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Il concetto di memoria attraversa tutta l'opera
di Freud a cominciare dal Progetto di una psicologia del
1895. Qui Freud offre un modello di relazione mente/cervello e
traccia, con un linguaggio apparentemente neurofisiologico ma di
fatto metaforico, le linee essenziali della nuova psicologia che
andava scoprendo (Mancia, 1987; 1998).
Freud parte dal concetto che la memoria è una
delle caratteristiche fondamentali del sistema nervoso, intesa come
"facoltà di subire una alterazione permanente in seguito ad un
evento". Egli postula che da un lato i neuroni conservino
traccia delle energie in essi fluite e dall'altro mantengano
immutate le condizioni di ricettività originaria, così da poter
realizzare ogni volta un approccio non precostituito al reale. La
complessità del problema è risolta da Freud sostenendo che vi sono
due classi di neuroni, i neuroni j
permeabili che soddisfano la funzione percettiva e i neuroni y
impermeabili, che presiedono alle funzioni della memoria.
Nella concezione "idrodinamica" di
Freud, l'energia nervosa è rappresentata come un fluido che,
scorrendo, si scavi un passaggio nel contesto di un mezzo che gli
oppone una certa resistenza, così che in una successiva occasione
il fluido prenderà preferibilmente la strada precedentemente
tracciata. Così i neuroni vengono alterati in modo permanente dal
fluire dell'eccitamento. "La memoria è rappresentata dalle
facilitazioni tra i neuroni y "
(p.206), o meglio la memoria è rappresentata dalle differenze delle
facilitazioni che esistono tra i neuroni in quanto la memoria stessa
è costituita dal selezionarsi e distinguersi di una via di
conduzione nervosa tra le altre. E i diversi gradi con cui la
permeabilità dei neuroni viene alterata costituiscono la base su
cui la selezione si inscrive.
La metafora idraulica del
Progetto
suggerisce che come un fiume si allarga e rende più profondo il
proprio letto quanta più acqua vi scorre e quante più volte
l'evento si ripete, così "la memoria [...] dipende da un
fattore chiamato 'entità dell'impressione', e dalla frequenza
con cui una stessa impressione si ripete" ovvero "la
facilitazione dipende dalla Qή che passa attraverso il neurone
durante il processo di eccitamento e dal numero di ripetizioni del
processo" (p.206).
In uno scritto successivo del 1923 (Nevrosi e
psicosi), Freud ritornerà su questo punto, parlando di un
"patrimonio mnestico di percezioni precedenti, che in quanto
"mondo interiore" rappresentano un possesso ed un elemento
costitutivo dell'Io stesso".
Nella
Traumdeutung il concetto di memoria
non cambia sostanzialmente. Immaginando l'apparato psichico come uno
strumento composto di sistemi spazialmente orientati tra loro in
modo costante, Freud (1900) scrive: "Supponiamo dunque che un
sistema più avanzato dell'apparato accolga gli stimoli percettivi
senza conservarne nulla, non abbia dunque memoria, e che dietro a
questo si trovi un secondo sistema che traduce l'eccitamento
momentaneo del primo in tracce durature" (p.491-492). L'idea di
fondo è ancora quella dei neuroni appartenenti ai due sistemi j
e y . Tuttavia ne L'interpretazione
dei sogni è esplicitata una concezione molto più avanzata
della memoria secondo la quale questa funzione è deputata a
collegare tra loro le nostre esperienze e percezioni.
Ma proprio negli anni in cui stava elaborando la
sua teoria dei sogni, Freud pensava con curiosità alla dimenticanza
dei fatti e delle esperienze dei nostri primi anni dell'infanzia e
sottolineava l'importanza patogena delle impressioni o esperienze
della prima infanzia dimenticate perché rimosse ma capaci di
lasciare "tracce indelebili" nella nostra mente (Freud,
1899). Freud sembra intuire in questo lavoro il concetto di memoria
implicita, ma per introdurne un altro: quello di "ricordi di
copertura", intesi come il risultato di una rimozione di alcuni
fatti o di un loro spostamento su fatti contigui (in senso
spazio-temporale). "I nostri primi ricordi infantili -
sottolinea Freud - saranno sempre oggetto di particolare interesse
perché il problema [...] come [...] sia possibile che le
impressioni più importanti per tutto il nostro futuro non lascino
di solito alcuna immagine mnestica, induce a riflettere sulla genesi
dei ricordi coscienti in generale" (p.451).
