LA CHIESA DEI CRISTIANI E DEI "NON CRISTIANI"

 

 

Nel paragrafo precedente, sul problema della Chiesa come popolo di Dio e corpo di Cristo, abbiamo affermato che vi può essere una soluzione a tale problema, e si è detto che tale soluzione dev’essere articolata su due piani, quello dell’aderenza alla verità (piano biblico) e quello della fattibilità (piano storico). L’intento era quello di sottolineare che la fattibilità della soluzione non può prescindere dalla sua aderenza alla verità.

La discussione relativa al piano dell’aderenza alla verità deve partire da una domanda di fondo: può la cattolicità della Chiesa essere teologica e cristologica senza essere antropologica e socio–culturale (relativa alle credenze religiose)?

Tale domanda è legata in particolare alla possibilità di trovare una soluzione al problema della Chiesa come popolo di Dio. Ma la stessa domanda può essere espressa anche in questi termini: può la Chiesa cattolica essere la Chiesa di Dio e di Cristo senza essere la Chiesa degli uomini e delle religioni?

La necessità di porsi questa domanda, nelle sue due formulazioni, nasce dal fatto che, se la risposta ad essa è no, la conclusione sarà una risposta al problema di partenza. La conclusione, cioè, sarà che la Chiesa deve essere cattolica non solo sotto l’aspetto biblico e teologico (cioè perché l’attestano la Scrittura, la Tradizione e il Magistero), ma anche sotto l’aspetto antropologico e socio-culturale relativo alle credenze religiose.

E come può la Chiesa diventare tale, se non diventando la Chiesa degli uomini, dei cristiani e dei "non cristiani"?

Bisogna allora a questo punto tentare di dimostrare che ciò che riguarda Dio e Cristo non può non riguardare gli uomini e le loro credenze religiose. O, il che è lo stesso, che ciò che è di Dio e di Cristo non può non essere anche degli uomini, di tutti gli uomini, a qualunque religione appartengano.

La Chiesa di Cristo è la Chiesa degli uomini, e abbraccia tutti gli uomini, per quattro motivi. Primo: Cristo, che crea tutti gli uomini, è colui che salva tutti i salvati, cristiani e non, i quali appartengono dunque al Corpo di Cristo che è la Chiesa. Secondo: le religioni sono strumenti dell’azione dello Spirito Santo, che è lo Spirito di Cristo, e dell’offerta divina della salvezza, che è operata da Cristo; e pertanto, i loro aderenti non possono essere fuori della Chiesa di Cristo. Terzo: l’azione dello Spirito nel mondo, in ogni cultura e religione, non può essere separata dall’azione dello stesso Spirito nella Chiesa. E questo è riconosciuto dal Magistero cattolico quando afferma che "la presenza universale dello Spirito non può mai essere separata dalla sua azione all’interno del corpo di Cristo, che è la Chiesa". 1 Quarto: se la grazia e la Chiesa sono necessarie alla salvezza, chi riceve la grazia e si salva è in qualche modo dentro la Chiesa. Poichè anche i "non cristiani" la ricevono, essi sono dentro la Chiesa, che dunque è la Chiesa anche dei "non cristiani".

La Chiesa cattolica può e deve essere questa Chiesa di Cristo, Chiesa degli uomini, dei cristiani e dei "non cristiani", perché afferma l’universale volontà salvifica di Dio, l’universale attività e presenza dello Spirito di Cristo, l’universale e unica mediazione salvifica di Cristo.

Pongo l’espressione "non cristiani" tra virgolette proprio per indicare che essi sono tali in quanto seguaci di altre religioni, ma non lo sono in senso assoluto, avendo tutti lo Spirito di Cristo ed essendo tutti salvati da Cristo.

