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Charles Darwin visse settantatre
anni e fu ammalato per gli ultimi quaranta. I suoi diari ci raccontano
la storia di un uomo perennemente assorbito dalle sofferenze
inflittegli da una malattia cronica, che lo torturava con dolori
gastrici ed intestinali, lo impauriva con palpitazioni e lo rendeva
debole e sonnolento, spesso febbricitante e sofferente di insonnia. Le
lamentele incominciarono circa un anno dopo il suo ritorno dalla
grande avventura scientifica (durata per tutto il viaggio della
Beagle, e cioè cinque anni), diventando spesso un tema ricorrente.
Negli anni successivi, man mano che la sua debolezza aumentava, Darwin
interruppe le occupazioni più faticose, tra cui gli scavi geologici,
ai quali si era fino allora dedicato con passione, e nel 1842, a soli
trentatre anni, si ritirò con la devota moglie Emma in una casa di
campagna nel Kent. A partire da quella data non uscì più
dall'Inghilterra, e da Down House (che lasciò raramente) si tenne
informato sui problemi scientifici per corrispondenza. Solo negli
ultimi anni la sua tranquillità fu scossa per lo scalpore sollevato
dalla pubblicazione del suo libro The Origin of Species,
avvenuta nel 1859.
Come molti malati cronici, Darwin
finì per adottare una routine fissa (una passeggiatina, poi un
breve riposo, poi un po' di lettura); tre o quattro ore di lavoro
furono tutto il tempo che egli poté dedicare ai suoi studi ogni
giorno. Tuttavia il suo aspetto e il suo comportamento erano quelli di
una persona sana e serena. Tutte le testimonianze che abbiamo su di
lui ce lo descrivono come un individuo affettuoso ed amabile, e suo
nipote, Gwen Raverat, ci dice che era tenero, spontaneo ed allegro. Né
era di debole costituzione. Era abituato alla vita all'aria aperta e a
Cambridge era stato un abile tiratore ed un ottimo sportivo. Le note
da lui prese durante il viaggio della Beagle ed il diario del
comandante della nave provano inoltre che aveva capacità di recupero,
resistenza ed energia. Tuttavia non era restato completamente immune
da malattie. A Valparaiso aveva contratto una febbre che, secondo sir
Arthur Keith, avrebbe potuto essere di origine tifoide (precisazione
molto importante questa, perché Keith dà un'interpretazione
psicogenetica della malattia di Darwin), ed a Plymouth, mentre
aspettava con impazienza di ripartire con la Beagle, si era
lamentato di palpitazioni, che aveva interpretato come sintomi di una
malattia di cuore. Ma in quel momento niente poteva far ancora pensare
ai quarant'anni di invalidità che gli stavano davanti.
Di che male soffrì Darwin? I medici
curanti dell'illustre infermo furono sempre perplessi in proposito, ed
i loro moderni discendenti sono discordi. I sintomi organici della
malattia di Darwin dovettero essere di tipo sconosciuto ai dottori di
quei tempi, che, nell'incertezza, furono propensi a considerare il
loro paziente un ipocondriaco (sospetto che causò a Darwin viva
preoccupazione). Venendo ai nostri giorni, la medicina ortodossa
sostiene ancora che la malattia di Darwin fu di origine psichica, cioè
provocata da cause mentali, ed il caso figura addirittura nel testo di
Alvarez sulle nevrosi tra gli esempi tipici di nevrastenia. Ma che
cosa si nascondeva dietro questa malattia di carattere nevrotico?
Alvarez, che dedicò cinquant'anni di studio all'argomento1,
dà una risposta che tiene unicamente conto dell'ereditarietà e fa
notare il numero di parenti difficili ed eccentrici esistenti nei rami
Darwin e Wedgwood (Emma e la madre di Charles erano due Wedgwood).
