STATO INTERMEDIO E COMUNIONE CRISTICA

 

 

La concezione del Purgatorio e del Paradiso che abbiamo esposto ci porta direttamente nel cuore di uno dei problemi più discussi dell’escatologia contemporanea, quello sullo stato intermedio (tra la morte e la risurrezione). Ne riassumerò brevemente i termini.

Posto che con la morte di un singolo non muoiono tutti gli uomini, né accade la parusia, non può non ammettersi che tra l’essere con Cristo subito dopo la morte e l’essere con Cristo alla sua seconda venuta vi è una differenza sul piano storico. Ma tale differenza vi è anche sul piano metastorico e ultraterreno, oppure no? In altre parole, c’è differenza o no tra il giudizio individuale dopo la morte (particolare) e il giudizio finale (universale)? La Scrittura insegna tanto l’immediatezza della retribuzione dopo la morte, quanto il giudizio finale.

Discutendo delle diverse ipotesi avanzate per cercare di superare il problema, Gozzelino scrive che "nessuna delle diverse interpretazioni in causa si mostra esente da difficoltà; ciascuna deve fare i conti con qualche aporia, reale o apparente (con l’onere, in quest’ultimo caso, di mostrarla tale)". 1 Ma vediamo le diverse proposte in discussione.

Partiamo dall’ipotesi che tra condizione post-mortem e condizione parusiaca non vi sia differenza. Essa è sostenuta da alcuni teologi, sia cattolici (J. L. Ruiz de la Peña, K. Rahner, H. U. von Balthasar, O. Betz, F. Nocke, C. Tresmontant, G. Biffi), sia protestanti (P. Althaus, K. Barth, E. Brunner). Essi invocano un carattere atemporale agli eventi escatologici, che sarebbero, dopo la morte, simultanei, per cui il giudizio particolare coinciderebbe con quello universale. Tale ipotesi, però, va incontro a tre obiezioni: 1) la definitività escatologica è sganciata dalla storia, pur avendo con essa un evidente legame; 2) il destino universale e cosmico è assorbito in quello individuale, e così reso irrilevante; 3) l’ingresso nella morte significa, come scrive Ratzinger, che "là si entra nella storia già ogni volta compiuta, nella completa atemporalità", dove sarebbero "già tutti coloro che credono di vivere ancora sulla linea del tempo oppure che appartengono ancora al futuro: questa assurda conseguenza è inevitabile conclusione della suddetta concezione". 2

Sarebbe teoricamente possibile sostenere anche che tra giudizio particolare e universale non c’è differenza, anche se non c’è simultaneità. Ma una tale ipotesi cozzerebbe immediatamente con l’obiezione che vi sarebbe un doppio giudizio, una duplicazione del giudizio, inutile e non motivabile.

Occorre allora ammettere che la differenza c’è. Essa non consiste propriamente in una differenza nel giudizio, considerati i numerosi dati biblici e magisteriali secondo cui la retribuzione immediata è definitiva, l’uomo non può cambiare il proprio destino dopo la morte. In cosa consiste allora la differenza?

Una possibilità di differenziazione è prospettata dalla teoria dello stato intermedio come condizione di esistenza diminuita, come di sonno o annichilazione. Essa è sostenuta da alcuni teologi protestanti (O. Cullmann, J. von Allmen, P. Menoud) e da qualche cattolico (A. Hulsbosch). Ma vi sono tre obiezioni a questa ipotesi: 1) cancella la continuità della storia con la metastoria; 2) si oppone decisamente al dato biblico dell’immediatezza della retribuzione (Lc 16, 19-31; 23, 42-43; 2 Cor 5, 1-10; Fil 1, 23; Eb 9, 7); 3) è in contrasto con i passi dei sinottici attestanti che Dio non è il Dio dei morti, ma dei viventi (Mt 22, 31-32; Mc 12, 26-27; Lc 20, 37-38).

