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"ARTE CINESE CONTEMPORANEA SOTTO DENG XIAOPING"
di Emmanuel Lincot
Foto: l'ingresso della mostra "Cina Cina" a Palazzo Strozzi a Firenze
(conclusasi il 4 maggio 2008) con l'installazione di Wang Yu Yang dal
titolo "Artificial Moon" (2007).. |
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Negli ultimi mesi in Italia si sono succedute
importanti mostre riguardanti l'arte contemporanea cinese. Ricordiamo
in particolare quella tenutasi a Palazzo delle Esposizioni a Roma e
quella di Firenze (Palazzo Strozzi), conclusasi il 4 maggio 2008.
Certamente queste mostre riflettono non solo l'interesse per i
movimenti culturali che si sono sviluppati negli ultimi anni in Cina,
ma anche il modo con cui questi ci rimandano un'immagine della vita
sociale e politica della Cina contemporanea che sia quanto più
possibile filtrata dagli occhi dell'artista, al di là delle
imposizioni e delle censure del regime politico vigente. In
particolare, la mostra fiorentina ha mostrato per la prima volta in
Italia le immagini di esposizioni 'off' tenutesi a Shanghai negli
ultimi anni, illustrando per ognuna di esse anche i motivi addotti
dalle autorità politiche per boicottarle o vietarle in un modo o
nell'altro.
Proponiamo in questa pagina ai
lettori di "Frenis Zero" un articolo di Emmanuel Lincot uscito quest'anno
sulla rivista "China perspectives" ed intitolato "Arte cinese
contemporanea sotto Deng Xiaoping". La lettura di questo saggio può
costituire una buona occasione per riflettere sugli sviluppi attuali
dell'arte contemporanea in Cina partendo da un periodo storico
circoscritto, ma ancora vicino agli ultimi anni, in uno sforzo
costante, enunciato dallo stesso autore, di circumnavigare un
Continente in cui l'arte <<non è il prodotto di una condizione
indipendente>> ma <<con le sue diversità e con le sue trasformazioni,
comprende e riassume i cambiamenti di una cultura che si sta
appropriando degli schemi, delle immagini e delle nozioni ereditate
sia da una tradizione di antica data sia dall'Occidente (un Occidente
che è talora in stretta vicinanza, come nel caso dell'Asia Centrale
Mussulmana o dell'India Buddista)>>.
Giuseppe Leo
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Foto: un fotogramma di
un video di un'esposizione 'off' di Shangai, in mostra a Palazzo
Strozzi fino al 4 maggio 2008.
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Studiare l'arte contemporanea in Cina non è
una scelta esclusivamente estetica. Nel contesto di un mercato emergente,
l'arte è materia di economia culturale nella stessa misura in cui lo è di
socio-politica. Perciò l'arte non è il prodotto di una condizione
indipendente. Nella sua immaginazione, così come nelle sue propria
diversità e trasformazioni, essa comprende e riassume i cambiamenti di una
cultura che si sta appropriando di schemi, immagini e nozioni ereditate
sia da una tradizione di antica data sia dall'Occidente (un occidente che
è talora in stretta vicinanza, come nel caso dell'Asia Centrale Mussulmana
o dell'India Buddista). Gli artisti reinterpretano il significato
originale allo scopo di pervenire ad una proclamazione della propria
differenza, che viene solitamente presa per nazionalismo culturale. Per
capire l'evoluzione dell'arte contemporanea cinese, esamineremo alcuni
fatti salienti della vita artistica del Paese, che è stato profondamente
trasformato dalle riforme iniziate da Deng Xiaoping. Tali cambiamenti non
hanno cessato di unire o di dividere la scena culturale cinese nei suoi
rapporti con un governo impegnato in una costante ricerca di
legittimazione, di essere il garante dell'ordine e di un'ortodossia che è
stata scossa da un'apertura economica del Paese e dalla globalizzazione1
L'arte in Cina a partire dal 1979 e dalle prime riforme, è uno spazio
in cui si intersecano due aspetti importanti della storia cinese alla fine
del XX secolo, sotto la duplice egida dell'ortodossia politica e di una
cultura variegata (duoyuan wenhua ), che oscilla costantemente tra
endogeno ed esogeno, tra tradizioni originarie e pratiche culturali
importate, chiamando in questione i criteri estetici di ciò che è chiamato
periodo del realismo socialista2.