Secondo il professor Hubble2 la malattia di Darwin,
ritenuta senza alcun dubbio di origine emotiva, fu un'ingegnosa
"trovata" inconscia destinata a proteggere il paziente dalle asprezze
e dalle scosse della vita quotidiana, dalle richieste della società e
dagli obblighi che avrebbe dovuto affrontare come "persona pubblica"
nel mondo della cultura scientifica. <<Darwin nutriva segretamente ed
amorevolmente il suo genio con la psiconevrosi>>, ed in questo modo si
procurava il tempo per dedicarsi alle sue grandi fatiche scientifiche,
dato che <<non sarebbe riuscito a svolgere la sua attività in nessun
altro modo...>>. E' impossibile confutare le affermazioni di Hubble,
perché le sue congetture sono confortate da una lunga serie di
asseverazioni (<<non può esserci dubbio>>, <<è evidente>>, <<è
inconcepibile>>, <<è chiaro>>, <<esistono prove rilevanti>>, ecc.) ma
non poggiano su alcun argomento logico. Il professor Darlington crede
che la causa più profonda della malattia di Darwin possa essere
individuata nella disapprovazione manifestata probabilmente da Emma,
quando si accorse che le teorie del marito erano in contrasto con gli
insegnamenti della dottrina cristiana3. Questa indicazione,
tuttavia, ha un valore soltanto marginale; più consistente ci sembra
invece l'interpretazione decisamente psicanalitica del dottor Edward
Kempf, segnalata dal <<Times>>, insieme ad alcune altre,
all'attenzione dei lettori4.
Secondo Kempf, i quarant'anni di
malattia debilitante furono la manifestazione nevrotica del conflitto
operante in Darwin tra il suo senso del dovere verso il padre,
piuttosto autoritario, ed il suo attaccamento sessuale verso la madre,
morta quando egli aveva solo otto anni. Sua madre, una creatura
gentile ed amante dei fiori e degli animali, che negli ultimi anni di
vita fu di cagionevole salute, aveva proposto un enigma alla cui
risoluzione Darwin si sarebbe dedicato per tutta la vita: come si
potesse scoprire il nome di un fiore guardando nella sua corolla.
Kempf scrisse nel 1918, con un riserbo che sovente oscura il
significato del suo pensiero, ma l'opinione di Good5, assai
più recente, non ci lascia dubbi. Secondo Good <<un abbondante
materiale avvalora senza possibilità di errore>> l'idea che la
malattia di Darwin fosse <<una manifestazione camuffata
dell'aggressività, dell'odio e del risentimento che lo scienziato
provava, nell'inconscio, verso il suo tirannico padre>>.
La terribile passione trovò invece
la sua espressione esterna nel commovente rispetto che Darwin dimostrò
verso il padre e la sua memoria, e nell'affetto con cui lo descrisse
sempre come l'uomo più gentile e saggio che avesse mai conosciuto:
dimostrazione evidente, se ce ne fosse bisogno, di quanto
profondamente fossero stati repressi i suoi più intimi e più veri
sentimenti.
<<Come nel caso di Edipo, la
punizione di Darwin per l'inconscio parricidio fu molto dura: quasi
quarant'anni di alterne e violente sofferenze nervose che gli
permettevano di star bene e di lavorare per un massimo di tre ore al
giorno>>.
Va subito chiarito che la tirannide
del padre di Darwin era inconscia allo stesso modo dell'odio filiale a
cui aveva dato origine. Robert Darwin, un uomo grande e grosso (105
chili), fu un medico che esercitò con grande successo a Shrewsbury, e
che, pur avendo incominciato la sua carriera con sole venti sterline
dategli dal nonno Erasmo, raggranellò una fortuna abbastanza
considerevole con la quale poté mantenere molto decorosamente i suoi
figli per tutto il tempo della loro vita. La vera natura di quest'uomo
affiora nei rimproveri che indirizza a Charles quando, a Cambridge, il
giovane dimostra una certa indolenza e troppo amore per gli sport
nonché un eccessivo interesse per una compagnia che egli stesso
definisce <<di giovani dissipati e di scarsa intelligenza>>. All'epoca
del viaggio della Beagle, Robert Darwin disapprovò nel modo più
assoluto l'ambiziosa partecipazione del figlio a quella avventurosa
impresa scientifica, probabilmente perché aveva sempre sperato che il
giovane diventasse, se non un medico, un religioso. Tuttavia, più
tardi, egli ritirò, se non altro ad un livello inconscio, le sue
obiezioni ed acquistò Down House per Charles ed Emma.
Ma anche molti elementi
dell'attività scientifica dovettero favorire la nevrosi di cui Darwin
soffrì per tutta la vita. Kempf è stato (con ogni probabilità) il
primo a mettere in rilievo quella che oggi sembra un'ovvia
constatazione, e cioè che Darwin fu continuamente ed insistentemente
assillato da problemi relativi al sesso. Basta leggere i titoli dei
suoi libri: The Origin of Species, innanzi tutto; e poi,
Selection in Relation to Sex, The Effects of Cross - and
Self-Fertilization in the Vegetable Kingdom e On the various
Contrivances by which Orchids are Fertilized by Insects. Al lume
di queste considerazioni chi si stupirà ancora apprendendo che,
gravato da una colpa così pesante, Darwin si ritirò dalla vita
pubblica all'età di trentatre anni per andare a vivere nella
tranquilla reclusione della sua casa di campagna? Il suo fu un gesto
sacrificale, una specie di crocifissione: e Kempf fa notare l'intimo
significato della coincidenza che anche Cristo fu crocifisso all'età
di trentatre anni.
