MASSIMO CARTA

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CAPITOLO 2

IL TRASPORTO DEL PETROLIO

In pochi casi le aree di produzione del petrolio si trovano vicine ai luoghi di consumo. Avviene più spesso il
contrario: paesi ricchi di industrie, come l’Europa occidentale, ne producono una quantità assai modesta e usano
petrolio importato; il Medio Oriente e l’Africa settentrionale esportano quasi tutto il petrolio estratto.
Vi è quindi un intenso scambio tra i luoghi di produzione e i mercati; il petrolio e i suoi derivati sono oggi le
merci trasportate in maggiore quantità e il loro movimento ha assunto dimensioni gigantesche.
All’inizio le raffinerie tendevano a localizzarsi vicino ai giacimenti e fino alla seconda guerra mondiale il 70
% del greggio veniva lavorato presso gli impianti di estrazione; il trasporto quindi riguardava soprattutto i
prodotti raffinati.
Poi, per motivi non solo economici ma anche politici, la situazione si è capovolta, perché si è preferito
trasportare il greggio ed eseguire la raffinazione presso i luoghi di consumo o in luoghi intermedi.
E’ facile capire il motivo di uno spostamento dei luoghi di lavorazione se si pensa che, per la maggior parte
dei casi i luoghi di produzione si trovano in zone quasi disabitate con clima poco favorevole, inoltre, come se
non bastasse, il lavoro di distillazione richiede impianti complessi e tecnici specializzati.
Spesso poi, le compagnie petrolifere operano in paesi stranieri, ove cambiamenti di orientamenti politici e
instabilità di regime potrebbero far revocare le concessioni; il petrolio del Venezuela, per esempio, viene
raffinato nelle isole di Aruba e Curaçao che, essendo sotto la sovranità olandese, sono al riparo da eventuali
politiche di nazionalizzazione del Venezuela.
Sono questi i motivi che costringono il petrolio a superare grandi distanze e per via terrestre mediante
appositi tubi (gli oleodotti) e per vie marittime con navi cisterna o petroliere.
La prima idea di trasportare il petrolio attraverso tubature metalliche come si fa per l’acqua, risale al 1860 ed
è dovuta al generale americano Karus. Il primo oleodotto di una certa lunghezza (8 chilometri), venne costruito
in Pennsylvania nel 1866, aveva un diametro di 5 centimetri ed era fatto con tubi uniti da manicotti a vite, si
dimostrò assai utile e fu ben presto seguito da molti altri, nonostante l’opposizione dei carrettieri (trasportatori
dei fusti), che temevano di restare senza lavoro.
Oggi gli oleodotti formano in molte aree una rete assai fitta; il diametro medio delle tubature va dai 50 ai 90
centimetri e la lunghezza può superare i 3.000 chilometri. Gli oleodotti principali portano il greggio alle
raffinerie o ai porti di imbarco; gli oleodotti per derivati, di istituzione più recente, portano i prodotti della
distillazione dalle raffinerie ai luoghi di consumo.
Ai giorni nostri, oltre un terzo della flotta mercantile del mondo è costituita di petroliere o navi cisterna
(tankers), che nel giro di pochi anni, si sono più che quadruplicate.
All’inizio il petrolio veniva caricato in fusti insieme alle altre merci ma, il pericolo d’incendi e l’aumentare
dei quantitativi trasportati, indussero alla costruzione di navi apposite che comparvero tra il 1863 e il 1866; nel
1878 i fratelli Nobel applicarono a poppa di queste navi, motori alimentati con olio combustibile.
Appunto per questa caratteristica, conservata fino ad oggi, le petroliere sono facilmente riconoscibili anche
da lontano; il fumaiolo è nella parte posteriore della nave, in modo che le scintille si disperdano sul mare
evitando quindi il pericolo di giungere sul carico infiammabile; i ponti, sono muniti di tubi e di valvole che
permettono di scaricare e caricare i liquidi in un tempo piuttosto breve (la sicurezza e l’efficienza di questi tubi
sono oggi quasi totali, il greggio viene caricato e scaricato in tempi brevissimi).
Per diminuire il costo del trasporto del greggio le dimensioni delle petroliere sono andate sempre più
aumentando, dalle 16.000 tonnellate delle petroliere della seconda guerra mondiale si è passati a petroliere di
200.000 tonnellate (Il Giappone ne ha costruite addirittura da 400.000 tonnellate). Queste grosse unità,
richiedono personale altamente specializzato per le manovre e adeguate strutture portuali, che solo pochi porti
sono in grado di offrire, ecco perché in alcuni casi si sono costruite piattaforme o terminals (moli imponenti
attraversati da fasci di tubature) per lo scarico e il carico dei liquidi al largo.
Il trasporto di quantità sempre crescenti di petrolio sui mari, ci ha posti d’innanzi ad inconvenienti che non
bisogna sottovalutare: in seguito a collisioni o a errate manovre di scarico e carico si possono avere incendi o
perdite di liquidi oleosi che, essendo più leggeri dell’acqua, non vanno a fondo ma restano in superficie; si
formano così grandi macchie che, trasportate dalle correnti vagano a lungo, finché giungono in zone costiere
ove possono provocare danni anche gravi se si tratta di località turistiche e balneari o addirittura irreversibili se
intaccano la flora e la fauna marini come successe per la Exxon Valdez.