CAPITOLO SETTIMO

LA CHIESA CATTOLICA

STRUMENTO DELL’UNITÁ

 

 

IL PROBLEMA DELLA CHIESA COME SEGNO DELL’UNITÁ

 

 

Il decreto del Concilio Vaticano II Unitatis Redintegratio afferma che "l’unità dell’una e unica Chiesa, che Cristo fin dall’inizio donò alla sua Chiesa, sussiste senza possibilità di essere perduta, nella Chiesa cattolica" (n. 4). La Lumen Gentium proclama che la Chiesa è "un sacramento o segno e strumento dell’intima unione con Dio e dell’unità di tutto il genere umano" (n. 1). Il Catechismo della Chiesa cattolica sostiene che "la Chiesa è "segno e strumento" della piena realizzazione di questa unità che deve ancora compiersi" (n. 775).

La prima cosa che risalta dalla lettura comparata di questi testi è che vi sono due problemi collegati: 1) Come può l’unità sussistere nella Chiesa cattolica e al contempo dover ancora compiersi? 2) Come può la Chiesa essere segno di un’unità che si deve ancora compiere?

Rispondere al primo problema che l’unità è già iniziata, perché la Chiesa raduna uomini "di ogni nazione, razza, popolo e lingua" (Ap 7, 9) o perché "il popolo di Dio si raccoglie da diversi popoli" (LG n. 13), non lo risolve, perché l’unità di cui si parla non è quella di una parte degli uomini, di diversa provenienza, ma quella "di tutto il genere umano".

Una seconda soluzione che potrebbe prospettarsi è di natura pneumatologica: l’unità esiste, anche se si deve compiere pienamente, perché la Chiesa è guidata dallo Spirito Santo che la porta verso l’unità. Ma il fatto è che lo Spirito "soffia dove vuole" (Gv 3, 8). E chi garantisce che lo Spirito non sia anche dove la Chiesa non è? Se ciò potrebbe accadere (e certamente accade), l’unità non sarebbe più garantita dal fatto in sé che lo Spirito è presente nella Chiesa.

Non solo, ma poiché lo Spirito Santo ispira molti doni e carismi (1 Cor 12, 4-11), nella Chiesa ci sarebbe unità a condizione che vi fosse pluralismo, e non ove vi fosse uniformità.

Si potrebbe anche pensare, come terza possibilità, che l’unità esiste perché è garantita dalla paternità universale di Dio. Ma in tal caso occorrerebbe chiedersi perché deve ancora compiersi, dato che Dio è già ora Padre di tutti gli uomini. L’unica risposta è che essa comprende gli uomini che devono ancora nascere, e quindi si compirà alla fine del mondo. Ma ciò crea un problema insuperabile: l’affermazione dell’esistenza o sussistenza attuale di qualcosa che esisterà solo alla fine dei tempi.

Una quarta soluzione possibile sarebbe il ricorso al futuro escatologico: l’unità si compirà nel Regno di Dio dopo la morte dei singoli. I testi citati, cioè, parlerebbero dell’unità fra gli uomini nel Regno di Dio, dello stato intermedio, dove c’è una Chiesa a noi invisibile e indivisa. Ma non sembra che sia così. Il primo di essi, infatti, parla dell’unità "dell’una e unica Chiesa", sempre insieme visibile e invisibile. Del resto, se fosse così, si dovrebbe spiegare perché si deve ancora compiere qualcosa che è già in atto. Si potrebbe rispondere che è in atto per i defunti, ma non per i vivi. Ma ciò creerebbe nel discorso una ambiguità interna: da un lato parlerebbe dell’unità fra i morti, dall’altro dell’unità fra i vivi.

Dobbiamo concludere allora che alla prima domanda che ci siamo posti sembra impossibile rispondere: l’unità del genere umano non può esistere nella Chiesa cattolica e al contempo doversi ancora compiere. O già esiste, o si deve ancora compiere.

