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La facciata
Il percorso espositivo inizia già qui, con La serie
di Fibonacci (2002) installazione al neon di
Mario Merz,
Fibonacci suite (2002) e con Magenta (2009) un nuovo
lavoro di Herbert Hamak.
Dal piano terra al primo piano
Il Cosmico
Stelle,
galassie e nebulose sono dati scientifici ma offrono anche
informazioni sull’infinità del cosmo. Al piano terra e lungo il
percorso che porta al primo piano sono esposte opere che in vario modo
si riferiscono al cosmo nella sua solenne immensità. Tra esse,
Weisses Phantom (1995) di Guenther Uecker, realizzato a colpi
d’unghie senza disegno preparatorio, lavorando in progressione
concentrica con ritmo rapido. L’assenza dell’artista , il suo essere
“oltre” si percepiscono invece in Enmaten (1983) di Kazuo
Shiraga e Glow (2009) di Anish Kapoor, in cui ogni riferimento
al processo creativo sembra essersi dissolto. Al centro della sala, è
esposta una serie di sette sculture Concetto Spaziale Natura
di Lucio Fontana, parzialmente ispirate dal pensiero dell’ “atroce
inquietante silenzio” che attende l’uomo nello spazio, e dal bisogno
di lasciare un segno vivo della presenza dell’artista . Anche la serie
Sterne
(1989) di Thomas Ruff segue questa idea. In fondo alla sala è esposta
una nuova versione di Sea of Time di Tatsuo Miyajima (2009)
specificamente realizzata per In-finitum , terza versione di
un’installazione presentata alla Biennale di Venezia del 1987. La
vastità sconfinata del mare sempre cangiante da un lato, e la
dimensione infinita della numerazione sono il significato di questo
lavoro in cui corpi luminosi colorati e contatori a LED fluttuano
nell’acqua. . Sulla sinistra, in un’infilata di stanze aperte al
pubblico per la prima volta in quest’occasione, sono esposti, tra
l’altro,
Stella Tesla
(2007) di Gilberto Zorio, il video Rosso di Grazia Toderi
(2007), un altro video di Maria Friberg e , in una picola corte
scoperta, un’ installazione del belga Erik Dhont, celebre architetto
di paesaggi e di giardini, che per In-finitum ha creato Form
Meets Nature, un micro paesaggio con volumi geometrici di
terracotta, marmo, vetro di Murano e cotisso sui quali, col tempo,
la vegetazione è destinata a prendere il sopravvento.
All destra dell’ingresso, la piccola
sala che conduce al mezzanino ospita Journey into Infinity
(2009) di Angel Vergara e The Human Condition (1969) di Duane
Michals, una serie di sei immagini in cui una figura umana
gradualmente si trasforma in raggio di luce.
Il piano nobile con il salone centrale
(lo Studio di Fortuny) e le altre stanze come “cappelle laterali”
Il Salone centrale
L’Opera d’arte incompiuta
Un’opera d’arte può restare incompiuta
per cause di ordine pratico , o intellettuali o filosofiche: si
possono avere opere “consapevolmente incompiute” come accade, ad
esempio, anche nei grandi del Rinascimento italiano, Michelangelo,
Leonardo e Tiziano.
La mostra presenta varie incompiute tra
cui Unfinished Portrait of a Noble Lady (Lady Emma Hamilton)
(c. 1785-86) di George Romney; The Picking of Fruits (1946)
di Pierre Bonnard, Ai pittori di insegne (1964) di Mario
Schifano e Ghost II (2008) di Michael Borremans, proposte in un
silenzioso dialogo con una selezione di sulture dell’antico Egitto.
l’Infinito nella costruzione
prospettica
L’illusione dell’infinito attraverso la
costruzione prospettica è un’invenzione della Firenze del
Quattrocento. Si riconducono a questo tema, in mostra, le stampe di
M.C. Escher, L’interno di chiesa di Dirk Van Delen
(1629); le Carceri d’invenzione di Giovanni Battistta Piranesi
(c. 1745-61); e, ispirata a quest’opera, la fotografia di di Vik Muniz
Prisons XIII, the Well, after Piranesi.. Trova posto qui anche una
metafisica Piazza d’Italia di Giorgio de Chirico.
