IL SACRIFICIO DONATO (UNA "RIVELAZIONE" SUL PURGATORIO)

 

 

Racconterò in questo paragrafo del libro un’esperienza personale che io credo contenga una rivelazione divina. Mi sono deciso a farlo per tre motivi. Primo: se Dio avesse voluto rivelarmi qualcosa e io non ne facessi parola, non farei la volontà di Dio. Secondo: se non c’è alcuna rivelazione, non posso essere io a stabilirlo, ma dovrebbe essere il Magistero. Terzo: in ogni caso, riflettere su un’esperienza può essere utile. Questi tre motivi, tanto semplici quanto decisivi, mi spingono a parlare di quest’esperienza.

La posizione della Chiesa sulle "rivelazioni private", distinte dalla "rivelazione pubblica", destinata a tutta l'umanità ed espressa nell'Antico e Nuovo Testamento, è riassunta dal card. Ratzinger nel suo "Commento teologico" alla terza parte del "segreto" di Fatima. In esso vengono citati due passi del Nuovo Testamento. Nel primo Gesù congedandosi dice ai discepoli: "Molte cose ho ancora da dirvi, ma per il momento non siete capaci di portarne il peso. Quando però verrà lo Spirito di verità, egli vi guiderà alla verità tutta intera" (Gv 16, 12-13). Nel secondo san Paolo dice ai Tessalonicesi: "Non spegnete lo Spirito, non disprezzate le profezie; esaminate ogni cosa, tenete ciò che è buono" (1 Ts 5, 19-21). E il Prefetto della Congregazione per la Dottrina della Fede scrive che "il criterio per la verità e il valore di una rivelazione privata è […] il suo orientamento a Cristo stesso. Quando essa ci allontana da lui, quando essa si rende autonoma o addirittura si fa passare come un altro e migliore disegno di salvezza, più importante del Vangelo, allora essa non viene certamente dallo Spirito Santo". 1 Detto questo, passo subito al racconto della mia esperienza.

Si tratta di un sogno che ho fatto a Collevalenza, durante il XVIII Convegno nazionale della Caritas Italiana, la notte tra il 12 e il 13 settembre 1991. Nel sogno, mi sono trovato seduto sul bordo di una vasca da bagno e, guardando in alto, ho chiesto (al Signore): "Per chi non è perfetto, ci sarà il Purgatorio?" Ho sentito una voce forte e profonda che ha risposto: "Sì". Allora ho preso coraggio e, sempre rivolto verso l’alto, ho chiesto ancora: "Il Purgatorio durerà un certo tempo?" La stessa voce ha risposto: "No". E poi, sfumando: "Vi accompagnerà". Subito dopo ho visto una scena, ed era come se guardassi dentro un quadro. C’era una donna vestita di bianco. Quando ho fissato il suo volto, era di una bellezza che non potrei descrivere. E mentre la fissavo, provavo per lei solo amore, un amore "puro" e gioioso, senza alcun desiderio. La donna ha cominciato a camminare e si è sollevata in alto con leggiadria, scomparendo poi verso la parte alta del "quadro". A questo punto era così forte l’emozione che avevo provato, che mi sono svegliato; e non mi sono più riaddormentato per tutta la notte. È stata un’esperienza che non dimenticherò mai. Quando l’ho raccontata a padre Luciano Mazzocchi, che quella notte dormiva nella mia stessa stanza, essendo a quel tempo direttore della Caritas Diocesana di Mazara del Vallo (oggi vive il dialogo tra cristianesimo e buddismo nella comunità "La stella del mattino" a Galgagnano), eravamo entrambi incerti, un po’ perplessi. Non che oggi io sia certo di aver avuto una rivelazione; però io credo, ho fede, di averla avuta. E questa mia fede trova un appiglio anche nella ragione. Se infatti questo mio sogno fosse stato una proiezione o un prodotto della mia mente o del mio io, come mai avevo risposto no alla seconda domanda? Io avrei senz’altro risposto sì. Avrei dato questa risposta non solo perché pensavo al Purgatorio senz’altro come a qualcosa di limitato nel tempo, ma perché la motivazione della seconda domanda (e anche della prima) era proprio quella di assicurarmi che, malgrado le mie imperfezioni e i miei peccati, a un certo punto del tempo Dio mi avrebbe salvato e portato in Paradiso. Se quel "No" è stato così inatteso e mi ha colpito tanto, è proprio perché non veniva da me. Né, credo, la donna che ho visto nel sogno era un’immagine o una proiezione di qualche donna che avevo visto da sveglio. Per due motivi. Primo, la sua bellezza era "diversa", indescrivibile, non paragonabile a quella di nessun’altra donna che avevo visto o immaginato. Secondo, la bellezza normalmente suscita un desiderio, o anche solo una valutazione di tipo estetico. Io, invece, nel sogno non ho provato alcun desiderio o alcun compiacimento estetico. Ho provato solo, e di colpo, amore e gioia, nello stesso momento: mentre provavo amore sentivo gioia, e viceversa.

