MASSIMO CARTA

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CAPITOLO 3

UNA BARA DI FUOCO SUL MARE
CATASTROFE AL LARGO DI LIVORNO: 134 VITTIME, UN SUPERSTITE 

L’11 Aprile 1991 a Livorno il traghetto Navarma <<Moby Prince>>, in rotta per Olbia, sperona nella 
nebbia la petroliera <<Agip Abruzzo>> alla fonda (all’ancora), lo scontro fa da scintilla all’esplosione, un solo
superstite, nessuno dei restanti passeggeri del traghetto si salvò, 70 passeggeri e 64 membri dell’equipaggio
carbonizzati in un baleno.
La petroliera Agip Abruzzo era una delle 17 navi-cisterna di proprietà della Snam del gruppo Eni, aveva una
portata di 150mila tonnellate ma al momento della collisione trasportava 82mila tonnellate di petrolio greggio
da scaricare a Livorno, la nave era ancorata in rada da 24 ore nella posizione prevista dalla capitaneria ed
attendeva disposizioni per l’ingresso in porto e lo scarico del petrolio.
La società armatrice del traghetto “Moby Prince” è la Navarma, costruita nel 1959, ma la proprietà spetta
alla società “Moby invest spa” con sede a Napoli. La società opera con traghetti nei collegamenti con la
Sardegna, la Corsica e l’Elba; nel 1991 disponeva complessivamente di 13 traghetti .
La “Moby Prince” venne costruita nel 1967 in Gran Bretagna, a Birkenhead, prima di essere immatricolata in
Italia batteva bandiera Olandese con il nome “Koningin Juliana” ( Regina Giuliana ). 
Iscritta ad Olbia il 7 Dicembre 1985, la nave è entrata in esercizio l’8 Maggio dell’anno successivo dopo
essere stata ristrutturata. 
La petroliera “Moby Prince”, ha una stazza lorda di 6187 tonnellate con quattro motori entrobordo costruiti
in Germania, che consentono una velocità di 19 nodi, è lunga 131 metri e larga 20, può trasportare 1490
passeggeri e 360 veicoli.
<< Il traghetto Moby Prince prendeva nome dalla balena bianca di Melville; e anche questo traghetto della
Navarma, era bianco e blu, la maggior parte dei passeggeri si era messa in viaggio per motivi di lavoro, i più
svariati, sul traghetto c’erano autotrasportatori, commercianti, piccoli nuclei famigliari, ecc. La partenza da
Livorno era avvenuta alle 22 appena passate; Mercoledì 11 Aprile 1991, la notte era tranquillissima, il mare
liscio. 
Le madri avevano subito portato a letto i bambini nelle cuccette. Chi non disponeva di cuccette, si era
accomodato sulle poltroncine, ma il grosso dei passeggeri si era accomodato nel grande salone, pomposamente
chiamato ‘Discoteca’, dove erano stati piazzati alcuni apparecchi televisivi. Quella di mercoledì era una serata ad
altissimo livello sportivo. La Juventus giocava a Barcellona. Mancavano pochi minuti alla fine di quella partita e
un’altra ne era subito cominciata, quella a Lisbona che vedeva l’Inter contro lo Sporting. 
Il traghetto della Navarma era diretto ad Olbia, dove sarebbe dovuto arrivare tra le 6 e le 6 e mezzo della
mattina di giovedì. Le auto caricate erano 31, una decina i camion. Uscita dal porto di Livorno la ‘Moby Prince’
ha svoltato a sinistra, secondo la rotta consueta, e ha costeggiato per un po’, passando davanti alla città di
Livorno, che era tutta illuminata. Ad un certo punto la nave è entrata in un banco di nebbia, fittissima (sul
traghetto non mancavano i radar).
L’urto contro la petroliera “Agip Abruzzo” è stato di una violenza inaudita. La motonave si trovava alla fonda,
fuori dal porto di Livorno, ancorata a circa tre miglia. La prora del traghetto ha speronato la poppa della
petroliera, esattamente nella cisterna numero 7, e subito il petrolio ha cominciato a sgorgare infiammandosi.
Un’ondata di petrolio, tonnellate di greggio, avevano investito la stiva dove erano parcheggiati i camion e le
macchine e, di qui, la massa di petrolio era penetrata negli altri ambienti della ‘Moby Prince’. Tutto aveva preso
fuoco in un attimo[1]>>. La tragedia del mare si era compiuta in una manciata di minuti. 
