L’INFERNO: DESTINO DI CHI NON È ENTRATO NELLA COMUNIONE CRISTICA

 

 

Lo stato intermedio è il tempo del perfezionamento e dell’accrescimento della comunione cristica, per giungere alla sua pienezza. Mentre la vita terrena è il tempo in cui si sceglie di entrare o no nel processo di comunione cristica. Essa comincia ad attuarsi durante la vita terrena, quando il Verbo o lo Spirito, donato da Dio agli uomini in ogni luogo e tempo, comincia a trasformare l’unità anima-corpo materiale, propria di tutti gli uomini in quanto così creati, in unità anima-Spirito-corpo. L’unità dello Spirito col corpo rende il corpo docile allo Spirito, guidato dallo Spirito. Tale unità è opera del Verbo e dello Spirito ed è nel disegno eterno di Dio (cfr. Gv 17, 22-24).

Abbiamo visto i passi biblici che confermano come la comunione cristica inizi durante la vita. Vi sono altri passi che fanno riferimento al rapporto tra Spirito e corpo durante la vita. Nella seconda Lettera ai Corinzi Paolo afferma che il giudizio di Cristo per ciascun uomo riguarda "la ricompensa delle opere compiute finché era nel corpo, sia in bene che in male" (2 Cor 5, 10). È evidente il legame tra vita nel corpo e destino ultimo. Nella Lettera ai Romani lo stesso Paolo afferma che Dio "ha condannato il peccato nella carne" (Rm 8, 3). Secondo tutti gli esegeti, nella terminologia propria di Paolo Spirito e carne si riferiscono all’uomo come unità: è l’uomo come unità di anima e corpo che vive secondo lo Spirito o secondo la carne. E allora il peccato è condannato nella carne non perché la carne in sé è peccato, ma perché la vita secondo la carne è peccato, perché è vita senza l’accoglienza dello Spirito. Chi invece accoglie lo Spirito esce dal peccato, continuando però a vivere nell’unità con la carne e il corpo.

Dopo la morte, si apre, per l’uomo che ha accolto lo Spirito, la fase ultraterrena della comunione cristica, che riguarda l’uomo come unità anima-Spirito-corpo immateriale. Quest’uomo, che non ha più i limiti del corpo materiale, procede verso la pienezza della comunione, con gli altri, col cosmo e con Dio. Se rimanesse il corpo materiale, non si potrebbe mai accedere a questa fase; ed ecco perché la morte è necessaria, ed è necessaria per entrare nella vita (cfr. Gv 12, 24). La morte è un evento desiderabile per i buoni. È un evento terribile per i cattivi. Per gli uni è passaggio "dalla morte alla vita" (Gv 5, 24; 1 Gv 3, 14); per gli altri è passaggio alla "morte seconda" (Ap 20, 14).

Durante la vita, infatti, l’uomo, creato libero, può scegliere di non accogliere lo Spirito che Dio gli offre. Così facendo, egli non entra nel processo di comunione cristica. Egli rimane separato da Dio. E ciò avviene perché Dio, il Verbo e lo Spirito, è nel processo di comunione cristica. Chi non è dov’è il Verbo e dov’è lo Spirito, non è dov’è Dio; è "fuori" da Dio; è "dannato". In questa separazione consiste la sua dannazione. Ed egli non è dannato da Dio, ma da se stesso, perché non è stato separato da Dio per volontà e opera di Dio, ma è lui che si è separato e allontanato da Dio. Questa separazione da Dio comporta, tra l’altro, poichè Dio è amore, che egli non potrà avere da Dio il dono della capacità di amare senza desiderare; e pertanto, continuerà a desiderare.

