. Filosofia, letteratura, arte e musica in dialogo con la psicoanalisi" (Bollati Boringhieri, Torino, 2001, in coll. con L. Longhin).

Si ringrazia sentitamente il Prof. Mauro Mancia per aver autorizzato la pubblicazione sulla nostra rivista di questo suo importante articolo.

    
   

Il concetto di memoria attraversa tutta l'opera di Freud a cominciare dal Progetto di una psicologia del 1895. Qui Freud offre un modello di relazione mente/cervello e traccia, con un linguaggio apparentemente neurofisiologico ma di fatto metaforico, le linee essenziali della nuova psicologia che andava scoprendo (Mancia, 1987; 1998).

Freud parte dal concetto che la memoria è una delle caratteristiche fondamentali del sistema nervoso, intesa come "facoltà di subire una alterazione permanente in seguito ad un evento". Egli postula che da un lato i neuroni conservino traccia delle energie in essi fluite e dall'altro mantengano immutate le condizioni di ricettività originaria, così da poter realizzare ogni volta un approccio non precostituito al reale. La complessità del problema è risolta da Freud sostenendo che vi sono due classi di neuroni, i neuroni j permeabili che soddisfano la funzione percettiva e i neuroni y impermeabili, che presiedono alle funzioni della memoria.

Nella concezione "idrodinamica" di Freud, l'energia nervosa è rappresentata come un fluido che, scorrendo, si scavi un passaggio nel contesto di un mezzo che gli oppone una certa resistenza, così che in una successiva occasione il fluido prenderà preferibilmente la strada precedentemente tracciata. Così i neuroni vengono alterati in modo permanente dal fluire dell'eccitamento. "La memoria è rappresentata dalle facilitazioni tra i neuroni y " (p.206), o meglio la memoria è rappresentata dalle differenze delle facilitazioni che esistono tra i neuroni in quanto la memoria stessa è costituita dal selezionarsi e distinguersi di una via di conduzione nervosa tra le altre. E i diversi gradi con cui la permeabilità dei neuroni viene alterata costituiscono la base su cui la selezione si inscrive.

La metafora idraulica del Progetto suggerisce che come un fiume si allarga e rende più profondo il proprio letto quanta più acqua vi scorre e quante più volte l'evento si ripete, così "la memoria [...] dipende da un fattore chiamato 'entità dell'impressione', e dalla frequenza con cui una stessa impressione si ripete" ovvero "la facilitazione dipende dalla Qή che passa attraverso il neurone durante il processo di eccitamento e dal numero di ripetizioni del processo" (p.206).

In uno scritto successivo del 1923 (Nevrosi e psicosi), Freud ritornerà su questo punto, parlando di un "patrimonio mnestico di percezioni precedenti, che in quanto "mondo interiore" rappresentano un possesso ed un elemento costitutivo dell'Io stesso".

Nella Traumdeutung il concetto di memoria non cambia sostanzialmente. Immaginando l'apparato psichico come uno strumento composto di sistemi spazialmente orientati tra loro in modo costante, Freud (1900) scrive: "Supponiamo dunque che un sistema più avanzato dell'apparato accolga gli stimoli percettivi senza conservarne nulla, non abbia dunque memoria, e che dietro a questo si trovi un secondo sistema che traduce l'eccitamento momentaneo del primo in tracce durature" (p.491-492). L'idea di fondo è ancora quella dei neuroni appartenenti ai due sistemi j e y . Tuttavia ne L'interpretazione dei sogni è esplicitata una concezione molto più avanzata della memoria secondo la quale questa funzione è deputata a collegare tra loro le nostre esperienze e percezioni.

