REGIONE LAZIO: mare e fiumi a rischio,

Depuratori un “colabrodo”

 

Roma 23 Giugno 2005 - Nella regione Lazio sono irregolari 116 impianti su 138, controllati l’84%, una pioggia di violazioni alle leggi sulle acque e sui rifiuti. Per mesi elicotteri, pattugliatori e motovedette della Guardia di Finanza hanno perlustrato tratti di costa e fiumi a rischio inquinamento. Nel mirino c’erano tutti gli scarichi delle acque reflue del Lazio: centinaia di depuratori dell’entroterra e del litorale laziale, da Formia a Sperlonga, che in caso di negligenze rischiano di diventare altrettante "bombe batteriologiche", con gravi ripercussioni sulla salute pubblica.

 

Gli ufficiali e gli ispettori del Roan (Reparto operativo aeronavale) hanno fatto un lavoro certosino: per ogni impianto è stata effettuato un sopralluogo dall’alto a sorpresa, il pedinamento di autobotti e autospurgo in entrata e in uscita fino a che, alla data fissata, è scattato il controllo ufficiale, con tanto di prelievi delle acque a monte e a valle del depuratore. Ispezioni, multe salatissime, denunce.

E adesso, dopo 18 mesi di controlli a tappeto, l’operazione "Fiumi e mari blu" è arrivata a una prima conclusione.


I dati sui 138 depuratori controllati finora il 40% del totale, sono allarmanti e, per molti versi, sbalorditivi:
in 116 impianti su 138 controllati, nell’84% dei casi sono state riscontrate gravi irregolarità.

Meno di due depuratori su dieci sono passati indenni alle verifiche delle Fiamme gialle. In particolare a carico dei gestori di 104 impianti su 116, il 90% di quelli "non conformi", sono scattate sanzioni amministrative nell’ordine delle decine di migliaia di euro, mentre in 12 occasioni i finanzieri hanno fatto scattare un provvedimento più pesante, la denuncia penale.

 

UN POOL AL LAVORO - Questa campagna sulle acque reflue rappresenta una “esclusiva” laziale: tutto è cominciato dal protocollo d’intesa tra Regione Lazio, Arpa (Agenzia regionale Prevenzione e Ambiente) e Comando regionale della Guardia di finanza, guidato dal generale Daniele Caprino, firmato il 15 novembre 2003. Gli obiettivi erano almeno tre: tutelare l’ambiente idrico, salvaguardare la salute dei cittadini e verificare il corretto investimento dei finanziamenti pubblici. Si è trattato del primo esempio in Italia di cooperazione ai massimi livelli contro il fenomeno di “Inquinopoli”.


A giudicare dai risultati dei controlli eseguiti in 18 mesi, da gennaio 2004 ad oggi, ce n’era proprio bisogno, il settore della depurazione era ed è tuttora una vera giungla.


Maglia nera della classifica per province è risultata Rieti, che ha realizzato un poco onorevole en plein : 31 impianti su 31 hanno evidenziato violazioni sia per quanto riguarda gli scarichi sia nella tenuta della contabilità. Seguono Latina e Viterbo rispettivamente con il 95 e l’80% di bocciature, ma anche il dato romano fa impressione: 36 impianti su 48 il 75% sono irregolari.


LE VIOLAZIONI - Quali gli abusi più ricorrenti?

Le normative ignorate sono essenzialmente due: il decreto legislativo 152/1999 sulla disciplina delle acque reflue e per la tutela delle risorse idriche e il cosiddetto “decreto Ronchi” del 1997 sulla gestione dei rifiuti, compresi quelli prodotti dagli impianti di “pulizia” delle acque.


I casi sono equamente ripartiti: circa il 40% di violazioni sulle acque, provate dall’analisi dei campioni prelevati da un tecnico dell’Arpa, alla presenza di un ufficiale della Finanza e del gestore del depuratore, e altrettante, o poco più, sulla “normativa Ronchi”.


Si va dallo scarico di reflui fuori tabella, che nelle scorse settimane hanno fatto scattare la denuncia penale nei confronti dei titolari di due impianti civili ad Aprilia e a Latina, al superamento dei limiti di inquinamento previsti dall’articolo 28 del decreto 152; dalla mancata autorizzazione allo scarico all’irregolare tenuta dei registri sulla gestione dei rifiuti, fino all’omessa comunicazione del Mud il Modello unico di denuncia.


Tra gli ultimi sequestri, spiccano quelli del 19 aprile a carico della “Cimsa Sud srl” di Pomezia, che operava senza nulla osta, e del 12 aprile a San Donato Val di Comino (Frosinone), dove il depuratore delle acque urbane è risultato gravemente carente.
 


LE SANZIONI – “Inquinare costa poco - dichiara il maggiore Emilio Errigo, comandante del Roan di Roma - ma poi l’opera di disinquinamento, che comprende anche i lavori di bonifica e riqualificazione ambientale, ai cittadini attraverso le tasse costa tantissimo. Ecco perché, garantire una corretta gestione degli impianti, in definitiva, significa tutelare le casse dell’erario ma soprattutto le tasche della gente”.

 

Le sanzioni amministrative, che vengono versate alla Regione e vanno reinvestite in progetti ambientali, sono elevate: da un minimo di 1.032 a un massimo di 12.911 euro per uno scarico di reflui fuori tabella, fino a 51.640 euro per la mancata autorizzazione allo scarico.


Sia le imprese che hanno l’obbligo di dotarsi di un depuratore sia gli amministratori di molti dei 378 comuni del Lazio non ancora “visitati” dalle Fiamme gialle sono dunque avvisati: l’operazione “Mari e fiumi blu” è al giro di boa.

Chi l’ha fatta franca finora, farebbe bene a correre ai ripari.

di Umberto Evangelisti

(Aggiornato il 23 Giugno 2005 ore 10:00)

 

“Depuratori colabrodo”: la Regione corre ai ripari

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