Non sembrano poter essere questa Chiesa dei cristiani e dei "non cristiani", questa Chiesa di Cristo, né la Chiesa protestante né quella ortodossa. Quella protestante perché, separando la natura dalla grazia, secondo il paradigma luterano, tende a negare l’universale presenza e attività dello Spirito Santo negli uomini, e anche che vi possa essere salvezza senza Vangelo. Quella ortodossa, perché, affermando che lo Spirito Santo procede solo dal Padre e non anche dal Figlio, tende a negare che lo Spirito Santo sia lo Spirito di Cristo, e quindi il collegamento tra l’azione santificante dello Spirito e l’azione salvifica di Cristo, collegamento necessario perché la Chiesa di Cristo sia la Chiesa degli uomini.

L’autocomprendersi della Chiesa di Cristo come Chiesa dei cristiani e dei "non cristiani" trova un sostegno nel fatto che Gesù, durante la sua vita terrena, è stato attratto da chi era fuori della sua comunità religiosa. Egli si mostra ammirato dalla fede di un centurione romano: "In verità vi dico, in Israele non ho trovato nessuno con una fede così grande" (Mt 8, 10). Incontra una donna samaritana e ammira la sua richiesta di acqua viva e la sua fede nella venuta del Messia (Gv 4, 5-30). E nella parabola del buon samaritano loda l’atteggiamento dello "straniero" samaritano, opponendolo a quello del sacerdote e del levita (Lc 10, 30-37). E ancora, con la parabola del banchetto Gesù attesta che gli "altri" sono invitati e chiamati ad entrare nel Regno (Mt 22, 1-14; Lc 14, 15-24). Ci sono poi le guarigioni di molti malati "stranieri" per la loro fede: del servo morente del centurione (Mt 8, 5-13), della figlia indemoniata di una donna cananea (Mt 15, 21-28), del samaritano lebbroso che è il solo tra dieci a ringraziarlo (Lc 17, 11-19).

Un altro sostegno biblico alla concezione della Chiesa come Chiesa anche dei "non cristiani" si trova dall’esame comparato di due passi del quarto Vangelo e di un passo della Lettera agli Efesini. Se Cristo afferma: "Ho altre pecore che non sono di questo ovile; anche queste io devo condurre" (Gv 10, 16) e se egli "ha dato se stesso per [la Chiesa]" (Ef 5, 25), allora la Chiesa ha "altre pecore" che in nome di Cristo deve condurre. Anche perché essa si considera e si definisce "unico gregge di Dio" (UR n. 2). E Se Cristo non perderà nulla di quanto Dio gli ha dato (Gv 6, 39) e "ha dato se stesso per [la Chiesa]" (Ef 5, 25), allora la Chiesa non può perdere nulla di quanto Dio ha dato a Cristo.

Ma vi sono altri luoghi biblici a sostegno di questa autocomprensione della Chiesa: il collegamento che si trova negli Atti degli Apostoli tra edificazione della Chiesa ed eredità con tutti i santificati (At 20, 32), che sembra porre la Chiesa come comunità dei salvati che sarà più ampia della comunità dei battezzati; le affermazioni dell’epistolario paolino secondo cui non conta nè la circoncisione nè la non circoncisione (1 Cor 7, 19; Gal 6, 15) e non siamo più sotto la legge, ma sotto la grazia (Rm 6, 14); il passo della Lettera ai Romani in cui si afferma, parlando di Israele, che "Dio non ha ripudiato il suo popolo" (Rm 11, 2). Poiché identificare il popolo di Dio con i cristiani contraddirebbe questo passo, la Chiesa, se è il popolo di Dio, non si identifica con il popolo dei cristiani. E ancora, il passo del Vangelo di Giovanni in cui Gesù dice alla samaritana "né su questo monte né in Gerusalemme adorerete il Padre" (Gv 4, 21). Egli prende le distanze sia dai giudei che dai samaritani, cioè dagli estremismi delle posizioni, dalla cultura dell'oltranzismo. Per Gesù il culto a Dio non si definisce in base ad un luogo, ma ad un modo, perchè esso è relazione. Mentre per la donna samaritana l'adorazione di Dio si fa in un luogo, o qui o là, o in questo posto o in un altro posto. Forse non è così anche per noi? Forse non crediamo anche noi che o si è cattolici o si è protestanti? O si è cristiani o si è musulmani? O si va in una Chiesa o si va in una moschea? O si pratica l'eucaristia o si pratica lo zazen? Ma la risposta di Gesù mette in discussione, come sempre, le nostre credenze, le nostre abitudini, i nostri riti. Se Gesù non ci dice che il culto sul Garizim è migliore di quello sul Sion, né viceversa, come possiamo dire noi, che il culto a Roma è migliore di quello ad Atene, o di quello al Cairo o a Calcutta? Forse, essere cristiani fino in fondo significa non guardare al culto, non separarsi dai "non cristiani" perché hanno un altro culto. Perché tutti quelli che hanno accolto lo Spirito di Dio possono adorare Dio "in Spirito e verità" (Gv 4, 23). Se dunque per adorare Dio e per entrare nel Regno di Dio non occorre l'osservanza di un rito o di un culto particolare, allora la Chiesa, se comprende il popolo che adora Dio e vuole entrare nel suo Regno, può essere anche dei "non cristiani". Ed essere cristiani fino in fondo significa sentirsi uniti ai "non cristiani", comprendersi come un unico popolo di Dio, coscienti di vivere tra il già e il non ancora.