Per tutti questi motivi, credo che ciò che ho ascoltato e ciò che ho visto in questo sogno costituiscono una forma di rivelazione.

Ma se fosse così, occorrerebbe cercare di capire meglio, di rendere più chiaro il contenuto. Per quanto riguarda la seconda parte del sogno, quella "visiva", ritengo si possa dire che la "rivelazione" consiste in questo: nel Regno di Dio non c’è più il desiderio, ma c’è solo l’amore che dà gioia. In questa rivelazione sembrano incontrarsi il buddismo, quando afferma che la causa della sofferenza è il desiderio e che c’è una via per estinguerla (entrare nel nirvana) e il cristianesimo, quando afferma che Dio è amore (1 Gv 4, 8).

Il desiderio, prodotto dell’attività e dei meccanismi del corpo materiale e della mente, fa parte della natura umana tentata dal diavolo (cfr. Gn 3, 4-6; Mt 5, 13; 13, 39; Rm 5, 12-21; 2 Cor 4, 4; Catechismo della Chiesa cattolica nn. 391-406). La Scrittura parla dei "desideri della carne" (Gal 5, 16-17), delle "opere della carne" (Gal 5, 19), delle "opere del diavolo" (1 Gv 3, 8). E afferma che "chi pecca viene dal diavolo" (1 Gv 3, 8) e che "la concupiscenza […] genera il peccato" (Gc 1, 15). Ci dice, inoltre, che "la carne è debole" (Mt 26, 41; Mc 14, 38) e che il peccato abita in noi (Rm 7, 17.20) e scatena in noi "ogni sorta di desideri" (Rm 7, 8). Sappiamo, infine, che "tutti sono sotto il dominio del peccato" (Rm 3, 9) e "tutti sono stati costituiti peccatori" (Rm 5, 19).

Noi siamo portati ad amare ciò che desideriamo (una donna, un bene, ecc.) e a non amare ciò che non desideriamo. C’è dunque un amore che viene dal desiderio e si alimenta del desiderio, ed è forte e possessivo. Ma ci accade anche di amare qualcuno o qualcosa che non abbiamo desiderato. Questo amore non può venire dal corpo o dalla mente. E dunque c’è anche un amore che viene dallo Spirito e si alimenta dello Spirito, ed è dolce e puro.

Mentre i desideri della carne e quelli dello Spirito "si oppongono a vicenda, sicchè voi non fate quello che vorreste" (Gal 5, 17), l’amore che viene dal desiderio molto spesso coesiste con l’amore che viene dallo Spirito. Una situazione frequente si ha quando nei confronti di una persona o di un oggetto c’è l’amore che viene dal desiderio, ma c’è anche l’amore che viene dallo Spirito (si pensi a un rapporto tra coniugi, o a una persona sposata che ne desideri un’altra ma non voglia tradire il coniuge). L’amore che viene dal desiderio in genere avrà la prevalenza sull’amore che viene dallo Spirito, a causa del legame dello Spirito con il corpo materiale. Solo l’eliminazione del desiderio potrebbe portare a far esperire pienamente l’amore che viene dallo Spirito: "Finché abitiamo nel corpo – dice san Paolo – siamo in esilio lontano dal Signore" (2 Cor 5, 6). Ecco perché l’eliminazione del desiderio ci viene comandata da Dio (Es 20, 17; Dt 5, 21). E in numerosi passi sia del Vecchio che del Nuovo Testamento siamo invitati a non seguire le passioni e a non sottometterci ai desideri della carne (Gb 31, 1; Pr 6, 25; Sir 18, 30; Mt 5, 28; Rm 6, 12-13; 13, 14; Gal 5, 24; 1 Pt 2, 11).

