COMUNIONE CRISTICA INIZIATA NELLA VITA TERRENA

 

 

Abbiamo visto che il processo di comunione cristica con Dio, con gli altri e col cosmo ha inizio nel momento in cui gli uomini accolgono l’amore di Dio che viene loro donato dallo Spirito Santo (cfr. Rm 5, 5; 1 Ts 4, 7-8; 1 Gv 4, 12-13). L’intimo legame tra Cristo e lo Spirito Santo è sottolineato in alcuni passi attestanti che lo Spirito Santo è lo Spirito di Cristo: "Se qualcuno non ha lo Spirito di Cristo non gli appartiene" (Rm 8, 9); Gesù Cristo abita in noi (2 Cor 13, 5), nei nostri cuori (Ef 3, 17); "Dio ha mandato nei nostri cuori lo Spirito del suo Figlio" (Gal 4, 6); Paolo attesta in lui l’"assistenza dello Spirito di Gesù Cristo" (Fil 1, 19). Poiché il dono dello Spirito Santo avviene durante la vita terrena, la comunione cristica inizia già nella vita terrena. Ma è solo se questo Spirito che Dio dona a tutti viene accolto che può iniziare il processo di comunione cristica: "Ecco, io sto alla porta e busso. Se qualcuno ascolta la mia voce e mi apre la porta, io verrò da lui, cenerò con lui ed egli con me" (Ap 3, 20). Quando questa grazia che ci viene donata viene accolta, noi possiamo diventare uomini nuovi in Cristo (1 Cor 5, 7; 2 Cor 5, 17; Ef 4, 21-24; Col 3, 9-10); possiamo essere in Cristo (1 Cor 1, 30) e di Cristo (Rm 14, 8; Gal 3, 29); possiamo avere "il pensiero di Cristo" (1 Cor 2, 16); possiamo essere in comunione con Dio (1 Gv 1, 3.6) e con lo Spirito Santo (2 Cor 13, 13); possiamo essere in comunione gli uni con gli altri (1 Gv 1, 7); possiamo cominciare ad essere, pur diversi, "una cosa sola" come Cristo e il Padre (Gv 17, 21-22), "una sola persona in Cristo Gesù" (Gal 3, 28), "un solo uomo nuovo in Cristo" (Ef 2, 15).

La comunione cristica inizia nella vita terrena perché già in questa vita Cristo è negli uomini (Gv 1, 9; Rm 8, 10; 2 Cor 13, 5; Gal 3, 27; Col 2, 10; 3, 11; Eb 3, 6), è con gli uomini tutti i giorni (Mt 28, 20), può vivere negli uomini (Gal 2, 20). Del resto, egli ha pregato il Padre per essere negli uomini (Gv 17, 23.26). E già in questa vita, inoltre, Dio dimora in chi sta nell’amore (Gv 14, 23; 1 Gv 4, 16).

Altri passi che rivelano che il processo di comunione cristica inizia durante la vita sono quelli attestanti che il Regno di Dio è giunto (Mt 12, 28; Lc 11, 20) ed è in mezzo a noi (Lc 17, 21), che "ora siamo stati liberati dalla legge" (Rm 7, 6), che è "ora il giorno della salvezza" (2 Cor 6, 2). Se è vero, come si è visto nel paragrafo precedente, che non c’è comunione cristica se Dio non è nell’uomo, poiché Dio dimora in chi sta nell’amore (Gv 14, 23; 1 Gv 4, 16), è anche vero che chi ama entra nel processo di comunione cristica: "Chi sta nell’amore dimora in Dio" (1 Gv 4, 16); "Chi accoglie i miei comandamenti e li osserva, questi mi ama. Chi mi ama sarà amato dal Padre mio e anch’io lo amerò" (Gv 14, 21). Chi ama partecipa del dono della comunione d’amore della Santissima Trinità. Chi ama è in Dio, perché "Dio è amore" (1 Gv 4, 8.16) e perché con lui è "la grazia del Signore Gesù Cristo, l’amore di Dio e la comunione dello Spirito Santo" (2 Cor 13, 13). L’amore fa diventare "una cosa sola", come il Padre e il Figlio sono "una cosa sola" (cfr. Gv 17, 21-23). Si vive dello stesso amore con il quale si è stati amati. E tale amore è per il Padre, per il Figlio, per lo Spirito Santo, per i fratelli e per il creato. Non sarebbe tale se fosse solo per Dio e non per gli uomini e il mondo, o viceversa. "Amerai il Signore Dio tuo con tutto il cuore, con tutta la tua anima e con tutta la tua mente. Questo è il più grande e il primo dei comandamenti. E il secondo è simile al primo: Amerai il prossimo tuo come te stesso" (Mt 22, 37-39). Se il secondo è simile al primo, amare gli altri è come amare Dio. Né si può amare Dio senza amare gli altri: "Se uno dice: "Io amo Dio", e odia il fratello, è un mentitore: chi, infatti, non ama il proprio fratello che vede, non può amare Dio che non vede" (1 Gv 4, 20).