Ma proprio negli anni in cui stava elaborando la sua teoria dei sogni, Freud pensava con curiosità alla dimenticanza dei fatti e delle esperienze dei nostri primi anni dell'infanzia e sottolineava l'importanza patogena delle impressioni o esperienze della prima infanzia dimenticate perché rimosse ma capaci di lasciare "tracce indelebili" nella nostra mente (Freud, 1899). Freud sembra intuire in questo lavoro il concetto di memoria implicita, ma per introdurne un altro: quello di "ricordi di copertura", intesi come il risultato di una rimozione di alcuni fatti o di un loro spostamento su fatti contigui (in senso spazio-temporale). "I nostri primi ricordi infantili - sottolinea Freud - saranno sempre oggetto di particolare interesse perché il problema [...] come [...] sia possibile che le impressioni più importanti per tutto il nostro futuro non lascino di solito alcuna immagine mnestica, induce a riflettere sulla genesi dei ricordi coscienti in generale" (p.451).

Freud sembra riferirsi ad un tipo di memoria che noi oggi definiremmo implicita, ma la considera una conferma della sua ipotesi fondante l'inconscio: quella della rimozione. I ricordi di copertura sono per lui falsificazioni tendenziose della memoria che servono agli scopi della rimozione e della sostituzione delle esperienze perturbanti o spiacevoli, un po' come il contenuto manifesto di un sogno nei confronti del contenuto latente.

Leggendo Ricordi di copertura, si ha l'impressione che Freud (1899) non abbia potuto cogliere l'importanza della memoria implicita nel processo ricostruttivo dell'analisi poiché interessato a privilegiare nella sua teoria della mente la fase edipica dello sviluppo, caratterizzata dalla presenza del linguaggio e del pensiero simbolico. Conseguentemente ha sottovalutato le più profonde esperienze edipiche precoci (Klein, 1928) riferibili ad epoche pre-verbali e pre-simboliche che sono archiviate nella memoria implicita senza necessariamente essere rimosse. E' per questo che i riferimenti che appaiono in Ricordare, ripetere e rielaborare (Freud, 1914) sembrano diretti alla memoria esplicita o autobiografica che può essere recuperata attraverso le associazioni libere dell'analizzato, anche se in questo lavoro Freud ha un’intuizione che sembra riportare il suo pensiero ad una forma di memoria implicita che si può recuperare attraverso i sogni: "per una specie particolare di situazioni assai importanti che si verificano in un’epoca assai remota dell’infanzia […] non è in genere possibile suscitare il ricordo. Si arriva a prenderne conoscenza attraverso i sogni" (p.355). Tuttavia Freud non approfondisce questa intuizione sulla memoria implicita e la considera ancora come espressione della rimozione.

Nel riferirsi ai ricordi di copertura come mascheramento delle esperienze memorizzate nell'infanzia e rimosse, Freud sembra inoltre introdurre un'analogia tra questa forma di memoria e la falsa memoria. I ricordi di copertura, infatti, presentano analogie con i falsi ricordi in quanto riguardano esperienze mai accadute e quindi mai vissute ma che si sono inserite "illegalmente" tra i ricordi della prima infanzia. Può essere interessante qui un richiamo alle esperienze neurocognitiviste più recenti che attribuiscono la memoria implicita e la falsa memoria alla funzione delle stesse strutture corticali parieto-occipitali (Schacter & Curran, 2000). Ed è altrettanto interessante ricordare che la lesione di queste stesse aree corticali associative posteriori abolisce la capacità di sognare (Solms, 1995). Di ciò parlerò più dettagliatamente nella terza parte del lavoro.

Freud ritorna al problema della memoria in analisi in Nota sul notes magico del 1924, in cui recupera le idee del Progetto di una psicologia del 1895. Com'è noto, il "Notes magico" è una tavoletta di resina o di cera ricoperta da un duplice foglio trasparente, che può offrire una superficie sempre disposta ad accogliere nuovi messaggi, ma anche a conservare tracce di annotazioni precedenti. Freud sottolinea le analogie tra il "notes" e la nostra memoria poiché il nostro apparato psichico è in grado di offrirci entrambe le prestazioni del "notes" in quanto si ripartisce fra due diversi sistemi tra loro interconnessi (i sistemi j e y di antica memoria, appunto).