Un'altra riflessione è relativa all'ultima cena di Gesù con i Dodici. In Lc 22, 20 Gesù, durante l'ultima cena, afferma, donando il calice agli apostoli: "Questo calice è la nuova alleanza nel mio sangue, che è versato per voi"; e in 1 Cor 11, 24 dice, dopo aver spezzato il pane: "Questo è il mio corpo, che è per voi". Perché "per voi"? Poiché tale locuzione non può riferirsi solo ai Dodici che erano presenti, si deve ritenere che la sua scelta dei Dodici era simbolica: Gesù compì l'ultima cena solo con i Dodici non per escludere le donne dal ministero sacerdotale (come si sente anche dire), ma perché essi rappresentavano le dodici tribù di Israele, che al tempo di Gesù erano scomparse da tempo (c'erano solo le tribù di Giuda, di Beniamino e parte della tribù di Levi), ma che egli intendeva ricostituire alla fine dei tempi. I Dodici rappresentano l'Israele escatologico. Quando dice ad essi "per voi", Cristo dona il suo corpo e il suo sangue per tutto Israele, cioè anche per quelli che non avranno creduto in lui. Egli comprende la sua morte come espiazione per l'incredulità e i peccati di Israele. È questa la "nuova alleanza": Dio rende la morte del suo Figlio, morto per quelli che non hanno creduto e non crederanno in lui (nei secoli futuri), una prova definitiva della sua fedeltà e del suo Amore; con un atto assolutamente gratuito, un atto di puro Amore, il sacrificio del Figlio, riscatta l'incredulità e i peccati di tutto il suo popolo. Né credo possa esserci differenza tra i non credenti e i peccatori ebrei e quelli italiani, o quelli giapponesi. Se Cristo è morto per i primi, è morto anche per i secondi e per i terzi, altrimenti dovremmo supporre una salvezza "geografica".

Un ultimo sostegno biblico all'autocomprensione della Chiesa come Chiesa anche dei "non cristiani" viene dalla prima Lettera di Pietro, in cui si dice che i cristiani debbono dar "ragione della speranza" che è in loro (1 Pt 3, 15). Essi, dunque, devono dare ragione della loro speranza, non della loro identità.

E quest’ultima attestazione biblica non contrasta con l’affermazione di Cristo che chi non lo riconoscerà davanti agli uomini non sarà da lui riconosciuto (Mt 10, 32-33). Dove è, infatti, Cristo, perché possiamo riconoscerlo? La risposta la troviamo nel Vangelo di Giovanni: Cristo è luce "che illumina ogni uomo" (Gv 1, 9). E la troviamo anche nella Lettera ai Colossesi: Cristo è "tutto in tutti" (Col 3, 11). E la troviamo inoltre nei passi dei Sinottici, che attestano che ciò che è fatto o non fatto agli altri è fatto o non fatto a Cristo (Mt 18, 5; 25, 40.45; Mc 9, 37).

