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Rivista "Frenis Zero" - ISSN: 2037-1853

Edizioni "Frenis Zero"

Recensioni Bibliografiche

 

  "LA MALATTIA DI DARWIN"

 

 

  di Peter Brian Medawar

  

 

  A conclusione di un anno, il 2009, dedicato alle celebrazioni per il 200° anniversario della nascita di Darwin, riproponiamo un testo scritto da P. B. Medawar, zoologo dell'Università di Londra, e pubblicato nel 1968 (De Donato, Bari) come capitolo all'interno del libro "L'immaginazione scientifica". Le immagini a corredo di questa pagina web provengono dalla mostra su Darwin che è stata allestita all'interno del castello Svevo di Bari.


 

 Charles Darwin visse settantatre anni e fu ammalato per gli ultimi quaranta. I suoi diari ci raccontano la storia di un uomo perennemente assorbito dalle sofferenze inflittegli da una malattia cronica, che lo torturava con dolori gastrici ed intestinali, lo impauriva con palpitazioni e lo rendeva debole e sonnolento, spesso febbricitante e sofferente di insonnia. Le lamentele incominciarono circa un anno dopo il suo ritorno dalla grande avventura scientifica (durata per tutto il viaggio della Beagle, e cioè cinque anni), diventando spesso un tema ricorrente. Negli anni successivi, man mano che la sua debolezza aumentava, Darwin interruppe le occupazioni più faticose, tra cui gli scavi geologici, ai quali si era fino allora dedicato con passione, e nel 1842, a soli trentatre anni, si ritirò con la devota moglie Emma in una casa di campagna nel Kent. A partire da quella data non uscì più dall'Inghilterra, e da Down House (che lasciò raramente) si tenne informato sui problemi scientifici per corrispondenza. Solo negli ultimi anni la sua tranquillità fu scossa per lo scalpore sollevato dalla pubblicazione del suo libro The Origin of Species, avvenuta nel 1859.

Come molti malati cronici, Darwin finì per adottare una routine fissa (una passeggiatina, poi un breve riposo, poi un po' di lettura); tre o quattro ore di lavoro furono tutto il tempo che egli poté dedicare ai suoi studi ogni giorno. Tuttavia il suo aspetto e il suo comportamento erano quelli di una persona sana e serena. Tutte le testimonianze che abbiamo su di lui ce lo descrivono come un individuo affettuoso ed amabile, e suo nipote, Gwen Raverat, ci dice che era tenero, spontaneo ed allegro. Né era di debole costituzione. Era abituato alla vita all'aria aperta e a Cambridge era stato un abile tiratore ed un ottimo sportivo. Le note da lui prese durante il viaggio della Beagle ed il diario del comandante della nave provano inoltre che aveva capacità di recupero, resistenza ed energia. Tuttavia non era restato completamente immune da malattie. A Valparaiso aveva contratto una febbre che, secondo sir Arthur Keith, avrebbe potuto essere di origine tifoide (precisazione molto importante questa, perché Keith dà un'interpretazione psicogenetica della malattia di Darwin), ed a Plymouth, mentre aspettava con impazienza di ripartire con la Beagle, si era lamentato di palpitazioni, che aveva interpretato come sintomi di una malattia di cuore. Ma in quel momento niente poteva far ancora pensare ai quarant'anni di invalidità che gli stavano davanti.

Di che male soffrì Darwin? I medici curanti dell'illustre infermo furono sempre perplessi in proposito, ed i loro moderni discendenti sono discordi. I sintomi organici della malattia di Darwin dovettero essere di tipo sconosciuto ai dottori di quei tempi, che, nell'incertezza, furono propensi a considerare il loro paziente un ipocondriaco (sospetto che causò a Darwin viva preoccupazione). Venendo ai nostri giorni, la medicina ortodossa sostiene ancora che la malattia di Darwin fu di origine psichica, cioè provocata da cause mentali, ed il caso figura addirittura nel testo di Alvarez sulle nevrosi tra gli esempi tipici di nevrastenia. Ma che cosa si nascondeva dietro questa malattia di carattere nevrotico? Alvarez, che dedicò cinquant'anni di studio all'argomento1, dà una risposta che tiene unicamente conto dell'ereditarietà e fa notare il numero di parenti difficili ed eccentrici esistenti nei rami Darwin e Wedgwood (Emma e la madre di Charles erano due Wedgwood). Secondo il professor Hubble2 la malattia di Darwin, ritenuta senza alcun dubbio di origine emotiva, fu un'ingegnosa "trovata" inconscia destinata a proteggere il paziente dalle asprezze e dalle scosse della vita quotidiana, dalle richieste della società e dagli obblighi che avrebbe dovuto affrontare come "persona pubblica" nel mondo della cultura scientifica. <<Darwin nutriva segretamente ed amorevolmente il suo genio con la psiconevrosi>>, ed in questo modo si procurava il tempo per dedicarsi alle sue grandi fatiche scientifiche, dato che <<non sarebbe riuscito a svolgere la sua attività in nessun altro modo...>>. E' impossibile confutare le affermazioni di Hubble, perché le sue congetture sono confortate da una lunga serie di asseverazioni (<<non può esserci dubbio>>, <<è evidente>>, <<è inconcepibile>>, <<è chiaro>>, <<esistono prove rilevanti>>, ecc.) ma non poggiano su alcun argomento logico. Il professor Darlington crede che la causa più profonda della malattia di Darwin possa essere individuata nella disapprovazione manifestata probabilmente da Emma, quando si accorse che le teorie del marito erano in contrasto con gli insegnamenti della dottrina cristiana3. Questa indicazione, tuttavia, ha un valore soltanto marginale; più consistente ci sembra invece l'interpretazione decisamente psicanalitica del dottor Edward Kempf, segnalata dal <<Times>>, insieme ad alcune altre, all'attenzione dei lettori4.

