MASSIMO CARTA

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CAPITOLO 5

IL MOSTRO MARINO SI E’ INABISSATO MA NON E’ STATO
SCONFITTO
I MINISTRI SPERANO, LA LIGURIA HA PAURA

Sono le ore 10.00, la “Haven”, dopo aver sbuffato pericolosamente si è calmata, le lingue di fuoco create
dalle ultime esplosioni sembrano essersi smorzate, ma...
<< In una manciata di minuti, come un animale ferito, il mostro cominciava ad inabissarsi lentamente e alle
ore 10.08 scompariva sott’acqua, dopo aver mandato come ultimo, minaccioso avvertimento una lunga sbuffata
di fumo denso e scuro. Al suo posto rimaneva soltanto un enorme cerchio di schiuma biancastra che si andava
via via disperdendo.
Era il panico.
Se la nave si era adagiata vi poteva essere ancora qualche speranza. Si fosse spezzata, era il disastro per
l’ecosistema.
Iniziavano le osservazioni intorno alla nave alla disperata ricerca di una traccia, un segno della possibile
sciagura. A poco a poco, mentre in tutta l’area si diffondeva l’insostenibile fetore di combustibile, che gravava
come una cappa su tutto il tratto da Arenzano a Varazze, coprendo anche la collina, si faceva largo un’unica sola
speranza: forse si è adagiata diritta sul fondo.
La nave, comunque, dalla sua pancia di metallo, squarciata in più punti, può ancora disperdere petrolio, forse
decine di migliaia di tonnellate, quanto basta per avvelenare e “uccidere” tutto il braccio di mare di fronte alla
riviera ligure. Per adesso è li immobile, 70 metri sott’acqua a due miglia dalla costa di Arenzano, spaventosa
minaccia sommersa; nel frattempo, il suo sangue nero sgorgato a flotti come da una ferita purulenta, sta
sporcando chilometri e chilometri di spiagge della Liguria [1]>>. 
<< C’è un sole da tintarella. In spiaggia non tira un alito di vento. Il mare è una tavola. Ma a Celle, trenta
chilometri da Genova, la bava nera si prende gioco della fila di salsicciotti (panne) che chiude la baia, ruba il
posto agli ombrelloni, si lega alla sabbia formando pozze d’asfalto.
Tre giorni di bel tempo non sono bastati a graziare la Liguria, l’hanno aiutata. Quando una superpetroliera si
apre come una scatola di sardine, lo shock ambientale, è in una certa misura irreparabile.
Il greggio si estende come un sudario che blocca il respiro del mare: gli scambi gassosi tra l’aria e l’acqua
sono ostacolati, la vita marina di superficie viene soffocata e le sostanze tossiche iniziano il loro viaggio nella
catena alimentare che dal fitoplancton, attraverso molluschi e pesci, le può portare fino all’uomo.
Da quando, alle dieci di domenica mattina, dopo un ennesimo scoppio, la petroliera si è inabissata, il rischio
di catastrofe ecologica corre su due livelli paralleli: quello, visibile a tutti, della marea nera che si sposta verso
Ponente e lorda spiagge e porti per una sessantina di chilometri ad ovest di Genova, minacciando anche le coste
francesi; e quello, ancor più carico di incognite, della carcassa sommersa che potrebbe liberare decine di
migliaia di tonnellate di greggio provocando danni irreparabili.
Le autorità mostrano però ottimismo, sempre s’intende, “incrociando le dita”. Domenica a Genova c’erano i
ministri dell’Ambiente, della Marina mercantile e della Protezione civile ad assicurare, dopo la proclamazione
dell’allerta nazionale, il massimo coordinamento degli interventi.
Ieri, sono giunti da Livorno “Anteo”, un mezzo attrezzato per interventi di altura e per il recupero in
profondità, e il “Ragno II” della Saipem, che opera con un batiscafo e una campana per sub.
Mentre sulla costa ci si prepara con le barriere già usate in Adriatico per la mucillagine a sostenere l’ondata
catramosa e imbarcazioni varie inseguono le chiazze nere cercando di neutralizzarle, sono iniziate le ispezioni
allo scafo per cercare di capire quanto petrolio ancora contenga, in quali condizioni di fluidità, e se esistano
falle da cui la massa potrebbe uscire in mare.
Non esiste al momento alcun dato certo.