Questa enorme e tumultuosa mescolanza, spesso legata ad acute crisi
politiche, sta all'origine di un'iconografia smisurata che esercita il suo
potere su generazioni successive, e si rivela come l'arena di intense
rivalità in cui si scontrano temporalità diversissime. Non si può capire,
con un giudizio retrospettivo, né l'emergenza di una arte popolare
politica e reazionaria ( la critica del consumo di massa, la celebrazione
ironica e scherzosa del Maoismo...) né la popolarità del kitsch senza
prendere in considerazione l'irresistibile infatuazione, in Cina l'incanto
(qiguan), il sentimentalismo post-rivoluzionario. Questo è, per
definizione, uno degli aspetti più aneddotici, e perciò dei più datati, di
un periodo caratterizzato da un'improvvisa accelerazione della storia.
Un'arte di transizione, kitsch nella sua versione cinese, contrassegna
l'inizio di un consenso tra governo ed opinione pubblica circa il valore
del denaro. Perciò l'arte, che in Cina era essenzialmente quella della
pittura e della calligrafia, è divenuta un fenomeno plurale: non è
arte, ma arti.
L'impatto della mostra "Cina/Avan-guardia" |
La
prima retrospettiva nazionale delle avanguardie "China/Avant-garde"
(Zhongguo xiandai yishu zhan ), che ebbe luogo a Pechino
nel Palazzo delle Belle Arti nel 1989, costituì un evento
precursore. La comunità artistica, nell'era della repressione del
movimento di Tian'anmen, diede un significato, il proprio
significato, a dieci anni posti sotto il segno di un
auto-proclamato avanguardismo, che la successiva generazione
doveva riconoscere unicamente allo scopo di prendere le
distanze da esso in modo più effettivo, quindi avanzando pretese
verso una totale rottura rispetto ad esso e rispetto al 'gap'
esistente tra esso e il mondo tradizionale dell'arte, ed in
particolare quello della pittura. I valori della pittura - legati
a quelli dello studioso ed al mito di vecchia data di una cultura
di stato - su cui si basano la cornice del dibattito e le scelte
politiche, portarono alla definizione di nuove frontiere. Mentre
l'informazione - che si era diffusa dagli anni '80 in poi - e la
trasformazione della società cinese non permettono allo storico di
delineare, al momento, un'analisi onnicomprensiva, che copra tutti
gli eventi che sono stati parte dei nuovi linguaggi dell'arte,
sembra comunque possibile concentrarsi sulle mostre e sulle nuove
professioni artistiche che hanno creato il nuovo volto di una
società che cerca di legittimare sia la propria identità cinese
sia i propri contatti col mondo esterno.
Foto: Peking, 1989. China/Avant-garde
(Nu U-Turn).
(In Hung Wu,
Exhibiting Experimental Art in China, op. cit., p. 16)
Il 1989 è stato l'anno di una
rivoluzione fallita. E' stato anche quello di un 'colpo di stato'
estetico di gran successo, con la mostra "China/Avant-garde" che
aprì il 5 febbraio e conteneva 293 dipinti, sculture e video di
186 artisti - tra cui Wang Guangyi, Xu Bing, Wu Shanzhuan, Huang
Yongping e Gu Wenda4.
