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Rivista "Frenis Zero" - ISSN: 2037-1853

Edizioni "Frenis Zero"

Recensioni Bibliografiche

 

  "COMA"

di Pierre  Guyotat

 

 

  Recensione di Mario Porro

  

 

 

Per gentile concessione dell'autore  proponiamo la recensione del libro "Coma" di Pierre Guyotat, pubblicata su "L'Indice dei Libri del Mese" di febbraio 2010.

Mario Porro è studioso di epistemologia francese e dei rapporti tra scienze e letteratura.

 

 


 

Pierre Guyotat, Coma, trad. di Marco Dotti e Valentina Parlato, Edizioni Medusa, Euro 14.80 (ed. originale 2006, Éditions Mercure de France)

 

 

 

 

È l’esperienza della guerra in Algeria, dove è chiamato ventenne nel 1960, a determinare il destino di scrittore di Pierre Guyotat: agli orrori della guerra si aggiungono i mesi di isolamento in un carcere militare, con l’accusa di complicità in diserzione, di divulgazione fra i soldati di scritti proibiti, di attentato al morale dell’esercito. Tombeau pour cinq cent mille soldats, pubblicato da Gallimard nel ’67, dopo ripetuti rifiuti di altre case editrici, è la narrazione in prima persona di quegli eventi; l’ossessiva relazione fra la sessualità e le violenze dei soldati francesi scatena la reazione degli ambienti militari, in particolare del generale Massu, che aveva guidato l’armée in Algeria. Il romanzo ottiene il sostegno di intellettuali come Michel Foucault e Roland Barthes; proprio quest’ultimo scriverà nel ’70 una delle tre prefazioni (le altre saranno di Michel Leiris e di Philippe Sollers) a Eden, Eden, Eden, il nuovo romanzo in cui Guyotat torna sulle atrocità della guerra. Nonostante le petizioni di molti intellettuali (Sartre, Simone de Beauvoir, Pierre Boulez e Italo Calvino, tra gli altri), l’opera sarà vietata dal governo per una decina d’anni.

    L’aspetto inquietante delle pagine di Guyotat non si deve solo alla visione dell’umanità come parte di un immenso bordello in cui le relazioni umane oscillano fra schiavitù e prostituzione; lo scandalo è quello di una scrittura che rifiuta di aderire al precetto di risultare piacevoli. La sua letteratura riparte da uno stadio primitivo della lingua, ritorna all’elementare, alla fame, al desiderio, alla difesa del territorio; procedendo per digressioni e incroci spazio-temporali, prendendo spesso licenza dalla grammatica e dalla sintassi consueta, la scrittura  mira a dar voce alle reazioni del corpo, si carica di eros prima di farsi “carne vocale”. Ed è per questo che Guyotat, la cui opera è oggi accostata a quelle di Antonin Artaud e di Jean Genet, si dedica a letture pubbliche dei suoi scritti, dove la voce conserva la carica del dramma e dell’emozione, anestetizzata dallo scritto.    

    Tradotto con partecipe competenza da Marco Dotti e Valentina Parlato, Coma (2006) è il primo libro di Guytotat offerto al lettore italiano; vi si “narra” la depressione vissuta dall’autore sul finire degli anni Settanta e il volontario internamento in clinica psichiatrica. La patologia psichica, che impone il confronto con l’inafferrabile e la morte, si coagula attorno alla questione della creazione artistica; la scrittura risponde ad un bisogno “corporeo” di confessione, un mettersi a nudo che trova la sua metafora più calzante nel disegno col pennarello praticato da un medico sulle gambe dell’autore, in preparazione dello stripping alle vene varicose. La letteratura è pharmakon, veleno e rimedio, scatena la crisi esistenziale, strappa la nostra carne, ma nel contempo è l’unica attività che possa dare conforto e offrirsi come catarsi. La guarigione è anche perdita, di coraggio e di desiderio: la ricompensa della traversata del  deserto è un mondo disincantato, senza rilievo né colore, sguardi spenti e voci sommesse, non il ritorno alla vita ma la sopravvivenza. 

    L’impianto narrativo di Coma segue l’esistenza errante di Guyotat che vive su di un camper e si ferma, lungo le strade di Francia, d’Italia e del nord Africa, per incontrare vecchi amici o parenti – visitare una zia morente che aveva rischiato la vita per proteggere militanti algerini perseguitati o prostitute fuggite dai loro magnaccia –, o per fugaci amori omosessuali. La vita nomade è un modo di sfuggire l’angoscia “legata a ciò che fissa, all’abitazione […]. Nomadizzarsi è rendersi disponibili a tutti, ai vicini ma soprattutto agli sconosciuti. È anche dimenticare sempre più il proprio io, il vero nemico, ma purtroppo ancora – e per quanto tempo – il supporto della creazione”. Rifiutare un’identità statica equivale ad un’apertura al mondo e agli altri che è per Guyotat fondamento anche dell’atto poetico; l’opera non può ridursi a semplice lamento, è “una sorta di intercessione fra me e il mondo o Dio”, e lo scrittore è solo un intermediario, un messaggero.

    Cercando di sfuggire alla prepotenza dell’io, l’opera diventa crocevia di più tempi e più spazi: l’autore risveglia il passato dell’infanzia e i rapporti con i genitori, risale ad epoche antiche, si fonde nel mondo, assumendo empaticamente tutte le identità, quasi ad inseguire quel che Italo Calvino chiamava “un’ottica non antropomorfa”: “Vedere il mondo come lo vedono la talpa – che vede ben poco -, il ragno d’acqua, l’aquila. Esperire il mondo come l’acaro della polvere, il granchio, la balena”. Non si tratta soltanto di riconnettersi al ritmo primordiale della vita, ma di esprimere il senso di partecipazione alla sorte degli altri, al di là dell’umano a cui si è arrestato il cuore cristiano: “Pensare il pensiero dell’animale, l’uomo non è più il signore dell’Universo …”.

   L’eticità della scrittura dilata lo spazio storico fino ad inscriverlo nell’evoluzione dell’universo, ripercorrendo il tragitto che il pensiero di Dio ha compiuto nel tempo. L’opera è un servizio reso alla bellezza, “compensazione del servizio all’altro”: chi ha condiviso l’esistenza degli esclusi e dei marginali sa che può venire aggredito e colpito, “… non sono mai ‘io’ che vengo insultato, picchiato, respinto, ma, nella mia persona, qualcosa al di sopra, una realtà organica, solidale o una solidarietà storica, vedi metafisica”. Dal naturalismo che ci rende partecipi delle sorti del mondo si innalza in Guyotat uno slancio “religioso”, il supplizio di una separazione originaria da Dio, la nostalgia di un assoluto di cui si può solo cantare l’assenza.  

 

                                                  

 

  

 

 

 

 

 

 

 

 

 

        

 

 

 

 

 

 
 

 

 

 

 
 

 

 

 

 

 

 

 

 

Responsabile Editoriale : Giuseppe Leo

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