CAPITOLO QUARTO

LA GRAZIA "NON ECCLESIALE"

 

 

L’UNIVERSALE VOLONTÁ SALVIFICA DI DIO

 

Che la volontà di Dio sia quella di salvare tutti gli uomini traspare già dal libro della Genesi, in cui leggiamo che in Abramo saranno benedetti tutti i popoli della terra (Gn 12, 3; 18, 18).

Nell’Antico Testamento è soprattutto il profeta Isaia che pone l’accento sull’universale volontà salvifica di Dio. Egli afferma che tutte le genti accorreranno alla casa del Signore (Is 2, 2), che il Signore preparerà un banchetto a tutti i popoli (Is 25, 6-7) e asciugherà le lacrime su ogni volto (Is 25, 8) e che Egli vuole che la sua salvezza sia portata " fino agli ultimi confini del mondo" (Is 49, 6). Il profeta Amos afferma che Dio ha liberato altri popoli oltre ad Israele (Am 9, 7).

Il Nuovo Testamento riafferma e chiarisce ancora meglio questa volontà di Dio. Vi leggiamo che Dio chiama tutti al banchetto escatologico (Mt 22, 9); che Egli "non fa preferenze di persone" (At 10, 34-35; Rm 2, 11; Ef 6, 9); che la salvezza di Dio è preparata per tutti i popoli (Lc 2, 30-31); che Dio vuole che tutti gli uomini siano salvati (1 Tm 2, 4); che Egli "è il salvatore di tutti gli uomini" (1 Tm 4, 10); che la grazia di Dio è "apportatrice di salvezza per tutti gli uomini" (Tt 2, 11).

In altri passi è evidenziato che Dio è Dio anche dei pagani (Rm 3, 29), i quali sono chiamati a partecipare alla stessa eredità (Ef 3, 6), e che non c’è distinzione tra giudeo e greco (Rm 10, 12; Gal 3, 28; Col 3, 11). In un celebre e dibattuto passo, san Paolo afferma che "tutto Israele sarà salvato" (Rm 11, 26). E in un altro celebre e citatissimo passo afferma che Dio sarà "tutto in tutti" (1 Cor 15, 28).

Abbiamo visto come la salvezza per tutti sia opera di Cristo. Cristo è morto "per tutti" (Rm 8, 32; 2 Cor 5, 15; Eb 2, 9), è morto per i peccatori (Rm 5, 6.8; 1 Cor 15, 3), redime i peccati di tutto il mondo (1 Gv 2, 2), riscatta per Dio "uomini di ogni tribù, lingua, popolo e nazione" (Ap 5, 9) e non perderà nulla di quanto Dio gli ha dato (Gv 6, 39).

Il Magistero cattolico attesta che "con l’incarnazione il Figlio di Dio si è unito in un certo modo ad ogni uomo" (GS n. 22), specificando che "con l’uomo - ciascun uomo senza eccezione alcuna – Cristo è in qualche modo unito, anche quando quell’uomo non è di ciò consapevole" (RH n. 14); e che la salvezza per i non cristiani deriva da una grazia che non li introduce nella Chiesa ma proviene da Cristo (RM n. 10).

La salvezza di tutti gli uomini, di ogni luogo, tempo, cultura e religione, voluta da Dio attraverso Cristo, è resa possibile dall’azione dello Spirito Santo.

Lo Spirito Santo è lo Spirito di Cristo (Gv 3, 34; Rm 8, 9; 2 Cor 13, 5; Gal 4, 6; Ef 3, 17; Fil 1, 19; 1 Pt 1, 10-11), è donato a tutti gli uomini (At 2, 17; 10, 44-45; 2 Cor 13, 13), dà la vita (Gv 6, 63) e darà la vita ai nostri corpi mortali (Rm 8, 10-11). Anche su questo il Magistero cattolico si collega ai dati biblici: "Dobbiamo ritenere che lo Spirito Santo dia a tutti la possibilità di venire in contatto, nel modo che Dio conosce, col mistero pasquale" (GS n. 22).

Il Magistero afferma ancora che lo Spirito Santo è "presente in ogni tempo e in ogni luogo" (RM n. 29), agisce "in ogni luogo e in ogni tempo, anzi in ogni uomo" (Dominum et Vivificantem n. 53), "operava nel mondo prima ancora che Cristo fosse glorificato" (AG n. 4) e la sua presenza e la sua attività "non toccano solo gli individui, ma la società e la storia, i popoli, le culture, le religioni" (RM n. 28).