In questo destino di separazione, eterno desiderio e assenza di gioia consiste l’Inferno. Esso, dunque, scrive Vitalini, "non è un elemento strutturale dell’universo voluto da Dio, che avrebbe un senso proprio. È un "anti-elemento", un vuoto, una ferita, una opposizione mostruosa e quasi inconcepibile al piano di Dio per l’uomo e l’universo". 1

Riguardo all’eternità dell’Inferno, la Bibbia la attesta in diversi passi (Mt 3, 12; 18, 8; 25, 41.46; Mc 9, 43.48; Lc 3, 17; Fil 3, 19; 2 Ts 1, 9; Ap 14, 11; 20, 10.15; 21, 8). E dunque, occorre ammettere che chi non entra nel processo di comunione cristica, in questo processo d’amore, durante la sua vita terrena non può più entrarvi dopo la morte. La concezione esposta permette di capire i motivi per cui l’uomo non può più modificare la sua scelta. Il primo nasce dal fatto che lo Spirito ci è offerto da Dio durante questa vita, non dopo la morte. E, come abbiamo visto, numerosi sono i passi che lo attestano. Il secondo motivo che rende la scelta compiuta in vita non modificabile è che la comunione cristica è primariamente comunione tra anima e corpo materiale, operata dallo Spirito e nello Spirito; essa non può "saltare" questa prima fase, altrimenti non potrebbe passare alla seconda: se il corpo materiale muore senza essere guidato dallo Spirito, neanche il corpo immateriale dopo la morte sarà guidato dallo Spirito. E se l’unità anima-corpo immateriale non è unita allo Spirito, non è penetrata dallo Spirito, essa non può unirsi agli altri, al cosmo e a Dio. Se l’uomo terreno non ha accolto lo Spirito, non può più accoglierlo l’uomo celeste.

Ammettere che alcuni non possano più salvarsi, come non pone un problema di privazione della libertà dell’uomo, così non pone un problema di carenza di amore da parte di Dio, che non avrebbe pietà dei dannati. Se la salvezza è comunione cristica e a questa comunione non si accede non accogliendo il Verbo o lo Spirito che Dio dona a tutti, sono i dannati che, respingendo da sé Dio, si pongono da se stessi fuori del cammino della salvezza.

D’altronde, come scrive Forte, "la negazione della possibilità della dannazione eterna si traduce nella negazione della stessa autonomia della creatura, e perciò diviene alla fine negazione della stessa carità del Creatore: in forma a prima vista paradossale si potrebbe asserire che se non ci fosse l’inferno, Dio stesso non sarebbe amore, perché creerebbe degli esseri privi di libertà, incapaci di essere autentici protagonisti dell’alleanza". 2 E occorre anche considerare, come afferma Sachs, che "l’amore non può forzare chi ama ad amare a sua volta, giacchè la violenza è l’esatta antitesi dell’amore". 3

Sembra non potersi neanche ammettere che i dannati possano essere salvati dopo la seconda venuta di Cristo. Tuttavia, a questo punto, la nostra speculazione si deve fermare. Se è vero, infatti, che con la parusia la comunione cristica sarà piena e perfetta, e vi sono luoghi del Nuovo Testamento che attestano che dopo la parusia il destino dei dannati è eterno (Mt 25, 41.46; Ap 20, 10.15), è anche vero che occorre leggere e meditare con estrema attenzione sia la frase di Pietro che con la parusia "saranno restaurate tutte le cose" (At 3, 21), sia la pericope di Paolo in cui l’Apostolo ci rivela che la parola ultima è quella del Padre, il senso ultimo della storia è quello dell’Amore: "Quando tutto gli sarà stato sottomesso, anch’egli, il Figlio, sarà sottomesso a colui che gli ha sotto- messo ogni cosa, perché Dio sia tutto in tutti" (1 Cor 15, 28).