L’eliminazione del desiderio non può che essere opera dello Spirito, non potendo essere opera del corpo, che lo produce. Perciò non è opera dell’uomo, ma di Dio. E Dio non tenta mai gli uomini oltre le loro forze: "Dio è fedele e non permetterà che siate tentati oltre le vostre forze, ma con la tentazione vi darà anche la via d’uscita e la forza per sopportarla" (1 Cor 10, 13; cfr. anche 2 Cor 12, 9; Fil 4, 13; 2 Pt 2, 9).

Che l’eliminazione del desiderio avvenga ad opera dello Spirito è attestato numerose volte nell’epistolario paolino: "Ciò che era impossibile alla legge, perché la carne la rendeva impotente, Dio lo ha reso possibile" (Rm 8, 3); "Se vivete secondo la carne, voi morirete; se invece, con l’aiuto dello Spirito, voi fate morire le opere del corpo, vivrete" (Rm 8, 13); "Noi viviamo nella carne, ma non mili- tiamo secondo la carne. Infatti le armi della nostra battaglia non sono carnali, ma hanno da Dio la potenza di abbattere le fortezze, distruggendo i ragionamenti e ogni baluardo che si leva contro la conoscenza di Dio" (2 Cor 10, 3-5); "Camminate secondo lo Spirito e non sarete portati a soddisfare i desideri della carne" (Gal 5, 16).

Se è opera dello Spirito, l’eliminazione del desiderio può essere ottenuta solo con la preghiera, attraverso la quale otteniamo la potenza di Dio. La preghiera può aiutarci anche a cercare e vedere nelle altre persone un corpo pieno di Spirito e animato dallo Spirito, in modo che sull’eventuale desiderio per il corpo prevalga l’amore per lo Spirito. Anche la contemplazione dell’ordine e della bellezza della natura e delle cose del mondo creato può aiutarci a provare per esse amore piuttosto che desiderio.

Eliminato il desiderio, la persona o la cosa che prima era desiderata, o era desiderata-amata, potrà essere soltanto amata. E solo questa esperienza può portare alla gioia dolce e autentica e alla pace serena e duratura con se stessi, gli altri e il mondo. Dunque, non desiderare, obbedire ai comandamenti di Dio e fare la sua volontà ci conduce pian piano ad amare molto, fino ad amare tutto e tutti. Ecco perché "pieno compimento della legge è l’amore" (Rm 13, 10).

Nei confronti di persone o di cose che non sono desiderate, l’amore che viene dallo Spirito potrà essere esperito assai più facilmente, perché non sarà sopraffatto dall’amore che viene dal desiderio. Tuttavia, anche in questo caso l’esperienza dell’amore che dà gioia, nonostante sia possibile senza dover prima lottare col desiderio, spesso non viene fatta, perché ci si ricorda, inconsciamente, che c’è un amore che nasce dal desiderio e si pensa, erroneamente, che non ci sia un altro amore, e di non poter provare un altro amore.

Ma anche dopo che abbiamo eliminato i desideri verso gli altri e le cose, rimane in noi un altro desiderio, ed è quello che le cose vadano come pensiamo o speriamo noi (che comprende anche il desiderio di gratificazione, stima, successo, ecc.). Questo è il desiderio più grande che dev’essere eliminato. Fino a quando rimaniamo turbati o contrariati quando qualcosa non si presenta o non si svolge come vorremmo o quando accade qualcosa che non vorremmo, noi continuiamo a desiderare. Continuiamo forse a dire "sia fatta la tua volontà", ma in realtà vorremmo che fosse fatta la nostra. Solo la preghiera che Gesù ci ha insegnato, fatta con piena convinzione e totale adesione, o comunque una richiesta umile e insistente a Dio perché ci riempia di Spirito Santo, così da aderire veramente e con tutto l’essere alla sua volontà, può liberarci dal desiderio. E portarci verso quella pace e quella gioia, in cui secondo san Paolo consiste il Regno di Dio (cfr. Rm 14, 17).

