Fausto
Petrella, nella premessa al suo saggio, menziona le singolari
qualità e caratteristiche di questo materiale che possono
configurare differenti tipologie del vetro, dipendenti dalle
sue qualità eterogenee ma anche dalle metodiche di lavorazione,
sulla base di: grado di trasparenza, grado di purezza, di
fragilità, conduzione elettrica, colore, resistenza alle
variazioni termiche, indice di rifrazione. Il vetro è amorfo e
questa sua proprietà è alla base della sua trasparenza. Il
rapporto del vetro con l'arte, però, può essere rintracciato in
ulteriori sue caratteristiche che Petrella, da studioso
delle valenze simboliche delle relazioni con gli oggetti, così
delinea: il rapporto di questo materiale con il fuoco e con il
freddo si coniuga con il legame con il pneuma dell'artigiano che
lo soffia, plasmandone <<la combinatoria timbrica e tonale delle
colorazioni, delle trasparenza e delle forme>>. Se il corpo
dell'artigiano trova nel materiale vitreo quella eterogeneità e
quella flessibilità che consente di plasmarlo, non sorprende
quanto questo materiale sia presente nelle creazioni di
innumerevoli artisti contemporanei.
Se poi ci
spostiamo su un piano ancora più metaforico, come ci invita a fare
Petrella, scopriamo il ricco repertorio di attributi che il vetro
condivide con la psiche. Sin da tempi remotissimi il linguaggio ha
"riflettuto" - anche questo verbo intriso di metafore vitree -
sulle proprie origini metaforiche, sui propri giochi linguistici,
sul proprio uso corrente o, invece, scientifico. Anche il
linguaggio sembra condividere con la materia vitrea quella
eterogeneità che lo rendono malleabile nel cogliere persino le
insondabili profondità psichiche che sfuggono alla pensabilità ed
alla logica.
Una prima
associazione che Petrella propone è quella che riguarda la
coscienza per cui alcune qualità elementari del vetro sembrano
definire certi aspetti strutturali della coscienza: la sua
trasparenza, ad es., che fa sì che la coscienza sia una funzione
di cui non ci accorgiamo (allo stesso modo <<della vetrata
invisibile che separa la stanza dove soggiorniamo dall'esterno>>).
In psicopatologia, poi, parliamo di obnubilamento o di opacamento
della coscienza. La tradizione filosofica a partire da Cartesio ha
attribuito al pensiero la capacità di formulare idee <<chiare e
distinte>>, riflettendo in modo più o meno realistico la struttura
della realtà esterna. Il pensiero come riflesso del mondo
costituisce lo spartiacque tra approcci realistici ed altri non
realistici in ontologia.
Ma
un'altra caratteristica della coscienza si trova associata ad
un'altra proprietà del vetro: il suo fluire. Scrive
suggestivamente Petrella:<<Il flusso vitreo delle acque chiare e
il fluire del pensiero mettono in movimento quella limpidezza e
trasparenza variabile che il vetro ha fissato nella sua
solidità>>. Questo bell'accostamento ci consente di cogliere, su
un piano squisitamente metapsicologico, quanto la limpidezza della
coscienza faccia da pendant alle 'impurità' dell'inconscio
anch'esso 'fluente' ed 'impermanente'. All'impurità fa riferimento
anche la condizione psicologica della confusione mentale, la quale
si realizza, come scrive testualmente l'autore, <<quando
trasparenza, chiarezza e lucidità del campo esperenziale vengono
meno ...>>. Nella psicosi, poi, sembra frapporsi come uno schermo
opaco tra l'individuo ed il mondo, per cui questo appare come
"sotto vetro", risultando gli oggetti <<visibili ma non accessibili e non toccabili o
appropriabili>>. Vetro come simbolo della freddezza e
dell'inaccessibilità delle cose. Con un esempio che l'autore
significativamente trae dalla propria storia di psichiatra
responsabile di un Centro di Salute Mentale, l'esigenza del
mettere 'sotto vetro' appartiene, spesso ma non sempre
inconsciamente, anche ai curanti che in un diaframma vitreo che li
separi dal paziente alienato possono trovare l'illusoria sicurezza
di uno schermo alle altrui (e alle proprie) proiezioni alienanti.
