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 Psicoanalisi applicata alla Medicina, Pedagogia, Sociologia, Letteratura ed Arte  

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  "IN-FINITUM". Mostra a Palazzo Fortuny a Venezia

 

 

 

   Foto: Bill Viola, "Bodies of Light", installazione, 2006.

 

 

 

If the doors to perception were cleansed,

Then everything would appear to man as it is –

Infinite.”

William Blake (1757 – 1827)

Venezia, Palazzo Fortuny, 6 giugno-15 novembre 2009.

La Fondazione Musei Civici di Venezia e la Vervoordt Foundation presentano a Palazzo Fortuny In-finitum, una mostra che  esplora la categoria dell’Infinito nelle sue diverse accezioni, dal non-finito, all’illimitato, all’incompiuto. In-finitum completa e conclude lo straordinario ciclo espositivo ideato da Axel Vervoordt, iniziato  a Venezia, a Palazzo Fortuny  nel 2007 con Artempo: Where time becomes art  e  proseguito nel 2008 a Parigi con Academia: Qui es-tu? .Di nuovo a  Palazzo Fortuny, In-finitum presenta oltre 300 opere, da pezzi archeologici a dipinti di antichi maestri , fino a opere moderne e contemporanee e a installazioni, alcune create espressamente per questa occasione.

A cura di Axel Vervoordt, Daniela Ferretti, Giandomenico Romanelli e Francesco Poli. CatalogoMER Paper Kunsthalle, Ghent (in collaborazione con Skira per la distribuzione in Italia) a cura di Axel Vervoordt, , con saggi di Francesco Poli, Giandomenico Romanelli, Eddi De Wolf, Norbert Jocks e un dialogo tra Axel Vervoordt e Tatsuro Miki

 

 

“[all’ingresso dello studio di Noguchi] Una tranquillità , una possente armonia e silenzio penetrarono in noi. Nel suo studio,  …Noguchi aveva creato un paesaggio unico, e nella sua area limitata era riuscito a creare un spazio senza confini. Molte delle sue sculture in pietra erano state lasciate incompiute, alcune sembravano esser state appena toccate; là, sia le opere della natura che il lavoro dell’uomo sono come sospese in un qualche stato indefinito… è qui che è nata l’idea di  In-finitum. L’infinito che appare nell’incompiuto”(Axel Vervoordt, conversando con  Tatsuro Miki).

 

 In-finitum  è un percorso, un viaggio che si snoda lungo i quattro piani di Palazzo Fortuny (l’ultimo dei qauli recuperato e aperto al pubblico per la prima volta in quest’ocasione) e che coinvolge la mente e l’anima con levità. In mostra momenti di introspezione e di confronto con se stessi si alternano con un forte senso di appartenenza  e partecipazione  e con una  prevalente percezione di serenità e pace, soprattutto dopo aver conquistato, salendo lentamente le scale, l’ultimo piano e la fine del percorso. Qui, poco a poco, si palesa un’area espositiva straordinaria, un “Santuario del Silenzio” nell’abbraccio di una vista a 360° su Venezia. È un vero e proprio arrivo al “punto fermo nel mondo che gira,” (T.S. Eliot) , in cui si raggiunge un senso di liberazione e redenzione, sentendosi a proprio agio col mondo. Ma la fine contiene anche un nuovo inizio, e così, rifacendo il percorso in senso inverso, si raggiunge di nuovo l’ingresso .In-finitum ad infinitum. “Nel mio principio è la mia fine” (T.S. Eliot).

 

In-finitum si struttura intorno a una serie di temi e concetti che evocano per metafore e approssimazioni di significati il senso dell’infinito, altrimenti inafferrabile : il Cosmico, L’opera d’arte incompiuta, l’Infinito nella costruzione prospettica,  lo Spazio-in-mezzo (il concetto giapponese di MA); la Stanza Nera, il Monocromo, il Vuoto (in giapponese KU).  Le opere in mostra provengono da tutti i continenti e da epoche diverse: grandi maestri e autori anonimi; dipinti, sculture, installazioni, oggetti d’uso comune e di recupero; la sfida intellettuale e il coinvolgimento emozionale. Diversissime tra loro, hanno in comunella un impatto di intensa suggestione e l’apertura a innumerevoli possibilità di relazione e collegamento, oltre lo sguardo.