Quanto fin qui detto ritengo abbia dei punti di contatto con le visioni religiose del New Age, del buddismo e dell'islamismo. Secondo il movimento New Age, che si diffonde sempre più in Occidente, ognuno può incontrarsi col "Divino", che è l'energia fondamentale e vitale di tutto l'universo; e questo incontro può giungere al punto che il Divino si identifica col nostro io profondo. Ciò può avvenire attraverso diverse vie: yoga, zazen, mantra, canti, danze, spiritismo, ecc. Più sopra si è parlato di una possibile esperienza, da parte dell'uomo, di adesione totale al reale e alla volontà di Dio. Comportando quest'esperienza l'essere liberati dal desiderio e l'essere pieni di Spirito Santo, non escluderei che essa abbia punti in comune con l'esperienza del Divino di cui parla il New Age, o addirittura che si tratti, in ultima analisi, della stessa cosa. Occorre tuttavia sottolineare che, comunque, per un cristiano, un'esperienza di intimità e comunione col divino si può realizzare solo per l'intervento dello Spirito Santo e per dono di Dio.

All’inizio di questa riflessione volta a cercare di capire meglio il sogno che ho avuto, ho affermato che il contenuto del sogno si accorda con la dottrina buddista sul desiderio come causa della sofferenza e sulla possibilità di estinguerlo attraverso il nirvana. Ma a questo punto occorre una precisazione. La grande intuizione buddista è che il superamento del desiderio passa attraverso il superamento del soggettivismo; ma il suo limite sta nell’idea che tale superamento possa essere opera dello stesso soggetto, che diventerebbe così capace di autoeliminarsi. E così la grande rivelazione islamica è che tale superamento può aversi solo per la misericordia di Allah; ma il suo limite sta in una accettazione quasi rassegnata (occorre ricordare, tra l’altro, che l’Islam ammette la poligamia) della natura umana portata a desiderare. Nel cristianesimo, invece, quasi si integrano le visioni buddista e islamica: si afferma che la liberazione dai desideri del corpo e del soggetto è necessaria, ma è opera della grazia di Dio; ma anche che l’uomo non deve rassegnarsi alla sua natura umana, bensì proporsi di superarla ed elevarla, attraverso l’adesione fattiva e piena alla volontà di Dio e l’offerta di se stesso a Dio. Tutto ciò è mirabilmente riassunto in uno dei passi più belli della Lettera ai Romani, vera perla per tutta la nostra vita: "Non offrite le vostre membra come strumenti di ingiustizia al peccato, ma offrite voi stessi a Dio, come vivi tornati dai morti, e le vostre membra come strumenti di giustizia per Dio" (Rm 6, 13).

Questo brano di san Paolo ci richiama anche all'importanza del corpo nel piano di Dio e per la salvezza degli uomini. Così come il corpo non potrebbe salvarsi senza l'anima spirituale, questa non potrebbe salvarsi se non ci fosse il corpo. Anche per Cristo, il corpo che egli ha assunto ha avuto un valore centrale: "Pur essendo Figlio, imparò tuttavia l'obbedienza dalle cose che patì e, reso perfetto, divenne causa di salvezza eterna per tutti coloro che gli obbediscono" (Eb 5, 8-9). Se è stato reso perfetto dalle cose che patì, ciò è avvenuto perché aveva un corpo che lo ha fatto soffrire. E da questa sofferenza è nata l'obbedienza alla volontà del Padre, e quindi la sua glorificazione. Ed è questa per tutti gli uomini la via della salvezza. Vorrei concludere questa parte della riflessione sul sogno che ho raccontato all'inizio con una considerazione che ritengo molto bella dello stesso Luciano Mazzocchi con cui dividevo la stanza quella notte: "Ho venerato il cristianesimo dell'anima; ho ripetuto come motto del mio fare il prete: Da mihi animas, cetera tolle. Oggi, anche grazie all'incontro con lo Zen, posso comprendere che la santa via indicata da Cristo passa attraverso il corpo. Il corpo ne è il fondo stradale, ne è l'altare: infatti è consistente, è reale. Non è come bramare i primi posti nel paradiso celeste; piuttosto è bere il calice dell'esistenza ricevuta ed essere battezzati nel tempo e nello spazio". 2

Fin qui abbiamo discusso sulla seconda parte del mio sogno, quella "visiva". Qualche problema in più crea la riflessione sulla prima parte del sogno, quella "uditiva". Non è facile capire perché il Purgatorio non durerà un certo tempo.