L’eternità dell’Inferno è negata da Origene, con la sua dottrina dell’apocatastasi, secondo cui dopo la seconda venuta di Cristo vi sarà una restaurazione e reintegrazione di tutto il creato in Dio e finirà la dannazione dei demoni e degli uomini nell’Inferno. Tale eternità è negata anche, con diverse motivazioni, da alcuni teologi di tutte le confessioni cristiane: protestanti (K. Barth, J. Moltmann, W. Pannenberg), anglicani (C. H. Dodd), ortodossi (S. Bulgakov, P. N . Evdokimov), cattolici (H. Küng, G. Franzoni, P. Gisel). Alcuni altri teologi cattolici (Th. e G. Sartory, B. J. Korosak, J. Delumeau, J. R. Sachs, E. Schillebeeckx) affermano che l’Inferno consiste nell’annientamento dei peccatori, nella loro non partecipazione alla vita perché non più esistenti, giustificando la loro posizione con la considerazione che la presenza dei dannati non può non offuscare la gioia perfetta di Dio e dei santi. Ritengo tale posizione non condivisibile, perché non suffragata dalla rivelazione biblica, attestante che la risurrezione è per tutti, salvati e dannati (Gv 5, 28-29; At 24, 15; Ap 20, 13-15).

L’Inferno, dunque, è concepibile come la condizione di chi durante la vita non ha accolto lo Spirito di Dio, e quindi è rimasto "separato" da Dio e non è entrato nel processo di comunione cristica, che porta alla comunione finale con Dio.

Questa "spiegazione" dell’attestazione biblica dell’esistenza dell’Inferno sembra in perfetto accordo con numerosi gruppi di pericopi del Nuovo Testamento. E in particolare con i seguenti:

  1. quelli in cui si attesta la libertà dell’uomo e la sua possibilità di scegliere il bene o il male (Mt 16, 24; Mc 8, 34; Lc 9, 23; Gv 8, 36; 9, 26; Rm 8, 2; 1 Cor 7, 37; Gal 5, 1.13; Fil 4, 13; 1 Pt 2, 16; Ap 3, 20);

  2. quelli in cui si afferma che il bene dev’essere compiuto finché si è in vita e se ne ha la possibilità (Mt 25, 34-40; Gv 9, 4; 2 Cor 5, 10; Eb 3, 13);

  3. quelli che attestano che la retribuzione sarà secondo le opere, ciascuno avrà secondo quel che avrà fatto (Mt 12, 37; 16, 27; 18, 35; Rm 2, 6-8; 6, 21-22; 14, 10-12; 1 Cor 3, 13-15; 6, 9-10; 2 Cor 5, 10; Gal 5, 21; 6, 7; Ef 5, 5; 6, 8; 1 Pt 1, 17; Ap 2, 23; 20, 12.15; 21, 7-8);

  4. quelli che parlano di una separazione dei buoni dai cattivi (Mt 13, 47-50; 25, 31-33; Lc 16, 22-26);

  5. quelli in cui si attesta una separazione dei cattivi da Dio e da Cristo (Mt 7, 23; 25, 41; Lc 13, 27; 2 Ts 1, 9);

  6. quelli che affermano l’eternità dell’Inferno (Mt 3, 12; 18, 8; 25, 41.46; Mc 9, 43.48; Lc 3, 17; Fil 3, 19; 2 Ts 1, 9; Ap 14, 11; 20, 10.15; 21, 8).

Dall'insieme di questi luoghi biblici, si può pensare all'Inferno come al destino di chi non è entrato nel processo di comunione cristica.

Alcuni rifiutano l'idea dell'Inferno perché ritengono l'Inferno incompatibile col Paradiso e l'immagine del Dio Padre rivelata da Cristo incompatibile con quella di un Dio punitivo. Eppure, i dati biblici sono troppi per poter pensare di toglierli, o per costruirsi un vangelo a proprio piacimento, dichiarando autentico ciò che attrae e non autentico ciò che lascia perplessi.

Credo che il problema, sentito da tanti, diventi meno acuto se si concepisce l'Inferno non come uno stato nel quale un Dio vendicativo getterà alcuni, ma come una via di non comunione che alcuni percorrono e che è diversa da quella di comunione percorsa dagli altri. Non è Dio che li mette su questa via, ma sono loro che vi si mettono da soli, rifiutando la comunione Spirito-materia e io-altri. Non possono più tornare indietro dopo la morte, perché è solo durante la vita terrena che è possibile sperimentare e accettare questa comunione; e ciò perché solo durante la vita terrena l'uomo è unità di anima e corpo materiale, mentre dopo la morte diventa unità di anima e corpo immateriale; se durante la vita la comunione Spirito-materia e io-altri è stata deliberatamente, ripetutamente e fino alla fine rifiutata, non sarà possibile accoglierla dopo la morte, perché mancherà il corpo materiale.