<< Pallido, la bocca stirata dalla tensione, il mozzo Alessio Bertrand da Ercolano (NA), unico sopravvissuto alla
strage del traghetto “Moby Prince”, sottoposto a tre ore di interrogatorio ha rievocato la spaventosa agonia della
nave in fiamme nella rada di Livorno. Bertrand ha 24 anni ed una faccia grigia, da vecchio; nell’ufficio del
giudice De Franco che conduce l’inchiesta sulla strage, ha ripercorso gli attimi dello scontro, il pazzo fuggire
dei passeggeri in preda alla paura, le urla e il vagare nel buio della nave senza governo.[2]>> 
<< Quando poco prima di mezzogiorno , esce dall’ufficio della Procura il mozzo porta ancora in faccia,
l’espressione chiusa, ostile di chi si sente continuamente minacciato. In realtà, le scene e i particolari riferiti
dalla viva voce del solo sopravvissuto alla nave dei morti costituiscono uno dei pochi punti fermi del mistero di
questa sciagura, dove non c’è – e forse non ci sarà mai – niente di sicuro, neppure il numero delle vittime. Pochi
minuti dopo la partenza, alle 22,15 il mozzo era salito in plancia portando un vassoio di panini imbottiti, come
faceva sempre in vista della lunga veglia che attendeva gli uomini sul ponte; e racconta di aver trovato il
comandante, primo ufficiale, secondo e terzo timoniere “tutti al loro posto, non alla televisione”.
Sembra dunque cadere con questa testimonianza diretta la voce, ingiusta quanto assurda, che attribuiva
l’inspiegabile collisione alla partita in TV, cioè a una sorta di distrazione o follia collettiva.
Nella saletta TV, c’era andato invece il giovanotto di Ercolano dopo l’ultima incombenza dei panini ; e, al
momento della collisione stava seguendo la Juve con una ventina di colleghi come lui liberi da impegni di
servizio.
Alle 22,27 un urto violento scuoteva la nave e li scaraventava contro una parete; un altro scossone e a bordo si
scatenava il finimondo.
Fumo e fiamme dappertutto, grida, gente che correva all’impazzata, in cerca di un’impossibile via di scampo.
Il quadro allucinante tracciato dal mozzo, la sua disperata fuga prima al piano garage, poi in classe cabina, nel
silenzio dei megafoni di bordo e nel caos creato all’assenza di qualsiasi ordine o appello, sembra confermare
che il greggio in fiamme fuoriuscito dalla petroliera speronata ha investito per primo il ponte di comando.
Subito sommersi da un mare di fuoco, in plancia non hanno avuto neppure il tempo di premere il pulsante del
“May day” e la mancanza di un segnale dal traghetto ha certo contribuito al ritardato arrivo dei mezzi di
soccorso.
Alessio Bertrand ha parlato di 20 terribili minuti, durante i quali ha visto morire tanti marittimi e passeggeri
soffocati dal fumo. Lui voleva buttarsi in mare, ma lo ha trattenuto suo zio , suo coetaneo ma con maggiore
esperienza di mare: “non farlo, ti risucchia l’elica ; verranno a salvarci, siamo sottocosta, arrivano subito”,
ripeteva, finché la nube del fumo velenoso lo ha fatto crollare .
“Non l’ho più visto dietro di me, io correvo, scavalcavo cadaveri, finché sono arrivato all’aperto a poppa e mi
sono aggrappato al parapetto sperando che arrivassero a salvarmi. Guardavo l’orologio e il fuoco che veniva
avanti. Il primo mezzo precisa è arrivato alle 23,30 un’ora dopo ...” [3]>> 
<< Ormai non brucia più . Gli ultimi focolai dell’incendio che ha distrutto il “Moby Prince” sono stati spenti
durante la notte. Non esce fumo dal traghetto che, leggermente inclinato, è appoggiato al molo della banchina
numero 11 della darsena petroli del porto di Livorno. E’ un enorme rottame che i vigili del fuoco continuano ad
esplorare per individuare i resti delle vittime di questa tragedia del mare [4]>>.
<< Le cifre di questa agghiacciante contabilità tenuta dagli uffici delle prefettura parlano di 131 cadaveri
recuperati, dei quali 78 identificati e 7 in attesa di probabile riscontro. Ciò significa che 46 tra uomini e donne e
bambini sono solo povere tracce che neppure l’amore dei parenti ha potuto riconoscere.