Intanto, vi è un’osservazione preliminare relativa alla natura del Purgatorio. La domanda iniziale alla quale viene data una risposta positiva è relativa alla mancanza di perfezione. E l’esistenza del Purgatorio viene asserita "per chi non è perfetto". Non per chi deve espiare una pena per i suoi peccati, o deve in qualche modo purificarsi. Il Purgatorio, cioè, viene asserito non come avente per scopo la punizione, o la pena, o la purificazione; bensì la perfezione. Questa specificazione è molto importante, in quanto consentirebbe di eliminare uno dei motivi della disputa secolare tra cattolici, che tendono a dare al Purgatorio una funzione espiatoria, e ortodossi e protestanti, che la negano decisamente. Se il mio sogno contiene una rivelazione, e lo credo, devo anche credere che il Purgatorio non è uno stato attraverso cui gli uomini espiano le loro colpe, ma è un processo attraverso cui gli uomini diventano perfetti.

Riguardo all’attestazione, assolutamente sorprendente, che il Purgatorio non durerà un certo tempo, come io credevo (e speravo mi fosse confermato), una prima spiegazione (ed è quella che riuscivo a trovare fino a quando non ho pensato alla comunione cristica e alla capacità di amare senza desiderare) è che il Purgatorio non durerà un certo tempo perché coincide col tempo: finito il Purgatorio, saremo fuori del tempo, nell’eternità; il Purgatorio durerà per quanto dura il tempo, perché quando sarà finito, sarà finito anche il tempo. Questa ipotesi pone un grave problema biblico. Vero è che in alcuni passi della Bibbia si attesta che la seconda venuta di Cristo avverrà nell’"ultimo giorno" (Gv 6, 39-40.44.54; 12, 48). Ma è anche vero che la vita eterna e la gloria di Dio dureranno "nei secoli dei secoli" (Rm 16, 27; Gal 1, 5; Ef 3, 21; Fil 4, 20; 2 Tm 4, 18; Eb 13, 21; 1 Pt 4, 11; Ap 1, 6.18; 4, 10; 5, 13; 7, 12; 10, 6; 11, 15; 22, 5). E nella Bibbia non si parla di eternità senza tempo, bensì di vita eterna (Mt 7, 14; 19, 28; 25, 46; Mc 9, 43.45; 10, 17.30; Lc 10, 25.28; 18, 18.25; Gv 3, 15-16; 5, 29; 6, 27.40.47.54.68; 8, 12; Rm 2, 7; 5, 21; Gal 6, 8; Tt 1, 2; Ap 2, 7.10; 21, 6; 22, 2.14.17.19), di vita in eterno (Gv 6, 51.58), di quantità eterna di gloria (2 Cor 4, 17), di carità che non avrà mai fine ( 1 Cor 13, 8), di un secolo futuro (Mt 12, 32; Ef 1, 21). Il salmo 102 dice di Dio: "I tuoi anni non hanno fine" (Sal 102, 26). L’eternità biblica non è dunque atemporalità; bensì, quando è riferita a Dio, è pieno possesso da parte di Dio del presente, del passato e del futuro (Sal 90, 4; Sal 102, 26-27; Gb 38, 4; Is 40, 27-28; 41, 4). Così san Paolo attribuisce a Dio "eterna potenza e divinità" (Rm 1, 20). Dunque, la Bibbia non attesta che l’uomo uscirà dal tempo. E quindi, non si può pensare che il Purgatorio non durerà un certo tempo perché quando finirà saremo fuori dal tempo. È possibile che nell’aldilà Dio ci darà la capacità di "vedere" anche il passato e il futuro, ma ciò non significa che il tempo cesserà di esistere.