Ciò, del resto, è riconosciuto dalla stessa Unitatis Redintegratio, quando afferma: "Le divisioni dei cristiani impediscono che la Chiesa stessa attui la pienezza della cattolicità" (n. 4). E dalla stessa Lumen Gentium: "Il popolo messianico, pur non comprendendo in atto tutti gli uomini, e apparendo talora come un piccolo gregge, costituisce per tutta l’umanità un germe validissimo di unità, di speranza e di salvezza" (n. 9). Ed è riconosciuto anche dalla preghiera di Giovanni Paolo II nell’enciclica Ut Unum Sint: "La Chiesa domanda al Signore che l’unità di tutti i cristiani cresca fino a raggiungere la piena comunione" (n. 3).

Il secondo problema che si è all’inizio evidenziato riguarda la possibilità che la Chiesa sia segno di una unità che si deve ancora compiere.

Se l’unità si deve ancora compiere e la Chiesa è segno di questa unità , ciò può significare: o che la Chiesa è segno di una unità che oggi non c’è; o che è segno dell’unità che ci sarà.

Ma la prima possibilità si deve escludere, perché conduce a delle aporie. Si chiama infatti in causa il rapporto visibile/invisibile e si identifica ciò che c’è oggi col visibile e ciò che non si vede oggi con l’invisibile. Ma in tal caso occorre chiarire in cosa consista questa unità invisibile. Essa non è, come del resto abbiamo visto, né l’unità a cui conduce lo Spirito, né l’unità della parusia, né l’unità dello stato intermedio, che sono tutte future, e non di oggi.

Si potrebbe pensare all’unità attuale tra Chiesa terrestre e Chiesa celeste; oppure all’unità data dalla paternità universale di Dio; oppure ancora all’unità prodotta già oggi dallo Spirito Santo. Ma in tutti e tre i casi non si tratta dell’unità "di tutto il genere umano", bensì di una parte, perché mancano gli uomini che devono ancora nascere.

Vi sarebbe un’altra possibile soluzione da prendere in considerazione, quella di tipo semantico.

Lo studio dei segni è stato fin dall’antichità inquadrato nell’ambito di quelle relazioni che Ogden e Richards (1923) hanno definito "triangolo semantico": significante – significato – referente. Si è sempre pensato, cioè, che un "aliquid" stia "pro aliquo", che qualcosa stia per qualcos’altro.

Ma tale impostazione fa sorgere il problema del referente, cioè del rapporto che il referente ha sia col significante linguistico, sia con la realtà oggettiva esterna ad esso. Il referente, cioè, sembra essere al contempo interno ed esterno al suo significante; da un lato sta per se stesso, dall’altro sta per qualcos’altro.

Il problema sembra essere evitato dalla linea di pensiero che va dagli stoici, ad Agostino, a Pietro Ispano, a F. de Saussure, a G. Frege. Tale linea introduce tra significante e referente un contenuto (stoici), o "verbum mentis o cordis" (Agostino), o senso (Frege) e afferma che ogni significante ha in sé un contenuto, o senso, o significato. In tal modo il referente viene respinto fuori dall’ordine linguistico e il problema del referente è superato. Viene in sostanza operata una distinzione tra referente oggettivo, che esiste fuori dalla mente e dal linguaggio, e referenza mentale, o mnestica, che è contenuta nella rappresentazione concettuale.

Fatta questa premessa, diventa chiaro quale potrebbe essere la soluzione al nostro problema che ho chiamato di tipo semantico: l’espressione "la Chiesa è segno dell’unità di tutto il genere umano" ha una referenza interna, un senso, che contiene proprio l’unità attuale degli uomini.

Ma se applichiamo lo stesso ragionamento anche all’espressione "questa unità deve ancora compiersi", la soluzione diventa impraticabile, perché si appoggerebbe allo stesso tempo su due contenuti inconciliabili: l’unità o è attuale, o deve ancora compiersi. Il primo contenuto esclude il secondo, e il secondo esclude il primo.