Accanto ai familiari che piangono su corpi reali, ci sono due donne che s’aggrappano ad una speranza sempre
più tenue. I loro mariti si sono probabilmente imbarcati sul “Moby Prince” quella sera maledetta, ma, la lista
passeggeri non ne riporta i nomi; a tante ore dall’incidente c’è ormai la quasi certezza che possano essere le
vittime numero 142 e 143. 
Sono momenti in cui il dolore si trasforma in rabbia e la rabbia diventa voglia di giustizia. Già dieci famiglie
delle vittime si sono riunite ed hanno nominato i ‘loro’ periti per poter seguire da vicino un’inchiesta che
s’annuncia lunga e tormentata [5]>>. 
<< Nel capannone della ‘Karen B’ dove sono raccolte le salme, ci sono altri tre referti, ma i medici legali
non sono stati in grado di ricondurli con certezza ad altrettanti cadaveri.
C’è un foglio volante dove viene appuntato il numero dei cadaveri individuati ma, purtroppo, ancora da
recuperare, sono altri sei o sette . Nessuno può dire se accanto a tutti i nomi delle vittime potrà essere assegnato
un asterisco che indica che il cadavere è stato recuperato. Esiste infine, ed è la tabella più triste, l’elenco delle
vittime identificate dai parenti: sono 93. In questo elenco, con il numero 79, è entrato nel primo pomeriggio di
ieri anche il comandante del “Moby Prince” , Ugo Chessa, il cui corpo sarebbe stato trovato sul ponte di seconda
della nave.
Una cinquantina di corpi sono già partiti verso i paesi d’origine e la prefettura ha fatto il possibile per
consentire ai parenti di accompagnarli. 
Molti congiunti al momento della chiusura dei feretri, hanno chiesto di mettere accanto alle salme qualche
indumento [6]>>. 
Sulla banchina del porto di Livorno ad attendere notizie dei 139 dispersi del “Moby Prince” c’è anche il
comandante dell’Agip Abruzzo, Renato Superina. Avvolto in un impermeabile verde, gli occhi arrossati, il
comandante racconta quasi sottovoce quello che è successo: ‘‘Eravamo all’ancora ed abbiamo sentito la botta
della nave che ci è venuta addosso. Le fiamme si sono sviluppate immediatamente, abbiamo cercato di spegnere
l’incendio, poi, visto che non serviva a niente e non eravamo in grado di continuare, abbiamo calato la lancia in
mare. Era una scena apocalittica, c’erano fiamme dappertutto’’.
I passeggeri del traghetto non hanno avuto la possibilità di salvarsi perché “l’olio greggio sarà andato sulla
nave e quindi avrà preso fuoco”.
Il comandante Superina non sa spiegarsi come possa essere successo l’incidente: “Noi eravamo fermi, solo il
mio collega comandante del traghetto può spiegare l’accaduto; è vero che c’è il radar, ma la guida di una nave è
qualcosa di molto complesso, possono esserci state delle avarie, non si possono esprimere giudizi senza precisi
dati di fatto, penso che abbiano avuto difficoltà anche con le comunicazioni, visto che non hanno dato l’sos,
d’altra parte lì bruciava tutto”[7]>>. 
Ma cosa accadde quella notte? Come sempre succede in questi casi tra le valanghe di ipotesi ne emergono
sempre alcune tra le più verosimili che prendono piede più di altre all’interno dell’opinione pubblica:
<< L’Abruzzo è arrivato in rada martedì notte quando il Moby Prince era già rientrato dalla Sardegna e
ormeggiato in porto, quindi Ugo Chessa, il comandante del traghetto, non l’aveva incontrato, non l’aveva visto
all’ancora. Quando mercoledì sera è ripartito ha seguito una rotta che credeva sicura e forse ha scambiato le luci
della petroliera per quelle di due navi [8]>>. 
<< Il comandante Agostino Piaggio, 65 anni, in pensione a Zoagli, che ha passato una vita a condurre
petroliere e navi da carico per la compagnia Ravano, (buon amico di Superina, comandante della petroliera
Agip Abruzzo), esprimendo la sua opinione, chiama in causa la nebbia ma, non solo quella: “Accadde anche a me
lo stesso tipo di incidente parecchi anni fa – spiega – nello stretto dei Dardanelli. Comandavo la ‘Sibox’, una
nave carica di venticinquemila tonnellate di tondini di ferro. Eravamo fermi. Alle cinque del mattino ho chiamato
mia moglie per farle vedere la nebbia impressionante che era calata all’improvviso, al nostro paese non la
vediamo mai. Poi ho visto un traghetto turco sbucare a poco più di cento metri. Ci stava venendo addosso per
evitare un’altra imbarcazione. Mi sono mosso subito e ho fatto le cose che si devono fare in questi casi: far
suonare prima la campana a prua, poi il gong a poppa. Serve relativamente, ma può essere utile, infatti il traghetto
ci colpì a prua, il mio equipaggio rimase illeso e alla nave non successe nulla, loro ebbero alcuni feriti.