La nota sul "Notes magico" ci interessa in modo particolare perché è nel lavoro costruttivo e ricostruttivo in analisi che i due sistemi possono entrare in contatto. In questo caso gli eventi depositati e le emozioni vissute nel passato e archiviate nel sistema della memoria (implicita?) vengono riportate alla luce, rivissute nel transfert e rappresentate nel sogno. Freud dice che quel notes veramente e doppiamente magico siamo noi, che in opportune condizioni riusciamo a portare alla luce ciò che in noi si è inscritto. Queste condizioni sono quelle che si presentano nel lavoro analitico che tende a far sì che il paziente possa ripristinare il ricordo di determinati episodi nonché dei moti affettivi da essi suscitati, che al momento risultano in lui dimenticati. "Noi sappiamo - conclude Freud (1937) - che i suoi sintomi e le sue inibizioni attuali sono la conseguenza di tali rimozioni". Freud afferma, con una metafora storico-archeologica che compare ne Il disagio della civiltà (1930), che ciò che si è esperito non può comunque essere cancellato: "Da quando ci siamo accorti che sbagliavamo nel credere che il dimenticare presupponesse una distruzione delle tracce mnemoniche, abbiamo adottato il punto di vista opposto e ritenuto che nulla di quello che una volta si costituì nella nostra psiche possa poi perire; che tutto possa in qualche modo sopravvivere e, a certe condizioni, essere riportato alla luce della coscienza [...] limitiamoci perciò a concludere che, per la nostra psiche, il fatto che il passato sopravviva nel presente è piuttosto la regola che l'eccezione" (pp.562-564).

E' dunque al passato che sopravvive nel presente che si rivolge il lavoro analitico in virtù della presenza del transfert che promuove il ritorno di relazioni affettive significative per il paziente. In Costruzioni nell'analisi (1937), Freud entra nel vivo del problema della memoria e del ricordo, basi della costruzione (e ricostruzione) analitica: al paziente il compito di ricordare, all'analista quello di "costruire il materiale dimenticato, a partire dalle tracce che di esso sono rimaste" (p.543). A questo punto, Freud (1937) introduce un'altra e più precisa metafora archeologica, "il suo [dell'analista] lavoro di costruzione o, se si preferisce, di ricostruzione, rivela un'ampia concordanza con quello dell'archeologo che dissotterra un città distrutta e sepolta o un antico edificio" (p.543). Freud sembra usare indifferentemente, come se fossero sinonimi, i termini costruzione e ricostruzione, anche se quel "o se si preferisce" appare ai nostri occhi oggi carico di ambiguità (Mancia, 1998). Entrambi, l'archeologo e l'analista, ricostruiscono mediante integrazioni e ricomposizioni del materiale che si è ritrovato. Ma l'analista è più fortunato dell'archeologo perché lavora in condizioni più favorevoli. Questo perché il transfer è l'elemento che fa da motore alla ricerca e garantisce che le reazioni del paziente sono ripetizioni del passato, traggono origine cioè da epoche remote. Nel transfert, dunque, la storia passata ritorna; tutto l'essenziale vi è presentato e anche ciò che sembra dimenticato è ancora presente in qualche modo e in qualche parte.

Il lavoro dell'analista è quello ad un tempo di storico e di archeologo che compie un lavoro che potremmo definire di "anastilosi" che da frammenti ricoperti di sabbia gli permette di recuperare e ricostruire, ad esempio, un'antica colonna o un antico tempio e dare loro un nuovo significato. Ma in modo più specifico l'analista opera come un "trasformatore di memoria" delle esperienze traumatiche rimosse o archiviate in epoca preverbale così che il "fantasma" (persecutorio) creato dal trauma e fonte di sofferenza, sia elaborato e trasformato in fantasia e in pensiero (Giaconia e Racalbuto, 1997).

Ma in che cosa consiste la storia passata e dimenticata? Io credo che sia la storia relazionale dei primi periodi preverbali e presimbolici della vita nascosta nella memoria implicita che appare oggi fondante l'organizzazione della personalità e del carattere dell'individuo.

