LA CHIESA CATTOLICA CON GLI UOMINI E LE RELIGIONI

 

 

Dopo aver affermato che vi è una Chiesa invisibile che comprende i non cristiani salvati da Cristo, cioè una gran parte dell'universale popolo di Dio, e dopo aver visto che la Chiesa non può essere "segno" dell’unità del genere umano se non diventa strumento di tale unità, si è rilevato come l’evangelizzazione comporti oggi il passaggio dal dialogo coi non cristiani all’annuncio della grazia "non ecclesiale" e della Chiesa dei "non cristiani"; si è poi cercato di mostrare, essendo la Sacra Scrittura, il Magistero e la teologia cattolica concordi nell’affermare che l’unità del popolo di Dio è l’intenzione essenziale di Cristo, che compito fondamentale della Chiesa è rendere "visibile" in se stessa questa unità.

In questo paragrafo si sosterrà che la Chiesa cattolica, dopo il primo passo per diventare strumento dell’unità, quello di riconoscere e annunciare a tutti che essa è la Chiesa dei cristiani e dei "non cristiani", può e deve compierne un secondo, per rendere "visibile" in se stessa questa unità e diventare pienamente cattolica: quello di essere la Chiesa con gli uomini e le religioni, e agire come tale.

Riassumerò in ventuno punti il percorso che mostra perché e come la Chiesa cattolica visibile può e deve diventare pienamente cattolica, cattolica fino in fondo, la Chiesa dei cristiani e dei "non cristiani", la Chiesa con gli uomini e le religioni.

Ogni punto trova la sua motivazione e giustificazione nella Sacra Scrittura, nel Magistero, o in quanto fin qui si è argomentato; oppure è una conseguenza logica dei punti precedenti.

1 – La Chiesa cattolica è la Chiesa fondata da Cristo.

2 – La Chiesa cattolica è la Chiesa di Cristo.

3 – Poiché Cristo è Dio, la Chiesa cattolica è la Chiesa di Dio.

4 – La Chiesa di Dio è l’universale popolo di Dio.

5 – La Chiesa cattolica è l’universale popolo di Dio.

6 – La Chiesa cattolica oggi visibile comprende una parte dell’universale popolo di Dio; e anche una parte dei credenti in Cristo.

7 – La Chiesa cattolica oggi visibile non è l’universale popolo di Dio.

8 – La Chiesa cattolica oggi visibile non è la Chiesa pienamente cattolica.

9 – La Chiesa cattolica è insieme visibile e invisibile.

10 – Poiché Cristo ha fondato la Chiesa cattolica ed essa oltrepassa, va oltre la Chiesa cattolica oggi visibile, che è una parte dei credenti in Cristo e dell’universale popolo di Dio, la Chiesa cattolica non è ancora pienamente realizzata dai cristiani.

11 – La Chiesa cattolica oggi visibile o continua a non essere la Chiesa pienamente cattolica, oppure si adopera per diventare pienamente la Chiesa cattolica.

12 – É impossibile che l’universale popolo di Dio, in tutte le sue componenti, riconosca oggi di far parte della Chiesa cattolica.

13 – Sarebbe invece storicamente possibile che la Chiesa cattolica riconosca e annunci di essere la Chiesa dell’universale popolo di Dio.

14 – Tale riconoscimento non deve riguardare il piano dottrinale, altrimenti la Chiesa cattolica cessa di essere tale e diviene una babele: l’universale popolo di Dio non è abbracciato dalla Chiesa cattolica in quanto insieme di fedi, credenze e dottrine omogenee, e la Chiesa cattolica continua ad avere la sua fede e la sua dottrina.

15 – Tale riconoscimento non deve riguardare il piano istituzionale e culturale, altrimenti la Chiesa cattolica cessa di essere tale e torna a essere una Chiesa in atto visibile con i suoi limiti spazio-temporali: l’universale popolo di Dio non è abbracciato dalla Chiesa cattolica in quanto insieme istituzionalmente omogeneo di ministeri, celebrazioni, riti, preghiere, usanze.