Insomma, tocca anche a chi è fermo evitare l’urto. Quando lo ‘Stockholm’ affondò l’“Andrea Doria”, la nave
italiana aveva torto ma gli svedesi non fecero nulla per evitare lo scontro”. Ma il radar, in caso di nebbia, è utile
oppure no ?
Qui il comandante Piaggio non ha incertezze: “Gli unici problemi ai radar li creano la pioggia fitta e la neve.
La nebbia assolutamente no. Le posso garantire che col radar, in mezzo alla nebbia, si possono vedere anche gli
uccelli che volano. Certo, occorre massima attenzione e mobilitazione; in genere la visibilità non va oltre i
duecento metri. Nella zona come quella di Livorno, di fronte alle foci dei fiumi, soprattutto di notte, col freddo
è molto frequente la formazione di banchi improvvisi”[9]>>. 
<<Nel buio assoluto sulle cause che possono aver determinato la collisione, si affaccia una nuova inquietante
possibilità: il “Moby Prince” potrebbe essere stato indotto in errore di rotta dalle luci accese a poppa e a prua
della petroliera. Immaginando, nel banco di nebbia che pare ormai certo, che questi fari appartenessero a due
diverse navi, il comandante del traghetto avrebbe deciso di passarci in mezzo.
Un tragico sbaglio che, forse, è stato causato anche dalla posizione dell’Agip Abruzzo. Secondo una
ricostruzione che circolava ieri, la petroliera, alla fonda ai margini del perimetro di mare in cui è vietato
l’ancoraggio per motivi di sicurezza, potrebbe aver scarrocciato di qualche decina di metri sulla spinta del vento,
finendo nella zona proibita.
Il comandante della Capitaneria, Sergio Albanese, annuncia che la posizione assunta quella notte dalla
Abruzzo verrà approfondita, ma commenta: “Ricordiamo che in questo triangolo di mare con tre miglia di lato è
consentita la normale navigazione”.
In serata anche la Snam ha smentito: “La nave era regolarmente ancorata nella zona consentita”.
Una considerazione che in pratica significa: il comandante del Moby Prince doveva comunque accorgersi di
questa eventuale “ invasione ” della petroliera ed aggirare l’ostacolo.
Ma c’è un’altra ipotesi che s’incunea nel groviglio di un’inchiesta ancora senza certezze. L’avanza Italo
Piccini, presidente della compagnia lavoratori portuali di Livorno: “ Si parla tanto di questa fantomatica bettolina
che, nella concitazione di quei momenti terribili, il comandante dell’Agip Abruzzo avrebbe indicato come
responsabile della collisione. E se la bettolina esistesse veramente ? E se il Moby Prince, proprio per evitarla,
avesse compiuto l’errata manovra che l’ha condotto a schiantarsi contro la petroliera ? ”.
Sembra però che gli inquirenti, allo stato attuale delle indagini, propendano per l’ipotesi di un’avaria. Ieri
mattina i sommozzatori della polizia si sono immessi sotto la carcassa del traghetto per valutare le condizioni
di eliche e timone. Un intervento infruttuoso perché l’acqua del bacino è talmente offuscata dai detriti della nave
appena spenta che non si possono scattare fotografie o utilizzare telecamere. Altri mezzi ed altri sommozzatori
frugano nel punto di mare in cui è accaduto il disastro per cercare gli ultimi corpi [10]>>.
Tuttavia la ricerca delle cause del disastro e il recupero dei corpi non è l’unico fronte su cui le forze di
soccorso sono impegnate; ci sono da tenere sotto controllo due chiazze di greggio. Al momento dell’urto
infatti, il petrolio fuoriuscito ha creato una lingua di fuoco alta più di trenta metri seguita da altre due esplosioni,
“l’Abruzzo” presenta ora la fiancata segnata da due grossi squarci, è leggermente inclinata e c’è il rischio di una
catastrofe ecologica.