Freud sembra riferirsi ad un tipo di memoria che
noi oggi definiremmo implicita, ma la considera una conferma della
sua ipotesi fondante l'inconscio: quella della rimozione. I ricordi
di copertura sono per lui falsificazioni tendenziose della memoria
che servono agli scopi della rimozione e della sostituzione delle
esperienze perturbanti o spiacevoli, un po' come il contenuto
manifesto di un sogno nei confronti del contenuto latente.
Leggendo
Ricordi di copertura, si ha
l'impressione che Freud (1899) non abbia potuto cogliere
l'importanza della memoria implicita nel processo ricostruttivo
dell'analisi poiché interessato a privilegiare nella sua teoria
della mente la fase edipica dello sviluppo, caratterizzata dalla
presenza del linguaggio e del pensiero simbolico. Conseguentemente
ha sottovalutato le più profonde esperienze edipiche precoci (Klein,
1928) riferibili ad epoche pre-verbali e pre-simboliche che sono
archiviate nella memoria implicita senza necessariamente essere
rimosse. E' per questo che i riferimenti che appaiono in Ricordare,
ripetere e rielaborare (Freud, 1914) sembrano diretti alla
memoria esplicita o autobiografica che può essere recuperata
attraverso le associazioni libere dell'analizzato, anche se in
questo lavoro Freud ha un’intuizione che sembra riportare il suo
pensiero ad una forma di memoria implicita che si può recuperare
attraverso i sogni: "per una specie particolare di situazioni
assai importanti che si verificano in un’epoca assai remota
dell’infanzia […] non è in genere possibile suscitare il
ricordo. Si arriva a prenderne conoscenza attraverso i sogni"
(p.355). Tuttavia Freud non approfondisce questa intuizione sulla
memoria implicita e la considera ancora come espressione della
rimozione.
Nel riferirsi ai ricordi di copertura come
mascheramento delle esperienze memorizzate nell'infanzia e rimosse,
Freud sembra inoltre introdurre un'analogia tra questa forma di
memoria e la falsa memoria. I ricordi di copertura, infatti,
presentano analogie con i falsi ricordi in quanto riguardano
esperienze mai accadute e quindi mai vissute ma che si sono inserite
"illegalmente" tra i ricordi della prima infanzia. Può
essere interessante qui un richiamo alle esperienze
neurocognitiviste più recenti che attribuiscono la memoria
implicita e la falsa memoria alla funzione delle stesse strutture
corticali parieto-occipitali (Schacter & Curran, 2000). Ed è
altrettanto interessante ricordare che la lesione di queste stesse
aree corticali associative posteriori abolisce la capacità di
sognare (Solms, 1995). Di ciò parlerò più dettagliatamente nella
terza parte del lavoro.
Freud ritorna al problema della memoria in
analisi in Nota sul notes magico del 1924, in cui recupera le
idee del Progetto di una psicologia del 1895. Com'è noto, il
"Notes magico" è una tavoletta di resina o di cera
ricoperta da un duplice foglio trasparente, che può offrire una
superficie sempre disposta ad accogliere nuovi messaggi, ma anche a
conservare tracce di annotazioni precedenti. Freud sottolinea le
analogie tra il "notes" e la nostra memoria poiché il
nostro apparato psichico è in grado di offrirci entrambe le
prestazioni del "notes" in quanto si ripartisce fra due
diversi sistemi tra loro interconnessi (i sistemi j
e y di antica memoria, appunto).