Un’altra possibilità teorica di spiegazione è quella di pensare che il Purgatorio non durerà un certo tempo perché non possiede una durata, perché nella metastoria non c’è una durata che si possa misurare cronologicamente, come quella storica e terrena. Ma ciò urta contro due obiezioni insuperabili. La prima è che ciò che non dura neanche esiste; nulla che non duri potrebbe esistere. La durata è proprio la permanenza e non cessazione dell’essere. È impossibile che qualcosa esista senza durare, dato che non dovrebbe più esistere nel momento stesso in cui ne ho asserito l’esistenza. La seconda riguarda il fatto che il Purgatorio, comunque lo si concepisca, ha a che fare con un tempo che va dalla propria morte alla seconda venuta di Cristo. Poiché ha un inizio ed è relazionabile ad un tempo storico e delimitabile, non può situarsi in un’esistenza metastorica che non dura e non si svolge, mentre dura e si svolge quella storica; e perciò, non può non ammettersi che abbia una durata, anche se potrebbero non coincidere la misura del tempo e dell’intervallo storico con la misura del tempo e dell’intervallo metastorico. D’altra parte, se non vi fosse un "tempo" ultraterreno accanto a quello terreno, una "durata" metastorica accanto a quella storica, molte affermazioni della Bibbia sarebbero incomprensibili e inspiegabili. Come le parole che Gesù stesso pronuncia: "Il Padre mio opera sempre" (Gv 5, 17).

Se devo credere a quanto ho ascoltato nel sogno, devo dunque escludere che il Purgatorio non durerà un certo tempo perché dopo usciremo dal tempo, o perché non ha una durata.

Occorre allora cercare un’altra possibilità, un’altra spiegazione. E la strada giusta, credo, è indicata dalle ultime parole che ho sentito nel sogno, mentre la voce sfumava: "Vi accompagnerà". Si può, cioè, pensare al Purgatorio come a uno stato che non ha termine, o meglio come a un processo che si compie e una volta compiuto rimane a caratterizzare e improntare l’esistenza successiva, "resta con" chi lo ha compiuto e lo ha fatto proprio. E ciò ci riporta alla domanda iniziale del sogno, sul destino di chi non è perfetto. Il Purgatorio è il processo ultraterreno che ci rende perfetti attraverso il dono da parte di Dio della capacità di amare senza desiderare. Ecco perché non durerà un certo tempo e ci accompagnerà. Una volta che ci è stata donata, questa capacità rimane per sempre in noi e con noi, nel Paradiso e nella Gerusalemme celeste. Non durerà un certo tempo perché durerà tutto il tempo, per sempre.

Amare senza desiderare significa mettere da parte il proprio io, rinnegare se stessi (cfr. Mt 16, 24; Mc 8, 34; Lc 9, 23), svuotare se stessi (cfr. Fil 2, 7). È quello che ha fatto Cristo. E lo ha fatto per noi (Lc 22, 20; Rm 8, 32; 1 Cor 11, 24; Ef 5, 2; Tt 2, 14; 1 Gv 3, 16). Perché noi non ne saremmo mai stati capaci da soli. Durante la vita terrena, come abbiamo visto, non riusciamo a provare solo l’amore che nasce dallo Spirito, senza l’amore che nasce dal desiderio, a causa del legame tra corpo, mente e Spirito. Il nostro corpo e la nostra mente, infatti, ci spingono a guardare tutto e tutti con l’occhio del desiderio. E non ci accorgiamo, o non riusciamo a capire chiaramente, che il nostro Spirito ci spinge invece a guardare tutto e tutti con l’occhio dell’amore. Provando, per la semplice presenza di tutto e tutti, una profonda gioia. Quando ci lasciamo guidare dallo Spirito, come ci chiede il Signore in tutte le religioni, allora comprendiamo che dal corpo materiale non può nascere la gioia. Può nascere il piacere, ma non la gioia. È questo che ci ha detto Dio quando ci ha dato il sesto comandamento: "Non commettere adulterio" (Es 20, 14; Dt 5, 18) e il nono comandamento: "Non desiderare la moglie del tuo prossimo" (Es 20, 17; Dt 5, 21). Ed è questo il senso della frase di Cristo: "Chiunque guarda una donna per desiderarla ha già commesso adulterio con lei nel suo cuore" (Mt 5, 28). Non siamo invitati a non guardare una donna, ma a non guardare una donna "per desiderarla". Dovremmo, cioè, guardare gli altri non per desiderarli, ma per amarli. Se la morale cattolica e la cultura nata dal cristianesimo fossero fondate su questo e non sulla semplice repressione sessuale, se ci avessero abituato a distinguere meglio tra il piacere che finisce e la gioia che non finisce, non sarebbero oggi così in conflitto con le culture nate dalle varie ideologie che hanno permeato la storia del mondo.