La psicanalisi (e questo secondo me
è uno dei suoi risultati più importanti) ha avuto il merito di tentare
un chiarimento delle cause che fecero assumere al genio di Darwin il
suo carattere distintivo. La dottoressa Phyllis Greenacre, nella sua
conferenza in occasione dell'anniversario della nascita di Freud6,
ha accennato alla possibilità che l'interesse di Darwin per la scienza
fosse dovuto principalmente ad una <<reazione a fantasie
sadomasochistiche relative alla sua nascita ed alla morte di sua
madre>>. Ma altri danno ragguagli ancora più precisi. Kempf ci rivela
che quando Darwin studiava la selezione dei genotipi favorevoli
pensava agli animali preferiti dalla madre (<<Darwin finì di fondare
inconsciamente le sue più profonde formulazioni sui suoi più delicati
conflitti emotivi>>); e Good ci spiega come, nella detronizzazione del
padre celeste, Darwin trovasse conforto all'impossibilità di trucidare
il padre terrestre.
Ma di che male soffriva Darwin? Non
lo sapremo mai con certezza e nessuna testimonianza potrà mai opporsi
alle nostre congetture; tuttavia, il professor Saul Adler, membro
della Royal Society ed insegnante dell'Università Ebraica di
Gerulasemme, afferma con valide argomentazioni7 che Darwin
soffrì di una malatta infettva cronica e debilitante chiamata Morbo
di Chagas dal nome di Carlos Chagas senior, il noto ricercatore
medico brasiliano che per primo ne definì i caratteri. Il male è
causato da un microrganismo il cui nome, Tripanosoma cruzi,
onora un altro famoso scienziato brasiliano, Osvaldo Cruz. Sir Gavin
de Beer, nel suo eccellente scritto intitolato Charles Darwin8,
sostiene che l'interpretazione di Adler è la più attendibile. Questa
teoria, che si distingue dalle altre finora esaminate per il fatto di
essere basata su dati razionali, dice approssimativamente quanto
segue.
Il 26 marzo 1835, mentre passava la
notte in un villaggio della provincia di mendoza, in Argentina, Darwin
fu punto da un insetto ematofago, detto scientificamente Triatoma
infestans e comunemente benchuca. Il benchuca, il
<<grosso insetto nero delle pampas>>>, è il principale vettore del
Tripanosoma cruzi: ancora oggi più del sessanta per cento degli
abitanti di Mendoza sono colpiti dalla malattia, mentre <<circa il
settanta per cento dei Triatoma infestans è portatore di questi
Tripanosoma>>. E' quindi molto probabile che anche Darwin ne
fosse a suo tempo infettato. Gli esperti sudamericani consultati da
Adler considerano non più di "trascurabili" le possibilità che egli
sfuggisse al contagio, e la sintomatologia della malattia di Darwin si
presenta molto simile a quella dei casi conosciuti di Morbo di
Chagas nella loro forma cronica. De Beer prosegue:
<<In più dell'ottanta per cento dei
pazienti che soffrono del Morbo di Chagas il Tripanosoma
invade i muscoli del cuore, dando al malato un gran senso di
stanchezza; invade i gangli del plesso nervoso di Auerbach nelle
pareti intestinali, instaurando un'attività anormale ed uno stato di
malessere; invade il fascio auricolo-ventricolare del cuore che
controlla il ritmo cardiaco dell'orecchietta e del ventricolo,
causando un'interferenza che talvolta porta al blocco cardiaco. La
stanchezza,le disfunzioni gastro-intestinali, nonché i disturbi
cardiaci di cui Darwin ebbe un attacco nel 1873, e di cui morì nel
1882, potrebbero essere spiegati obiettivamente e facilmente se si
ammettesse che lo scienziato fu massicciamente infettato dal
Tripanosoma quando venne punto dall'insetto il 26 marzo 1835>>.
De Beer conclude sottolineando che
il Tripanosoma cruzi fu identificato soltanto ventisette
anni dopo la morte di Darwin.