Lo studio dello sviluppo della mente infantile a partire da prima della nascita conferma l'importanza della memoria nella organizzazione delle sue prime rappresentazioni. Le esperienze sensoriali del feto all'interno della cavità uterina e in particolare quelle senso-motorie e uditive, ritmiche e costanti che riceve dal contenitore materno e dall'ambiente esterno, partecipano alla formazione di una memoria di base che assisterà il bambino alla nascita e gli permetterà di vivere una continuità psichica nel passaggio dall'ambiente interno a quello esterno, passaggio non privo di una certa traumaticità fisiologica (Mancia, 1981).

Alla nascita le esperienze del neonato e conseguentemente la loro memoria, si condensano sulla sensorialità (aestesis): l'odore della madre, le sue parole, il modo con cui il neonato si sente contenuto e guardato veicolano cariche affettive fondamentali per l'organizzazione delle sue prime rappresentazioni. Queste dunque sono esperienze preverbali che verranno archiviate nella memoria implicita. Ma le prime esperienze del neonato archiviate in questo tipo di memoria potranno anche essere caratterizzate da macro- e micro-traumi: perdita dei genitori, abbandoni, trascuratezze, frustrazioni gravi, umiliazioni, incomprensioni, violenze fisiche e psicologiche, abusi anche sessuali. Questi traumi metteranno in crisi il sistema di attaccamento del bambino (Bowlby, 1969; Fonagy & Target, 2001) e minacceranno l’organizzazione del suo Sé. Questi processi archiviati nella memoria implicita faranno parte dell’amnesia infantile legata all’incompleta maturazione del senso di sé e delle capacità verbali e semantiche da parte del neonato (Rovee-Collier, 1993; Newcombe & Fox, 1994; Meltzoff, 1995; Siegel, 1999). Sul piano neuropsicologico, l’amnesia infantile può essere attribuita anche all’immaturità neuronale dell’ippocampo e presuppone quindi un diverso sistema di archiviazione rispetto alla memoria esplicita (Perner & Ruffman, 1995). La memoria implicita verrà dunque a costituire il contenitore di tutte queste esperienze molto precoci, comprese le difese come la scissione, l’identificazione proiettiva e la negazione, che il neonato ha dovuto mettere in opera per ridurre le sue angosce collegate alle esperienze più traumatiche.

Stiamo parlando qui di un nuovo modo di concepire l'inconscio rispetto a Freud (1915), un insieme di processi traumatici di varia gravità, non rimossi ma depositati nella memoria implicita che, in quanto rappresentazioni pre-verbali e presimboliche, non hanno raggiunto la coscienza ma che continuano ad operare anche nell'adulto e che ritroviamo nel transfert e in particolare nel sogno, teatro per eccellenza della memoria.

Il sogno è il luogo privilegiato dove la memoria può operare senza resistenze, presentando non solo il desiderio che era stato archiviato con la rimozione, ma tutta quella processualità traumatica, di cui ho appena parlato, con le difese che caratterizzano la personalità del sognatore, come la negazione, la scissione e la identificazione proiettiva, processi questi indipendenti dal linguaggio. Quest'ultima poi opera in modo massivo nel sogno permettendo a parti del Sé e ai loro conflitti inconsci di manifestarsi. La memoria e in particolare quella implicita, quindi, per noi oggi più che per Freud, entra a far parte attiva del processo analitico e del sogno, dove il suo recupero permette un confronto tra le esperienze attuali e quelle del passato, come un pontifex, che collega la realtà attuale con l'esperienza di un tempo e unisce in una situazione unica il mondo oggettuale dell'adulto con quello del bambino, che si è formato in epoca preverbale.