Una seconda posizione è rappresentata dalla teoria della risurrezione nella morte, sostenuta da alcuni teologi cattolici (tra cui M. Kehl, G. Greshake, L. Boros, R. Troisfontaines, I. Berten, W. Breuning). La teoria sostiene che la risurrezione del corpo avviene subito dopo la morte, e alla fine dei tempi il corpo risorto entra nella pienezza interpersonale e cosmica ("passaggio" dell’uomo nel Regno escatologico, nella Gerusalemme celeste). A questa ipotesi, però, si possono opporre due obiezioni fondamentali: 1) è in contrasto col dato biblico, in quanto la teoria propone una privatizzazione e decristificazione dell’eschaton, ponendo la risurrezione parusiaca come già contenuta nel momento della morte, e pertanto svalutandola; 2) presenta una contraddizione interna con la sua concezione antropologica unitaria, in quanto, come scrive Ratzinger, nel momento in cui "si presume la risurrezione già per l’uomo appena morto, per l’uomo che sta per essere portato alla tomba, l’indivisibilità dell’uomo e il suo legame con la sua vita fisica appena spenta, questa indivisibilità che era stata il punto di partenza della tesi, sembra ora non avere più alcuna importanza". 3

Una terza possibilità sarebbe quella, seguita da buona parte dei teologi cattolici e dalla tradizione ecclesiale, di concepire lo stato intermedio come situazione di separazione dell’anima dal corpo, e conseguentemente porre la differenza con lo stato post-parusiaco nella riassunzione del corpo e la sua riunione con l’anima. A questa possibilità rimane a tutt’oggi l’onere di spiegare come un’anima senza corpo, uno spirito puro, possa agire umanamente, dato che nell’aldilà (lo si è visto in precedenza) gli uomini sono ancora uomini. E abbiamo già discusso i complessi problemi che questa possibilità comporta, prospettando una loro soluzione nell’ipotesi che non vi sia una separazione dell’anima dal corpo, ma una trasformazione dell’unità anima-corpo materiale in unità anima-corpo immateriale. Questa ipotesi della trasformazione non va incontro alla seconda obiezione che si può opporre alla teoria della risurrezione nella morte, quella relativa all’esistenza contemporanea di un corpo senza vita e di un corpo vivente risorto, dato che è il corpo immateriale, non quello materiale, che continua a vivere in unità con l’anima. E non va neanche incontro alla prima obiezione, relativa alla svalutazione della risurrezione parusiaca, dato che continua ad ammettere una risurrezione del corpo materiale con la seconda venuta di Cristo.

Il processo di comunione cristica, come lo si è fin qui proposto, è in grado, come abbiamo visto, di dare una risposta anche al perché della risurrezione della carne. Quando la comunione cristica sarà piena e perfetta, sarà comunione anche con la materia che è parte della totalità cosmica e della creazione, quindi anche con la materia del proprio corpo.

Ma vi è un altro dato biblico di cui il processo di comunione cristica può dar conto, e riguarda proprio il problema dello stato intermedio di cui stiamo parlando, cioè quello della distinzione tra condizione post-mortem e condizione parusiaca, tra giudizio particolare, immediato, e giudizio universale, finale. Tale differenza si fonda essenzialmente sulla situazione "comunionale" dell’uomo. La differenza, cioè, consiste nel fatto che il giudizio particolare avviene subito prima dell’inizio del processo di comunione cristica metastorica, mentre il giudizio universale avviene al termine, o meglio nella pienezza, di tale processo. Il giudizio particolare dev’essere allora concepito come un intervento di Dio che, o immette nel processo di comunione cristica ultraterrena (Purgatorio e Paradiso, o subito Paradiso), o esclude da tale processo (Inferno).

Forse è opportuno, a questo punto, riassumere schematicamente. Il problema dello stato intermedio nasce dalla domanda su che cosa ci sia di diverso nella condizione parusiaca rispetto alla condizione post-mortem. L’ipotesi che non vi sia differenza va incontro, infatti, a obiezioni difficilmente superabili. La differenza, secondo i dati biblici, non è nel giudizio. Le ipotesi che individuano la differenza o in una sorta di risveglio da una condizione diminuita, o in un passaggio del corpo già risorto nella pienezza cosmica, o in una riunione dell’anima col proprio corpo presentano tutte delle aporie. Ma rimane una possibilità risolutiva: quella di fondare la differenza sulla presenza alla parusia della pienezza della comunione cristica assente alla morte, dando così anche un fondamento profondo e pienamente cristologico alla risurrezione finale.

 

 

NOTE

  1. Gozzelino G., Nell’attesa della beata speranza. Saggio di escatologia cristiana, Elle Di Ci, Leumann (TO), 1993, pag. 469.

  2. Ratzinger J., Al di là della morte, in Communio, 3, 1972, pag. 13.

  3. Ratzinger J., Escatologia. Morte e vita eterna, Cittadella, Assisi, 1979, pag. 123.