Lo spazio-in-mezzo, MA
L’esistenza del grande vuoto interiore
– presente nelle opera del gruppo Zero e nel movimento Gutai così
come negli americani Color Field painting e Action painting – ha un
parallelo nel concetto giapponese di MA , traducibile come lo
spazio-tempo “in mezzo”, cui è dedicata l’ultima parte del salone
centrale: qui, MA è presente nei lavori Concetto Spaziale
di Fontana, ove l’artista crea “lo spazio infinito” attraverso lo
squarcio delle tele. MA è anche il modo in cui, nella natura
morta del Maestro di Hartford (c. 1600-1610) sulla parete di fondo, la
frutta pare interagire con un campo magnetico. Allo stesso modo, la
Natura Morta (1958) di Morandi pare un microcosmo assoluto, sospeso
nello spazio e nel tempo. Rests (2007) di Raoul De Keyser
oscilla tra la superficie e la profondità, alludendo a finti spazi che
sembrano buchi.
Le “cappelle laterali”
James Turrell, Red Shift, 1995, re
installato nel 2007 per Artempo e da allora in situ
James
Turrell investiga gli effetti della luce e dello spazio sulla
percezione visiva, sulla mente e sul corpo con la forza di un
risveglio spirituale, ponendo lo spettatore al centro di un’esperienza
senza tempo e oltre lo spazio. Red Shift fa parte di una
serie di opere che interagiscono direttamente con la percezione visiva
e sensoriale dello spazio attraverso il fenomeno del “ganzfeld,”
ovvero “campo uniforme” in cui profondità, superficie, colore e
luminosità diventano un tutt’uno, provocando un’esperienza
sconcertante di luce
pura senza confini.
La Stanza Nera
Verso la
fine degli anni Cinquanta, Jef Verheyen scopre il saggio di Paul
Klee “Produire du noir” la cui immediata e durevole fascinazione sarà
decisive per gli sviluppi del suo lavoro. In particolare una semplice
frase del diario di Klimt lo folgora: “Schwarz darstellen”
(“rappresentare il nero”). Proprio l’obiettivo di creare questa
“stanza nera” diventa un argomento di rilevo nei dialoghi tra
Dominique Stroobant e Max Bill e tra Jef Verheyen e Axel Vervoordt,
così come era stato un tema degli scritti di Burri e dello stesso
Mariano Fortuny . In questo contesto In-finitum presenta un
capolavoro: Fine di Dio di Lucio Fontana (1963), della serie
dei 38 oli ovali, forati e monocromi nei quali il mistero fondamentale
del cosmo è evocato attraverso un’immagine olistica che tenta di
esprimere il tutto, il principio e la fine dell’universo,
l’esistenza nella sua immense interezza. Col suo acuto senso del
vuoto, dell’eterno e del moto perpetuo tra spazio e materia,
Fine di Dio
è terrificante e ipnotico. In mostra, è affiancato da due dipinti
neri di Ad Reinhardt, Abstract Work (1959) di cui Allen Watts
ha scritto “Ciò che è forma è vuoto, ciò che è vuoto è forma …
Studiare un dipinto nero di Ad Reinhardt è un percorso simile a una
meditazione Zen …” . Un forte contrappunto è dato da Zwart Licht
(1961-62) di Jef Verheyen, sulla parete opposta.
Giulio Paolini, In-fine (2009)
Il lavoro di Giulio Paolini è sempre
stato caratterizzato da uno spirito intrinsecamente labirintico. Ci si
perde nelle sue iterazioni, nella vuota vertigine di un punto che si
smarrisce nell’infinito, nel gioco concettuale di specchi, nelle
stanze senza fine dei musei e della memoria e nell’immaginario legame
tra il sè e il cosmo. L’infinito e il labirinto sono al centro della
sua ossessione artistica (Francesco Poli).
L’anticamera di Fortuny senior
Il pezzo centrale di questo spazio è
Bodies of Light (2006) di Bill Viola, video installazione in cui
una figura maschile e una femminile vengono illuminate da una vivida
luce che le fa lentamente dissolvere fino a ridurlea silhouette nere.
Anche queste scompaiono e sullo schermo, totalmente nero, resta solo
l’essenziale luminosità della sfera di luce. É qui esposto anche
For Allegra (2009, dagherrotipo di Adam Fuss realizzato
espressamente per In-finitum e basato su tre negativi
(incompiuti) del Taj Mahal di John Murray del 1864. Le vetrine alle
pareti, che normalmente espongono tessili di Fortuny ospitano
delicate opere di Graubner, de Keyser, Lo Savio e Vedova, mentre
l’atmosfera di quiete spirituale di questa stanza è sottolineata
anche da una selezione di pietre scolpite cinesi e da un gruppo di
dipinti incompiuti di Mariano Fortuny y Marsal (il padre di Fortuny).