 

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La memoria si inserisce così nella esperienza del transfert e diventa, dello stesso, parte integrante e struttura ontologica. Memoria intesa, per noi oggi, non tanto nel senso di una riattivazione di esperienze storicamente definibili quanto nel senso di una facilitazione del confronto e della integrazione del vissuto attuale e di quello di un tempo riattivato dal transfert. Memoria quindi come processo centrale della ricostruzione in analisi, intesa non tanto in senso storico quanto come processo di recupero emozionale e affettivo delle esperienze passate (in particolare traumatiche) e depositate nella memoria implicita, e loro integrazione con le esperienze attuali vissute nel transfert. Quindi come passaggio obbligato nel collegare le emozioni e le modalità difensive presenti nel transfert con le esperienze vissute dal paziente con le figure più significative della sua infanzia, specie quelle in epoca preverbale e presimbolica, e archiviate nella memoria implicita. Il recupero di questa specifica memoria diventa, nel contesto dell’analisi e in particolare del sogno, la base per ciò che Freud ha definito come Nachträglichkeit, intesa come capacità della mente di rivivere nel transfert antiche esperienze e attribuire loro nuovi significati attraverso una ritrascrizione della memoria e sua verbalizzazione resa possibile dal lavoro analitico. E’ su questa capacità "plastica" della mente che si fonda il lavoro terapeutico della coppia analitica (Fonagy, 1999; Mancia, 2001).

La relazione analitica è il luogo dove memoria esplicita ed implicita partecipano insieme al processo ricostruttivo. La prima come parte di una memoria autobiografica, la seconda come esperienza preverbale e inconscia che può essere recuperata attraverso le rappresentazioni del sogno e l’esperienza relazionale dominata dalla identificazione proiettiva che può essere riconosciuta attraverso gli affetti controtransferali che induce nell'analista (Heimann, 1950; Rosenfeld, 1987; Joseph, 1985; Mancia, 1995; Fonagy, 1999). Le esperienze depositate in questo sistema non possono essere "ricordate" come può accadere per la memoria esplicita o dichiarativa. Esse non sono coscienti né sono verbalizzabili, ma sono solo rappresentabili nel sogno e vivibili nella relazione analitica o nella relazione con il proprio corpo attraverso modalità preverbali, tra le quali è principe la identificazione proiettiva (Klein, 1946).

Anche senza un riferimento specifico alla memoria implicita, al colloquio di Palermo di circa venti anni fa dedicato alla memoria e all’oblio, ci sono stati contributi di estremo interesse per il discorso che sto attualmente facendo (Riolo, Siracusano, Sarno, Costa). In particolare Siracusano (1982) distingue tra memoria e oblio, la prima con caratteristiche di memoria autobiografica che può essere ricordata, il secondo con qualità che lo avvicinano alla memoria implicita, una "modalità" di conservazione del ricordo, un aspetto della memoria non legato alla rimozione.

La ritrascrizione della memoria, a partire dalla implicita, permette la storicizzazione dell'inconscio e un vissuto di continuità rispetto alle esperienze discontinue distribuite diacronicamente nel tempo. Resistenze e difese possono operare nel sogno e nel processo analitico opponendosi proprio all'attivazione della memoria e alle funzioni "plastiche" della mente, ostacolando la formazione del pensiero capace di funzioni elaborative e simboliche. Ecco perché l'attacco alla memoria diventa anche un attacco all'analisi e alla ricostruzione (spesso dolorosa) che l'analisi comporta.

In sintesi, il recupero della memoria implicita ed esplicita partecipa alla ricostruzione nel processo analitico. La memoria implicita permette un recupero di esperienze preverbali (e forse prenatali) che hanno partecipato in maniera fondante alla costruzione del mondo interno del bambino; la memoria esplicita, oltre al recupero di esperienze autobiografiche, ha il compito di facilitare l'emergere della memoria implicita nel processo di ricostruzione (Holmes, 2000) o interagire con quest’ultima nell’influenzare il comportamento relazionale (Davis, 2001), anche se in molti pazienti il tentativo di recupero della memoria autobiografica può essere difensivo rispetto all’evolversi del processo analitico e quindi all’accesso alla memoria implicita. Presa nel suo insieme, la memoria in analisi: a) collega le esperienze delle varie sedute e rende quindi continua una relazione analitica discontinua; b) promuove il ricordo di esperienze passate attraverso il recupero della memoria esplicita; c) promuove il recupero di esperienze preverbali e presimboliche, depositate nella memoria implicita e la loro verbalizzazione e simbolizzazione. Tale operazione è essenziale al processo di ricostruzione; d) promuove il ricordo dei sogni e, attraverso di essi, la rappresentazione di quelle esperienze che non possono essere verbalizzate; e) promuove l'elaborazione di quanto viene detto e vissuto in seduta anche al di fuori di essa; f) mantiene nella separazione la rappresentazione interna dell'analista come momento elaborativo e come oggetto di contenimento stabilizzante il mondo interno del paziente.