Palazzo Fortuny,  con i suoi spazi così fortemente connotati dai segni del tempo e della storia, costituisce l’habitat naturale di questa mostra, come già di Artempo. La sua struttura e atmosfera , ancora così profondamente pervase del genio creativo di Fortuny , si adattano perfettamente all’indagine sull’ignoto e l’inconoscibile che attraversa In-finitum. Palazzo Fortuny  è, del resto,  “…il labirinto. Per gli sguardi inattesi che regala e per le paure inconsce che evoca nei suoi recessi più reconditi; per la poesia che provoca e per il magmatico universo di cose che trattiene e libera…” (Giandomenico Romanelli).     

 


 

LA MOSTRA: IL PERCORSO

 

 

La facciata

 

Il percorso espositivo inizia già qui, con La serie di Fibonacci (2002) installazione  al neon di Mario Merz, Fibonacci suite (2002) e con  Magenta (2009) un nuovo lavoro di  Herbert Hamak.

 

Dal piano terra al primo piano

 

Il Cosmico

Stelle, galassie e nebulose sono dati scientifici ma offrono anche informazioni sull’infinità del cosmo. Al piano terra  e lungo il percorso che porta al primo piano sono esposte opere che in vario modo si riferiscono al cosmo nella sua solenne immensità. Tra esse,  Weisses Phantom (1995) di  Guenther Uecker, realizzato a colpi d’unghie senza disegno preparatorio, lavorando  in progressione concentrica con ritmo rapido. L’assenza dell’artista , il suo essere “oltre” si percepiscono invece in   Enmaten (1983) di Kazuo Shiraga e Glow (2009) di Anish Kapoor, in cui ogni riferimento al processo creativo sembra essersi dissolto. Al centro della sala, è esposta una serie di sette sculture Concetto Spaziale Natura di Lucio Fontana, parzialmente ispirate dal pensiero dell’ “atroce inquietante silenzio” che attende  l’uomo nello spazio, e dal bisogno  di lasciare un segno vivo della presenza dell’artista . Anche la serie Sterne  (1989) di Thomas Ruff segue questa idea. In fondo alla sala  è esposta una nuova versione di Sea of Time di Tatsuo Miyajima (2009) specificamente realizzata per  In-finitum , terza versione di un’installazione presentata alla Biennale di Venezia del 1987. La vastità sconfinata del mare sempre cangiante  da un lato, e la dimensione infinita della numerazione sono il significato di questo lavoro in cui corpi luminosi colorati e contatori a LED  fluttuano nell’acqua. . Sulla sinistra, in un’infilata  di stanze aperte al pubblico per la prima volta in quest’occasione, sono esposti, tra l’altro, Stella Tesla (2007) di Gilberto Zorio, il video Rosso di Grazia Toderi (2007), un altro video di Maria Friberg e , in una picola corte scoperta, un’ installazione  del belga  Erik Dhont, celebre architetto di paesaggi e di giardini, che per In-finitum ha creato Form Meets Nature, un micro paesaggio con volumi geometrici di terracotta, marmo, vetro di Murano e cotisso  sui quali, col tempo,  la vegetazione è destinata a prendere il sopravvento.

All destra dell’ingresso, la piccola sala  che conduce al mezzanino ospita Journey into Infinity (2009) di Angel Vergara e The Human Condition (1969) di Duane Michals, una serie di sei immagini in cui una figura umana gradualmente si trasforma in raggio di luce. 

 

Il piano nobile con il salone centrale (lo Studio di Fortuny) e le altre  stanze come  “cappelle laterali”

 

Il Salone centrale

 

L’Opera d’arte incompiuta

Un’opera d’arte può restare incompiuta per cause di ordine pratico , o   intellettuali o filosofiche: si possono  avere opere  “consapevolmente incompiute”  come accade, ad esempio, anche nei  grandi del  Rinascimento italiano, Michelangelo, Leonardo e Tiziano.

La mostra presenta varie incompiute tra cui  Unfinished Portrait of a Noble Lady (Lady Emma Hamilton) (c. 1785-86)  di  George Romney; The Picking of Fruits (1946) di Pierre Bonnard, Ai pittori di insegne (1964) di Mario Schifano e Ghost II (2008) di Michael Borremans, proposte in un silenzioso dialogo con una selezione di sulture dell’antico Egitto.

 

l’Infinito nella costruzione prospettica

L’illusione dell’infinito attraverso la costruzione prospettica è un’invenzione della Firenze del Quattrocento. Si riconducono a questo tema, in mostra, le stampe di  M.C. Escher, L’interno di chiesa di Dirk Van Delen (1629); le Carceri d’invenzione di Giovanni Battistta Piranesi (c. 1745-61); e, ispirata a quest’opera, la fotografia di di Vik Muniz Prisons XIII, the Well, after Piranesi.. Trova posto qui anche una metafisica Piazza d’Italia di Giorgio de Chirico.