Di questa dinamica desiderio/amore, piacere/gioia, peccato/conversione parla, in fondo, anche un paragrafo della recente Dichiarazione congiunta sulla dottrina della giustificazione firmata da cattolici e luterani ad Augsburg il 31-10-99: "I cattolici considerano che la grazia di Gesù Cristo conferita nel battesimo, toglie tutto ciò che è "veramente" peccato, tutto ciò che "merita la condanna" (Rm 8, 1), ma che resta nell’uomo un’inclinazione (concupiscenza) che viene dal peccato e spinge al peccato. […] Tale inclinazione […] costituisce una lotta che dura tutta la vita; [ma] non merita la pena di morte eterna e non separa il giustificato da Dio" (DCG n. 30). L’inclinazione di cui si parla è dunque quel peccato che abita in noi (Rm 7, 17.20), che può renderci schiavi (Rm 6, 17), che può sottometterci ai suoi desideri (Rm 6, 12), che può scatenare in noi ogni sorta di desideri (Rm 7, 8). Si tratta dell’inclinazione al desiderio degli altri e delle cose, che ci accompagnerà tutta la vita. Solo il dono dello Spirito di Cristo e la sua accoglienza possono "trasformare" questa inclinazione al desiderio, al piacere e al peccato in "inclinazione" all’amore, alla gioia, alla santità. Solo lo Spirito Santo donatoci da Dio ci può trasformare e far diventare creature nuove, uomini nuovi (cfr. 1 Cor 5, 7; 2 Cor 5, 17; Ef 4, 21-24; Col 3, 9-10). Per cui, è vero che noi, come hanno sempre affermato i luterani, anche dopo la giustificazione, restiamo sempre peccatori; ma è anche vero che, come hanno sempre affermato i cattolici, dopo la giustificazione diventiamo persone nuove. Ed è questa la cosa più importante, perché ci "proietta" verso il Regno di Dio, dove non ci sarà più il desiderio, ma l’amore.

Il concetto cattolico di peccato è riferibile, in ultima analisi, alla mancata trasformazione della persona. Ed è dunque, in fondo, vicino alla concezione buddista sulle cause del dolore, quelle che impediscono a chi continua a desiderare di entrare nel nirvana, nella gioia. D’altra parte, la concezione buddista può conciliarsi con quella, sottolineata in particolare dai protestanti, che chi non entra nella giustificazione rimane schiavo del peccato, e la giustificazione è operata dalla croce e dalla risurrezione di Cristo e dall’inabitazione dello Spirito (cfr. Rm 3, 23-26; 6, 6; 8, 9-10). La concezione buddista è anche vicina a quella, sottolineata in particolare dai cattolici, che chi è giustificato diventa creatura nuova, quindi comincia a uscire dalla rinascita del desiderio ed entra in una tappa decisiva sulla via della salvezza. Cattolicesimo, protestantesimo e buddismo appaiono così come tre fasci di luce gettati da angolazioni diverse sull’unica storia della salvezza, sull’unica verità.

A questo punto, rimando a quanto sarà detto nel capitolo quinto sui limiti di un ecumenismo che non si apra a un "dialogo" con le religioni. Ritengo che lo sbocco vero dell’accordo tra cattolici e protestanti sulla giustificazione, che non è un accordo ecclesiologico, ma teologico (si veda il paragrafo 43 della DCG), non dovrebbe essere l’unità fra le Chiese cristiane, ma l’autocomprensione della Chiesa come Chiesa dei cristiani e dei "non cristiani".

Abbiamo visto che durante la vita corpo e mente ci spingono verso la concupiscenza, il desiderio e il peccato. Ma dopo la morte, quando saremo liberati dal peccato (Rm 6, 7) e avremo un corpo immateriale (ne parleremo nel capitolo successivo), potremo amare provando solo gioia e non desiderio.

E chi ci darà questa capacità, se non Dio? Se Dio non ci donasse per amore il suo Spirito d’amore, non la avremmo mai; non saremmo mai capaci di provare amore senza desiderio ma gioia, quell’esperienza che ho avuto il privilegio di avere in sogno. Se mi si dicesse che sarò salvato, ma non avrò mai più quell’esperienza, io risponderei che non sarebbe una salvezza vera e piena.