Il legame della salvezza donata da Dio con Cristo e lo Spirito Santo è sintetizzato in un passo della Redemptor Hominis di Giovanni Paolo II, in cui si afferma che lo Spirito Santo comunica la vita divina "a tutti gli uomini che sono uniti con Cristo" (RH n. 20).

Il fatto che Dio salvi uomini di ogni luogo, tempo, cultura e religione trova una spiegazione nella stessa Bibbia, in alcuni passi che legano la salvezza alla fede e in altri passi che legano la salvezza alle opere. Se il giusto vivrà mediante la fede (Ab 2, 4; Rm 1, 17; Gal 3, 11), se Dio giustifica i pagani per la fede (Gal 3, 8), se chi crede ha la vita eterna (Gv 6, 47) e se chi crede è giustificato (Rm 10, 4; Gal 5, 5; Fil 3, 9), allora la salvezza non può essere legata all’adesione ad una particolare religione o confessione, perché la fede di cui si parla è la fede in Dio.

La Scrittura attesta anche un legame tra la salvezza e le opere: "Non chiunque mi dice: Signore, Signore, entrerà nel regno dei cieli, ma chi fa la volontà del Padre mio" (Mt 7, 21); "Chi teme [Dio] e pratica la giustizia, a qualunque popolo appartenga, è a lui accetto" (At 10, 35); "Dalle mie opere io ti mostrerò la mia fede" (Gc 1, 18); "Noi sappiamo che siamo passati dalla morte alla vita perché amiamo i fratelli" (1 Gv 3, 14); "Non amiamo a parole né con la lingua, ma con le opere e nella verità" (1 Gv 4, 18). E ci sono poi i luoghi biblici che attestano che Dio giudicherà secondo le opere (Mt 10, 42; 16, 27; 25, 32-46; Rm 2, 6; 2 Cor 5, 10; Eb 6, 10; Gc 2, 24; 1 Pt 1, 17; Ap 2, 23; 20, 13; 22, 12).

Il legame tra salvezza e opere è confermato dal Magistero conciliare: "Quelli che […] coll’aiuto della grazia si sforzano di compiere con le opere la volontà di Lui, conosciuta attraverso il dettame della coscienza, possono conseguire la salvezza eterna" (LG n. 16); Dio "ebbe assidua cura del genere umano per dare la vita eterna a tutti coloro i quali cercano la salvezza con la perseveranza nella pratica del bene (cf. Rm 2, 6-7)" (DV n. 3).

Sia la fede che le opere sono doni di Dio e dello Spirito Santo. Leggiamo nella Lettera agli Efesini che carità e fede vengono "da Dio Padre e dal Signore Gesù Cristo" (Ef 6, 23); e che la salvezza mediante la fede "non viene da voi, ma è dono di Dio" (Ef 2, 8). Nella prima Lettera ai Corinzi, San Paolo afferma che "nessuno può dire: "Signore Gesù", se non sotto l’azione dello Spirito Santo" (1 Cor 12, 3). E nel Concilio di Gerusalemme, il primo della storia cristiana, san Pietro, parlando dei pagani, afferma che Dio "non ha fatto alcuna discriminazione tra noi e loro, purificando con la fede i loro cuori" (At 15, 9). Se Dio purifica i cuori con la fede, la fede è un dono di Dio.

Riguardo alle opere, leggiamo nella Lettera ai Romani che "l’amore di Dio è stato effuso nei nostri cuori dallo Spirito Santo che ci è stato dato" (Rm 5, 5). E nella Lettera ai Galati che "il frutto dello Spirito Santo è amore, gioia, pace, pazienza, benevolenza, bontà, fedeltà, mitezza, dominio di sé" (Gal 5, 22).

La fede e le opere sono entrambe dono dello Spirito Santo che Dio effonde in tutti gli uomini e sono entrambe frutto dell’accoglienza di questo Spirito. Ciò porta a due riflessioni. La prima è che non sembra fondata la contrapposizione secolare tra cattolici e protestanti sul problema della giustificazione, se avvenga solo per la fede o anche per le opere: non è possibile avere l’una senza le altre, o viceversa; non si può essere credenti senza essere trasformati. Ecco perché la seconda Lettera ai Corinzi ci dice che "se uno è in Cristo è una creatura nuova" (2 Cor 5, 17).