<< Il corpo della nave, ancorata a due miglia e mezzo dal porto di Livorno, custodisce ottantaduemila
tonnellate di greggio. Una piccola parte, 2700 tonnellate, è già finita in mare dopo la collisione con il Moby
Prince, duemila tonnellate hanno invaso il traghetto e si sono incendiate; Ma purtroppo, settecento hanno preso
il largo, formando un’enorme chiazza: due miglia quadrate di grumi di petrolio che, spinti dal vento e dalle
correnti, lambiscono l’arcipelago toscano e si sono fermate davanti alla Gorgona.
Ecologicamente l’isola rischia la distruzione, l’intera costa di questo paradiso, inavvicinabile per turisti e
pescatori perché è un’isola penitenziario, è rocciosa e il petrolio resta attaccato alla roccia.
E’ allarme rosso a Livorno e in Versilia, che dista appena una cinquantina di chilometri da Gorgona, a Capraia
e all’isola d’Elba, separate dalla chiazza da una manciata di miglia è un incubo di cui nessuno sa prevedere la fine.
La petroliera, apparentemente, è sotto controllo ma c’è sempre il rischio di un’esplosione, di uno squarcio
che rovesci nel Tirreno altre migliaia di tonnellate di greggio. E’ una brutta storia, cominciata nella notte tra
giovedì e venerdì, 24 ore dopo il disastro, quando l’incendio della petroliera , che ormai sembrava domato, ha
ripreso vigore e il vento ha spinto verso il largo la chiazza di greggio che si era formata intorno all’Abruzzo. Le
fiamme sono state alimentate dall’arredamento delle cabine dell’equipaggio e hanno invaso la sala pompe, il
punto critico della nave da dove il fuoco potrebbe raggiungere tutte le cisterne [11]>>.
Lo schema generale di costruzione delle petroliere dal 1886 (anno in cui comparve la prima nave che stazzava
2297 tonnellate) ad oggi, è sempre lo stesso.
La parte centrale dello scafo è divisa da paratie trasversali e longitudinali, che formano con le fiancate e il
fondo della nave dei serbatoi, collegati l’uno all’altro da tubazioni e da un giuoco di valvole.
La sala delle macchine e il fumaiolo si trovano sempre a poppa, la maggior parte delle navi moderne è
equipaggiata con motori Diesel e una caldaia ausiliaria fornisce il vapore necessario al funzionamento delle
pompe e degli argani.
Le pompe sono collocate nella parte inferiore della nave e sono in genere di grossa portata per permettere di
caricare o scaricare in meno di 24 ore l’intero carico, ogni scompartimento viene caricato singolarmente ed è
ventilato in modo da ridurre al minimo i pericoli di esplosione.
La superpetroliera “Agip Abruzzo” inoltre, con il suo carico di 82.000 tonnellate di greggio, è una 
petroliera del tipo “a zavorra segregata” ovvero, ciascuna delle sue venti cisterne è protetta da gas inerti per
evitare la propagazione delle fiamme e delle esplosioni. Nonostante tutto però, gli esperti evidenziarono una
remota possibilità per la quale, i grandi contenitori di greggio sarebbero potuti essere sventrati da fortuite
deflagrazioni in sala macchine, e purtroppo, fu proprio questa remota possibilità, dai più considerata utopica, che
si rivelò invece più che fondata, ed infatti: << All’alba di ieri, mentre cominciava la caccia alla chiazza, una
tremenda esplosione ha sventrato la zona di poppa ed ha provocato uno squarcio grande come quello causato
dallo speronamento del Moby Prince . 
E’ stato un momento di panico, “L’Abruzzo” era circondata dai rimorchiatori che da ore la inondavano di getti
d’acqua. L’onda d’urto dello scoppio è stata così violenta che uno dei mezzi di soccorso, il “ Neri IV ”, è stato
danneggiato ed è dovuto rientrare nel porto di Livorno. La poppa e la torretta dove si trovano le spingarde
antincendio sono state centrate dai frammenti delle lamiere scagliate lontano dall’esplosione. Fortunatamente,
non ci sono stati feriti tra i sei marinai dell’equipaggio e il raffreddamento della petroliera non si è fermato.
Davanti all’Abruzzo c’è la nave militare Anteo, uno scafo d’altura specializzato perfino nel soccorso ai
sommergibili, che è riuscita a gettare acqua fino all’altezza del fumaiolo della petroliera; è grazie all’Anteo che
centinaia di tonnellate d’acqua hanno riempito la zona poppiera creando una barriera che forse impedirà il
disastro ecologico.
Nulla comunque vi è di certo perché nessuno aveva previsto l’esplosione di ieri, probabilmente causata dalla
“cassa carburante”, che si trovava in sala macchine e che contiene il combustibile necessario per la navigazione.