 

 

 Neuroscienze e psicoanalisi a confronto

Dall'analisi delle varie forme di memoria, della loro localizzazione anatomofunzionale e del loro ruolo nel processo analitico, emergono varie interessanti questioni: 1) che rilevanza può avere per la psicoanalisi la ricerca neuropsicologica sulla memoria esplicita ed implicita? 2) quali sono i punti di incontro tra queste discipline riguardo agli studi sulla memoria, in particolare implicita? Infine, data la stretta relazione tra memoria e inconscio, 3) che rapporto esiste tra il concetto di non-conscio o non-consapevole delle neuroscienze e quello di inconscio della psicoanalisi?

Iniziando dalla prima questione, direi che il metodo neuropsicologico permette di localizzare le strutture ed i "campi neuronali", indispensabili per l’organizzazione della memoria operativa o a breve termine e l’archiviazione delle esperienze nella memoria a lungo termine. Di quest’ultimo tipo di memoria, l’esplicita necessita dell’integrità del lobo temporale mediale, dell’ippocampo e dell’amigdala, mentre l’implicita prescinde dalle funzioni ippocampali e sembra essere localizzata nella corteccia posteriore temporo-parieto-occipitale dei due emisferi (Schacter, 1996). L’importanza della memoria implicita nello sviluppo della mente infantile e della personalità dell’individuo si è recentemente imposta all’attenzione della psicoanalisi in quanto espressione di un condizionamento classico (Davis, 2001) e ad un tempo deposito di esperienze non coscienti e non verbalizzabili ma solo rappresentabili nel sogno o vivibili nella relazione analitica o nella relazione con il proprio corpo attraverso modalità preverbali come la identificazione proiettiva, rispettivamente intrapsichica (Heimann, 1952), intersoggettiva (Klein, 1946) e intrasomatica (Mancia, 1994).

La possibilità di identificare nella memoria implicita parte del materiale inconscio apre prospettive stimolanti per una integrazione delle neuroscienze con la psicoanalisi e per una possibile localizzazione anatomo-funzionale di affetti e sentimenti inconsci che sono sfuggiti finora ad ogni possibile localizzazione anatomica. Anche la localizzazione nel lobo temporale mediale della memoria esplicita porta un contributo importante al ruolo delle libere associazioni e dei ricordi autobiografici alla ricostruzione nel corso del processo analitico. Naturalmente esistono diversi "usi" che della memoria possono essere fatti dalle neuroscienze e dalla psicoanalisi. Le prime si limitano a studiare l’organizzazione anatomo-funzionale della memoria a breve e lungo termine, mentre la psicoanalisi, attraverso il recupero di esperienze archiviate nella memoria (in particolare la implicita), permette al paziente di portare alla luce ricordi di fatti, emozioni e affetti dimenticati, e di affrontare una loro ritrascrizione e verbalizzazione quale base di una ricostruzione e trasformazione delle sue rappresentazioni interne. E’ su questo terreno che si gioca il ruolo dell’interpretazione e il suo effetto terapeutico.

Poiché ha origine nei primi periodi preverbali e presimbolici della vita, la memoria implicita può contenere esperienze estremamente significative che possono costituire il nucleo del Sé inconscio intorno al quale si organizza l’intera personalità del soggetto. E’ evidente che, così intesa, la memoria implicita e la sua organizzazione in termini anatomo-funzionali rappresenta un importante punto di incontro tra neuroscienze e psicoanalisi. Tale memoria, infatti, non è cosciente né verbalizzabile, ma solo rappresentabile nelle modalità preverbali che compaiono nella relazione analitica, come la negazione, la scissione e la identificazione proiettiva e in maniera particolare nel sogno. Riguardo al sogno, mi sembra interessante ricordare che le esperienze di M.Solms (1995) hanno dimostrato un’assenza di attività onirica in pazienti con lesioni corticali associative parieto-occipitali. Queste aree sono quelle indicate come probabili archivi della memoria implicita (Schacter, 1995; 1996). L’assenza di sogni in questi pazienti cerebrolesi sarebbe una conferma indiretta dell’ipotesi che la memoria implicita possa manifestarsi attraverso le rappresentazioni del sogno.