16 – Tale riconoscimento non deve riguardare il piano etico, altrimenti la Chiesa cattolica cessa di essere tale e diviene la Chiesa di alcuni: l’universale popolo di Dio non è abbracciato dalla Chiesa cattolica in quanto insieme di comportamenti omogenei.

17 – Tale riconoscimento deve riguardare, invece, il piano antropologico e teologico: l’universale popolo di Dio è riconosciuto e abbracciato dalla Chiesa cattolica in quanto insieme degli uomini che Dio crea e ama e che sono fratelli perché figli di Dio, unico Padre.

18 – Ma questo riconoscimento non potrebbe prescindere da una presa d’atto che l’universale popolo di Dio è oggi in gran parte nella Chiesa invisibile.

19 – E se la Chiesa visibile si limitasse a riconoscere che la cattolicità è legata alla Chiesa invisibile, la Chiesa visibile continuerebbe a rimanere non pienamente cattolica, essendo la cattolicità altrove.

20 – L’unico modo che la Chiesa cattolica oggi visibile ha di uscire da questa aporia e cominciare a diventare pienamente la Chiesa cattolica è di comunicare a tutti gli uomini che essa è la Chiesa dei cristiani e dei "non cristiani".

21 – Se è la Chiesa dei cristiani e dei "non cristiani", la Chiesa cattolica è con tutti gli uomini, di qualunque luogo, razza, cultura e religione; è la Chiesa con gli uomini e le religioni.

Quanto affermato al punto 12, cioè che è oggi impossibile che l’universale popolo di Dio, in tutte le sue componenti, riconosca di far parte della Chiesa cattolica, non solo ha un riscontro e una realtà empirica e storica, ma trova anche un riscontro biblico nel quarto Vangelo: "Il mondo non lo riconobbe" (Gv 1, 10); "Poiché non siete del mondo perché io, scegliendovi, vi ho fatto uscire dal mondo, il mondo vi odia" (Gv 15, 19).

Riguardo ai punti 13 e 20, la Chiesa cattolica finora non ha riconosciuto che essa è la Chiesa dei cristiani e dei non cristiani. Forse questo riconoscimento non è stato fatto perché chi governa la Chiesa cattolica visibile (il papa e i vescovi) teme o pensa che tale riconoscimento riguardante il piano antropologico e teologico comporterebbe come conseguenza un riconoscimento riguardante il piano dottrinale, istituzionale ed etico.

Ma proprio questo timore la Chiesa non dovrebbe avere, perché proprio alla Chiesa è richiesto il coraggio evangelico di dire l’uomo figlio di Dio e non figlio delle sue credenze, delle sue culture e dei suoi comportamenti. Chi, se non la Chiesa, può farlo? Chi, se non la Chiesa, lo ha fatto, quando ha messo in luce i limiti intrinseci dell’illuminismo, dello storicismo, del marxismo, del secolarismo, del relativismo, del pensiero debole?

Riguardo alla distinzione tra Chiesa visibile e Chiesa invisibile, di cui al punto 9, essa dev’essere affermata, ma non dev’essere un alibi per l’immobilismo e la conservazione, non dev’essere una comoda giustificazione per pensare che la Chiesa oggi visibile deve restare com’è, tanto c’è quella invisibile. Le insufficienze della Chiesa cattolica oggi visibile, cioè le sue "distanze" dalla Chiesa di Cristo, universale popolo di Dio, non possono essere superate dall’esistenza della Chiesa invisibile, per il semplice motivo che non sono le insufficienze della Chiesa invisibile.

Del resto, è lo stesso Magistero cattolico ad affermare nel Concilio Vaticano II che "l’attesa di una terra nuova non deve indebolire bensì piuttosto stimolare la sollecitudine nel lavoro relativo alla terra presente" (Gaudium et Spes n. 39).