A favore dell'interpretazione di
Adler parla anche una certa quantità di materiale dimostrativo di
importanza minore e di per sé non decisivo. Si sa, per esempio, che
anche al giorno d'oggi un medico inesperto potrebbe confondere un caso
cronico di Morbo di Chagas con una malattia di origine
nevrotica. Non mi risultano che esistano argomenti decisivi contro
Adler, ed alcuni di quelli usati per screditare la sua teoria riescono
soltanto a mettere in evidenza l'ansia dell'autore di riabilitare
un'interpretazione esclusivamente psicogenetica. (Oppositori così
ingenui dovrebbero astenersi dalle controversie pubbliche). Per
contro, molti clinici mi hanno assicurato che anche la teoria della
malattia infettiva non è facile da sostenere, come a tutta prima
sembrerebbe. I sintomi generali della malattia di Darwin sono
effettivamente molto simili a quelli dell'ipocondria, né si è mai
sentito parlare di febbre acuta e di gonfiori ghiandolari che
avrebbero dovuto seguire all'infezione? Lo stato di guerra tra ospite
e parassita, durato così a lungo senza che né uno né l'altro avesse
mai il sopravvento, è perlomeno inconsueto. L'interpretazione di Adler
è stata accettata da quasi tutti gli esperti brasiliani, ma io
sospetto che l'idea di attribuire a Darwin una malattia così
strettamente associata al nome di due grandi scienziati del loro paese
abbia sollecitato il loro orgoglio nazionale.
La diagnosi di malattia organica e
di nevrosi non sono, naturalmente, incompatibili. Gli esseri umani non
si ammalano di un'unica malattia, come i gatti od i topi, e quasi
tutte le malattie croniche suscitano intorno a sé un alone di tristi
fantasie, preoccupazioni e paure che possono avere manifestazioni
fisiche. Secondo me, Darwin soffrì di una malattia organica (le
possibilità che egli sia stato colpito dal Morbo di Chagas sono
abbastanza alte), ma fu anche vittima di una nevrosi. L'elemento
nevrotico della malattia potrebbe essere stato causato
dall'impossibilità di chiarire le origini del male, e cioè dalla
sensazione di essere "effettivamente" ammalato senza però disporre di
alcun elemento per dimostrarlo (certamente una grave frustrazione per
un uomo che dedicò la sua intera vita intellettuale a raccogliere ed
ordinare le prove più difficili). E' una storia abbastanza comune. Le
persone sospette di ipocondria o di simulazione di malattia devono
fingere di essere più ammalate di quanto realmente non siano, e
possono, in certi casi, essere ingannate dalla loro stessa finzione.
Esse agiscono in questo modo per convincere gli altri; ma Darwin
doveva soprattutto convincere se stesso, perché era egli stesso
all'oscuro delle cause del suo male. Gli appunti che Darwin prendeva
sulla sua salute suonano infatti come pensieri di una persona che
cerca disperatamente di trovare prove della realtà della propria
malattia. <<Ecco>>, possiamo immaginare che dicesse, <<io sono
ammalato, non posso che essere ammalato: altrimenti perché mi sentirei
così?>>
Se questa interpretazione contiene
in sé qualche aspetto di verità, non possiamo giudicare senza biasimo
i medici che con tanta facilità classificarono Darwin tra gli
ipocondriaci, pur concedendo l'attenuante che la diagnosi del male (se
fu veramente Morbo di Chagas) stava completamente al di là
della loro competenza. Anche tra i caratteri più forti, la diagnosi
errata di una malattia nervosa può causare un'estrema esasperazione,
con sintomi che, ovviamente, possono soltanto confermare il medico
nella sua ipotesi. Su Darwin, quindi, che aveva un animo mite e
nutriva una profonda reverenza verso il padre medico, il sospetto di
ipocondria dovette pesare in modo speciale e produrre un grave e
durevole danno. Forse i medici di Darwin avrebbero dovuto riflettere
attentamente prima di dare della sua malattia un'interpretazione che
per lui fu molto meno rassicurante che per loro.
NOTE
DELL'AUTORE:
1) <<New
England med. J.>>, 261, 1959, p. 1109.
2) <<Lancet>>,
244, 1943, p. 129, ibid. 265, 1953, p. 1351.
3) Prof.
Darlington, Darwin's Place in History, Oxford, 1959.
4) <<The
Times>>, 31 dicembre 1963. A proposito di Kempf, cfr. <<Psychoanalyt.
Rev.>>, 5, 1918, p. 151.
5) <<Lancet>>,
1, 1954, p. 106.
6) Phyllis
Greenacre, The Quest for the Father, International
Universities Press, New York, 1963.
7) Prof.
Saul Adler F. R. S., <<Nature>>, 184, 1959, p. 1102.
8) Sir
Gavin de Beer, Charles Darwin, Nelson, London, 1963.
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