 

 

 

 

Lo spazio-in-mezzo, MA

L’esistenza del grande vuoto interiore – presente nelle opera del gruppo Zero e nel movimento  Gutai così come negli americani  Color Field painting e Action painting – ha un parallelo nel concetto giapponese di MA , traducibile come lo spazio-tempo “in mezzo”, cui è dedicata l’ultima parte del salone centrale: qui, MA è presente nei  lavori  Concetto Spaziale di Fontana, ove l’artista crea “lo spazio infinito” attraverso lo squarcio delle tele. MA è anche  il modo in cui, nella natura morta del Maestro di Hartford (c. 1600-1610) sulla parete di fondo, la frutta pare interagire con un campo magnetico. Allo stesso modo, la Natura Morta (1958) di Morandi pare un microcosmo assoluto, sospeso nello spazio e nel tempo. Rests (2007) di Raoul De Keyser oscilla tra la superficie e la profondità, alludendo a finti spazi che sembrano buchi.

 

Le “cappelle laterali”

James Turrell, Red Shift, 1995, re installato nel 2007 per Artempo e da allora in situ

James Turrell investiga gli effetti della  luce e dello spazio sulla percezione visiva, sulla mente e sul corpo con la forza di un risveglio spirituale, ponendo lo spettatore al centro di un’esperienza senza tempo  e oltre lo spazio. Red Shift  fa parte di una serie di opere che interagiscono direttamente con la percezione visiva e sensoriale dello spazio attraverso il  fenomeno del “ganzfeld,” ovvero “campo uniforme” in cui profondità, superficie, colore e luminosità diventano un tutt’uno, provocando un’esperienza  sconcertante di luce pura senza confini.

 

La Stanza Nera

Verso la fine degli anni Cinquanta,  Jef Verheyen scopre il saggio di  Paul Klee “Produire du noir”  la cui immediata e durevole fascinazione sarà decisive per gli sviluppi del suo lavoro. In particolare una semplice frase del diario di Klimt lo folgora: “Schwarz darstellen” (“rappresentare il nero”). Proprio  l’obiettivo di creare questa “stanza nera” diventa un argomento di rilevo nei dialoghi tra Dominique Stroobant e Max Bill e tra  Jef Verheyen e Axel Vervoordt, così come era stato un tema degli scritti di Burri e dello stesso Mariano Fortuny . In questo contesto In-finitum presenta un capolavoro: Fine di Dio di Lucio Fontana (1963), della serie dei 38 oli ovali, forati e monocromi nei quali il mistero fondamentale del cosmo è evocato attraverso un’immagine olistica che tenta di esprimere il tutto, il principio e la fine dell’universo, l’esistenza nella sua immense interezza. Col suo acuto senso del vuoto, dell’eterno e del moto perpetuo tra spazio e materia, Fine di Dio è terrificante e  ipnotico. In mostra, è affiancato da  due dipinti neri di  Ad Reinhardt, Abstract Work (1959) di cui Allen Watts ha scritto “Ciò che è forma è vuoto, ciò che è vuoto è forma … Studiare un dipinto nero di Ad Reinhardt è un percorso simile a una meditazione Zen …” . Un forte  contrappunto è dato da  Zwart Licht  (1961-62) di Jef Verheyen, sulla parete opposta.

 

Giulio Paolini, In-fine (2009)

Il lavoro di Giulio Paolini è sempre stato caratterizzato da uno spirito intrinsecamente labirintico. Ci si perde nelle sue iterazioni, nella vuota vertigine di un punto che si smarrisce nell’infinito, nel gioco concettuale di specchi, nelle stanze senza fine dei musei e della memoria  e nell’immaginario legame tra il sè e il cosmo. L’infinito e il labirinto sono al centro della sua ossessione artistica (Francesco Poli).

 

L’anticamera di Fortuny senior

Il pezzo centrale di questo spazio è Bodies of Light (2006) di Bill Viola, video installazione in cui  una figura maschile e una femminile vengono illuminate  da una vivida luce che le fa lentamente dissolvere fino a ridurlea silhouette nere. Anche queste scompaiono e sullo schermo, totalmente nero, resta solo l’essenziale luminosità della sfera di luce.  É qui esposto anche  For Allegra (2009, dagherrotipo di Adam Fuss realizzato espressamente per In-finitum  e basato su tre negativi (incompiuti) del Taj Mahal di John Murray del 1864. Le vetrine alle pareti, che normalmente espongono tessili di Fortuny  ospitano delicate opere di Graubner, de Keyser, Lo Savio e Vedova, mentre l’atmosfera di quiete spirituale di questa stanza è sottolineata  anche da una selezione di pietre scolpite cinesi e da un gruppo di dipinti incompiuti di Mariano Fortuny y Marsal (il padre di Fortuny). Sopra le vetrine, la serie Itinéraire d’une toile inachevée. Le blanc et l’infini, sette fotografie  del francese  Lziz Hamani.