La nota sul "Notes magico" ci interessa
in modo particolare perché è nel lavoro costruttivo e
ricostruttivo in analisi che i due sistemi possono entrare in
contatto. In questo caso gli eventi depositati e le emozioni vissute
nel passato e archiviate nel sistema della memoria (implicita?)
vengono riportate alla luce, rivissute nel transfert e rappresentate
nel sogno. Freud dice che quel notes veramente e doppiamente magico
siamo noi, che in opportune condizioni riusciamo a portare alla luce
ciò che in noi si è inscritto. Queste condizioni sono quelle che
si presentano nel lavoro analitico che tende a far sì che il
paziente possa ripristinare il ricordo di determinati episodi nonché
dei moti affettivi da essi suscitati, che al momento risultano in
lui dimenticati. "Noi sappiamo - conclude Freud (1937) - che i
suoi sintomi e le sue inibizioni attuali sono la conseguenza di tali
rimozioni". Freud afferma, con una metafora
storico-archeologica che compare ne Il disagio della civiltà
(1930), che ciò che si è esperito non può comunque essere
cancellato: "Da quando ci siamo accorti che sbagliavamo nel
credere che il dimenticare presupponesse una distruzione delle
tracce mnemoniche, abbiamo adottato il punto di vista opposto e
ritenuto che nulla di quello che una volta si costituì nella nostra
psiche possa poi perire; che tutto possa in qualche modo
sopravvivere e, a certe condizioni, essere riportato alla luce della
coscienza [...] limitiamoci perciò a concludere che, per la nostra
psiche, il fatto che il passato sopravviva nel presente è piuttosto
la regola che l'eccezione" (pp.562-564).
E' dunque al passato che sopravvive nel presente
che si rivolge il lavoro analitico in virtù della presenza del
transfert che promuove il ritorno di relazioni affettive
significative per il paziente. In Costruzioni nell'analisi
(1937), Freud entra nel vivo del problema della memoria e del
ricordo, basi della costruzione (e ricostruzione) analitica: al
paziente il compito di ricordare, all'analista quello di
"costruire il materiale dimenticato, a partire dalle tracce che
di esso sono rimaste" (p.543). A questo punto, Freud (1937)
introduce un'altra e più precisa metafora archeologica, "il
suo [dell'analista] lavoro di costruzione o, se si preferisce, di
ricostruzione, rivela un'ampia concordanza con quello
dell'archeologo che dissotterra un città distrutta e sepolta o un
antico edificio" (p.543). Freud sembra usare indifferentemente,
come se fossero sinonimi, i termini costruzione e ricostruzione,
anche se quel "o se si preferisce" appare ai nostri occhi
oggi carico di ambiguità (Mancia, 1998). Entrambi, l'archeologo e
l'analista, ricostruiscono mediante integrazioni e ricomposizioni
del materiale che si è ritrovato. Ma l'analista è più fortunato
dell'archeologo perché lavora in condizioni più favorevoli. Questo
perché il transfer è l'elemento che fa da motore alla ricerca e
garantisce che le reazioni del paziente sono ripetizioni del
passato, traggono origine cioè da epoche remote. Nel transfert,
dunque, la storia passata ritorna; tutto l'essenziale vi è
presentato e anche ciò che sembra dimenticato è ancora presente in
qualche modo e in qualche parte.
Il lavoro dell'analista è quello ad un tempo di
storico e di archeologo che compie un lavoro che potremmo definire
di "anastilosi" che da frammenti ricoperti di sabbia gli
permette di recuperare e ricostruire, ad esempio, un'antica colonna
o un antico tempio e dare loro un nuovo significato. Ma in modo più
specifico l'analista opera come un "trasformatore di
memoria" delle esperienze traumatiche rimosse o archiviate in
epoca preverbale così che il "fantasma" (persecutorio)
creato dal trauma e fonte di sofferenza, sia elaborato e trasformato
in fantasia e in pensiero (Giaconia e Racalbuto, 1997).
Ma in che cosa consiste la storia passata e
dimenticata? Io credo che sia la storia relazionale dei primi
periodi preverbali e presimbolici della vita nascosta nella memoria
implicita che appare oggi fondante l'organizzazione della personalità
e del carattere dell'individuo.