Del resto, se un'unità anima-corpo immateriale potesse accogliere lo Spirito Santo dopo che come unità anima-corpo materiale non lo ha accolto, anche l'angelo caduto, il diavolo, potrebbe accoglierlo, perché anch'egli è unità anima-corpo immateriale che ha rifiutato lo Spirito Santo. Ma allora il diavolo cesserebbe di tentare gli uomini; mentre il disegno di Dio è che essi siano tentati e messi alla prova in vista della salvezza. Dio, infatti, non potendo volere il male, non tenta nessuno (Gc 1, 13), ma permette che Satana tenti gli uomini (Gb 1, 12; 2, 6; Lc 22, 31; 1 Cor 10, 13; 2 Ts 2, 11; Ap 2, 10), perché quanti resistono ottengono la salvezza e la gioia (Sap 3, 5; Ef 6, 13; Gc 1, 12; Ap 2, 10), che, come abbiamo visto, passano attraverso il sacrificio dell'egoismo e l'eliminazione dei desideri. Si può affermare, dunque, che l'Inferno esiste perché possa esistere il Paradiso.

Il progetto di Cristo per tutti gli uomini da lui creati è la comunione. È certa la possibilità che alcuni non realizzino questo progetto. Ma noi non sappiamo se la via di non comunione da loro intrapresa, che chiamiamo Inferno, sarà anch'essa un processo, come è un processo l'altra via, quella della comunione cristica. Stando alla parabola di Lc 16, 19-31, quando Epulone, trovandosi all'Inferno, manifesta a Lazzaro la sua preoccupazione per i suoi fratelli, egli sembra aver percorso un cammino e il suo atteggiamento non pare più quello di un cattivo irredimibile.

Quelli che sono convinti di poter accusare un Dio che consenta l'Inferno di non essere il Dio Padre annunciato da Gesù Cristo convengono che d'altronde questo Dio Padre non possa imporre a tutti l'accoglienza dello Spirito e l'accettazione della sua volontà, altrimenti non sarebbe più tale. Allora, alcuni pensano di risolvere il problema sostenendo che le immagini dell'Inferno e della sua eternità contenute nella Scrittura siano solo metafore del nulla, della morte pura e semplice senza aldilà che sarebbe il destino di alcuni tra gli uomini. Ma a parte i dati biblici già visti secondo cui la risurrezione è per tutti, a parte la difficoltà di dover ammettere che l'anima non è creata immortale, ma diventa tale solo per alcuni, e a parte la difficoltà di dover escludere che proprio Dio non rispetti il quinto comandamento, un Dio che destinasse al nulla i cattivi, che togliesse loro la vita, sarebbe accusabile, dai buoni rimasti nella vita, di essere ancora meno Padre e forse più crudele di un Dio che consenta la libertà e che consenta di proseguire l'esistenza, anche se in uno stato di non comunione e di non gioia. Quelli rimasti nella vita, inoltre, potrebbero accusare e addirittura non amare più un tale Dio per non aver dato ad alcuni suoi figli, lui a cui tutto è possibile (Mt 19, 26), una seconda chance o un ulteriore dono, come per esempio la possibilità di nuove esperienze di contatto con la materia, o quella di non desiderare e dunque di non soffrire più.

 

 

NOTE

  1. Vitalini S., Credo la vita eterna, Gribaudi, Torino, 1992, pag. 88.

  2. Forte B., Teologia della storia. Saggio sulla rivelazione, l’inizio e il compimento, Ed. Paoline, Cinisello Balsamo, 1991, pagg. 334-335.

  3. Sachs J. R., Current Eschatology: Universal Salvation and the Problem of Hell, in Theological Studies, 52, 1992, pag. 233.