La seconda riflessione è che tutto ci è donato da Dio e non ci sono meriti che alcuni possono far valere e altri no, dal momento che le buone azioni hanno la loro origine in Dio e nello Spirito Santo. Ci ricorda san Paolo: "Che cosa mai possiedi che tu non abbia ricevuto?" (1 Cor 4, 7). E il Catechismo della Chiesa cattolica (1992) afferma che "i meriti delle opere buone devono essere attribuiti innanzi tutto alla grazia di Dio" (n. 2008).

Se si traduce tutto ciò in termini interreligiosi, non si può non concludere che agli occhi di Dio i cattolici o i cristiani non hanno meriti di fede o di opere, derivanti dalla loro religione in quanto tale, che i musulmani o i buddisti in quanto tali non abbiano.

Noi cattolici, invece, qualche volta facciamo del bene agli altri al fine di ottenere la salvezza della nostra anima. Ma in realtà, così facendo e pensando, non amiamo veramente; o meglio, amiamo solo noi stessi. E commettiamo addirittura un peccato, che è il peccato di orgoglio. E qualche volta stiamo lì a misurare quanto la nostra fede sia più grande e migliore di quelle degli altri. E non comprendiamo che anche questo è peccato d’orgoglio e che la vera fede consiste nel riconoscersi indegno e, proprio per questo, affidarsi a Dio. Saremo cattolici fino in fondo quando accetteremo fino in fondo la "cattolicità" di Dio, cioè l’universalità del suo piano di salvezza e del suo amore di Padre che ama tutti i suoi figli.

Credo rimanga ancora un punto da chiarire, e riguarda il rapporto tra l’universale volontà salvifica di Dio e la predestinazione.

Una riflessione sulla predestinazione non può essere evitata, sia perché è uno dei punti di contrasto tra area protestante (soprattutto calvinista) e area cattolica, sia perché effettivamente sono numerosi i luoghi del Nuovo Testamento che parlano di predestinazione (Mt 20, 23; 25, 34; Lc 12, 32; Gv 6, 39; 13, 18; 17, 12; At 13, 48; Rm 8, 28-30; Ef 1, 3-12; 2 Tm 2, 20; 2 Pt 1, 10). Sulla base di quanto detto nei capitoli precedenti, si può sostenere che la predestinazione non è un fatto che riguarda il singolo, ma ha una valenza creaturale, universale e cosmica. In nessuno dei passi neotestamentari che affermano la predestinazione si parla al singolare: il soggetto del discorso è sempre "noi" , o "voi", o "coloro i quali" o "tutti". Nella Bibbia la predestinazione non è asserita con riferimento al singolo individuo. Tale riferimento e collegamento dev’essere dunque tolto.

E non appena si toglie, cadono tutte le secolari dispute sul dubbio che la grazia divina elimini la libertà umana, sulla certezza della predestinazione personale (affermata dai calvinisti e negata dai cattolici), sulla predestinazione al male e alla perdizione (affermata dai calvinisti e negata dai cattolici).

La predestinazione attiene al disegno di Dio sull’umanità e sul creato. Dio ha creato gli uomini come unità anima-corpo materiale e li ha predestinati a trasformarsi con la morte in unità anima-corpo immateriale e a riassumere la materia al compimento del processo di comunione cristica. Quelli che durante la vita hanno accolto lo Spirito e ricevuto la grazia sono "destinati" a diventare unità anima-Spirito-corpo. Quelli che durante la vita non hanno accolto lo Spirito sono "destinati" a restare unità anima-corpo, quindi a rimanere fuori dalla comunione cristica. In questo consiste la predestinazione.

Come si vede, essa non intacca né la libertà di Dio, perché Egli liberamente offre a tutti la grazia, né la libertà degli uomini, perché essi liberamente la accolgono o la rifiutano. Inoltre, evita l’ammissione che Dio condanni alcuni uomini già al momento della nascita, perché la predestinazione non riguarda la salvezza o la dannazione del singolo, ma il percorso storico e metastorico dell’essere creato, all’interno del quale due sono gli esiti possibili.