L'evento fu preparato a lungo,
nell'ambito della riunione della cosiddetta "arte moderna
cinese" (Dangdai yishu yantaohui) , cui principi
furono stabiliti nel novembre dell'anno precedente a Tunxi nella
provincia di Anhui. Questa mostra fu il risultato di una
collaborazione tra tre critici d'arte: Gao Minglu, Peng De e Li
Xianting. Gao Minglu, che ora insegna negli U.S.A., era il
curatore all'epoca del giornale "Meishu". Peng De, vice-presidente
dell'Istituto di ricerca degli artisti Hubei, dirigeva il più
indipendente dei giornali d'arte "Meishu sichao" che fu pubblicato
a Wuhan finché fu definitivamente censurato dal 1987 in poi. Li
Xianting è collegato all'istituto per la Ricerca artistica di
Pechino. Co-fondatore e direttore di "Zhongguo meishubao"
fino alle sue dimissioni nel 1989, egli rimane uno dei più
influenti critici cinesi.
"China/Avant-garde" non
mostrò al pubblico alcun dipinto cinese tradizionale (guohua,
letteralmente: pittura nazionale) e nessuna opera di calligrafia.
La mostra in modo egregio riassumeva il clima di tensione che, per
svariati anni, aveva costantemente diviso la scena dell'arte.
"China/Avant-garde" fu la prima mostra nazionale di arte
sperimentale (shiyan meishu). Questo è il nome dato ad ogni
mostra che consenta ai lavori di produrre il loro effetto per
conto proprio, eliminando ogni radicamento (del lavoro, della
critica, dell'istituzione) in un culto. "China/Avant-garde"
fu precisamente una sfida lanciata in opposizione ad ogni forma di
culto. L'evento fu caratterizzato da una 'performance' di Tang
Song e Xiao Lu: dei colpi venivano sparati direttamente sulla loro
installazione, una cabina telefonica ironicamente intitolata "duihua"
(Dialogo). Gli organizzatori miravano, secondo quanto era dato
vedere, a dei segni tangibili di rottura tra il momento della
mostra ed il pubblico, usando striscioni con l'etichetta "No
U-Turn".
Questa modalità di espressione
artistica doveva divenire predominante durante il decennio
successivo. La mostra di arte sperimentale andava contro lo stato
repressivo (un'espressione equivalente ad un pleonasmo nel caso
della Cina, che non ha mai avuto uno stato liberale). Lo scontro
tra queste due entità che erano sempre in opposizione (un'organizzazione
astratta contro una manifestazione concreta) poteva solo frontale.
"China/Avant-garde" fu censurata. L'evento precedette la
repressione dei dimostranti di Piazza Tian'anmen, che ebbe luogo
tre mesi dopo.
Se consideriamo che un'arte come
la pittura così legata in modo schiacciante al culto - e
come corollario, la venerazione di un'immagine corrisponde
allo stesso modo a quella di uno studioso nei confronti della
cultura di cui è guardiano - si rese improvvisamente disponibile
verso tutti, si può capire che, parallelamente alle mostre nei
musei, le arti visive cinesi entrarono in crisi (weiji).
Questa crisi nell'arte - ed in particolare nella pittura e nella
calligrafia, che sono considerate in Cina come l'apice della
gerarchia dei valori sociali ed estetici5- consisteva
di fatto nell'invenzione di essa. Dove prima non c'era stata
nessuna arte nel senso stretto del termine, ma un oggetto da
adorare, da allora in poi ci fu l'arte, dato che una domada era
stata posta a proposito del gesto che la fondava. Ogni mostra di
arte contemporanea reinventa l'arte ponendosi nuovamente domande
sull'arte, sui suoi confini e, novità in Cina, sulla sua
memorizzazione, o su ciò che Francis A. Yates, in un contesto
completamente differente, ha chiamato l'arte della memoria,
enfatizzando il valore ed il ruolo anamnestico della storia6.
Si trattò della trasformazione di un'antica arte religiosa in
un'arte da esposizione, prima che la questione du ciò che fosse
religioso in essa - la sua aura - potesse infine essere posta.