Bisogna dunque ammettere che la Chiesa non può essere segno dell’unità che oggi non si vede e non c’è.

Ma abbiamo visto che rimane una possibilità: che la Chiesa sia oggi segno dell’unità che ci sarà, cioè che l’unità attuale della Chiesa sia segno dell’unità futura. Ciò che c’è oggi sarebbe segno di ciò che ci sarà domani; il tempo presente sarebbe segno del tempo futuro.

Questa concezione si presta a tre tipi di interpretazione. La prima la fa rientrare nell’ambito del presagio e della potenzialità: l’unità della Chiesa presente sarebbe un "presagio" dell’unità della Chiesa futura, oppure avrebbe "in potenza" l’unità della Chiesa futura. In entrambi i casi, però, non staremmo più parlando di ciò che la Chiesa è in atto ("è segno", dice il Magistero), ma di ciò che è in potenza.

La seconda interpretazione è che l’unità presente è segno dell’unità futura in quanto la prepara e la stimola. In tal caso, però, il termine proprio che si dovrebbe usare non è "segno", ma un altro, come "preparazione", o "germe". Quest’ultimo termine, infatti, è usato proprio dalla Lumen Gentium quando afferma che il popolo di Dio "costituisce per tutta l’umanità un germe validissimo di unità" (n. 9). Si tratta, come si vede, di un’interpretazione che comporta però il problema di dover usare un altro termine.

Vi è allora un’ultima interpretazione possibile: quella di intendere la parola "segno" come indissolubilmente legata alla parola immediatamente successiva, che è "strumento".

Quest’ultima soluzione non presenta il problema che presenta la precedente, dato che è naturale che uno strumento sia qualcosa che prepari qualcos’altro, o serva a qualcos’altro che verrà.

In conclusione, quando la Lumen Gentium (n. 1), e altri documenti del Magistero cattolico, come il Catechismo della Chiesa cattolica (n. 775), affermano che la Chiesa è segno dell’unità degli uomini, fanno nascere un problema, che sembra avere solo una soluzione: nell’espressione "segno e strumento" la parola "segno" non può essere separata dalla parola "strumento": la Chiesa è segno solo in quanto è strumento.

"La Chiesa ha valore – scrive Canobbio – solo in quanto è segno e strumento del piano di Dio". 1

Questa soluzione appare tra l’altro, chiarificatrice rispetto ad un equivoco. Se la Chiesa è segno dell’unità solo perché è strumento dell’unità, non ci si può più rifugiare nell’equivoco che questa unità c’è perché la Chiesa ne è segno. E’ un equivoco estremamente sottile, di cui forse non c’è piena consapevolezza, ma dal quale occorre liberarsi con molta chiarezza.

Sulla base di quanto fin qui detto, da questo equivoco, che sia riconosciuto o no, che sia di alcuni o di molti, si esce in un solo modo: riconoscendo che la Chiesa è segno solo perché è strumento dell’unità. Ed è strumento oggi, non domani; altrimenti si ricade nell’equivoco.

La prospettiva che allora si apre ad un Magistero che voglia essere fedele alla sua stessa autocomprensione della Chiesa è quella di interrogarsi non più sulla Chiesa come segno e strumento, ma sull’efficacia e la sufficienza della Chiesa cattolica attuale come strumento "dell’intima unione con Dio e dell’unità di tutto il genere umano".

In questa prospettiva, credo sia da considerare legittima la proposta di una nuova autocomprensione della Chiesa cattolica come Chiesa di tutti, perché tale autocomprensione renderebbe la Chiesa sempre più uno strumento del Regno di Dio e farebbe sempre più trasparire attraverso di essa le qualità del Regno, che non può non essere uno e non può non essere di tutti.

 

 

NOTE

  1. Canobbio G., Chiesa perché. Salvezza dell’umanità e mediazione ecclesiale, ediz. San Paolo, Cinisello Balsamo, 1994, pag. 156.