E allora si può concludere che Cristo non riconoscerà chi non riconoscerà che negli uomini c’è Cristo. L’ammonimento di Cristo vale allora in particolare per la Chiesa. Una Chiesa che non riconosca che negli uomini, in tutti gli uomini, c’è Cristo è una Chiesa che rischia di non essere riconosciuta da Cristo, di non essere la Chiesa di Cristo. Cristo non è nei cattolici, è negli uomini; non è nei cristiani, è in tutti. Se la Chiesa non è la Chiesa degli uomini e di tutti, non è la Chiesa di Cristo.

Il Magistero cattolico appare vicino a questa autocomprensione della Chiesa come Chiesa dei cristiani e dei "non cristiani". Il Concilio Vaticano II afferma nel decreto Unitatis Redintegratio che "al solo Collegio apostolico con a capo Pietro il Signore ha affidato tutti i tesori della Nuova Alleanza, al fine di costituire l’unico corpo di Cristo sulla terra" (UR n. 3). Se la Chiesa cattolica costituisce l’unico corpo di Cristo sulla terra, allora in essa ci sono sia i cristiani che i "non cristiani". Se c’è "un solo corpo" (1 Cor 10, 17; 12, 13; Ef 2, 16; 4, 4; Col 3, 15) e questo corpo di Cristo è la Chiesa (Ef 1, 22-23; Col 1, 18.24), i "non cristiani", salvati da Cristo, non possono essere in un "altro corpo". Nella dichiarazione Nostra Aetate il Concilio stabilisce un legame tra Chiesa e popolo ebraico, quando afferma che "la salvezza della Chiesa è misticamente prefigurata nell'esodo del popolo eletto dalla terra di schiavitù" (NA n. 4). Questo legame dà un ulteriore sostegno all'idea che non si possa identificare la Chiesa con il popolo dei cristiani.

Paolo VI ha detto che la Chiesa "non è fine a se stessa, ma fervidamente sollecita di essere tutta di Cristo, in Cristo e per Cristo, e tutta degli uomini, fra gli uomini e per gli uomini". 2 E Giovanni Paolo II ha affermato che la Chiesa vuol essere la Chiesa dell’uomo, la "Chiesa del Popolo di Dio" (RH n. 22). Si tratta, come si vede, di attestazioni fatte all’inizio dei due pontificati. Non ho dubbi che nel momento in cui le hanno fatte i due grandi successori di Pietro erano particolarmente pieni di Spirito Santo.

Secondo l’interpretazione del Concilio Vaticano II data dal card. Ratzinger e da Giovanni Paolo II al recente convegno svoltosi a Roma (25-27 febbraio 2000) sull’attuazione del Concilio (vedi Il Regno – Attualità, 6, 2000, pag. 151), il Vaticano II ha voluto subordinare il discorso sulla Chiesa al discorso su Dio; mentre oggi si tenderebbe a privilegiare il discorso sulla Chiesa a scapito di quello su Dio, e quindi a riprodurre la discussione dei discepoli su chi fosse il più grande. Ritengo che tale accusa non potrebbe essere fatta a questo libro per due motivi. Primo, perché ha il suo punto di partenza in una teologia della salvezza, cioè in un discorso propriamente teologico ed escatologico. Secondo, perché il suo risultato non è di indicare quale Chiesa sia migliore, ma come la Chiesa, per essere sempre più di Dio e di Cristo, debba superare le divisioni che vengono dagli uomini, culturali, categoriali e storiche. Essere la Chiesa degli uomini per essere non la Chiesa di questi o di quelli, o di questi contro quelli, ma per essere la Chiesa di Dio.

Ciò che è di Dio e di Cristo, dunque, non può non essere degli uomini, di tutti gli uomini.

Ma se da un lato non si può giustificare una Chiesa particolare biblicamente, teologicamente e antropologicamente, dall’altro non si può passare a una Chiesa universale istituzionalmente.

Del resto, tutti i tentativi in questa direzione (ecumenici o universalistici) sono sostanzialmente falliti, o comunque arenati per vari motivi.