Sopra le vetrine, la serie Itinéraire d’une toile inachevée. Le
blanc et l’infini, sette fotografie del francese Lziz Hamani.
Il sacrario
Dall’altro lato del piano nobile, una piccola, intima
sala dall’atmosfera quasi sacra, espone a parete l’etereo e
impalpabile Urbino. L’Espace ideal (1978) di Jef
Verheyen, profondamente emozionante e suggestivo, cui si affianca la
graziosa , esile Dame de Venise (1956) di Alberto Giacometti.
Il secondo piano
Il Monocromo
Il monocromo, ovvero il desiderio,
l’esigenza interiore di oltrepassare i limiti e raggiungere ciò che
continuamente ci sfugge Al secondo piano è esposto un gruppo di
queste opere di grande potenza, tra cui Blue Sky (1975) di
Alfred Hofkunst, ispirato dal mare; Brasilië (1968) di Jef
Verheyen dai toni vividi del rosa e Abdhee (2006) dell’indiano
Natvar Bhavsar. Al centro della stanza, una vetrina bifacciale ospita
un gruppo di sei Linee finite e due Linee infinite di
Piero Manzoni, parte della serie Linea iniziata nel 1959 e
composta di cilindri di cartone con linee di diverso spessore.
Il Vuoto
Di particolare fascino il Modello di
architettura visionaria di Hans Op de Beeck giustapposto al
Modello per il Monumento funebre di Tiziano in terracotta e legno
di Antonio Canova (c. 1791) e a Uvalde,Tx di Koen Van den
Broek. Questo insieme promana una serenità che si potrebbe
sintetizzare nella parola giapponese KU, traducibile come
anelito o avvicinamento a una sensazione celestiale e al tempo stesso
come senso di appartenenza o compartecipazione al vuoto, all’universo.
Le altre opere qui esposte, di quieta
purezza minimalista, comprendono sculture di Ettore Spalletti, una
fotografia di Bien-U-Bae e Seascape (2002) di Hiroshi Sugimoto.
L’attico
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Al
centro della grande sala circondata di finestre con una strepitosa
vista su Venezia, Tatsuro Miki e Axel Vervoordt hanno creato un
Santuario del Silenzio, spazio chiuso realizzato con oggetti
di recupero dipinti col fango della laguna, pervaso dallo
spirito Wabi, che trova la bellezza in luoghi e cose
apparentemente insignificanti e che rispetta la natura delle cose
“così come sono”. In linea con la tradizione architettonica
giapponese, questo spazio include una sorta di alcova simbolica e
sacra, to-ko-no-Ma, che normalmente si trova nei più profondi
recessi di una casa.. Nel to-ko-no-Ma di In-finitum sono
tre vasi in argilla di un autore sconosciuto del periodo Muromachi
(1331-1573), di grande modestia e semplicità, oltre a La Vie
sans l’homme (1960) di Dubuffet e a un dipinto graffiato di
Saburo Murakami del 1957. Le stanze intorno all’alcova sacra sono
dedicate a opere di maestri come Kichizaemon XV Raku – l’attuale
capo della famiglia che, dal XVI secolo, produce le celebri teiere
nere Raku a Kyoto– di cui sono in mostra due splendidi esemplari
Yakinuki (2007). Sono qui esposti anche Untitled (Gray,
Gray on Red) (1968) di Mark Rothko e opere di Picasso,
Fontana, Shiraga e Mirò. All’esterno del padiglione, una sorta di
pedana ospita vasi incompiuti di Shiro Tsujimura e una serie di
opere di un artista Gutai di terza generazione, Sadaharu Horio, di
cui sono previste anche, nella settimana inaugurale, alcune
performance. Di particolare impatto, su questo piano, anche
Superabundant Atmosphere (2005) di Hashimoto, rifatta per
In-finitum. Consiste di circa 4000 aquiloni in miniatura di
seta e bamboo, e dialoga armoniosamente con la struttura
architettonica dell’attico.
In fondo alla stanza, tra le
finestre, è l’installazione Untitled di Jannis Kounellis,
creata nel1967-68 e riprodotta dall’artista espressamente per
In-finitum. Il video Havana (2007) di Kimsooja e
Musicale (1972) di Takis sono le presenze silenziose ma forti
intorno al padiglione centrale. |
GLI ARTISTI IN
MOSTRA |
Molti sono gli artisti che si sono
misurati con il tema dell’infinito, interpretandolo secondo
concetti e rappresentazioni proprie della cultura di appartenenza.