E' peraltro difficile stabilire quanto le proprietà contenitive,
protettive e riparative del vetro possano risultare, caso per
caso, terapeutiche o anti-terapeutiche.
Ma nel
linguaggio comune (non psicopatologico né psicoanalitico) il
termine 'coscienza' non è solo associabile alle funzioni
cognitive, bensì anche alla dimensione morale e quindi sociale
dell'individuo. "Avere la coscienza sporca", "avere la coscienza
limpida", "avere una cattiva coscienza": sono tutte espressioni
che si riferiscono alla coscienza etica che <<è anche la matrice
del rimprovero e del sentimento di colpa>>, scrive Petrella, e
aggiungerei della vergogna, questa emozione sociale così pregnante
nelle dimensioni psicopatologiche più gravi. La vergogna, a
differenza della colpa che si riferisce ad una singola azione e che
quindi è riparabile, pervade al contrario l'intera individualità psichica e non
è riparabile. Da qui la potenzialità positiva della vergogna come
"emozione del limite" (segnalatrice di un senso di inadeguatezza
rispetto alle pressioni sociali o di intangibilità dei confini del
Sé) come anche quella negativa che vediamo all'opera in molti
suicidi, più o meno sorretti da strutturazioni narcisistiche o borderline di personalità. La colpa e la vergogna quindi rimandano
a due emozioni sociali che occupano l'interfaccia del Sé con il
mondo sociale e con le sue vicissitudini politiche, spesso
traumatiche (si pensi alla violenza collettiva o a quella di Stato
esercitata dalle dittature). In tal senso appare suggestivo il
richiamo di Petrella ad una serie di accezioni storico-politiche
del termine 'trasparenza' come ad es., la 'glasnost' di
gorbacioviana memoria, <<come una necessità della regolazione del
rapporto tra lo Stato e i cittadini, contro la censura e le
manovre occulte e segrete del potere politico o di singoli
individui, quando vogliono sottrarsi allo sguardo della legge>> (Petrella 1993).
Ma
l'altra caratteristica strutturale del vetro, la sua fragilità, ci
rimanda ad un'altra serie di associazioni. Quelle con le varie
forme di fragilità psichica. <<La fragilità del vetro dipende dal
suo essere un materiale poco elastico alla temperatura ordinaria e
di avere “la caratteristica di rompersi bruscamente senza
presentare segni di snervamento prima di raggiungere il punto di
rottura” (De Mauro, 2000). Anche la definizione sintetica del
vocabolario mostra la duplicità psico-scientifica dei termini
impiegati. La fragilità
del vetro si è trasferita figurativamente a designare la debolezza
di costituzione, l’instabilità psichica, la mancanza di fermezza
dell’anima, l’inconsistenza personale. E’ il contrario della
durezza, della forza, della coesione, della solidità e della
resilienza>>. Il celebre richiamo letterario alla novella di
Cervantes il "Licenciado Vidriera" è qui particolarmente
opportuno. Con la psicopatologia del XX secolo possiamo dire, con
Petrella, che <<l’assimilazione della psiche al vetro si
trasforma, da vissuto delirante di fragilità, in una concezione
psicopatologica, che definisce tipicamente l’esperienza
schizofrenica>>. Si pensi all'introduzione da parte di Bleuler del
concetto di Spaltung così centrale nella stessa definizione
ed etimologia della parola "schizofrenia". La fragilità diventa
sinonimo di "irrimediabilità" della frattura psicotica. Ma questa
accezione in negativo della vulnerabilità, verdetto prognostico di
inguaribilità che la psicopatologia del XX secolo ha emesso nei
confronti degli psicotici, <<ha fatto molto discutere sulla sua
natura e certamente rinvia anche a differenze costitutive nella
tipologia dei vari “vetri psichici”, più o meno frangibili, più o
meno resistenti a seconda della loro composizione-costituzione>>.