 

Il sacrario

Dall’altro lato del piano nobile, una piccola, intima sala dall’atmosfera quasi sacra, espone a parete  l’etereo e impalpabile Urbino. L’Espace ideal (1978) di Jef Verheyen, profondamente emozionante e suggestivo, cui si affianca la graziosa , esile Dame de Venise (1956) di Alberto Giacometti.

 


 

Il secondo piano

 

Il  Monocromo

Il monocromo, ovvero il desiderio, l’esigenza interiore di oltrepassare i limiti e raggiungere ciò che continuamente ci sfugge  Al secondo piano  è esposto un gruppo di queste opere  di grande potenza, tra cui Blue Sky (1975) di Alfred Hofkunst, ispirato dal mare;  Brasilië (1968)  di Jef Verheyen dai toni vividi del rosa e  Abdhee (2006) dell’indiano Natvar Bhavsar. Al centro della stanza, una vetrina bifacciale ospita un gruppo di sei  Linee finite  e due Linee infinite di Piero Manzoni, parte della serie  Linea iniziata nel 1959 e composta di cilindri di cartone  con linee di diverso spessore.

 

Il Vuoto

Di particolare fascino il Modello di architettura visionaria di Hans Op de Beeck giustapposto al Modello per il Monumento funebre di Tiziano in terracotta e legno di Antonio Canova  (c. 1791) e a  Uvalde,Tx  di Koen Van den Broek.  Questo insieme promana una serenità che si potrebbe sintetizzare nella parola giapponese KU, traducibile come anelito o avvicinamento a una sensazione celestiale e al tempo stesso  come senso di appartenenza o compartecipazione al vuoto, all’universo.

 

Le altre opere qui esposte, di quieta purezza minimalista, comprendono sculture di Ettore Spalletti, una fotografia di Bien-U-Bae e Seascape (2002) di Hiroshi Sugimoto.

 

          

 

                    

 

L’attico

 

 Al centro della grande sala circondata di finestre con una strepitosa vista su Venezia, Tatsuro Miki e Axel Vervoordt hanno creato un Santuario del Silenzio, spazio chiuso realizzato con oggetti di recupero dipinti col fango della laguna,  pervaso dallo  spirito Wabi, che trova la bellezza in luoghi e cose apparentemente insignificanti  e che rispetta la natura delle cose “così come sono”.  In linea con la tradizione architettonica giapponese, questo spazio include una sorta di alcova  simbolica e sacra, to-ko-no-Ma, che normalmente si trova nei più profondi recessi di una casa.. Nel to-ko-no-Ma di In-finitum sono tre vasi in argilla di un autore sconosciuto del periodo Muromachi (1331-1573), di grande modestia e semplicità, oltre a  La Vie sans l’homme (1960) di Dubuffet e a un dipinto graffiato  di Saburo Murakami del 1957. Le stanze intorno all’alcova sacra sono dedicate a opere di maestri come Kichizaemon XV Raku – l’attuale capo della famiglia che, dal XVI secolo, produce le celebri teiere nere Raku a Kyoto–  di cui sono in mostra due splendidi esemplari Yakinuki (2007). Sono qui esposti anche Untitled (Gray, Gray on Red) (1968) di Mark Rothko e opere di Picasso, Fontana, Shiraga e Mirò. All’esterno del padiglione, una  sorta di pedana ospita vasi incompiuti di Shiro Tsujimura e una serie di opere di un artista Gutai di terza generazione, Sadaharu Horio, di cui sono previste anche, nella settimana inaugurale, alcune performance. Di particolare impatto, su questo piano, anche  Superabundant Atmosphere (2005) di  Hashimoto, rifatta per In-finitum. Consiste di circa 4000 aquiloni in miniatura di seta e bamboo, e dialoga armoniosamente con la struttura architettonica dell’attico.

In fondo alla stanza, tra le finestre, è l’installazione  Untitled  di Jannis Kounellis, creata nel1967-68 e riprodotta dall’artista espressamente per  In-finitum. Il video Havana (2007) di Kimsooja e  Musicale (1972) di Takis sono le presenze silenziose ma forti intorno al padiglione centrale.