In mostra saranno presenti opere di
Giovanni Anselmo, Bien-U Bae,
Joseph Beuys, Natvar Bhasvar, Domenico Bianchi, William Blake,
Alighieri Boetti, Otto Boll, Pierre Bonnard, Michaël Borremans,
Peter Buggenhout, Alberto Burri, John Cage, Alexander Calder,
Pierpaolo Calzolari, Antonio Canova, Paul Cézanne, Thomas Sidney
Cooper, Gonzales Coques, Berlinde De Bruyckere, Giorgio De
Chirico, Raoul De Keyser, Anthonie De Lorme, Mario De Luigi,
Tacita Dean, Marco Del Re, Eugène Delacroix, Maurizio Donzelli,
Jean Dubuffet, Marcel Duchamp, Marlène Dumas, Ray & Charles Eames,
Maurits Cornelis Escher, Francesco Ferrucci del Tadda, Fischli &
Weiss, Lucio Fontana, Mariano Fortuny, Maria Friberg, Adam Fuss,
Giuseppe Gabellone, Gérard Gasiorowski, John Gerrard, Peter
Gertner, Alberto Giacometti, Hermann Goepfert, Gotthard Graubner,
Herbert Hamak, Jacob Hashimoto, Francesco Hayez, Alfred Hofkunst,
Sadaharu Horio, Thomas Houseago, Victor Hugo, Donald Judd, Anish
Kapoor, Anselm Kiefer, Kimsooja, Ivan Kliun, Joseph Kosuth,
Jannis Kounellis, Alfred Kubin, Mitsuko Kuebli, Akiko Kuroda,
Josef Lange, Charles Le Brun, Leonardi Leoncillo, Osvaldo Licini,
Francesco Lo Savio,
Heinz Mack, Kasimir Malevitch,
Piero Manzoni, Fausto Melotti, Mario Merz, Duane Michals, Juan
Miró, Tatsuo Miyajima, Jacques Monory, Giorgio Morandi, Matia
Moreni, Vik Muniz, Saburo Murakami, Zoran Music, Louise Nevelson,
Thomas Newberry, Renato Nicolodi, Isamu Noguchi, Hans Op de Beeck,
Roman Opalka, Pelagio Palagi, Giulio Paolini, Henk Peeters, Pablo
Picasso, Otto Piene, Giovanni Battista Piranesi, Fabrizio Plessi,
Cai Guo Qiang, Kurt Ralske, Ad Reinhardt, Guido Reni, Gerhard
Richter, Auguste Rodin, George Romney, Mark Rothko, Thomas Ruff,
Robert Ryman, Mario Schifano, Jan Schoonhoven, Sean Scully, Shizo
Shimamoto, Kazuo Shiraga, David Simpson, Ettore Spalletti,
Dominique Stroobant, Vassilikis Takis, Antoni Tapies, Diana Thater,
Grazia Toderi, Shiro Tsujimura, James Turrell, Gunther Uecker, Lee
Ufan, Dirk Van Delen, Koen Van den Broek, Pieter Van der Stock,
Jan van der Vucht, Dirk Vander Eecken, Emilio Vedova, Angel
Vergara, Jef Verheyen, Alberto Viani, Jean Villon, Bill Viola, Rik
Wouters, Masaaki Yamada, Jiro Yoshihara, Gilberto Zorio,
ma molteplici, quasi infiniti,
saranno gli stimoli, gli accostamenti, le interazioni con esiti
diversi del pensiero e del fare artistico di tutti i tempi e i
continenti.
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LA MUSICA
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Le idee e i concetti che hanno
condotto a In-finitum sono stati anche fonte di
ispirazione per la musicista e compositrice belga Mireille
Cappelle. Per Artempo aveva composto Anello, per
Academia Naga e, per In-finitum, Sunyata.
Sulla sua opera l’autrice commenta: “Le architetture sonore
possono sistere in spazi che vibrino con loro.Sono una riflessione
uditiva di tutto ciò che è presente. Ogni visitatore che percorre
questi spazi ne diviene parte, con il suo respiro, la sua voce, i
suoi passi …” Un cofanetto con le musiche delle le tre mostre è
disponibile a Palazzo Fortuny.
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