Lo studio dello sviluppo della mente infantile a
partire da prima della nascita conferma l'importanza della memoria
nella organizzazione delle sue prime rappresentazioni. Le esperienze
sensoriali del feto all'interno della cavità uterina e in
particolare quelle senso-motorie e uditive, ritmiche e costanti che
riceve dal contenitore materno e dall'ambiente esterno, partecipano
alla formazione di una memoria di base che assisterà il bambino
alla nascita e gli permetterà di vivere una continuità psichica
nel passaggio dall'ambiente interno a quello esterno, passaggio non
privo di una certa traumaticità fisiologica (Mancia, 1981).
Alla nascita le esperienze del neonato e
conseguentemente la loro memoria, si condensano sulla sensorialità
(aestesis): l'odore della madre, le sue parole, il modo con
cui il neonato si sente contenuto e guardato veicolano cariche
affettive fondamentali per l'organizzazione delle sue prime
rappresentazioni. Queste dunque sono esperienze preverbali
che verranno archiviate nella memoria implicita. Ma le prime
esperienze del neonato archiviate in questo tipo di memoria potranno
anche essere caratterizzate da macro- e micro-traumi: perdita dei
genitori, abbandoni, trascuratezze, frustrazioni gravi, umiliazioni,
incomprensioni, violenze fisiche e psicologiche, abusi anche
sessuali. Questi traumi metteranno in crisi il sistema di
attaccamento del bambino (Bowlby, 1969; Fonagy & Target, 2001) e
minacceranno l’organizzazione del suo Sé. Questi processi
archiviati nella memoria implicita faranno parte dell’amnesia
infantile legata all’incompleta maturazione del senso di sé e
delle capacità verbali e semantiche da parte del neonato (Rovee-Collier,
1993; Newcombe & Fox, 1994; Meltzoff, 1995; Siegel, 1999). Sul
piano neuropsicologico, l’amnesia infantile può essere attribuita
anche all’immaturità neuronale dell’ippocampo e presuppone
quindi un diverso sistema di archiviazione rispetto alla memoria
esplicita (Perner & Ruffman, 1995). La memoria implicita verrà
dunque a costituire il contenitore di tutte queste esperienze molto
precoci, comprese le difese come la scissione, l’identificazione
proiettiva e la negazione, che il neonato ha dovuto mettere in opera
per ridurre le sue angosce collegate alle esperienze più
traumatiche.
Stiamo parlando qui di un nuovo modo di concepire
l'inconscio rispetto a Freud (1915), un insieme di processi
traumatici di varia gravità, non rimossi ma depositati nella
memoria implicita che, in quanto rappresentazioni pre-verbali e
presimboliche, non hanno raggiunto la coscienza ma che continuano ad
operare anche nell'adulto e che ritroviamo nel transfert e in
particolare nel sogno, teatro per eccellenza della memoria.
Il sogno è il luogo privilegiato dove la memoria
può operare senza resistenze, presentando non solo il desiderio che
era stato archiviato con la rimozione, ma tutta quella processualità
traumatica, di cui ho appena parlato, con le difese che
caratterizzano la personalità del sognatore, come la negazione, la
scissione e la identificazione proiettiva, processi questi
indipendenti dal linguaggio. Quest'ultima poi opera in modo massivo
nel sogno permettendo a parti del Sé e ai loro conflitti inconsci
di manifestarsi. La memoria e in particolare quella implicita,
quindi, per noi oggi più che per Freud, entra a far parte attiva
del processo analitico e del sogno, dove il suo recupero permette un
confronto tra le esperienze attuali e quelle del passato, come un
pontifex, che collega la realtà attuale con l'esperienza di un
tempo e unisce in una situazione unica il mondo oggettuale
dell'adulto con quello del bambino, che si è formato in epoca
preverbale.