In mare i mezzi “mangia-petrolio” della task force che fa capo all’ammiraglio Alati hanno finora neutralizzato
un migliaio di tonnellate di greggio misto ad acqua, mentre a terra sono all’opera squadre con ruspe e badili.
Le prime chiazze sulle spiagge sono state affrontate artigianalmente, ma la buona volontà senza cognizioni di
tecnica ha rischiato di peggiorare la situazione; qualcuno ha infatti scavato nell’arena seppellendo catrame, un
sistema sicuro per inquinare l’intera spiaggia. 
Solo in un secondo momento da Genova è partito l’ordine di chiudere i residui recuperati nei bidoni, che
sono stati stoccati a Nervi e in futuro verranno piazzati, in attesa di sistemazione più sicura, su vagoni ferroviari.
Domenica sera, e quindi a più riprese nella giornata di ieri, da una motovedetta ancorata sopra il relitto, si è
staccato una sorta di robot filoguidato (ROV) munito di telecamera con il compito di ispezionare accuratamente
ogni centimetro della petroliera.
Il ROV (Remote operating vehicle) finora ha visionato solo il 10 per cento della carcassa, nella parte di
poppa, rilevando piccole falle non preoccupanti.
Si proseguirà oggi e nei prossimi giorni, quindi si dovrà individuare il punto a minor rischio dove inserire le
pompe di aspirazione. Si va avanti, dunque, in un clima d’incertezza ma con qualche ottimismo in più rispetto ai
giorni scorsi [2]>>. 
Le operazioni sono affidate a “Ragno” e “Scorpio”, questi sono infatti i nomi della piattaforma Saipem, che
dovrà pompare il greggio e del veicolo telecomandato che esaminerà il veicolo sott’acqua.
<< A descriverlo sembra una di quelle automobiline da bambini comandate a distanza via cavo. Ma è grosso
come una mercedes e deve scoprire, al più presto, le condizioni della petroliera inabissatasi, trasmettendo con
una telecamera le immagini della Haven. 
Il “ROV” dovrà individuare eventuali falle al fine di consentire agli esperti di decidere come recuperare il
micidiale carico di petrolio.
Si chiama “Scorpio” il veicolo telecomandato della “Ragno II”, la piattaforma Saipem, società del gruppo Eni,
arrivata ieri (15 apr.1991) verso le 18 a Genova, sul punto in cui è affondata la petroliera Cipriota.
Lunga oltre 80 metri e larga 18, la “Ragno II” era impegnata nei giorni scorsi in rilevamenti nello stretto di
Messina e svolgerà ora un compito da protagonista per tentare di scongiurare il disastro ecologico al largo delle
coste liguri.
La piattaforma è dotata di un piccolo sottomarino, capace di scendere sino a mille metri di profondità con
quattro persone a bordo e munito di due braccia meccaniche in grado di impiegare utensili.
Una volta deciso come aspirare in superficie il greggio della “Haven”, spetterà ai sommozzatori piazzare le
condotte. Per l’impiego dei sub la “Ragno II” è dotata di un sistema di saturazione multiplo, composto da camere
di decompressione abbinate ad una campana.
Le tubature per l’aspirazione del petrolio verranno tenute costantemente sotto controllo da un sistema di
monitoraggio in grado di segnalare tempestivamente la necessità di eventuali interventi di riparazione. Dalla
sede di San Donato Milanese i tecnici Saipem sono in costante collegamento via radio con i colleghi a bordo
della “Ragno II”.
Sino a ieri era prematuro azzardare previsioni sull’inizio del pompaggio di greggio dal relitto attraverso la
piattaforma oggi non lo è più [3]>>. 
<< Lentamente quasi con circospezione, il piccolo sommergibile, lungo 12 metri è sceso verso il fondo in
mezzo ad un fitto pulviscolo di melma in sospensione; Manovrando con cautela il sommergibile si è avvicinato
allo scafo, sulla fiancata di sinistra il monitor collegato con la telecamera di bordo ci mostra due squarci
verticali provocati dalla prima esplosione, quella avvenuta giovedì 13 che ha causato l’incendio, sulla fiancata
opposta, ci sono altri tre squarci un po’ più grandi. 