Questa dinamica fondamentale dell’amore che viene da Dio è la base del processo di comunione cristica. Tale amore crea comunione, come quella esistente fra le tre Persone della Trinità. E la comunione crea pace e gioia.

Altra caratteristica fondamentale dell’amore che fonda la comunione cristica è la gratuità. È l’amore di Dio che è per sua natura gratuito: "Dio ha tanto amato il mondo da dare il suo Figlio unigenito" (Gv 3, 16); "Non siamo stati noi ad amare Dio, ma è lui che ha amato noi" (1 Gv 4, 10); "Mentre eravamo ancora peccatori, Cristo è morto per noi" (Rm 5, 8). Non ha aspettato che ci convertissimo; non ha preteso che prima diventassimo buoni. Ci ha amato per primo, e così come siamo. Ci ha amato e ci ama in modo assolutamente gratuito, senza alcun merito da parte nostra.

E in effetti, noi dobbiamo chiederci: quello che abbiamo ce lo siamo meritato, ce lo siamo guadagnato, oppure ce lo siamo ritrovato, oppure ci è stato dato? Pensandoci bene, dobbiamo convenire che tutto ciò che abbiamo e siamo ci è stato donato. Che cosa ho fatto io per nascere dove sono nato e non per esempio tra i profughi del Ruanda e morire di fame o nelle favelas di Rio de Janeiro ed essere abbandonato in strada? Che cosa ho fatto per avere la vista e non essere un cieco, per avere l’udito e la parola e non essere un sordomuto? Che cosa ho fatto, potrebbe chiedersi una ragazza, per non nascere nei quartieri poveri di Bangkok e diventare quasi sicuramente una prostituta per non morire di fame? Niente, è la risposta. Ciò che abbiamo non viene da noi, non ce lo siamo meritato, ma ci è stato donato. Ce lo ricorda san Paolo nella prima Lettera a i Corinzi: "Che cosa mai possiedi che tu non abbia ricevuto?" (1 Cor 4, 7). Ogni giorno, ogni momento ci è stato donato. E non c’è un luogo o condizione o momento da cui osservare la vita, che non sia vita a sua volta. Tutto è vita e tutto è un dono. Ed è un dono di Dio, perché "è lo Spirito che dà la vita" (Gv 6, 63).

Se Dio ci ha amato per primo e tutto è un dono, e se l’amore degli uomini verso Dio e il prossimo viene da Dio, questo amore è gratuito, e non ha per fine di ottenere qualcosa in cambio, una ricompensa.

In effetti, chi è convinto che la salvezza eterna (la ricompensa più grande!) gli toccherà perché è stato buono, è stato al servizio degli altri e ha osservato i comandamenti non è altro che un fariseo. Ed è bene che legga e rilegga due passi del Vangelo di Luca che lo riguardano: Lc 17, 9-10 e Lc 18, 10-14. Nel primo Gesù dice agli apostoli: "Forse chi ha un servo si riterrà obbligato verso il suo servo, perché ha eseguito gli ordini ricevuti? Così anche voi, quando avrete fatto tutto quello che vi è stato ordinato, dite: Siamo servi inutili. Abbiamo fatto quanto dovevamo fare" (Lc 17, 9-10). Se uno è un vero servo, è un servo inutile: il suo padrone non sarà in obbligo verso di lui perché ha eseguito gli ordini; e pertanto egli non deve aspettarsi alcuna ricompensa. Noi, invece, spesso pensiamo di essere sì servi, ma non inutili, bensì utili per qualcosa: in quello stesso momento non siamo più veramente servi.

D’altra parte, se amiamo gli altri al fine di ottenere la salvezza dell’anima, in realtà non amiamo veramente; o meglio, amiamo solo noi stessi. E commettiamo addirittura un peccato, che è il peccato d’orgoglio.

L’altro passo del Vangelo di Luca che è bene rileggere è la parabola del fariseo e del pubblicano: "Due uomini salirono al tempio a pregare: uno era fariseo e l’altro pubblicano. Il fariseo, stando in piedi, pregava così tra sé: O Dio, ti ringrazio che non sono come gli altri uomini, ladri, ingiusti, adulteri, e neppure come questo pubblicano. Digiuno due volte la settimana e pago le decime di quanto possiedo. Il pubblicano invece, fermatosi a distanza, non osava nemmeno alzare gli occhi al cielo, ma si batteva il petto dicendo: O Dio, abbi pietà di me peccatore. Io vi dico: questi tornò a casa sua giustificato, a differenza dell’altro, perché chi si esalta sarà umiliato e chi si umilia sarà esaltato" (Lc 18, 10-14). Essere umili significa non fare calcoli, non credersi migliori degli altri. Noi, invece, spesso siamo lì a misurare quanto è cresciuta la nostra carità, quanto siamo più bravi e meritevoli degli altri, quanto la nostra fede è più grande. E non comprendiamo che anche questo è peccato di orgoglio e che la vera fede consiste nel riconoscersi indegno e, proprio per questo, affidarsi totalmente a Dio. A questa fede ci conduce anche la lettura di un passo della Lettera ai Romani: "Tutti hanno peccato e sono privi della gloria di Dio, ma sono giustificati gratuitamente per la sua grazia" (Rm 3, 23-24). La giustificazione operata da Dio non consegue alla nostra bravura, ma è un dono.

