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RECENSIONI BIBLIOGRAFICHE 

 

Recensioni bibliografiche 2003  

 

"La lezione morale di Freud" 
 Recensioni bibliografiche 2004

 

Recensioni dalla stampa 2003

 

 

 

Recensione di Alessandro Pagnini (uscita su "Il Sole-24 Ore" di Domenica 18 settembre 2005)  del libro di Jonathan Lear dal titolo <<Freud>> (ediz. Routledge, London, 2005). 
                 Rivista Frenis Zero
Sullo stesso numero del "Domenicale" si segnalava l'uscita in Francia de <<Le livre noir de la psychanalyse>> a cura di C. Meyer, Editions des Arènes, Paris, 2005.
                  Maitres à dispenser
 

 

 

 

 

Jonathan Lear è un filosofo americano noto per importanti lavori sulla logica e il problema della conoscenza in Aristotele. E' anche psicoanalista, grazie, com'egli stesso riconosce, all'incontro e alla frequentazione di Hans Loewald, un allievo diretto di Heidegger emigrato negli Stati Uniti dove si distinse tra i primi teorici e praticanti di un approccio relazionale alla psicoanalisi che riusciva a comporre, originalmente, con istanze fenomenologiche. Dagli anni Novanta, dalla pubblicazione del fortunato Love and Its Place in Nature (1990), Lear è protagonista di una lettura filosofica di Freud tra le più stimolanti e singolari, dove, accanto a una esegesi di categorie psicoanalitiche centrali, quali quelle di fantasia, desiderio, autoinganno, e "azione terapeutica", troviamo serrati confronti tra il padre della psicoanalisi e autori della tradizione filosofica classica (Platone, Aristotele, Kant, Kierkegaard, Nietzsche, Heidegger) o del dibattito filosofico angloamericano contemporaneo (Wittgenstein, Bernard Williams, Davidson, Wollheim, Conant, McDowell).

In una recente ricognizione su quanta fortuna filosofica Freud abbia avuto in Gran Bretagna negli ultimi cent'anni, Lear è stato radicale nell'affermare: none whatsoever! Non negando, con ciò, che vi siano stati filosofi che hanno contribuito a un approfondimento dei fondamenti concettuali della psicoanalisi o a una critica delle sue credenziali epistemologiche; ma lamentando che nessuno abbia incontrato "costruttivamente" Freud, e abbia utilizzato, mostrandone la necessità, concetti psicoanalitici per affrontare problemi caratteristicamente filosofici. Due sole le eccezioni rilevanti: Richard Wollheim, quando ha inteso elaborare psicoanaliticamente, per esempio, i concetti morali di vergogna e di colpa o, più indirettamente, Bernard Williams, quando ha indicato la via per un'etica non fondazionalista che abbia una sorta di <<psicologia morale naturalistica>> come punto di appoggio; una psicologia che, per mantenere quelle risorse concettuali e osservative che ogni riduzionismo biologistico e organicistico nega, tenga ferma quella "seconda natura" (quella che induce per imitazione nelle persone abitudini e disposizioni comportamentali) che è il terreno appropriato dove problematizzare il rapporto tra le ragioni morali e i valori etici, da una parte, e tutti gli altri motivi e desideri umani - una psicologia che, come suggeriva lo stesso Williams, avevano <<Tucidide e... i tragici, tra gli scrittori antichi... e, nel mondo moderno, Freud>>.

Lear, seguendo l'indicazione di Williams (ma anche di filosofi morali come Samuel Scheffler, John Cottingham e John Deigh), intenta una lettura filosofica di Freud che diventa una lunga, e piacevole, conversazione attualizzante, a partire dall'idea che se ci preme la domanda socratica <<come dobbiamo vivere?>> (più ancora della domanda ossessiva dei moderni: <<che cosa è vero?>>) e <<se vogliamo affrontare in profondità e seriamente i temi della felicità, della libertà e del valore, non dobbiamo ignorare Freud>>. Un Freud che sembra dunque rinascere all'attenzione filosofica per meriti morali (ed estetici, aggiungerebbe Rorty), dacché il consenso degli epistemologi (e degli ontologi) gli è forse definitivamente precluso.

 

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