* * *
La memoria si inserisce così nella esperienza
del transfert e diventa, dello stesso, parte integrante e struttura
ontologica. Memoria intesa, per noi oggi, non tanto nel senso di una
riattivazione di esperienze storicamente definibili quanto nel senso
di una facilitazione del confronto e della integrazione del vissuto
attuale e di quello di un tempo riattivato dal transfert. Memoria
quindi come processo centrale della ricostruzione in analisi, intesa
non tanto in senso storico quanto come processo di recupero
emozionale e affettivo delle esperienze passate (in particolare
traumatiche) e depositate nella memoria implicita, e loro
integrazione con le esperienze attuali vissute nel transfert. Quindi
come passaggio obbligato nel collegare le emozioni e le modalità
difensive presenti nel transfert con le esperienze vissute dal
paziente con le figure più significative della sua infanzia, specie
quelle in epoca preverbale e presimbolica, e archiviate nella
memoria implicita. Il recupero di questa specifica memoria diventa,
nel contesto dell’analisi e in particolare del sogno, la base per
ciò che Freud ha definito come Nachträglichkeit, intesa
come capacità della mente di rivivere nel transfert antiche
esperienze e attribuire loro nuovi significati attraverso una
ritrascrizione della memoria e sua verbalizzazione resa possibile
dal lavoro analitico. E’ su questa capacità "plastica"
della mente che si fonda il lavoro terapeutico della coppia
analitica (Fonagy, 1999; Mancia, 2001).
La relazione analitica è il luogo dove memoria
esplicita ed implicita partecipano insieme al processo ricostruttivo.
La prima come parte di una memoria autobiografica, la seconda come
esperienza preverbale e inconscia che può essere recuperata
attraverso le rappresentazioni del sogno e l’esperienza
relazionale dominata dalla identificazione proiettiva che può
essere riconosciuta attraverso gli affetti controtransferali che
induce nell'analista (Heimann, 1950; Rosenfeld, 1987; Joseph, 1985;
Mancia, 1995; Fonagy, 1999). Le esperienze depositate in questo
sistema non possono essere "ricordate" come può accadere
per la memoria esplicita o dichiarativa. Esse non sono
coscienti né sono verbalizzabili, ma sono solo rappresentabili nel
sogno e vivibili nella relazione analitica o nella relazione con il
proprio corpo attraverso modalità preverbali, tra le quali è
principe la identificazione proiettiva (Klein, 1946).
Anche senza un riferimento specifico alla memoria
implicita, al colloquio di Palermo di circa venti anni fa dedicato
alla memoria e all’oblio, ci sono stati contributi di estremo
interesse per il discorso che sto attualmente facendo (Riolo,
Siracusano, Sarno, Costa). In particolare Siracusano (1982)
distingue tra memoria e oblio, la prima con caratteristiche di
memoria autobiografica che può essere ricordata, il secondo con
qualità che lo avvicinano alla memoria implicita, una "modalità"
di conservazione del ricordo, un aspetto della memoria non legato
alla rimozione.
La ritrascrizione della memoria, a partire dalla
implicita, permette la storicizzazione dell'inconscio e un vissuto
di continuità rispetto alle esperienze discontinue distribuite
diacronicamente nel tempo. Resistenze e difese possono operare nel
sogno e nel processo analitico opponendosi proprio all'attivazione
della memoria e alle funzioni "plastiche" della mente,
ostacolando la formazione del pensiero capace di funzioni
elaborative e simboliche. Ecco perché l'attacco alla memoria
diventa anche un attacco all'analisi e alla ricostruzione (spesso
dolorosa) che l'analisi comporta.
In sintesi, il recupero della memoria
implicita ed esplicita partecipa alla ricostruzione nel processo
analitico. La memoria implicita permette un recupero di esperienze
preverbali (e forse prenatali) che hanno partecipato in maniera
fondante alla costruzione del mondo interno del bambino; la memoria
esplicita, oltre al recupero di esperienze autobiografiche, ha il
compito di facilitare l'emergere della memoria implicita nel
processo di ricostruzione (Holmes, 2000) o interagire con
quest’ultima nell’influenzare il comportamento relazionale (Davis,
2001), anche se in molti pazienti il tentativo di recupero della
memoria autobiografica può essere difensivo rispetto
all’evolversi del processo analitico e quindi all’accesso alla
memoria implicita. Presa nel suo insieme, la memoria in analisi: a)
collega le esperienze delle varie sedute e rende quindi continua una
relazione analitica discontinua; b) promuove il ricordo di
esperienze passate attraverso il recupero della memoria esplicita;
c) promuove il recupero di esperienze preverbali e presimboliche,
depositate nella memoria implicita e la loro verbalizzazione e
simbolizzazione. Tale operazione è essenziale al processo di
ricostruzione; d) promuove il ricordo dei sogni e, attraverso di
essi, la rappresentazione di quelle esperienze che non possono
essere verbalizzate; e) promuove l'elaborazione di quanto viene
detto e vissuto in seduta anche al di fuori di essa; f) mantiene
nella separazione la rappresentazione interna dell'analista come
momento elaborativo e come oggetto di contenimento stabilizzante il
mondo interno del paziente.