Verso la sparizione dei
vecchi riferimenti |
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Un archetipo di artista che comunica: Ai Weiwei |
Apparve una nuova professione: quella del critico-mercante o
mediatore culturale (in inglese "curatore indipendente"; in cinese
"duli cezhanren"). Il mediatore culturale è un
professionista 'freelance' che combina svariate funzioni. E'
l'intermediario obbligatorio tra il Ministro della Cultura, le sue
'éminences grise', il committente della mostra, gli
artisti, il pubblico ed i potenziali fruitori. Egli "confeziona"
opinioni, descrive tendenze, viaggia, e negozia tra le parti
interessate, in particolare con il collezionista che, per mezzo
delle loro risorse finanziarie e della loro posizione sociale -
è spesso un diplomatico o un industriale - diffonde rumori,
distrugge riputazioni, si veste del ruolo prestigioso di 'patron',
di difensore - all'occasione - ei diritti umani, della
libertà di espressione in un Paese in cui davvero la società non
apprezza molto l'indipendenza o il diritto di essere diversi.
Il fattore principale in
questa evoluzione della scena artistica è stato l'apparizione di
determinati eventi, sotto forma di performances o di mostre in
spazi privati, che tendevano a variare i loro partecipanti e le
loro sedi senza che fosse necessario ottenere, in modo
sistematico, il permesso delle autorità. Sviluppatasi questa
tendenza, non senza delle reali perplessità (talora da parte degli
stessi artisti che preferivano, per strategie di carriera,
l'esclusivo riconoscimento dei circoli ufficiali), il campo della
sperimentazione artistica si dissolse in gruppi molto diversi
(negli anni '80) e poi in individui molto differenti (dopo il
1989) ai bordi del sistema che incrementava la loro dipendenza dai
critici, dai mercanti, e da un certo ambito di opinioni e che non
era più ristretto agli agglomerati urbani di Pechino e di
Shanghai. Volenti o no, essi erano integrati in una micro-società
in cui l'immaginazione incontrava l'economia internazionale. I
processi virtuali come internet e gli altri mezzi di comunicazione
talora avevano l'effetto di spostare l'attenzione dei critici e
del pubblico sulla specificità identitaria e persino
nazionalistica sia del lavoro che del suo produttore.
Ci furono molti esempi di
brillanti carriere artistiche. Tali successi furono indubbiamente
legati all'utilizzazione dei nuovi mezzi di comunicazione, che gli
artisti di nuova generazione ingegnosamente volsero a proprio
vantaggio. Il più considerevole archetipo di questo nuovo tipo di
artista fu il pechinese Ai Weiwei. Artista, mercante, gallerista,
collezionista, editore, egli ha incorporato ad un livello fino ad
allora non eguagliato le più diverse funzioni che corrispondono
agli assiomi chiave della comunicazione artistica, allora ancora
in uno stadio prematuro. Il suo modo di lavorare e il suo
atteggiamento libertario lo resero un artista di nuovo genere, al
confine tra il mondo dell'arte, la dissidenza poetica,
l'opportunismo commerciale e l'aristocrazia intellettuale. In
quanto figlio del poeta Ai Qing, un sostenitore del regime, il suo
'pedigree' gli aprì le porte ad un vasto riconoscimento sociale.
Scelse di frequentare il "Film Institute" che riaprì nel 1979,
essendo stato chiuso a causa della Rivoluzione Culturale. Ma né il
cinema né la Cina potevano trattenere il giovane Ai Weiwei, e dopo
essersi unito al gruppo "Xing Xing", optò per l'espatrio a
New York. Lì, frequentò la "Parsons School of Design", commerciò
in antichità per una vita, e frequentò sia i musei che
l'underground, come anche uno dei suoi mentori, William Burroughs.