GLI ARTISTI IN MOSTRA

 

 

Molti sono gli artisti che si sono misurati con il tema dell’infinito,  interpretandolo secondo concetti e rappresentazioni proprie della cultura di appartenenza. In mostra saranno presenti opere di

 

Giovanni Anselmo, Bien-U Bae, Joseph Beuys, Natvar Bhasvar, Domenico Bianchi,  William Blake, Alighieri Boetti, Otto Boll, Pierre Bonnard, Michaël Borremans, Peter Buggenhout, Alberto Burri, John Cage, Alexander Calder, Pierpaolo Calzolari, Antonio Canova, Paul Cézanne, Thomas Sidney Cooper, Gonzales Coques, Berlinde De Bruyckere, Giorgio De Chirico, Raoul De Keyser, Anthonie De Lorme, Mario De Luigi, Tacita Dean, Marco Del Re, Eugène Delacroix, Maurizio Donzelli, Jean Dubuffet, Marcel Duchamp, Marlène Dumas, Ray & Charles Eames, Maurits Cornelis Escher, Francesco Ferrucci del Tadda,  Fischli & Weiss, Lucio Fontana, Mariano Fortuny, Maria Friberg, Adam Fuss, Giuseppe Gabellone, Gérard Gasiorowski, John Gerrard, Peter Gertner, Alberto Giacometti, Hermann Goepfert, Gotthard Graubner, Herbert Hamak, Jacob Hashimoto, Francesco Hayez, Alfred Hofkunst, Sadaharu Horio, Thomas Houseago, Victor Hugo, Donald Judd, Anish Kapoor, Anselm Kiefer,  Kimsooja, Ivan Kliun, Joseph Kosuth, Jannis Kounellis, Alfred Kubin, Mitsuko Kuebli, Akiko Kuroda, Josef Lange, Charles Le Brun, Leonardi Leoncillo, Osvaldo Licini, Francesco Lo Savio,

Heinz Mack, Kasimir Malevitch, Piero Manzoni, Fausto Melotti, Mario Merz, Duane Michals, Juan Miró, Tatsuo Miyajima, Jacques Monory, Giorgio Morandi, Matia Moreni, Vik Muniz, Saburo Murakami, Zoran Music, Louise Nevelson, Thomas Newberry, Renato Nicolodi, Isamu Noguchi, Hans Op de Beeck, Roman Opalka, Pelagio Palagi, Giulio Paolini, Henk Peeters, Pablo Picasso, Otto Piene, Giovanni Battista Piranesi, Fabrizio Plessi, Cai Guo Qiang, Kurt Ralske, Ad Reinhardt, Guido Reni, Gerhard Richter, Auguste Rodin, George Romney, Mark Rothko, Thomas Ruff, Robert Ryman, Mario Schifano, Jan Schoonhoven, Sean Scully, Shizo Shimamoto, Kazuo Shiraga, David Simpson, Ettore Spalletti, Dominique Stroobant, Vassilikis Takis, Antoni Tapies, Diana Thater, Grazia Toderi, Shiro Tsujimura, James Turrell, Gunther Uecker, Lee Ufan, Dirk Van Delen, Koen Van den Broek, Pieter Van der Stock, Jan van der Vucht, Dirk Vander Eecken, Emilio Vedova, Angel Vergara, Jef Verheyen, Alberto Viani, Jean Villon, Bill Viola, Rik Wouters, Masaaki Yamada, Jiro Yoshihara, Gilberto Zorio,

 

 ma molteplici, quasi infiniti, saranno gli stimoli, gli accostamenti, le interazioni con esiti diversi del pensiero e del fare artistico  di tutti i tempi e i continenti.

 

 

LA MUSICA  

 

 

Le idee e i concetti  che hanno condotto a  In-finitum sono stati anche  fonte di ispirazione per la  musicista e compositrice belga Mireille Cappelle. Per  Artempo aveva composto Anello, per  Academia  Naga e, per  In-finitum, Sunyata. Sulla sua opera l’autrice commenta: “Le architetture sonore possono sistere in spazi che vibrino con loro.Sono una riflessione uditiva di tutto ciò che è presente. Ogni visitatore che percorre questi spazi ne diviene parte, con il suo respiro, la sua voce, i suoi passi …”  Un cofanetto con le musiche delle le tre mostre è disponibile a Palazzo Fortuny.

 

 

 

        

 

 

 

 

 

 
 

 

 

 

 
 

 

 

 

 

 

 

 

 

Responsabile Editoriale : Giuseppe Leo

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