E’ un fronte pieno di incognite, quello della petroliera, così come è carico di mille paure il “viaggio” della
chiazza di greggio che si sta pericolosamente avvicinando a Gorgona, l’isola più settentrionale dell’arcipelago
toscano, a 37 chilometri da Livorno.
La Gorgona, è un’oasi naturale, poco più di due chilometri quadrati dove vivono i detenuti della colonia
penale e poche famiglie di pescatori, avvicinarsi è proibito, le barche devono restare a un miglio di distanza, è
coperta da vegetazione rigogliosissima, quale nessuna isola del mediterraneo può vantare. Il mare che circonda
l’isola, con i fondali che degradano dai 40 ai 150 metri, è praticamente incontaminato.
E’ questo il paradiso che rischia di essere aggredito dal greggio, da una chiazza oleosa che due “ supply 
vessel ” ( le navi speciali antinquinamento ), la “ Vir Services ” e la “ Eco Lazio ”, stanno cercando di
distruggere muovendosi seguendo metodi empirici, a bordo hanno caricato due furgoni di quelli usati per
vuotare le fosse biologiche, ed è proprio con i tubi di questi automezzi che si sta cercando di aspirare il petrolio.
Per agevolare il lavoro sono state calate in mare panne d’altura che incanalano la macchia in modo da rendere
la raccolta dei grumi di greggio più razionale ma non sarà facile fermare la marea nera prima dell’arrivo a
Gorgona dove, i detenuti e i pochi abitanti seguono con angoscia i cambi di direzione del vento. Un
peggioramento delle condizioni metereologiche potrebbe avere conseguenze fatali sia per Gorgona che per la
petroliera.
Una tempesta porterebbe “l’Abruzzo” verso l’affondamento e renderebbe impossibile controllare la chiazza,
fatalmente destinata così, ad infrangersi contro gli splendidi speroni rocciosi dell’isola [12]>>.
Ma, cosa succede quando la popolazione di un paese e del mondo intero è posta davanti ad un dato di fatto
quale può essere una catastrofe come quella di Livorno oppure un disastro ecologico di larga portata come
quello che andremo ad analizzare nelle pagine successive?
<< Il comportamento delle folle durante un disastro, è argomento di studi e di riflessioni fin dai tempi più
antichi ; tuttavia, solo nel nostro secolo, per fini militari e politici di condizionamento psicologico si
affermeranno ricerche scientifiche sul comportamento di una collettività sottoposta a stress, basti pensare che i
nazisti, riuscirono addirittura a ottenere forme di collaborazione dalle etnie che stavano sterminando .
Finita la guerra, gli studi sul comportamento collettivo continuarono e, ricerche sempre più approfondite
fecero sì che si delineassero sempre più professionisti del comportamento collettivo anche in situazioni di
pericolo ambientale .
Pensate infatti alla tragedia che vi ho appena descritto e al modo con cui ho deciso di farlo, non ho fatto altro
che scegliere alcuni degli articoli scritti da una parte di stampa italiana ( a mio avviso le maggiori testate
giornalistiche ) e ricostruire come un puzzle gli eventi, inoltre, questi che vi ho appena proposto sono solo una
piccola parte degli articoli giornalistici che questo episodio nel giro di 24 ore generò e, in tutto questo caos le
strutture pubbliche furono costrette a pronunciarsi ufficialmente per calmare la popolazione senza smentire ne
ufficializzare le voci dei Media, redigendo comunicati non ufficiali o semi-ufficiali.
La sete di informazione però, generò la diffusione di notizie sempre più allarmanti e i fatti rapidamente
conquistarono le prime pagine dei giornali; poi con il passare delle ore , dei giorni e delle settimane la tensione
andò rapidamente diradandosi la sensibilizzazione popolare si affievolì e l’allarme lasciò il posto
all’indifferenza [13]>>. 
Alla luce di quanto vi ho appena proposto, mi piace quindi l’idea, a distanza di anni, di proporre, anche a voi
due articoli della testata giornalistica LA STAMPA che sono stati pubblicati alcuni giorni dopo la tragedia di
Livorno e che hanno fatto il punto della situazione.
<< Vorremmo sapere subito perché, immaginiamo l’urto nella nebbia, le grida, l’allarme, la valanga di
fiamme giù dalla petroliera dentro la Moby Prince, nelle sale, nei corridoi, nelle cabine: come un film
dell’orrore, ma non è un film. Spiegateci subito – vorremmo gridare – come è successo e perché; non servirà
purtroppo alle povere vittime, non servirà certamente ora ai familiari, disperati su quella banchina davanti al
mare grigio, ma, se ci sono responsabilità – e di certo esistono perché lo stesso ministro Vizzini ha detto che “è
stato un errore umano”- ce lo dicano, al più presto possibile; noi, tutti noi atterriti davanti alle immagini TV
abbiamo il diritto di sapere.