Il suo riferimento artistico fu e restò sempre Marcel Duchamp: una
scelta che è sintomatica di una generazione che trova il suo
marchio non in un dibattito formalista, ma piuttosto nella
distinzione tra la sfera dell'arte e quella dell'estetica.
In relazione a questo
modello, il viaggio di un lavoro verso il suo presunto consumatore
non è più lineare, ma forma un'ansa; in questo esso assomiglia ad
una pratica che è esistita nei circoli eruditi nella Cina della
vecchia scuola. Il dotto, sia l'uomo d'azione che quello di
lettere, era un mediatore culturale come anche un vettore
essenziale della produzione e della trasmissione della conoscenza.
Per la generazione di Ai Weiwei, comunque, che sta a mezza strada
tra un'invocazione alla modernità e l'ideale disincantato dello
studioso-contadino che Mao Zedong incarnava nel modo iconoclastico
e rivoluzionario, il sentiero da seguire è quello del consumismo
e, di conseguenza, quello dell'inautenticità dei lavori artistici
e della loro riducibilità al livello di linguaggio (che fosse
quello della pubblicità, del classico, dell'universale o del
criptico) che diventa la forza conduttrice di una realtà che
necessita di essere reinterpretata. L'artista ruppe nuovi schemi
quando suggerì ai collezionisti e mercanti Hans Van Dick e Frank
Uytterhaegen di metter su una fondazione a Pechino, la "China
Modern Art Foundation", di cui è attualmente co-direttore. Essa
espone i suoi lavori (dipinti, installazioni e sculture) e
funziona come un'impresa tesa allo sviluppo sociale, al mantenere
su una scala internazionale la natura e l'ambizione del mercato
artistico tra Pechino e New York.
L'integrazione dell'arte
cinese nel mercato internazionale |
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La novità in Cina non era il
mercato delle opere d'arte - cosa che senza dubbio risale
all'invenzione del collezionismo - ma piuttosto la loro
integrazione nel mercato dell'arte internazionale. La mania per
l'arte contemporanea cinese era conforme con una tendenza dei
media con forti inclinazioni esotiche che dapprima iniziò
nell'Europa dell'Est, prima e soprattutto dopo la caduta del muro
di Berlino, per poi continuare fino ai nostri giorni. All'inizio
si trattava di iniziative private, da parte di amanti dell'arte
come l'ambasciatore svizzero Uli Sigg, che attirò l'attenzione dei
media. Poi vari governi organizzarono, con qualche difficoltà,
importanti retrospettive in Europa, in Australia, negli Stati
Uniti ed in Giappone. C'erano poche gallerie in Cina fino ai primi
anni '90 - tranne quelle di Hong Kong. Ciò era dovuto al fastidio
continuo ed alle minacce amministrative che subivano i proprietari
di questi spazi (che erano molto ricercati dagli artisti), la
maggioranza dei quali erano di origini straniere. Tali gallerie,
perlopiù situate a Pechino e a Shanghai, avevano nondimeno un
considerevole impatto in quanto stabilivano i prezzi delle opere
d'arte per coloro che aspiravano ad una carriera internazionale8.
I critici spesso hanno
parlato di una perversione del sistema scolastico dell'arte e di
un crescente disagio del pubblico, che ha determinato una
valutazione delle opere unicamente in termini di speculazione
commerciale a cui essi erano quindi soggetti. Tale disagio ha
incoraggiato le autorità ad adattare il sistema scolastico
dell'arte a norme create dal mercato. Riforme strutturali così
come la revisione dei corsi di 'training' per gli studenti
(compresa l'esperienza di lavoro nelle agenzie di pubblicità o
all'estero) hanno aperto le scuole d'arte a nuove possibilità. La
riforma delle scuole d'arte in Cina (la fusione di svariate
accademie, la creazione di gallerie che unissero fondi sia
pubblici che privati), che fu realizzata solo dopo la morte di
Deng Xiaoping, mise fondamentalmente in discussione uno dei
principi canonici, definiti nello Yan'an : l'arte al servizio del
popolo.