E bene fa Petrella, a tal riguardo, ad affermare che la
nascita della psicoanalisi, a partire dal suo fondatore Sigmund
Freud, ha rappresentato una cesura rispetto agli psicopatologi a
lui coevi. Egli scrive nel 1932 in "La scomposizione della
personalità psichica" (in "Introduzione alla psicoanalisi -
Nuova serie di lezioni", OSF, vol.11) che l'Io in generale,
l'Io di tutti è di per se stesso un cristallo fragile, solo in
apparenza saldo e compatto. La sua rottura non è mai casuale, ma
rivela, attraverso le sue linee di frattura, la propria intima
struttura.
Ma ancora
un'altra caratteristica del vetro è riassunta da Petrella con
questa formula: "Ambiguità
del vetro: tra diottrica e catottrica". Si tratta della capacità
"riflessiva" di questo materiale che fa da supporto ad una serie
di analogie con concetti impiegati nel linguaggio ordinario, in
psicologia, in psicoanalisi e nelle neuroscienze. Lo specchio, che
è una "trasformazione del vetro" al quale si fa assumere
un'univoca funzione riflessiva grazie all'argentatura di una sua
superficie, fa perdere al vetro la sua trasparenza ma ne rinforza
le capacità riflettenti. La varietà degli specchi (piani, sferici,
speciali) sembra così corrispondere alla complessità delle
funzioni riflessive della mente umana. In filosofia la
riflessione (da "re-flectere", ripiegare indietro) e la
speculazione sono strumenti conoscitivi della mente umana.
In psicoanalisi basti menzionare la "fase dello specchio" di Lacan
(1949) ed il "mirroring" di Kohut (1977) per considerare quanti e
quali siano gli scritti e gli orientamenti psicoanalitici che
hanno assunto letteralmente lo specchio al centro delle loro
investigazioni. Nelle neuroscienze la recente scoperta dei
"neuroni specchio" sta cercando di far luce sugli intimi
meccanismi onto- e filo-genetici dell'empatia. In psicopatologia,
poi, sono noti da tempo le fobie per gli specchi e il "fenomeno
dello specchio" (corrispondente
alla perdita della visione mentale di sé) a rammentarci la
fondamentale "ambiguità" di questo oggetto su cui il paziente può
proiettare tutta la 'liquidità' (come lo specchio d'acqua di
Narciso) della propria rappresentazione di sé.
(foto: F. Alman e S. Reiff, "Identimix", 1994)
<<Il
fenomeno per cui il vetro può manifestare ora capacità catottriche
ora diottriche, si presta egregiamente a configurare l’instabilità
delle funzioni auto- ed etero- rappresentative>> scrive Petrella.
A tal proposito, l'opera di Flavia Alman e Sabine Reiff "Identimix"
del 1994 consente, secondo Petrella, di <<forzare una ricombinazione dinamica e sperimentabile dei
tratti del mio volto con quelli di un'altra persona, ottenendo una
sorta di espianto, trapianto, e ricombinazione incruenta dei
tratti del proprio volto con quelli di un’altro>>. Quella che la
psicopatologia definisce come depersonalizzazione sembra
associarsi a una tale <<destabilizzazione dell’immagine della
propria faccia che così si induce, rende sensibili, visibili e
riproducibili per tutti>>.
In
conclusione, Fausto Petrella in questo suo scritto in inglese che
arricchisce il catalogo della mostra veneziana ci fornisce,
attraverso le innumerevoli metafore che prendono spunto dalle
proprietà del vetro, una serie di "riflessioni" in cui noi
psicoterapeuti, psichiatri e psicoanalisti possiamo
"rispecchiarci" nei nostri tentativi di essere degli 'specchi'
terapeutici e non deformanti nei confronti dei nostri
pazienti, anche grazie alla nostra consapevolezza del gioco di
transfert e controtransfert con loro, fenomeno la cui 'specularità'
continua ad affascinarci con tutta la varietà di colori, di 'diottrie'
e di 'focali' che l'approccio psicoanalitico alla mente umana ci
consente.
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