Neuroscienze
e psicoanalisi a confronto
Dall'analisi
delle varie forme di memoria, della loro localizzazione
anatomofunzionale e del loro ruolo nel processo analitico, emergono
varie interessanti questioni: 1) che rilevanza può avere per la
psicoanalisi la ricerca neuropsicologica sulla memoria esplicita ed
implicita? 2) quali sono i punti di incontro tra queste discipline
riguardo agli studi sulla memoria, in particolare implicita? Infine,
data la stretta relazione tra memoria e inconscio, 3) che rapporto
esiste tra il concetto di non-conscio o non-consapevole delle
neuroscienze e quello di inconscio della psicoanalisi?
Iniziando
dalla prima questione, direi che il metodo neuropsicologico permette
di localizzare le strutture ed i "campi neuronali",
indispensabili per l’organizzazione della memoria operativa o a
breve termine e l’archiviazione delle esperienze nella memoria a
lungo termine. Di quest’ultimo tipo di memoria, l’esplicita
necessita dell’integrità del lobo temporale mediale,
dell’ippocampo e dell’amigdala, mentre l’implicita prescinde
dalle funzioni ippocampali e sembra essere localizzata nella
corteccia posteriore temporo-parieto-occipitale dei due emisferi (Schacter,
1996). L’importanza della memoria implicita nello sviluppo della
mente infantile e della personalità dell’individuo si è
recentemente imposta all’attenzione della psicoanalisi in quanto
espressione di un condizionamento classico (Davis, 2001) e ad un
tempo deposito di esperienze non coscienti e non verbalizzabili ma
solo rappresentabili nel sogno o vivibili nella relazione analitica
o nella relazione con il proprio corpo attraverso modalità
preverbali come la identificazione proiettiva, rispettivamente
intrapsichica (Heimann, 1952), intersoggettiva (Klein, 1946) e
intrasomatica (Mancia, 1994).
La
possibilità di identificare nella memoria implicita parte del
materiale inconscio apre prospettive stimolanti per una integrazione
delle neuroscienze con la psicoanalisi e per una possibile
localizzazione anatomo-funzionale di affetti e sentimenti inconsci
che sono sfuggiti finora ad ogni possibile localizzazione anatomica.
Anche la localizzazione nel lobo temporale mediale della memoria
esplicita porta un contributo importante al ruolo delle libere
associazioni e dei ricordi autobiografici alla ricostruzione nel
corso del processo analitico. Naturalmente esistono diversi
"usi" che della memoria possono essere fatti dalle
neuroscienze e dalla psicoanalisi. Le prime si limitano a studiare
l’organizzazione anatomo-funzionale della memoria a breve e lungo
termine, mentre la psicoanalisi, attraverso il recupero di
esperienze archiviate nella memoria (in particolare la implicita),
permette al paziente di portare alla luce ricordi di fatti, emozioni
e affetti dimenticati, e di affrontare una loro ritrascrizione e
verbalizzazione quale base di una ricostruzione e trasformazione
delle sue rappresentazioni interne. E’ su questo terreno che si
gioca il ruolo dell’interpretazione e il suo effetto terapeutico.
Poiché
ha origine nei primi periodi preverbali e presimbolici della vita,
la memoria implicita può contenere esperienze estremamente
significative che possono costituire il nucleo del Sé inconscio
intorno al quale si organizza l’intera personalità del soggetto.
E’ evidente che, così intesa, la memoria implicita e la sua
organizzazione in termini anatomo-funzionali rappresenta un
importante punto di incontro tra neuroscienze e psicoanalisi. Tale
memoria, infatti, non è cosciente né verbalizzabile, ma solo
rappresentabile nelle modalità preverbali che compaiono nella
relazione analitica, come la negazione, la scissione e la
identificazione proiettiva e in maniera particolare nel sogno.