Secondo Kempf, i quarant'anni di malattia debilitante furono la manifestazione nevrotica del conflitto operante in Darwin tra il suo senso del dovere verso il padre, piuttosto autoritario, ed il suo attaccamento sessuale verso la madre, morta quando egli aveva solo otto anni. Sua madre, una creatura gentile ed amante dei fiori e degli animali, che negli ultimi anni di vita fu di cagionevole salute, aveva proposto un enigma alla cui risoluzione Darwin si sarebbe dedicato per tutta la vita: come si potesse scoprire il nome di un fiore guardando nella sua corolla. Kempf scrisse nel 1918, con un riserbo che sovente oscura il significato del suo pensiero, ma l'opinione di Good5, assai più recente, non ci lascia dubbi. Secondo Good <<un abbondante materiale avvalora senza possibilità di errore>> l'idea che la malattia di Darwin fosse <<una manifestazione camuffata dell'aggressività, dell'odio e del risentimento che lo scienziato provava, nell'inconscio, verso il suo tirannico padre>>.

La terribile passione trovò invece la sua espressione esterna nel commovente rispetto che Darwin dimostrò verso il padre e la sua memoria, e nell'affetto con cui lo descrisse sempre come l'uomo più gentile e saggio che avesse mai conosciuto: dimostrazione evidente, se ce ne fosse bisogno, di quanto profondamente fossero stati repressi i suoi più intimi e più veri sentimenti.

<<Come nel caso di Edipo, la punizione di Darwin per l'inconscio parricidio fu molto dura: quasi quarant'anni di alterne e violente sofferenze nervose che gli permettevano di star bene e di lavorare per un massimo di tre ore al giorno>>.

Va subito chiarito che la tirannide del padre di Darwin era inconscia allo stesso modo dell'odio filiale a cui aveva dato origine. Robert Darwin, un uomo grande e grosso (105 chili), fu un medico che esercitò con grande successo a Shrewsbury, e che, pur avendo incominciato la sua carriera con sole venti sterline dategli dal nonno Erasmo, raggranellò una fortuna abbastanza considerevole con la quale poté mantenere molto decorosamente i suoi figli per tutto il tempo della loro vita. La vera natura di quest'uomo affiora nei rimproveri che indirizza a Charles quando, a Cambridge, il giovane dimostra una certa indolenza e troppo amore per gli sport nonché un eccessivo interesse per una compagnia che egli stesso definisce <<di giovani dissipati e di scarsa intelligenza>>. All'epoca del viaggio della Beagle, Robert Darwin disapprovò nel modo più assoluto l'ambiziosa partecipazione del figlio a quella avventurosa impresa scientifica, probabilmente perché aveva sempre sperato che il giovane diventasse, se non un medico, un religioso. Tuttavia, più tardi, egli ritirò, se non altro ad un livello inconscio, le sue obiezioni ed acquistò Down House per Charles ed Emma.