E per questo è necessario, come scrive Casale, "il superamento di alcune scappatoie: quella di fuggire da una Chiesa visibile divisa verso una invisibile indivisa: la Chiesa reale – l’abbiamo ampiamente visto – è sempre le due cose insieme; quella di spiegare le divisioni come normale sviluppo della Chiesa e riservare l’unità alla consumazione escatologica: in realtà anche qui l’escatologia cristiana comporta il già e il non-ancora". 1

Secondo la Lumen Gentium (n. 9), l’unità del nuovo popolo di Dio istituito da Cristo non è "secondo la carne" ma "nello Spirito". É lo Spirito che rende unito il popolo di Dio. Ma poiché lo Spirito è dato a tutti e può essere accolto da tutti, cristiani e non, la Chiesa cattolica non è strumento di unità fino a quando esclude da sé una parte di quelli che lo Spirito unisce. Se l’unità è nello Spirito e lo Spirito unisce l’insieme a, l’insieme b e l’insieme c (cattolici, cristiani non cattolici, non cristiani), mentre la Chiesa unisce solo l’insieme a (o l’insieme a e l’insieme b), la Chiesa è di fatto, anche suo malgrado, strumento non di unità, ma di divisione.

Tuttavia, tale ragionamento, che appare incontestabile, nasce dall’esame di un documento della Chiesa stessa. E ciò dimostra che la Chiesa, anche se di fatto oggi non è strumento dell’unità, o lo è in modo insufficiente, tuttavia vuole esserlo, poiché continua ad autocomprendersi come una e cattolica.

Se vuole esserlo e non lo è, deve diventarlo, deve adoperarsi per diventarlo. Ciò pone una esigenza di prassi ecclesiale, la necessità della Chiesa di operare in un certo modo per essere ciò che vuol essere, per diventare ciò che è.

E pone il problema di chiedersi se e in quale misura la Chiesa storicamente realizzata può mutare.

Il n. 9 della Lumen Gentium afferma che la Chiesa non deve cessare "di rinnovare se stessa". E il n. 48 dello stesso documento dice chiaramente che la Chiesa "nei suoi sacramenti e nelle sue istituzioni, che appartengono all’età presente, porta la figura fugace di questo mondo". Si vuole dire che i sacramenti e le istituzioni sono soggetti a mutamenti in relazione all’ambiente e al contesto culturale e storico.

Del resto, nel "Credo" della Chiesa cattolica si afferma "credo la Chiesa", e non "credo nella Chiesa". La Chiesa, cioè, non è, come Dio, Cristo, lo Spirito Santo, un oggetto della fede, ma è il soggetto che propone la fede e il Vangelo; non è un contenuto del deposito della fede, ma contiene e custodisce il deposito della fede (cfr. 1 Tm 6, 20; 2 Tm 1, 14). La Chiesa è, come scrive Casale, "oggetto della speranza cristiana (che la fede fonda): si vede in lei la realtà escatologica, in cui Dio è principio della sua vita, e si vede nel suo permanere nel mondo il sigillo della promessa, secondo la quale questo mondo può e deve trascendersi, levare le tende e mirare alla costruzione dell’éschaton". 2 La Chiesa dunque può mutare e la cattolicità è "una proprietà attuale e virtuale, data e da effettuare". 3

La Chiesa visibile, dunque, può e deve mutare.

Anche perché essa non è un assoluto, riconosce la propria relatività e si riconosce "sempre bisognosa di purificazione" (LG n. 8).

Detto questo, occorre ora vedere perché e come la Chiesa cattolica può compiere quel secondo passo di cui si parlava all’inizio, essere con gli uomini e le religioni.

Rileggiamo come prima cosa alcune attestazioni del Magistero. È stato il Concilio Vaticano II ad affermare che la Chiesa "favorisce e accoglie tutta la dovizia di capacità e consuetudini dei popoli, in quanto sono buone" (LG n. 13); e ancora che la Chiesa "può entrare in comunione con le diverse forme di cultura" (GS n. 58). Anche Giovanni Paolo II dice in fondo la stessa cosa quando afferma che "lo Spirito raduna in unità ogni genere di persone, con i rispettivi costumi, risorse e talenti, rendendo la Chiesa segno della comunione dell’intera umanità sotto l’unico capo, Cristo". 4