Dovremo aspettare, come è giusto che sia, i controlli, le perizie, le ricostruzioni. La chiarezza è fatta anche
di prudenza, ma le domande sono tante, nel 95% dei casi – ci spiegava un esperto – gli incidenti in mare sono
dovuti ad errori umani: non badate troppo – aggiungeva – a chi parla di soli guai tecnici. E allora diteci come
normalmente erano organizzati i turni di guardia su quel traghetto; spiegatecelo bene, perché non siamo esperti,
sulle navi saliamo solo per andare in vacanza.
Quando la nave salpa e va nella nebbia, quanti stanno al timone, o al radar? Ci sono prescrizioni per questi
casi? C’è chi controlla e le fa osservare (in via preventiva s’intende)? Com’è possibile che un Moby Prince si
infili nella pancia di una petroliera senza un segnale d’allarme, senza un tentativo di bloccare i motori? Possono
essersi guastati, di un botto, timone e radar?
Le revisioni e i controlli erano stati effettuati poche settimane fa. La società armatrice batte bandiera italiana
e le nostre leggi sono severe. Confortateci sul fatto che, anche in questo singolo caso non c’è stata
disattenzione. La nave aveva 24 anni, era stata rimessa a nuovo sei anni fa. Vogliamo sapere tutto sui suoi primi
18 anni, lassù a navigare nei mari del Nord con il nome della regina Giuliana d’Olanda: sui suoi lavori di
restauro, sulla sua manutenzione, sullo stato delle strutture.
Non facciamo processi sommari, vogliamo essere rassicurati; ci sarà chi ha la possibilità di farlo. Una sola
parola, pensiamo, non riusciremmo mai ad accettare di fronte ai morti, all’orrore, alla disperazione di Livorno.
E’ questa: fatalità >>.
<< Il black-out giudiziario calato sulla tragedia con 141 morti del “ Moby Prince ” alimenta congetture e
apprensioni, dopo dieci giorni di silenzi filtra una notizia contraddittoria, confusa e inquietante. 
Sono emersi colpevoli ritardi nei soccorsi ? Che senso dare al trasferimento per telegramma a Civitavecchia
dell’ufficiale della capitaneria livornese, Renato Roffi, responsabile della sezione sicurezza ?
L’ordine impartito l’altra settimana non viene posto in relazione con la sciagura, né l’ufficiale sarebbe stato
convocato dal magistrato, tuttavia molte cose sono state scritte e dette nei giorni scorsi sul fatto che la prima
motovedetta giunse sotto il bordo del traghetto in fiamme un’ora dopo la collisione con la petroliera “ Agip
Abruzzo ”.
Un tempo così lungo era stato giustificato con l’esigenza di riscaldare i motori diesel per almeno 15 minuti e
con il mancato Sos del traghetto che aveva fatto ritenere una fantomatica bettolina responsabile dello
speronamento.
L’indiscrezione va presa con molta cautela: molte voci autorevoli all’interno della marineria livornese
sussurrano che quel trasferimento rappresenterebbe la conclusione di una lunga storia di dissapori tra l’ufficiale
e i suoi superiori. Sempre sul piano giudiziario perdono terreno i legali delle assicurazioni del traghetto.
Alla ricerca di probabili corresponsabilità avevano sostenuto che l’Agip Abruzzo si trovasse all’ancora in una
zona vietata alla sosta. Su mandato del procuratore capo Antonino Costanzo il “ punto nave ” è stato calcolato
dagli insegnanti di materie nautiche dell’Accademia navale. A quanto si è saputo la petroliera sarebbe stata
assolta: era alla fonda in posizione del tutto regolare
Su Livorno è cessata l’emergenza da tre giorni: nella tarda mattina di venerdì un laconico bollettino della
capitaneria portuale comunicava che l’incendio a bordo della petroliera era completamente estinto. Nella città,
ancora atterrita dalla strage del traghetto “ Moby Prince ”, la notizia è stata accolta come un segno del ritorno
alla normalità, una normalità profondamente segnata dal cordoglio. Alla tragedia con un tanto spaventoso costo
di vite umane non è seguita la catastrofe ecologica, un pericolo che il pennacchio di fumo, levatosi
ininterrottamente per otto giorni “dall’Agip Abruzzo” , faceva apparire più minaccioso e incombente di quanto
non fosse in realtà.