 

Ma anche molti elementi dell'attività scientifica dovettero favorire la nevrosi di cui Darwin soffrì per tutta la vita. Kempf è stato (con ogni probabilità) il primo a mettere in rilievo quella che oggi sembra un'ovvia constatazione, e cioè che Darwin fu continuamente ed insistentemente assillato da problemi relativi al sesso. Basta leggere i titoli dei suoi libri: The Origin of Species, innanzi tutto; e poi, Selection in Relation to Sex, The Effects of Cross - and Self-Fertilization in the Vegetable Kingdom e On the various Contrivances by which Orchids are Fertilized by Insects. Al lume di queste considerazioni chi si stupirà ancora apprendendo che, gravato da una colpa così pesante, Darwin si ritirò dalla vita pubblica all'età di trentatre anni per andare a vivere nella tranquilla reclusione della sua casa di campagna? Il suo fu un gesto sacrificale, una specie di crocifissione: e Kempf fa notare l'intimo significato della coincidenza che anche Cristo fu crocifisso all'età di trentatre anni.

La psicanalisi (e questo secondo me è uno dei suoi risultati più importanti) ha avuto il merito di tentare un chiarimento delle cause che fecero assumere al genio di Darwin il suo carattere distintivo. La dottoressa Phyllis Greenacre, nella sua conferenza in occasione dell'anniversario della nascita di Freud6, ha accennato alla possibilità che l'interesse di Darwin per la scienza fosse dovuto principalmente ad una <<reazione a fantasie sadomasochistiche relative alla sua nascita ed alla morte di sua madre>>. Ma altri danno ragguagli ancora più precisi. Kempf ci rivela che quando Darwin studiava la selezione dei genotipi favorevoli pensava agli animali preferiti dalla madre (<<Darwin finì di fondare inconsciamente le sue più profonde formulazioni sui suoi più delicati conflitti emotivi>>); e Good ci spiega come, nella detronizzazione del padre celeste, Darwin trovasse conforto all'impossibilità di trucidare il padre terrestre.

Ma di che male soffriva Darwin? Non lo sapremo mai con certezza e nessuna testimonianza potrà mai opporsi alle nostre congetture; tuttavia, il professor Saul Adler, membro della Royal Society ed insegnante dell'Università Ebraica di Gerulasemme, afferma con valide argomentazioni7 che Darwin soffrì di una malatta infettva cronica e debilitante chiamata Morbo di Chagas dal nome di Carlos Chagas senior, il noto ricercatore medico brasiliano che per primo ne definì i caratteri. Il male è causato da un microrganismo il cui nome, Tripanosoma cruzi, onora un altro famoso scienziato brasiliano, Osvaldo Cruz. Sir Gavin de Beer, nel suo eccellente scritto intitolato Charles Darwin8, sostiene che l'interpretazione di Adler è la più attendibile. Questa teoria, che si distingue dalle altre finora esaminate per il fatto di essere basata su dati razionali, dice approssimativamente quanto segue.

Il 26 marzo 1835, mentre passava la notte in un villaggio della provincia di mendoza, in Argentina, Darwin fu punto da un insetto ematofago, detto scientificamente Triatoma infestans e comunemente benchuca. Il benchuca, il <<grosso insetto nero delle pampas>>>, è il principale vettore del Tripanosoma cruzi: ancora oggi più del sessanta per cento degli abitanti di Mendoza sono colpiti dalla malattia, mentre <<circa il settanta per cento dei Triatoma infestans è portatore di questi Tripanosoma>>. E' quindi molto probabile che anche Darwin ne fosse a suo tempo infettato. Gli esperti sudamericani consultati da Adler considerano non più di "trascurabili" le possibilità che egli sfuggisse al contagio, e la sintomatologia della malattia di Darwin si presenta molto simile a quella dei casi conosciuti di Morbo di Chagas nella loro forma cronica. De Beer prosegue:

<<In più dell'ottanta per cento dei pazienti che soffrono del Morbo di Chagas il Tripanosoma invade i muscoli del cuore, dando al malato un gran senso di stanchezza; invade i gangli del plesso nervoso di Auerbach nelle pareti intestinali, instaurando un'attività anormale ed uno stato di malessere; invade il fascio auricolo-ventricolare del cuore che controlla il ritmo cardiaco dell'orecchietta e del ventricolo, causando un'interferenza che talvolta porta al blocco cardiaco. La stanchezza,le disfunzioni gastro-intestinali, nonché i disturbi cardiaci di cui Darwin ebbe un attacco nel 1873, e di cui morì nel 1882, potrebbero essere spiegati obiettivamente e facilmente se si ammettesse che lo scienziato fu massicciamente infettato dal Tripanosoma quando venne punto dall'insetto il 26 marzo 1835>>.

De Beer conclude sottolineando che il Tripanosoma cruzi fu identificato soltanto ventisette anni dopo la morte di Darwin.

