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RECENSIONI BIBLIOGRAFICHE 

 

Recensioni bibliografiche 2003  

 

Psicoanalisi, non solo libri neri 
 Recensioni bibliografiche 2004

 

Recensioni dalla stampa 2003

 

 

 

Riportiamo la risposta di Raffaello Cortina (pubblicata sul Domenicale de "Il Sole 24 ore del 16.10.2005) alla recensione di Alessandro Pagnini (uscita su "Il Sole-24 Ore" di Domenica 18 settembre 2005)  del libro di Jonathan Lear dal titolo <<Freud>> (ediz. Routledge, London, 2005). Ed a seguire la replica di Alessandro Pagnini. 
                 Rivista Frenis Zero
Sullo stesso numero del "Domenicale" del 18.09.2005 si segnalava l'uscita in Francia de <<Le livre noir de la psychanalyse>> a cura di C. Meyer, Editions des Arènes, Paris, 2005.
                  Maitres à dispenser
 

 

 

 

Foto: J. Bowlby

Foto: P. Fonagy

 

 

<<Caro Pagnini, ho letto il suo intervento sul Domenicale del Sole-24 Ore del 18 settembre a commento della pubblicazione del Livre noire de la Psychanalyse. A differenza di quanto lei ha asserito, la psicoanalisi non solo non è morta ma, mai come oggi, è entrata a far parte del bagaglio di conoscenze sia degli psicoterapeuti di vario orientamento, sia, in particolare, degli psichiatri. Certo la psicoanalisi "classica" è in crisi da un bel po' di tempo, ma il pensiero freudiano, e quella che oggi fra gli addetti ai lavori viene definita psicoterapia psicodinamica è diffusissima in tutti i Paesi del mondo, con un'unica eccezione: la Francia. Forse gli autori del libro "scandalo" vivendo in quel Paese non hanno potuto consultare in libreria i libri di psicoanalisi pubblicati negli Stati Uniti negli ultimi trent'anni; l'editoria francese ha per molte scuole di pensiero e linee di ricerca la stessa chiusura che mostra nei confronti della filosofia analitica.

Per fare solo un esempio, trovo imbarazzante che le Opere complete di Bowlby non siano ancora apparse in francese. La teoria dell'attaccamento, patrimonio delle teorie psicoanalitiche contemporanee, è condivisa dai cognitivisti e dagli psicologi dello sviluppo, autori come Peter Fonagy, che ha sviluppato i concetti di funzione riflessiva e mentalizzazione, al centro del dibattito sulle teorie della mente, vengono citati raramente nei convegni d'oltralpe, ma tradotti in molte lingue.

I cognitivisti dell'ultima generazione, a differenza di Aaron Beck, citato dagli autori del libro, dialogano con il mondo psicoanalitico. I rapporti con le neuroscienze sono sempre più frequenti, Mark Solms, psicoanalista e neuropsicologo, ha fondato la International Society of Neuropsychoanalysis; nel gennaio di quest'anno l'American Psychiatric Publishing - casa editrice dell'associazione che riunisce tutti gli psichiatri americani e che ha contribuito a redigere il DSM-IV - ha dato alle stampe il Textbook of Psychoanalysis in cui nell'ultima parte, viene dedicato ampio spazio ai rapporti fra psicoanalisi e neuroscienze.

In concomitanza con la pubblicazione del "libro nero" è uscito un altro testo negli Stati Uniti: Psychiatry, Psychoanalysis and the new Biology of Mind. L'autore non collabora né al <<Nouvel Observateur>> né al <<Los Angeles Time>>, preferisce inviare i suoi articoli a riviste come <<Science>> o al <<New England Journal of Medicine>>, si chiama Eric Kandel ed è il più famoso neuroscienziato vivente (premiato con il Nobel nel 2000).

Forse l'editore francese avrebbe dovuto intitolare il libro scandalo <<Le livre noire de la psychanalyse française>>. Sarebbe stato più pertinente>>.