Riguardo al sogno, mi sembra interessante ricordare che le
esperienze di M.Solms (1995) hanno dimostrato un’assenza di
attività onirica in pazienti con lesioni corticali associative
parieto-occipitali. Queste aree sono quelle indicate come probabili
archivi della memoria implicita (Schacter, 1995; 1996). L’assenza
di sogni in questi pazienti cerebrolesi sarebbe una conferma
indiretta dell’ipotesi che la memoria implicita possa manifestarsi
attraverso le rappresentazioni del sogno.
Riguardo
al modo con cui una esperienza relazionale, specie se precoce nel
corso dello sviluppo, possa essere archiviata nella memoria e
restare per il resto della vita, di grande interesse appare il
contributo della biologia molecolare. Mi riferisco, in modo
particolare, all’imponente lavoro sulla memoria di Eric Kandel
(1998) che ha proposto una "cornice" biologica
all’interno della quale inserire i processi psicologici e
psicoterapeutici il cui effetto può essere stabilmente memorizzato.
Per questo autore, tale "cornice" può riassumersi in
cinque principi:
tutti
i processi mentali normali e patologici derivano da operazioni del
cervello;
i
geni e le loro espressioni proteiche determinano i pattern di
interconnessione tra i neuroni, quindi una componente della
malattia mentale è genetica;
fattori
relazionali e sociali esercitano un'azione sul cervello
modificando stabilmente la funzione dei geni, cioè la loro
espressione proteica che interessa le sinapsi e quindi i circuiti
neuronali. Ne consegue che la "cultura" può esprimersi
come "natura";
anomalie
psichiche indotte da situazioni relazionali e sociali possono
essere prodotte attraverso modificazioni dell'espressione genica
delle proteine;
la
psicoterapia può produrre cambiamenti a lungo termine del
comportamento agendo sull'espressione genica delle proteine che
modificano la struttura e la potenza delle sinapsi neuronali.
Quest'ultimo
principio è particolarmente interessante per il problema
dell'interazione tra psicoanalisi e neuroscienze. La regolazione,
infatti, dell'espressione genica da parte di esperienze relazionali
fondate sulla parola, affetti ed emozioni, così come da parte di
fattori sociali, fa sì che queste esperienze siano incorporate
biologicamente nell'alterata espressione proteica di geni specifici
in specifiche cellule nervose di specifiche regioni del cervello.
Su
questa base, dal momento che le esperienze relazionali possono
modificare l'espressione genica, modificando il legame dei
regolatori di trascrizione del DNA tra loro e con le regioni
regolatrici dei geni, può essere legittimo avanzare l'ipotesi che
diversi disturbi della personalità dalla nevrosi alla psicosi
risultino da difetti reversibili nel sopradescritto processo di
regolazione genica.
E'
chiaro che queste trasformazioni non sono trasmissibili
geneticamente in quanto non riguardano la struttura dei geni, ma la
loro funzione. Esse dunque costituiscono l'essenza della evoluzione
culturale cui va attribuito il grande cambiamento che ha interessato
l'umanità nel corso dei millenni. Poiché non c'è apprendimento né
esperienze interpersonali, né cultura, senza modificazioni
dell'espressione genica, possiamo supporre - è l'idea di Kandel
(1998) - che ogni processo mentale sia in una certa misura organico.
Anche se la tecnologia attuale, per quanto sofisticata, non permette
di osservare direttamente quelle modificazioni a livello cellulare o
sinaptico, che sottendono il processo in questione.
Per
la verità storica, vorrei qui ricordare che circa venti anni fa, in
una ricerca su bambini e adolescenti con manifestazioni di tipo
epilettico (documentate clinicamente ed elettroencefalograficamente),
Mariateresa Bonaccorsi (1980) ha potuto osservare in questi pazienti
significative modificazioni dell'elettroncefalogramma parallelamente
a un miglioramento del quadro clinico a seguito di intervento
psicoterapeutico. Questa osservazione, a quel tempo, non aveva
possibilità di una spiegazione soddisfacente sul piano scientifico.