A favore dell'interpretazione di Adler parla anche una certa quantità di materiale dimostrativo di importanza minore e di per sé non decisivo. Si sa, per esempio, che anche al giorno d'oggi un medico inesperto potrebbe confondere un caso cronico di Morbo di Chagas con una malattia di origine nevrotica. Non mi risultano che esistano argomenti decisivi contro Adler, ed alcuni di quelli usati per screditare la sua teoria riescono soltanto a mettere in evidenza l'ansia dell'autore di riabilitare un'interpretazione esclusivamente psicogenetica. (Oppositori così ingenui dovrebbero astenersi dalle controversie pubbliche). Per contro, molti clinici mi hanno assicurato che anche la teoria della malattia infettiva non è facile da sostenere, come a tutta prima sembrerebbe. I sintomi generali della malattia di Darwin sono effettivamente molto simili a quelli dell'ipocondria, né si è mai sentito parlare di febbre acuta e di gonfiori ghiandolari che avrebbero dovuto seguire all'infezione? Lo stato di guerra tra ospite e parassita, durato così a lungo senza che né uno né l'altro avesse mai il sopravvento, è perlomeno inconsueto. L'interpretazione di Adler è stata accettata da quasi tutti gli esperti brasiliani, ma io sospetto che l'idea di attribuire a Darwin una malattia così strettamente associata al nome di due grandi scienziati del loro paese abbia sollecitato il loro orgoglio nazionale.

La diagnosi di malattia organica e di nevrosi non sono, naturalmente, incompatibili. Gli esseri umani non si ammalano di un'unica malattia, come i gatti od i topi, e quasi tutte le malattie croniche suscitano intorno a sé un alone di tristi fantasie, preoccupazioni e paure che possono avere manifestazioni fisiche. Secondo me, Darwin soffrì di una malattia organica (le possibilità che egli sia stato colpito dal Morbo di Chagas sono abbastanza alte), ma fu anche  vittima di una nevrosi. L'elemento nevrotico della malattia potrebbe essere stato causato dall'impossibilità di chiarire le origini del male, e cioè dalla sensazione di essere "effettivamente" ammalato senza però disporre di alcun elemento per dimostrarlo (certamente una grave frustrazione per un uomo che dedicò la sua intera vita intellettuale a raccogliere ed ordinare le prove più difficili). E' una storia abbastanza comune. Le persone sospette di ipocondria o di simulazione di malattia devono fingere di essere più ammalate di quanto realmente non siano, e possono, in certi casi, essere ingannate dalla loro stessa finzione.  Esse agiscono in questo modo per convincere gli altri; ma Darwin doveva soprattutto convincere se stesso, perché era egli stesso all'oscuro delle cause del suo male. Gli appunti che Darwin prendeva sulla sua salute suonano infatti come pensieri di una persona che cerca disperatamente di trovare prove della realtà della propria malattia. <<Ecco>>, possiamo immaginare che dicesse, <<io sono ammalato, non posso che essere ammalato: altrimenti perché mi sentirei così?>>

Se questa interpretazione contiene in sé qualche aspetto di verità, non possiamo giudicare senza biasimo i medici che con tanta facilità classificarono Darwin tra gli ipocondriaci, pur concedendo l'attenuante che la diagnosi del male (se fu veramente Morbo di Chagas) stava completamente al di là della loro competenza. Anche tra i caratteri più forti, la diagnosi errata di una malattia nervosa può causare un'estrema esasperazione, con sintomi che, ovviamente, possono soltanto confermare il medico nella sua ipotesi. Su Darwin, quindi, che aveva un animo mite e nutriva una profonda reverenza verso il padre medico, il sospetto di ipocondria dovette pesare in modo speciale e produrre un grave e durevole danno. Forse i medici di Darwin avrebbero dovuto riflettere attentamente prima di dare della sua malattia un'interpretazione che per lui fu molto meno rassicurante che per loro.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

NOTE DELL'AUTORE:

1) <<New England med. J.>>, 261, 1959, p. 1109.

2) <<Lancet>>, 244, 1943, p. 129, ibid. 265, 1953, p. 1351.

3) Prof. Darlington, Darwin's Place in History, Oxford, 1959.

4) <<The Times>>, 31 dicembre 1963. A proposito di Kempf, cfr. <<Psychoanalyt. Rev.>>, 5, 1918, p. 151.

5) <<Lancet>>, 1, 1954, p. 106.

6) Phyllis Greenacre, The Quest for the Father, International Universities Press, New York, 1963.

7) Prof. Saul Adler F. R. S., <<Nature>>, 184, 1959, p. 1102.

8) Sir Gavin de Beer, Charles Darwin, Nelson, London, 1963.

 

 

 

 

 

        

 

 

 

 

 

 
 

 

 

 

 
 

 

 

 

 

 

 

 

 

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