Le immagini trasmesse dalla telecamera sono sfumate, fluttuanti. A fatica si individuano tre delle cisterne
squarciate: attraverso le falle si nota la presenza di una specie di fango catramoso. Altro materiale nero,
consistente, è fuoriuscito finendo in mare, da una fessura esce un sottile rivolo di liquido nerastro, goccia dopo
goccia quella piccola perdita di petrolio sale verso la superficie. 
Questa è la prima, tangibile conferma che non c’è fuoriuscita di petrolio dal relitto. Significa che il greggio
trasportato dalla petroliera è bruciato tutto, salvo quello (10 mila tonnellate), che galleggia in chiazze di varia
grandezza [4]>>. 
Mentre tutta Italia incrocia le dita seguendo minuto per minuto l’evolversi della situazione “recupero”
petrolio, c’è una tragedia parallela che si sta consumando a Livorno, le vittime di questa terribile tragedia sono
state trasportate allo zoo di Livorno.
<< Le voliere ormai vuote dell’ex zoo di Livorno ospiteranno, nei prossimi giorni, decine di nuovi uccelli.
Tuttavia, i gabbiani, i cormorani ed i pulcinella di mare che popoleranno queste gabbie non potranno volare;
avranno ali nere e vischiose, polmoni intossicati, occhi semiciechi, piume pesanti di catrame.
Sono le piccole vittime del grande disastro che ha colpito il golfo di Genova dopo l’incidente della petroliera
cipriota “Haven”; sarebbero un centinaio, secondo i primi accertamenti, i volatili rimasti imprigionati nella
chiazza di greggio: i più gravi saranno portati al Centro recupero uccelli marini di Livorno che, in queste ore, sta
potenziando strutture e personale per affrontare l’emergenza.
Ogni anno questo piccolo “ospedale” unico in Italia, raccoglie circa 400 volatili feriti od ammalati, ma, viste
le proporzioni dell’incidente, la Lipu (Lega italiana per la protezione degli uccelli) ha chiesto l’intervento di tre
specialisti francesi già impegnati nel salvataggio della fauna marina ai tempi del disastro della “Amoco Cadiz” in
Bretagna: i professori Aubert e Peres dell’università di Nizza ed il dottor Di Cristò.
“ E’ questa, una stagione estremamente delicata - spiega il direttore del settore conservazione natura della
Lipu, Marco Lambertini -: il golfo ligure è sorvolato da molti uccelli acquatici e marini in migrazione verso
Nord. Pare che il petrolio, proprio perché rende meno increspata la superficie del mare, li attragga e li stimoli a
posarsi invischiandosi in una trappola spesso letale [5]>>.
Il disastro di Genova non è l’unico di un lungo elenco che ha avuto come protagoniste le sorelle della
“Haven”, la nave in fiamme davanti alla costa ligure.
Dai dati raccolti da Greenpace risulta che la petroliera cipriota è la quarta della stessa serie a subire un grave
incidente. Nel 1981 affondò la “Maria Alejandra”: esplosione nella sala macchine. Nel 1982 fu il turno della
“Micene”: esplosione nella sala macchine. Nel 1978 toccò alla “Amoco Cadiz”: rottura del timone. 
Tutte queste navi furono costruite a Cadice ed erano prive del doppio scafo: un’intercapedine larga circa due
metri che serve a ridurre il rischio di fuoriuscita del greggio.
<< Oggi i disastri di Livorno e Genova ci inchiodano all’emergenza, ma quando sarà cessato l’allarme
petrolio il ritorno alla normalità apparente non sarà privo di altri rischi.
Lungo le coste liguri e toscane lo sversamento di petrolio è abituale e costante. Raffinerie costiere, centrali
termiche, porti e parcheggi in mare di navi cisterna, con un movimento di oltre 60 milioni di tonnellate di
petrolio nel Mar Ligure e nell’alto Tirreno, provocano un inquinamento silenzioso, accettato, valutabile in oltre
60 mila tonnellate [6]>>. 
Dopo il 22 Apr. 1991 sulle vicende di Genova e Livorno calo’ il sipario.























[1] IL GIORNO -15 Aprile 1991.
[2] La Repubblica - 16 Aprile 1991.
[3] IL GIORNO - 16 Aprile 1991.
[4] La Stampa - 17 Aprile 1991.
[5] La Stampa - 17 Aprile 1991.
[6] La Stampa - 17 Aprile 1991.