Occorre allora abbandonare l’idea, impraticabile, del passaggio istituzionale della Chiesa cattolica, o di qualunque altra Chiesa, da particolare a universale. La Chiesa cattolica non può diventare la Chiesa alla quale appartengono visibilmente tutti gli uomini. Ma può diventare la Chiesa di tutti gli uomini, può autocomprendersi come la Chiesa di tutti gli uomini. Può diventare "universale" nella misura in cui "comprende" e "abbraccia" tutti gli uomini e tutte le religioni e confessioni. L'affermazione della Dichiarazione Dominus Iesus che la Chiesa di Cristo "continua ad esistere pienamente soltanto nella Chiesa cattolica" (n. 16) può significare che la Chiesa cattolica comprende tutti quelli che sono di Cristo, cristiani e non. "La Chiesa comprende tutti i giusti, - scrive Cereti - per cui le sue dimensioni sono molto più grandi dei suoi confini visibili". 3 E secondo Canobbio, "la Chiesa non è anzitutto il mezzo della salvezza, o il luogo dei mezzi per la salvezza, ma il luogo dei salvati". 4 Se tra i salvati ci sono anche i "non cristiani", la Chiesa allora è il luogo anche dei "non cristiani".

Vi è un’altra angolatura da cui si può partire per dire quanto fin qui detto e che porta allo stesso risultato.

Chi si lascia amare da Dio e entra in comunione con lui non può più dire che gli altri non sono anche loro amati, pena la rottura di questa comunione. Se Dio è il Padre di tutti che ama i suoi figli, ognuno è figlio ed è amato perché anche gli altri lo sono. Il legame tra me e Dio non può prescindere dal legame tra Dio e gli altri; e quindi dal legame tra me e gli altri.

Sul piano ecclesiale questa dinamica non può scomparire, o essere abolita. Ciò significa che il legame tra i cristiani e Dio non può prescindere dal legame tra Dio e i non cristiani; e quindi dal legame tra i cristiani e i non cristiani. É questo il senso profondo del cattolicesimo, perché in questo trova ragione e valore il carattere di universalità proprio e costitutivo del cattolicesimo. L’unità tra cattolici e non cattolici, tra cristiani e non cristiani è nel "codice genetico" del cattolicesimo, anche se le vicende storiche e le preoccupazioni sull’integrità della fede hanno finora impedito a questo "codice" di "esprimersi" pienamente.

Preoccuparsi dell’integrità della fede significa oggi essenzialmente preoccuparsi del perché la Chiesa cattolica non diventa la Chiesa degli uomini, dei cristiani e dei "non cristiani".

Un altro punto di partenza a sostegno di quanto fin qui detto fa riferimento all’azione dello Spirito.

Abbiamo visto che vi è un’azione universale, in ogni tempo e luogo, del Verbo e dello Spirito, la quale supporta il fatto che Cristo è l’unica via della salvezza, perché la luce del Verbo non incarnato (Gv 1, 4) è la luce del Verbo incarnato che illumina ogni uomo (Gv 1, 9.14) e perché lo Spirito Santo è lo Spirito di Cristo (Gv 3, 34; Rm 8, 9; 2 Cor 13, 5; Gal 4, 6; Ef 3, 17; Fil 1, 19; 1 Pt 1, 10-11). Ora, se lo Spirito di Cristo (Spirito Santo) soffia dove vuole (Gv 3, 8) e ispira molti e diversi doni e carismi (1 Cor 12, 4-11), la Chiesa cattolica è la Chiesa di Cristo solo se in essa c’è universalità e non regionalità, pluralità e non uniformità. Ciò significa che se lo Spirito Santo che ispira gli ebrei, i musulmani, gli induisti, i buddisti, i taoisti, ecc. viene da Cristo e la Chiesa cattolica è la Chiesa di Cristo, essi fanno già parte della Chiesa cattolica, anche se non lo riconoscono. Non devono convertirsi alla dottrina della Chiesa per farne parte, perché ne fanno già parte. Ne fanno parte in quanto uomini che ricevono e accolgono lo Spirito di Cristo, come i cristiani.