Il fine dell’amore non è la realizzazione di un desiderio o di una volontà dell’uomo. Non si fa la carità per fare la volontà dell’uomo, ma per fare la volontà di Dio. Ciò significa che la carità, più che avere un fine, è un fine. Noi siamo così abituati a compiere azioni motivate da uno scopo e guidate da un fine, che quasi non riflettiamo sul fatto che alcune azioni non sono un mezzo per raggiungere un fine, ma costituiscono un fine in se stesse. Così è quando agiamo per amore o rendiamo un servizio agli altri.

Infatti, se crediamo che Dio è amore (1 Gv 4, 8.16), se crediamo che l’amore viene da Dio (Rm 5, 5; 1 Gv 4, 7) e che Dio è il fine di tutto (1 Cor 15, 28; Ef 3, 19; Col 1, 16), allora l’amore è un fine in sé, e non è un mezzo per raggiungere un altro fine. "Chi sta nell’amore dimora in Dio" (1 Gv 4, 16). Dove c’è amore c’è Dio. È questa la più grande scoperta che si possa fare. Scoprire, cioè, che dentro la realtà impermanente della storia si manifesta una presenza permanente, Dio-Amore, che si lascia esperire e amare. Non in un altro luogo beato, non in un altro tempo futuro, ma qui, ora, nella mia vita attuale, nel sorriso di questo fratello, nella carità di questo gesto.

Quando amiamo abbiamo già avuto la ricompensa, perché siamo già in Dio, siamo già nel Regno di Dio, iniziato sulla terra (Mt 12, 28; Mc 1, 15; Lc 11, 20; 17, 21). L’amore non ha un altro fine. È una realtà definitiva (non ce n’è una che la segue) e increata (non ce n’è una che la precede). È la realtà eterna, la vita eterna che chi ama già vive. Ce lo confermano queste parole della prima Lettera di Giovanni: "Noi sappiamo che siamo passati dalla morte alla vita, perché amiamo i fratelli" (1 Gv 3, 14). E ce lo ripetono i vescovi italiani nel documento Evangelizzazione e testimonianza della carità (1990) al n. 18: amare Dio e il prossimo "è già la vita eterna che inizia in mezzo a noi".

L’amore vero è dunque gratuito, non ha un altro fine. Dobbiamo amare Dio senza aspettarci un premio e dobbiamo donarci agli altri senza sperare in un contraccambio e senza che gli altri lo meritino. In un mondo in cui tutto funziona gratuitamente, la vita, la natura, l’aria, la bellezza, lo Spirito, tutto si offre e si riceve nella più assoluta gratuità, dire di aver fede e al contempo voler continuare a edificare un rapporto con Dio e un insieme di rapporti interpersonali regolati dalla reciprocità, è come dire a Dio "sia fatta la tua volontà" volendo però che la sua volontà sia la nostra.

La comunione cristica, che inizia durante la vita terrena, non è dunque reciprocità, ma gratuità. E per questo non separa, ma unisce, fa diventare "una cosa sola", "una sola persona". Tale unità si compirà pienamente nella vita ultraterrena.

Il processo di comunione cristica inizia durante la vita terrena dell’uomo, perché è l’unità anima-corpo materiale, cioè l’uomo, unità creata dallo Spirito, cioè dal principio di comunione cristica, che deve accogliere questo Spirito, per entrare in comunione con Lui e col creato. E tale accoglienza non può avvenire dopo la morte, perché dopo la morte l’uomo non è più unità anima-corpo materiale.

Ma la comunione cristica deve continuare dopo la morte, perché l’uomo terreno, dotato di corpo materiale, non può essere pienamente "con Dio", "presso Dio", "una cosa sola" con Dio, non può essere pienamente "una sola persona" con gli altri, non può essere pienamente parte del tutto cosmico, a causa dei limiti spazio-temporali della materia.

La piena comunione con Dio, con gli altri e col cosmo può avvenire solo nella vita ultraterrena. È dunque necessario tentare di capire meglio ciò che avviene dell’uomo con la morte (ciò che sarà fatto nel prossimo paragrafo), per parlare poi del compimento del processo di comunione cristica nel futuro metastorico.