Riguardo al modo con cui una esperienza relazionale, specie se precoce nel corso dello sviluppo, possa essere archiviata nella memoria e restare per il resto della vita, di grande interesse appare il contributo della biologia molecolare. Mi riferisco, in modo particolare, all’imponente lavoro sulla memoria di Eric Kandel (1998) che ha proposto una "cornice" biologica all’interno della quale inserire i processi psicologici e psicoterapeutici il cui effetto può essere stabilmente memorizzato. Per questo autore, tale "cornice" può riassumersi in cinque principi:

     

  • tutti i processi mentali normali e patologici derivano da operazioni del cervello;

     

     

  • i geni e le loro espressioni proteiche determinano i pattern di interconnessione tra i neuroni, quindi una componente della malattia mentale è genetica;

     

     

  • fattori relazionali e sociali esercitano un'azione sul cervello modificando stabilmente la funzione dei geni, cioè la loro espressione proteica che interessa le sinapsi e quindi i circuiti neuronali. Ne consegue che la "cultura" può esprimersi come "natura";

     

     

  • anomalie psichiche indotte da situazioni relazionali e sociali possono essere prodotte attraverso modificazioni dell'espressione genica delle proteine;

     

     

  • la psicoterapia può produrre cambiamenti a lungo termine del comportamento agendo sull'espressione genica delle proteine che modificano la struttura e la potenza delle sinapsi neuronali.

     

Quest'ultimo principio è particolarmente interessante per il problema dell'interazione tra psicoanalisi e neuroscienze. La regolazione, infatti, dell'espressione genica da parte di esperienze relazionali fondate sulla parola, affetti ed emozioni, così come da parte di fattori sociali, fa sì che queste esperienze siano incorporate biologicamente nell'alterata espressione proteica di geni specifici in specifiche cellule nervose di specifiche regioni del cervello.

Su questa base, dal momento che le esperienze relazionali possono modificare l'espressione genica, modificando il legame dei regolatori di trascrizione del DNA tra loro e con le regioni regolatrici dei geni, può essere legittimo avanzare l'ipotesi che diversi disturbi della personalità dalla nevrosi alla psicosi risultino da difetti reversibili nel sopradescritto processo di regolazione genica.

E' chiaro che queste trasformazioni non sono trasmissibili geneticamente in quanto non riguardano la struttura dei geni, ma la loro funzione. Esse dunque costituiscono l'essenza della evoluzione culturale cui va attribuito il grande cambiamento che ha interessato l'umanità nel corso dei millenni. Poiché non c'è apprendimento né esperienze interpersonali, né cultura, senza modificazioni dell'espressione genica, possiamo supporre - è l'idea di Kandel (1998) - che ogni processo mentale sia in una certa misura organico. Anche se la tecnologia attuale, per quanto sofisticata, non permette di osservare direttamente quelle modificazioni a livello cellulare o sinaptico, che sottendono il processo in questione.

Per la verità storica, vorrei qui ricordare che circa venti anni fa, in una ricerca su bambini e adolescenti con manifestazioni di tipo epilettico (documentate clinicamente ed elettroencefalograficamente), Mariateresa Bonaccorsi (1980) ha potuto osservare in questi pazienti significative modificazioni dell'elettroncefalogramma parallelamente a un miglioramento del quadro clinico a seguito di intervento psicoterapeutico. Questa osservazione, a quel tempo, non aveva possibilità di una spiegazione soddisfacente sul piano scientifico. Oggi, dopo la ricerca di Eric Kandel, possiamo pensare che anche in quei casi una prolungata psicoterapia avesse potuto modificare l'espressione genica di alcune proteine e quindi cambiare l'attività di sinapsi, neuroni e circuiti, responsabili della patologia di quei pazienti.