La riflessione teologica cattolica ha sottolineato questo aspetto. Parlando del rapporto della Chiesa con i popoli, Mondin afferma che la Chiesa "può abbracciarli tutti senza distinzioni. Ciò che accade a Gerusalemme nel giorno della Pentecoste (tutti comprendono il discorso di Pietro: parti, medi, elamiti, siri, greci, romani…) rappresenta la missione perenne della Chiesa". 5 Secondo Canobbio, "se nel mondo non ci fosse la Chiesa, […] non si attuerebbe il piano di Dio, che consiste nel riunire tutti gli uomini". 6 E Casale sostiene che occorre "superare sempre più il carattere formale-istituzionale ecclesiale" per giungere alla "comunione fraterna". 7

Ma come può la Chiesa accogliere le diversità, abbracciare i popoli e le culture, entrare in comunione con tutti se non è veramente "con" gli uomini, insieme a loro, "con" la loro vita, quindi anche con i loro problemi, le loro ansie e i loro dubbi? E come farebbe la Chiesa a essere "con" Cristo, se non fosse "con" gli uomini? E come farebbe ad essere "con" gli uomini, se non fosse "con" le religioni? Essere "con" gli uomini e le religioni significa essere "con" Cristo.

Ma cosa può significare, più in concreto, essere con gli uomini e le religioni?

Vi sono alcune cose che la Chiesa cattolica potrebbe fare per essere concretamente con gli uomini e le religioni.

1 - Promuovere la nascita di "comunità interreligiose di base", sul modello delle "comunità ecclesiali di base", che già diversi vescovi e parroci promuovono nelle loro diocesi e parrocchie. In queste comunità si potrebbero riunire periodicamente aderenti a religioni diverse, per leggere insieme passi di libri sacri o testi appartenenti a religioni diverse, commentarli insieme, pregare insieme, raccontarsi esperienze, condividere problemi, trasmettere agli altri i propri valori, ricevere dagli altri i loro valori. Le "comunità interreligiose di base" potrebbero nascere spontaneamente; ma non si vede perché non debba essere la Chiesa cattolica a promuoverle e stimolarle, mostrando così di voler essere veramente, come voleva Paolo VI, "tutta degli uomini, fra gli uomini e per gli uomini". 8

2 - Non impedire che un cattolico possa praticare un rito di un’altra religione, o che un non cristiano possa avvicinarsi a un rito cristiano; per esempio, che un cattolico possa praticare alla presenza di un buddista lo zazen accanto all’eucaristia (ciò che già accade). La Chiesa dovrebbe veramente considerare riti e istituzioni come "figure fugaci di questo mondo", aderendo pienamente alla sua stessa autocomprensione conciliare (cfr. LG n. 48).

3 - Impegnarsi di più a tirar fuori l’uomo dalle culture; o meglio (poiché ciò, se preso alla lettera, è impossibile, oltre che non auspicabile), a mostrare che dietro ogni cultura ci sono degli uomini che Dio ama e che Cristo è venuto a salvare col suo sangue; e a mostrare che si può accogliere una persona senza accogliere la sua dottrina o la sua cultura. E mostrarlo, non semplicemente dirlo. Seguendo l’invito di Cristo a non limitarsi a dire, ma a fare la volontà di Dio (Mt 7, 21) e l’invito della prima Lettera di Giovanni ad amare non a parole, ma con i fatti (1 Gv 3, 18).

Il riconoscimento che l’universale popolo di Dio è abbracciato dalla Chiesa cattolica è fondato sul fatto che Cristo non è morto per le culture, ma per gli uomini di ogni cultura. E pertanto non comporta un’assimilazione a dottrine e culture diverse, ma anzi una "separazione" da esse, da ognuna di esse; e quindi rende infondato l’eventuale timore dei responsabili della Chiesa cattolica di possibili addizioni eclettiche o sottrazioni ireniche rispetto alla dottrina cattolica.