Il profondo disagio avvertito
da un gran numero di artisti ed intellettuali in Cina di fronte a
questo terremoto viene meglio spiegato dal fatto che gli ultimi
venti anni hanno prodotto una straordinaria confusione nel lavoro
e nelle menti delle persone; le filosofie egualitaristiche e
comuniste sono state sostituite da idee nazionalistiche e persino
xenofobe di resistenza all'"inquinamento spirituale". Eppure la
Cina di Deng Xiaoping non era più, se mai lo fosse stata,
solitaria dal punto di vista culturale. Essa seguiva ed
accompagnava la globalizzazione e, allo stesso tempo, manifestava
resistenza nei confronti della reinterpretazione di una tradizione
vivente che era la propria, mentre fondamentalmente metteva in
discussione le strutture del mondo dell'arte ereditate dal periodo
maoista.
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Note:
(1) Questo articolo si basa
su quello dello stesso autore dal titolo "Culture, identités et
réformes politiques: la peinture en République populaire de Chine
(1979-1997)", tesi di laurea in fase di pubblicazione, Università di
Parigi VII, 2003.
(2) Cfr. Julia F. Andrews,
"Painters
and Politics in the People’s Republic of China (1949-1979)",
Berkeley, University of California Press, 1994, and Ellen Jonston
Laing, "The Winking Owl: Art in the People’s Republic of China",
Berkeley, Los Angeles, University of California Press, 1988.
(3)
Hung Wu, Exhibiting Experimental Art in China, Smart Museum
of Art, University of Chicago, 2000
(4) Su questi artisti, e sul periodo interessato,
sono disponibili numerosi libri e riviste in cinese. Menzioniamo in
particolare il libro di Lu Peng e Yi Dan,
Zhongguo xiandai yishu shi (1979-1989) (A History of
Contemporary Chinese Art [1979-1989]), Changsha, Hunan meishu
chubanshe, 1992. Una rivista offre una presentazione in tre lingue (in
francese, cinese ed inglese) di questi artisti: Emmanuel Lincot,
Avant-gardes (Xianfeng yishu), published with the assistance of
the French Ministry of Foreign Affairs, Peking, 1997.
(5) Cfr.
Kraus Richard Curt, Brushes with Power: Modern Politics and the
Chinese Art of Calligraphy, Berkeley, University of California,
1991; James Cahill, The Painter’s Practice. How Artists Lived and
Worked in Traditional China, New York, Columbia University, 1994.
(6) Francis A. Yates, L’Art de la mémoire,
Paris, Gallimard, 1975.
(7) China’s New
Art, Post-1989, organised by the Hong Kong
gallery Hanart TZ, 1993.
(8) Numerosi cataloghi di esposizioni sono
stati pubblicati in Occidente, fatto che ha reso possibile una
maggiore familiarità col lavoro di diversi artisti. In particolare
citiamo: Emmanuel Lincot, "L’Invitation à la Chine" (Biennale
d’Issy-les-Moulineaux), Paris, Beaux-Arts, 1999 (una delle primissime
retrospettive di arte contemporanea cinese in Francia);
Marie-José Mondzain, "Transparence, opacité ? 14 artistes
contemporains chinois", Paris, Cercle d’art, 1999 (una notevole
riflessione di un filosofo specializzato nello studio delle
immagini); Jean-Marc Decrop and Christine Buci-Glucksmann, "Modernités
chinoises", Paris, Skira, 2003 (la collezione di un
gallerista di Parigi con il commento di un accademico); "Made by
Chinese", Paris, Galerie Enrico Navarra, 2001 (un catalogo
pratico con le biografie dei più importanti artisti cinesi
contemporanei); "Paris / Pékin", Espace Cardin Asiart archive,
Paris, 2002 (un superbo catalogo della collezione privata del
Barone Ullens).
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