Si tratta dunque di un dono. Ed è il dono del sacrificio di noi stessi, che è la sola via per salvarci. Il dono di poter passare dall’esperienza centrata sull’io e sui suoi desideri, dolorosa, all’esperienza centrata sull’altro e sull’amore, gioiosa. Il dono di vivere senza il desiderio degli altri e delle cose, ma solo con l’amore per gli altri e per le cose. Questo dono ci è stato fatto da Cristo quando è morto sulla croce per noi. Questo sacrificio del proprio io è stato compiuto da Cristo "una volta per tutte" (Eb 7, 27; 9, 28), "una volta per sempre" (Eb 10, 10; 1 Pt 3, 18). Egli "svuotò se stesso" (Fil 2, 7), "umiliò se stesso" (Fil 2, 8) e per mezzo delle sofferenze fu reso perfetto (Eb 2, 10). E Cristo ha fatto questo "per noi" (Lc 22, 19-20; Rm 8, 32; 1 Cor 11, 26; Ef 5, 2; Tt 2, 14; 1 Gv 3, 16; 1 Pt 2, 21) e "per tutti" (2 Cor 5, 15; Eb 2, 9). Proprio perché fu reso perfetto è "causa di salvezza eterna" (Eb 5, 9). Infatti, egli ha dato se stesso "per purificare per sé un popolo che gli appartenga" (Tt 2, 14), per purificarci dal peccato (1 Gv 1, 7), per annullare il peccato (Eb 9, 26), perché noi fossimo liberati (1 Pt 1, 18). Per donarci, cioè, la capacità di amare (cfr. Rm 5, 5), di rinnegare noi stessi (cfr. Mt 16, 24; Mc 8, 34; Lc 9, 23), di abbandonare il nostro uomo vecchio (cfr. Rm 6, 6; Col 3, 9), di essere perfetti (cfr. Mt 5, 48) e di essere degni del Regno di Dio (cfr. 2 Ts 1, 5). Ecco allora che il sacrificio di noi stessi ci viene donato da Cristo, perché noi, senza la sua grazia e il suo dono, non ne saremmo mai capaci. La capacità di amare senza desiderare, di provare amore senza desiderio ma solo con gioia, è il dono che Cristo ci ha fatto morendo per noi sulla croce.

Su quanto fin qui detto vi è una convergenza di fondo di tutte le religioni. Quando il buddismo attesta tra le sue nobili verità che la causa del dolore è il desiderio, attesta che vi è un legame tra la gioia e l’assenza di desiderio; e pertanto, è sulla stessa linea di quanto fin qui affermato, cioè che la gioia è legata all’amore senza desiderio. E quando attesta che l’estinzione del desiderio e dell’io si ha nel nirvana, attesta il legame tra sacrificio di sé e salvezza. Ma non solo il buddismo, bensì tutte le grandi religioni del mondo pongono come meta ultima una realtà che comporta il rinnegare se stessi e il morire a se stessi. Basti pensare alla sottomissione a Dio e rinuncia a se stessi (islam) dei musulmani; alla non dualità (advaita) brahman-atman (universale-individuale) degli induisti; all’unione col tao dei taoisti; alla purificazione dell’anima dei giainisti. Sono tutti elementi centrali di queste religioni. La convergenza di fondo di tutte le religioni universali è nel loro indicare, in diversi modi e forme, questa impossibilità dell’amore e della gioia senza il sacrificio di sé e l’abbandono al divino e questa possibilità della salvezza solo attraverso l’amore senza desiderio, che dà la gioia. Alcune religioni pongono più l’accento sulla necessità dell’amore, altre sulla necessità della rinuncia a sé; ma in effetti, tutte si riferiscono alla stessa realtà, allo stesso dono divino, allo stesso sacrificio donato, perché non c’è amore senza sacrificio di sé e non c’è sacrificio di sé che non diventi amore e gioia.

 

 

NOTE

1. Ratzinger J., Commento teologico al terzo "segreto" di Fatima, in Congrega- zione per la dottrina della fede, Il messaggio di Fatima, Libreria Editrice Vaticana, Città del Vaticano, 2000, in Il Regno - doc., 13, 2000, pag. 402.

2. Mazzocchi L., Il Cristo. Il Logos di Dio reso perfetto dalla sofferenza del corpo, in La stella del mattino, n. 3, 2000, pag. 34.