Rimane comunque una separazione di metodo ed epistemologica: le funzioni mentali restano il referente della indagine psicoanalitica, mentre le funzioni neurologiche (anche se correlate causalmente a quelle mentali) sono il referente delle neuroscienze.

 

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Riguardo all'ultima questione da me posta e cioè del rapporto tra il concetto di inconscio della psicoanalisi e quello di non-conscio o non-consapevole usato dalle neuroscienze, penso sia importante definire questi concetti per evitare pericolose confusioni semantiche ed epistemologiche.

Le esperienze neuroscientifiche, e in particolare neuropsicologiche, riguardano essenzialmente la non-consapevolezza di un evento esterno al proprio Sé. Ad esempio, per alcune lesioni cerebrali non si è consapevoli dello spazio extracorporeo (neglect), del tempo, di parti del proprio corpo (asomatognosia), di volti familiari (prosopoagnosia), della propria malattia (anosognosia), del significato di una percezione o di una esperienza (agnosia visiva, uditiva, ecc.). Queste non-consapevolezze non riguardano il proprio Sé in quanto non sono radicate nella storia affettiva ed emozionale del soggetto né nella sua memoria implicita od esplicita. Questi ultimi aspetti invece riguardano essenzialmente il concetto di inconscio della psicoanalisi sia nella sua dimensione freudiana classica di inconscio dinamico legato alla rimozione che nella sua dimensione più attuale, non rimotiva, legata alle esperienze affettive ed emotive e alla processualità traumatica essenzialmente preverbale e presimbolica delle prime relazioni del bambino con l'ambiente, archiviate nella memoria implicita.

Riguardo alle emozioni, alcuni cognitivisti (Kihlstrom, 1987) hanno parlato di un "inconscio cognitivo" sottolineando la identità tra emozioni ed inconscio e suggerendo questa identità come un punto di convergenza tra psicoanalisi e neuroscienze. Questo suggerimento, anche sulla base de lavoro di LeDoux (1996), è stato raccolto da De Masi (2000) che ha distinto l’"inconscio dinamico" descritto da Freud dall’"inconscio emotivo" come funzione della mente proposto da Bion (1967). Tuttavia poiché l’inconscio, sia esso dinamico che non rimotivo è sempre e comunque radicato nelle emozioni e negli affetti, penso sia preferibile distinguere l’inconscio rimotivo descritto da Freud, dinamico e fondato sulla rimozione, quale espressione del modello pulsionale, dall’inconscio non-rimotivo*, quale espressione di un modello relazionale e contenitore di esperienze precoci e preverbali che hanno partecipato alla organizzazione di rappresentazioni affettive delle figure più significative dello sviluppo del bambino e di difese rispetto alla delusione, frustrazione e traumi diversi che egli ha incontrato nel suo impatto con la realtà. Tra queste difese spiccano per importanza la scissione, la identificazione proiettiva, la negazione, la idealizzazione. Sono queste le esperienze relazionali precoci che sono state archiviate nella memoria implicita e che costituiscono una storia emozionale ed affettiva che si manifesta nel presente di una relazione pur avendo le sue radici nell’infanzia preverbale o perfino in epoca prenatale. E’ per questo che può creare un fraintendimento, distinguere l’inconscio presente dall’inconscio passato (Sandler & Sandler, 1987) in quanto anche le manifestazioni transferali e le difese inconsce presenti nell’hic et nunc della relazione (inconscio presente) hanno le loro radici nel passato e nelle più significative esperienze archiviate nella memoria implicita (inconscio passato). Questa funzione inconscia della mente, che sintetizza la storia emozionale ed affettiva dell’individuo, è il referente esclusivo e specifico della psicoanalisi.

 

 

BIBLIOGRAFIA

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Responsabile Editoriale : Giuseppe Leo

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