Le loro religioni, in quanto risposte visibili diverse a questa medesima offerta di grazia, non ne fanno parte, essendo diverse e distinte dal culto cristiano; tuttavia, sono strumenti, pur diversi, che servono alla medesima offerta e comunicazione invisibile di Cristo.

Un ultimo sostegno all'autocomprensione della Chiesa cattolica come Chiesa anche dei "non cristiani" viene da un'altra riflessione. Se la Chiesa cattolica è la Chiesa di Cristo e Cristo è Dio, la Chiesa cattolica è la Chiesa di Dio; quest'ultima non può non comprendere tutto il popolo di Dio, e dunque comprende anche i "non cristiani". Detto in altri termini, se la Chiesa cattolica è il popolo di Dio e il corpo di Cristo, come essa si autocomprende, e se cerca fino in fondo il Regno, i "non cristiani" amati e salvati da Dio, appartenendo al popolo di Dio e al corpo di Cristo, appartengono alla Chiesa cattolica; quindi essa è anche la Chiesa dei "non cristiani"; non può escludere da sé i "non cristiani" e deve cercare e trovare il modo di vivere questa verità.

Secondo J. Ratzinger, D. Salle, H.R. Schlette e V. Boublik, la Chiesa rappresenta tutti gli uomini nella fede in Cristo. Ritengo che la Chiesa possa rappresentare realmente tutti, anche i "non cristiani", se si annuncia a tutti come Chiesa anche dei "non cristiani".

Vi è, infine, il problema che nasce dal proclamare insieme la verità e l'amore. Problema di fondo, che soggiace a tanti conflitti, e sempre più centrale in un mondo sempre più pluriculturale. Radunare nell'amore quelli che credono a una verità significa, evidentemente e inevitabilmente, escludere gli altri, quelli che non ci credono. Significa, cioè, intaccare il collegamento tra la verità e l'amore. E questo crea, come scrive Duquoc, "la violenza latente che abita la proclamazione della verità da parte di un'istituzione". 5 Radunare nell'amore sia quelli che credono sia quelli che non credono alla verità proclamata dalla Chiesa significa non legare tale raduno all'accoglienza di questa verità, che peraltro non è accolta dai due terzi degli uomini, senza contare le divisioni dottrinali tra le diverse Chiese. Se la Chiesa cattolica si concepisce come Chiesa di tutti, essa può radunare nell'amore tutti; e può, continuando a proclamare la verità, togliere a tale proclamazione la sua violenza latente, causa di tanti conflitti e di tante delusioni. E mostrare, pienamente e fino in fondo, il collegamento, che rischia di non essere più colto (minando dunque alla base la stessa ragion d'essere dell'istituzione Chiesa), tra la verità e l'amore.

Poiché la Chiesa cattolica oggi visibile non si autocomprende e annuncia come Chiesa dei cristiani e dei "non cristiani", essa continua a non essere la Chiesa pienamente cattolica. Nei paragrafi successivi vedremo come sia possibile operare per diventarlo, per essere la Chiesa di tutti, la Chiesa degli uomini, dei cristiani e dei "non cristiani". Una Chiesa aperta, come una casa che ricordi visibilmente a tutti, di qualunque religione e cultura, che sono dentro il popolo di Dio, in vista del loro raduno escatologico come unico popolo di Dio.

 

 

NOTE

  1. Giovanni Paolo II, esort. apost. postsinodale Ecclesia in Asia, n. 16.

  2. Paolo VI, Discorso all’apertura della III sessione del Concilio Ecumenico Vaticano II, 14-9-64.

  3. Cereti G., Per un'ecclesiologia ecumenica, Dehoniane, Bologna, 1996, pag. 51.

  4. Canobbio G., Chiesa perchè. Salvezza dell'umanità e mediazione ecclesiale, ediz. San Paolo, Cinisello Balsamo, 1994, pag. 184.

  5. Duquoc C., "Je crois en l'Église". Précarieté institutionnelle et Règne de Dieu, Éditions du Cerf, Paris, 2000; trad. it., "Credo la Chiesa". Precarietà istituzionale e Regno di Dio, Queriniana, Brescia, 2001, pag. 133.