RAFFAELLO CORTINA - Milano

 

<<Caro Cortina, io non ho asserito che la psicoanalisi è morta; mi sarei contraddetto con quanto scrivevo nella stessa pagina a proposito dell'interessante libro di Lear filosofo-psicoanalista. Ho lapidariamente sentenziato circa la scarsa credibilità scientifica della psicoanalisi, anche se so bene che parlare di psicoanalisi come di un qualcosa di unitario, di cui giudicare complessivamente, è operazione riduttiva che non rende giustizia. Dunque, ben venga il suo invito a distinguere. Lei stesso sembra salvare la psicoanalisi, ma limitandosi a quella che è in proficuo rapporto con le neuroscienze, la psichiatria e la psicologia cognitiva; e che oltre a essere, come lei stesso ammette, assai poco riconoscibile a fronte dell'originale, bisognerebbe per onestà anche aggiungere che è considerata da una esigua minoranza di suoi teorizzatori e praticanti.

Io sono perfettamente d'accordo con lei nel salvare e incoraggiare quel trend, ma non possiamo nasconderci che, in questo modo, si screditano non solo le bizzarrie narcisistiche dei francesi, ma gran parte della psicoanalisi italiana, sudamericana eccetera, con la sola eccezione di un qualcosa che si fa quasi esclusivamente nel mondo anglofono. Per quanto riguarda i rapporti con le neuroscienze, fermo restando che non sono di per sé garanzia di scientificità ( anche la mente cartesiana ha trovato in un recente passato illustri premi Nobel, come Eccles, convinti di averne dimostrato la consistenza ontologica), lei sa bene che non sono solo quelli che Solms, Kandel o Edelman favoriscono. Da Hyman a Hobson, è forse la stragrande maggioranza dei biologi molecolari, dei neurofisiologi e anche degli scienziati cognitivi, a ritenere oggi inservibili le teorie  psicoanalitiche a scopo conoscitivo. E poi essere scientifici non vuol dire soltanto metter d'accordo le proprie teorie con alcune teorie fisico-chimiche e biologiche, ma vuol dire comportarsi da scienziati, accettando sistematicamente le critiche basate sull'evidenza e confronti serrati con ipotesi e teorie alternative nello stesso dominio: il dominio del mentale e il dominio della cura. E proprio a questo proposito vi è un altro problema, che non mi pare secondario per una disciplina che, a dispetto di tante cautele (si dice che non cura ma "si prende cura", che non è scienza medica ma soltanto ermeneutica, e via sofisticheggiando), continua a essere consigliata come terapia delle nevrosi.

Leggo in un libro pubblicato dalla sua casa editrice un'affermazione di quel Kandel che lei opportunamente raccomanda: <<Forse la psicoanalisi è semplicemente un modo molto efficace per recuperare la fiducia del paziente a scopi terapeutici. Spero che sia dell'altro, ma potrebbe essere tutto qui>>. Come dire: in barba al consenso informato, non diciamo al paziente che questa terapia potrebbe essere puro effetto placebo, perché ne va dell'effetto e... fors'anche del lavoro! Mi scuso per la battuta facile. Il discorso in realtà è complesso e comporterebbe considerazioni (peraltro urgenti e dirimenti) sulle modalità dei controlli sperimentali degli esiti terapeutici, sulle possibilità di una teoria clinica e terapeutica unificata tra le varie scuole psicodinamiche, ma anche sui problemi particolari dell'epistemlogia dei single case studies.

Gli psicoanalisti, soprattutto da noi, hanno mostrato sinora refrattarietà a questo tipo di problemi, per non dire della loro frequente tentazione di fare della propria disciplina un orto concluso, o di specchiarsi in un'immagine di scienza sui generis dove albergare comodamente. Perciò ribadisco il mio timore che quella psicoanalitica, continui a essere più una corporazione di professionisti che non una comunità di scienziati, con la conseguenza di una pericolosa, autoreferenziale, deriva delle sue teorizzazioni. Ma, a giudicare dagli autori che lei cita e dalle speranze che ripone nelle convergenze scientifiche della psicoanalisi, in fondo credo che anche lei la pensi come me. Magari vedendo più di me il bicchiere mezzo pieno.

 

ALESSANDRO PAGNINI

 

 

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