Si potrebbe osservare a questo punto che la "distinzione" degli uomini dalle culture e dalle dottrine comporta anche una distinzione degli aderenti al cattolicesimo dalla dottrina cattolica. Ciò è vero. Ma il problema sorgerebbe solo se si trattasse di separare, staccare, allontanare gli uomini dalle loro dottrine. Qui si tratta invece di distinguerli da esse in quanto uomini; separarli come si può separare colui che produce da ciò che è prodotto, colui che accoglie da ciò che è accolto, colui che agisce da ciò che viene fatto.

Come l’uomo che accoglie lo Spirito non è lo Spirito e l’uomo che prega non è il contenuto della preghiera, così l’uomo che ha una dottrina non si identifica con essa. É possibile che egli sia accolto da un altro uomo e la sua dottrina no. Anzi, è proprio questo uno dei punti essenziali del messaggio evangelico. Quale, se non questo, è il messaggio della parabola del buon samaritano (Lc 10, 30-37)? Che cosa, se non questo, ci dice Paolo quando afferma che non c’è distinzione tra giudeo e greco (Rm 10, 12; Gal 3, 28; Col 3, 11) e che Cristo fa di ebrei e pagani una cosa sola, un solo uomo (Ef 2, 14-15)? E Pietro quando afferma che Dio non fa differenze di persone (At 10, 34-35)?

4 - Impegnarsi sempre più a fare la verità nella carità (cfr. Ef 4, 15), quindi ad annunciare attraverso la carità. Scrivono i vescovi italiani nel documento Evangelizzazione e testimonianza della carità (1990) che "la chiesa, che nasce dalla carità di Dio, è chiamata a essere carità nella concretezza quotidiana della vita" (n. 27) e che "il vangelo della carità non si annuncia se non attraverso la carità" (n. 32). Ciò deve significare, oltre all’amore preferenziale per i poveri, una Chiesa che sia più vicina, più materna, più aperta nei confronti dei peccatori battezzati e nei confronti dei non battezzati e dei non cristiani. Che non si preoccupi tanto di ricordare a chi è lontano la sua dottrina, col risultato spesso di allontanarlo ancora di più, quanto di avvicinarsi a lui come a un fratello, perché figlio dello stesso Dio. Se la verità che la Chiesa annuncia è più grande della Chiesa (è Dio), solo la carità (che viene da Dio) può annunciarla veramente.

5 - Aiutare i non cristiani a vivere la propria religione cogliendo in essa ciò che la unisce alle altre religioni. Se la Chiesa e i cristiani annunciano che tutte le religioni sono strumenti dell’offerta di grazia di Dio e aiutano ognuno a vivere al meglio la propria religione, tutti saranno aiutati a cogliere quest’essenza nella propria religione; e quindi sarà più facile anche che alcuni si incamminino verso una concezione di Dio come Padre di tutti; o quanto meno la intravedano meglio, avendone una qualche "trasparenza". E non è escluso che alcuni giungano anche a credere che vi sono tante vie di grazia, in una delle quali essi si trovano, ma una sola via di salvezza, Cristo.

Credo che tutto ciò potrà avere, col tempo, una profonda funzione evangelizzatrice. Se anche non riusciremo a far partecipare all’eucaristia un musulmano, potremo riuscire a farlo sentire parte di un Corpo unico, che per noi è il Corpo di Cristo. E se anche non riusciremo a somministrare il battesimo a un buddista, potremo riuscire a farlo sentire immerso in un processo di rigenerazione come figlio di Dio.

L’evangelizzazione non passa necessariamente attraverso la conversione degli altri e il proselitismo. Vi è un’evangelizzazione che passa attraverso il riconoscimento da parte degli altri di un’unità che è unità tra figli di Dio, ai quali la grazia è offerta per vie differenti, le religioni, che immettono tutte sull’unica via della salvezza. Se è così, la Chiesa non dovrebbe ostacolare, ma anzi favorire l’appartenenza di ognuno alla propria religione. Perché il nucleo fondamentale dell’annuncio cristiano non è la necessità di appartenere alla religione cristiana, ma la necessità di trasformare la propria vita per appartenere a Dio, che tutti crea, ama e vuole salvare.