In mare non è finito che il greggio contenuto nella tanica n°7 squarciata dalla prua del traghetto e il
carburante contenuto nel serbatoio per l’alimentazione dei motori, esploso durante l’opera di spegnimento.
L’Agip Abruzzo ha resistito al lungo tormento di fuoco senza che fuoriuscisse una sola goccia delle 80mila
tonnellate di petrolio stivate nelle tanche, per dirla con un termine marinaro la petroliera ora si trova “in
sicurezza”. Probabilmente verrà rimorchiata alla darsena per il travaso del carico nei serbatoi a terra. 
Lentamente sta rientrando l’allarme inquinamento su quei 40 chilometri di costa che vanno da Livorno a
Marina di Carrara: l’aereo della guardia costiera, che sorvola la zona per il quotidiano monitoraggio, segnalava
ieri “iridescenze e tratti”, cioè un sottile e discontinuo velo oleoso e zolle.
Nel lavoro di bonifica sono impegnati una ventina di mezzi; il mare mosso complica le operazioni che,
comunque, dovrebbero essere completate entro la settimana.
Rassicurante la situazione sul litorale Pisano: la chiazza al largo è stata aspirata e ora riempie 400 bidoni. Più
complessa la ripulitura della scogliera che ha richiesto getti d’acqua sotto pressione; sulla spiaggia è stata
rimossa la sabbia intrisa di catrame. Le così dette zolle qua e là, hanno raggiunto la costa versiliese: sono quanto
rimane delle tre chiazze di 600 metri di diametro, avvistate giovedì scorso al largo dal ricognitore. Erano state
immediatamente circondate dalle barriere di “panne”, poi era cominciato il lavoro di aspirazione, terminato nella
sera di sabato.
All’opera di bonifica si affianca l’attività scientifica per una valutazione nel tempo lungo dei danni subiti
dall’ecosistema, le società assicuratrici dell’Agip Abruzzo hanno inviato sui luoghi uno dei maggiori esperti in
tema d’inquinamento, l’inglese Hugh Parker della “International Tanke Rowner Pollution Federation”, sino a
pochi giorni fa si trovava nel Golfo Persico.
Assieme ai tecnici della “Marine Inspection” Parker sta esaminando la zona. Giudica la situazione del tutto
sotto controllo e si riserva una risposta meditata sui quesiti relativi alle possibili alterazioni ambientali.
Non si sentono sollevati gli albergatori della Versilia ; a tenerli in apprensione non sono i grumi di petrolio
“spiaggiati” e subito rimossi, ma la pubblicità negativa che alla vigilia della stagione potrebbe loro derivare dagli
allarmati (o allarmistici?) comunicati diffusi da lega ambiente.
Dai dati forniti dalla “lega”, si registrerebbero concentrazioni di idrocarburi venti volte superiori ai limiti di
legge a Forte dei Marmi, e ben 80 volte maggiori a Marina di Carrara.
Le società incaricate del disinquinamento replicano che quei prelievi sono stati eseguiti prima degli
interventi di bonifica che hanno dato ottimi risultati >>.

Gli uomini della capitaneria di porto di Livorno furono impegnati con tutti i loro mezzi senza poter
mai troppo contare su aiuti esterni dal momento che i maggiori esperti e la stragrande maggioranza
dei mezzi, erano concentrati a Genova, da dove si stava allungando una spaventosa, scura ondata di
petrolio.
















[1] IL GIORNO – Venerdì 12 Aprile 1991.
[2] LA STAMPA – Martedì 16 Aprile 1991.
[3] IL CORRIERE DELLA SERA – 12 Aprile 1991.
[4] LA REPUBBLICA – 16 Aprile 1991.
[5] LA STAMPA – 16 Aprile 1991.
[6] IL CORRIERE DELLA SERA – Aprile 1991.
[7] IL GIORNO – 12 Aprile 1991.
[8] LA REPUBBLICA - 16 Aprile: Spiegazioni ufficiali.
[9] LA REPUBBLICA - 12 Aprile 1991.
[10] LA STAMPA – 16 Aprile 1991: Nuovo mistero a Livorno.
[11] LA REPUBBLICA - Aprile 1991.
[12] LA REPUBBLICA - Aprile 1991. 
[13] I DISASTRI di Francesco Santoianni.