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CHI CONFABULA S'INGANNA MA NON MENTE |
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Recensione di Nicla Vassallo sul libro di William Hirstein <<Brain Fiction. Self-Deception and the Riddle of Confabulation>>, apparsa su "Il Domenicale" de "Il Sole 24 ore" del 22.01.2006. | |||||
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Rivista Frenis Zero |
La confabulazione è affascinante? Non lo è, o lo è assai poco se
con essa intendiamo un discorso a bassa voce, avvolto da un'atmosfera di
segretezza e sospetto. Lo è, invece, in misura notevole per le applicazioni
che il termine ha assunto in neurologia rispetto a vari tipi di sindromi, a
partire da quella di Korsakoff, una forte amnesia relativa a eventi recenti
che induce chi ne soffre a raccontare cose mai accadute, o cose accadute
molto tempo addietro come se fossero accadute di recente. Benché manchi un
consenso unanime su tutte le caratteristiche neurologiche della
confabulazione, l'analisi che ce ne offre William Hirstein è unica e
illuminante, anche nell'escludere ogni somiglianza del fenomeno con la
menzogna: infatti, nella confabulazione si crede fermamente a quel che si
dice, senza alcuna intenzione d'ingannare il proprio interlocutore. I
soggetti che confabulano passano attraverso due stadi, quello sì della
creazione di proposizioni false, ma anche quello del mancato riconoscimento
della falsità, cosicché non riescono ad ammettere che non conoscono le
proposizioni in questione. Sotto il profilo neurologico, l'abilità creativa
sembra essere dissociata dall'abilità di verifica, mentre per il punto di
vista filosofico è interessante che la confabulazione comporti un'assenza
del dubbio là dove si dovrebbe invece dubitare. Lungi dall'essere una prerogativa (felice o infelice) dei malati, quest'assenza è rintracciabile in noi individui sani non solo quando sogniamo e quando siamo ipnotizzati. Basti per esempio pensare a quando ci troviamo in certi contesti sociali (ove, se non ci mostriamo particolarmente e artificiosamente sicuri, non veniamo giudicati all'altezza della situazione o siamo giudicati addirittura pericolosi), o a quando il nostro partner ci domanda perché lo amiamo (sappiamo bene che le ragioni per cui lo amiamo sono per lo più inconsce eppure rispondiamo, simulando certezza, cose come <<per i tuoi occhi, per le tue mani e per la tua sensibilità>>), o a quando ci chiediamo chi siamo (raccontiamo spesso a noi stessi e agli altri una storia artefatta ma coerente in cui risultiamo leali, interessanti, intelligenti, incompresi, irreprensibili, e così via). Che le confabulazioni possano consistere in racconti falsi per sopperire alle amnesie, o semplicemente in affermazioni false, o in proposizioni false e/o ingiustificate da chi le proferisce, è un fatto che ha un valore scientifico, perché i diversi concetti si applicano a diverse sindromi, e un valore filosofico perché questi concetti risultano proficuamente analizzabili da tre diverse prospettive che fanno rispettivamente capo alla filosofia della mente, alla pragmatica del linguaggio e all'epistemologia. Volendo precisare uno tra i tanti meriti di Hirstein, lo identifico nella capacità di sottolineare l'importanza di sapere che non sappiamo, senza ricorrere alle tradizionali modalità di stampo socratico, per presentarci piuttosto concreti esempi neurologici tratti da casi patologici e "normali". In questo modo ci viene tra l'altro offerta la chiara dimostrazione meta-teorica di come la collaborazione tra filosofia e neuroscienze possa risultare proficua. Rimane però il fondato sospetto che le due discipline debbano ancora incontrarsi per rendere sul serio conto sia dei benefici, sia degli effetti paralizzanti della mancanza di conoscenza. | |||||
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