Quelle fin qui elencate sono delle proposte, alle quali se ne possono aggiungere certamente altre. Non limitarsi ad annunciare di essere la Chiesa dei cristiani e dei "non cristiani", ma agire come Chiesa con gli uomini e le religioni serve anche ad evitare a tale annuncio il rischio del nominalismo. Evita, cioè, che diventi un enunciato privo di un referente reale e visibile.

E vi è, infine, un’osservazione di tipo sociologico da fare. Se la Chiesa sarà con gli uomini e con le religioni, ciò favorirà senz’altro l’integrazione tra gruppi diversi in società sempre più multiculturali quali quelle in cui viviamo. La Chiesa cattolica, così, contribuendo alla ricostruzione di un’identità degli uomini come figli di Dio unico Padre, darebbe un contributo alla soluzione del problema, sempre più attuale, dell’integrazione tra culture e gruppi.

Del resto, essa è in grado, come afferma Casale, "di esprimere l’unità nella pluralità". 9 Ed è, a mio avviso, la sola realtà del mondo in grado di farlo.

Non potrebbe esprimere "l’unità nella pluralità" senza essere "con" gli uomini e le religioni, senza vivere "con" loro, accanto a loro, come una Madre, che è sempre "con" i figli, "accanto" ai figli, ovunque essi siano, qualunque cosa pensino e qualunque via seguano.

La Chiesa cattolica, se è con gli uomini e le religioni, diventa umile, senza orgoglio e pura. Ritorna a quella povera grotta di Betlemme nella quale i popoli hanno visto e accolto il Dio fattosi uomo. Pone se stessa dove e come si è posto Gesù. E diventa così quella Chiesa che i cattolici devono realizzare, secondo le parole sante del Concilio Vaticano II: "Tutti i cattolici devono […] sforzarsi […] perché la Chiesa, portando nel suo corpo l’umiltà e la mortificazione di Gesù, vada di giorno in giorno purificandosi e rinnovandosi, fino a che Cristo se la faccia comparire innanzi risplendente di gloria, senza macchia né ruga" (UR n. 4).

In un altro documento conciliare leggiamo ancora che la Chiesa cammina "tendendo incessantemente alla pienezza della verità divina, finchè in essa vengano a compimento le parole di Dio" (Dei Verbum n. 8). La Chiesa visibile va dunque verso la pienezza della verità divina. Essa non è il fine, ma un mezzo; non deve rendere visibile se stessa, ma deve rendere visibile, "trasparente" l’amore di Dio. Scrivono i vescovi italiani nel documento Evangelizzazione e testimonianza della carità al n. 22: "La Chiesa, nelle molteplici forme del suo servizio, deve rivelare il volto di Dio, non anzitutto se stessa".

E allora, la Chiesa dev’essere umile, non dev’essere un mezzo "potente", un mezzo soddisfatto della sua "grandezza" e delle sue realizzazioni storiche.

Più sarà un mezzo umile ed evangelico, lontano dal fariseismo, più potrà servire il suo fine e sarà intriso del suo fine. E più potrà mostrarci vicino il Regno di Dio.

 

 

NOTE

  1. Casale U., Il Mistero della Chiesa, Elle Di Ci, Leumann (TO), 1998, pag. 242.

  2. Ibidem, pag. 209.

  3. Ibidem, pag. 264.

  4. Giovanni Paolo II, esort. apost. postsinodale Ecclesia in Asia, n. 17.

  5. Mondin B., La Chiesa primizia del Regno, edizioni Dehoniane, Bologna, 1986, pag. 52.

  6. Canobbio G., Chiesa perché. Salvezza dell’umanità e mediazione ecclesiale, edizioni San Paolo, Cinisello Balsamo, 1994, pag. 156.

  7. Casale U., cit., pag. 328.

  8. Paolo VI, Discorso all’apertura della III sessione del Concilio Ecumenico Vaticano II, 14-9-64.

  9. Casale U., cit., pag. 71.