Oggi, dopo la ricerca di Eric Kandel, possiamo pensare che anche in
quei casi una prolungata psicoterapia avesse potuto modificare
l'espressione genica di alcune proteine e quindi cambiare l'attività
di sinapsi, neuroni e circuiti, responsabili della patologia di quei
pazienti.
Rimane
comunque una separazione di metodo ed epistemologica: le funzioni
mentali restano il referente della indagine psicoanalitica, mentre
le funzioni neurologiche (anche se correlate causalmente a quelle
mentali) sono il referente delle neuroscienze.
*
* *
Riguardo
all'ultima questione da me posta e cioè del rapporto tra il
concetto di inconscio della psicoanalisi e quello di non-conscio o
non-consapevole usato dalle neuroscienze, penso sia importante
definire questi concetti per evitare pericolose confusioni
semantiche ed epistemologiche.
Le
esperienze neuroscientifiche, e in particolare neuropsicologiche,
riguardano essenzialmente la non-consapevolezza di un evento esterno
al proprio Sé. Ad esempio, per alcune lesioni cerebrali non si è
consapevoli dello spazio extracorporeo (neglect), del tempo, di
parti del proprio corpo (asomatognosia), di volti familiari (prosopoagnosia),
della propria malattia (anosognosia), del significato di una
percezione o di una esperienza (agnosia visiva, uditiva, ecc.).
Queste non-consapevolezze non riguardano il proprio Sé in quanto
non sono radicate nella storia affettiva ed emozionale del soggetto
né nella sua memoria implicita od esplicita. Questi ultimi aspetti
invece riguardano essenzialmente il concetto di inconscio della
psicoanalisi sia nella sua dimensione freudiana classica di
inconscio dinamico legato alla rimozione che nella sua dimensione più
attuale, non rimotiva, legata alle esperienze affettive ed emotive e
alla processualità traumatica essenzialmente preverbale e
presimbolica delle prime relazioni del bambino con l'ambiente,
archiviate nella memoria implicita.
Riguardo
alle emozioni, alcuni cognitivisti (Kihlstrom, 1987) hanno parlato
di un "inconscio cognitivo" sottolineando la identità tra
emozioni ed inconscio e suggerendo questa identità come un punto di
convergenza tra psicoanalisi e neuroscienze. Questo suggerimento,
anche sulla base de lavoro di LeDoux (1996), è stato raccolto da De
Masi (2000) che ha distinto l’"inconscio dinamico"
descritto da Freud dall’"inconscio emotivo" come
funzione della mente proposto da Bion (1967). Tuttavia poiché
l’inconscio, sia esso dinamico che non rimotivo è sempre e
comunque radicato nelle emozioni e negli affetti, penso sia
preferibile distinguere l’inconscio rimotivo descritto da Freud,
dinamico e fondato sulla rimozione, quale espressione del modello
pulsionale, dall’inconscio non-rimotivo*, quale
espressione di un modello relazionale e contenitore di esperienze
precoci e preverbali che hanno partecipato alla organizzazione di
rappresentazioni affettive delle figure più significative dello
sviluppo del bambino e di difese rispetto alla delusione,
frustrazione e traumi diversi che egli ha incontrato nel suo impatto
con la realtà. Tra queste difese spiccano per importanza la
scissione, la identificazione proiettiva, la negazione, la
idealizzazione. Sono queste le esperienze relazionali precoci che
sono state archiviate nella memoria implicita e che costituiscono
una storia emozionale ed affettiva che si manifesta nel presente di
una relazione pur avendo le sue radici nell’infanzia preverbale o
perfino in epoca prenatale. E’ per questo che può creare un
fraintendimento, distinguere l’inconscio presente dall’inconscio
passato (Sandler & Sandler, 1987) in quanto anche le
manifestazioni transferali e le difese inconsce presenti nell’hic
et nunc della relazione (inconscio presente) hanno le loro radici
nel passato e nelle più significative esperienze archiviate nella
memoria implicita (inconscio passato). Questa funzione inconscia
della mente, che sintetizza la storia emozionale ed affettiva
dell’individuo, è il referente esclusivo e specifico della
psicoanalisi.
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