CAPITOLO QUINTO

L’UNITÁ DI FIGLI

 

 

GLI UOMINI FIGLI DI DIO PRIMA CHE DELLE CULTURE

 

 

Il processo di assunzione dei valori, delle credenze e delle norme proprie della cultura cui si appartiene (processo di inculturazione) avviene in modo graduale a partire dalla nascita e viene svolto primariamente dalla famiglia e poi dalle istituzioni educative. Da questo processo nasce una personalità di base, che è relativamente analoga per tutti gli individui appartenenti a una determinata cultura.

L’uomo di natura in realtà non esiste, nessuno vive mai allo stato di natura, perchè ogni uomo, anche il selvaggio, è plasmato da una qualche cultura. Ma ciò non significa che non esiste, prima dell’uomo "culturale", l’uomo "creaturale", cioè l’uomo in quanto particolare unità anima-corpo creata da Dio e posta nel mondo (e quindi dentro una cultura). Prima e a monte dell’unità data dall’avere una personalità di base simile prodotta da una determinata cultura, c’è un’unità data dall’avere il dono di essere uomini. Mentre la prima unità è propria di tutti gli appartenenti alla stessa cultura, la seconda è propria di tutti gli appartenenti al genere umano, di tutti gli uomini e le donne.

Del resto, non esiste una cultura in sé; esistono solo culture storicamente determinate e particolari. Esistono invece, comunque, uomini creati. Se un uomo fosse posto a vivere tutta la sua vita, dalla nascita alla morte, in un luogo isolato, senza conoscere altri esseri umani, non cesserebbe di essere un uomo.

E inoltre, secondo il funzionalismo, una delle teorie più seguite in antropologia culturale, ogni valore o norma di una cultura svolge la funzione di soddisfare un bisogno fondamentale. Ma prima che ci sia qualcosa che soddisfi un bisogno, c’è qualcuno che ha avuto quel bisogno, cioè l’uomo creato. Se c’è un passaggio dall’uomo al bisogno e da questo alla cultura, l’uomo in quanto essere vivente viene prima della cultura cui appartiene.

Il Concilio Vaticano II definisce cultura "tutti quei mezzi con i quali l’uomo affina ed esplica le molteplici sue doti di anima e corpo" (GS n. 53). Se la cultura nasce nel momento in cui l’uomo usa dei mezzi, prima c’è l’uomo e poi c’è la cultura.

L’unità fondamentale del genere umano non nasce solo dall’essere creati tutti da Dio, ma anche dall’essere tutti amati. Come si è visto, Dio dona a tutti il suo Spirito e con esso il suo Amore. E ciò fonda un’unità del genere umano che nessuna divisione o contrapposizione culturale o dottrinaria o religiosa potrà scalfire. "Se siamo figli siamo anche eredi" (Rm 8, 17) è una delle frasi bibliche che meglio esprime questa unità. Così come l’altra in cui Paolo afferma che "tutti quelli […] che sono guidati dallo Spirito di Dio, costoro sono figli di Dio" (Rm 8, 14). In questa figliolanza non solo creaturale, ma soprattutto spirituale sta l’essenza dell’unità di tutti gli uomini e le donne.

È vero che il dono dello Spirito avviene quando gli uomini sono già dentro una cultura e anzi contribuisce a modellarla, ma è anche vero che questo dono, essendo fatto da Dio agli uomini appartenenti a tutte le culture, fonda un’unità superiore fra gli esseri umani rispetto a quella fondata sulla loro appartenenza culturale. E mentre ogni unità culturale è diversa da un’altra e vi sono tante unità culturali, vi è una sola unità spirituale. Credo importante insistere su questo, perché, potendo il dono dello Spirito influenzare o modellare una cultura, si potrebbe obiettare che è lo Spirito stesso che è causa di diversità. Ma facendo ciò si dimenticherebbe che l’uomo terreno è unità di anima e corpo ed è il fatto che tale unità sia posta in un certo ambiente e in un certo momento storico che determina primariamente la diversità delle culture. Non solo, ma lo Spirito donato da Dio è accolto in grado più o meno maggiore, e da alcuni non è accolto affatto. Non è dunque lo Spirito che fonda le diversità culturali. Esso anzi agisce tendendo ad annullarle, e comunque a ridurle.

È vero che la Chiesa non è aldilà delle culture, perché è nata ed è cresciuta all’interno di una cultura e Gesù si è anche appellato alle Scritture e all’Antico Testamento. Ma è anche vero che l’uomo, in quanto creato e amato da quel Dio che la Chiesa annuncia, sta prima delle culture, e quindi anche delle religioni.

Del resto, che gli uomini siano figli di Dio prima che delle culture la Chiesa lo ha affermato ripetute volte, e con coraggio evangelico, quando ha cercato di mostrare i limiti intrinseci di movimenti e dottrine come l’illuminismo, lo storicismo, il marxismo, il secolarismo, il relativismo, il pensiero debole.

Ma la stessa cosa afferma in fondo la Bibbia. Quale, se non questo, è il messaggio implicito della parabola del buon samaritano (Lc 10, 30-37)? E quale, se non questo, è il messaggio di san Paolo quando afferma che non c’è distinzione tra giudeo e greco (Rm 10, 12; Gal 3, 28; Col 3, 11)? E cosa ci dice san Pietro, se non questo, quando afferma che "Dio non fa preferenze di persone, ma chi lo teme e pratica la giustizia, a qualunque popolo appartenga, è a lui accetto" (At 10, 34-35)?

In un interessante dibattito svoltosi sul quotidiano La Croix (9-12-99 e 30-12-99) e riportato sulla rivista Il Regno – attualità, n. 1, 2000, pagg. 26-27, il card. Ratzinger, prefetto della Congregazione per la Dottrina della Fede, sostiene che il cristianesimo, rinviando ad una verità che è una e conoscibile, si pone oltre ogni contingenza storica, culturale e istituzionale, che diventa derivata e secondaria.

Concordo con Ratzinger nel ritenere che la verità una e universale in cui noi cristiani crediamo non può dipendere da forme storiche, culturali, istituzionali ed ecclesiali, e che un carattere essenziale del cristianesimo sta proprio nella sua alterità rispetto ad una società e a una cultura che tentano sempre più di modellare e relativizzare la verità.

Se si deve, dunque, concludere che vi è una unità creaturale che sta prima di ogni altra unità di tipo culturale, non si può che ricordare e sottoscrivere quanto già affermato dal Magistero cattolico, e in particolare da Giovanni Paolo II nell’enciclica Dominum et Vivificantem (1986): tale unità è quella che tutto il genere umano "ha da Dio e in Dio" (n. 64).