Rivista Frenis Zero - ISSN: 2037-1853
Edizioni Frenis Zero
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E' MORTO CLAUDE LEVI-STRAUSS
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In
occasione della morte dell'illustre antropologo francese,
riportiamo la traduzione italiana dell'articolo di Philip S. Golub
"Claude Levi-Strauss, la révolution du regard",
pubblicato in francese nella rivista "Alternatives Internationales"(n.20,
gennaio 2005). Philip S. Golub è
docente in relazioni internazionali all'Università Paris VIII ed a
l'"IEP" di Parigi.
Le immagini a corredo di questo articolo sono tratte dalla mostra
"Col Tempo" di Péter Forgács in
occasione della 53.a Biennale d'Arte di Venezia.
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"CLAUDE LEVI-STRAUSS, LA RIVOLUZIONE DELLO SGUARDO"
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di
Philip S. Golub
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Lavorando sui
miti e sulle strutture inconscie delle società, Claude
Lévi-Strauss inventa un approccio in cui universalismo e
differenza non sono contraddittori. "Tristi Tropici" ha più di
cinquanta anni. E mai forse la sua lettura sarà sembrata così
necessaria. Il libro più celebre di Claude Lévi-Strauss resta in
effetti una delle risposte più magistrali ai discorsi in voga
sullo "shock delle civiltà", l'irriducibile opposizione tra
l'Islam e l'Occidente ed altre manifestazioni di un rifiuto
dell'Altro che sembrano uno dei contrassegni della nostra epoca.
Nutriti dalle guerre e dalle disparità sociali, vediamo risorgere
le rappresentazioni essenzialiste delle culture, spesso fondate su
un discorso gerarchizzante che oppone i "civilizzati" ai
"barbari", fissando l'Altro in una differenza insuperabile. Alla
razionalità ed al progresso degli uni si opporrebbero
l'irrazionalità e l'arcaismo, ossia il primitivismo degli altri.
Di fronte
a questo cupo presente, è essenziale rituffarsi nel pensiero di un
antropologo la cui opera ha rivoluzionato lo sguardo sull'alterità
culturale. Aprendo il campo scientifico all'"analisi ed
all'interpretazione delle differenze", solo oggetto autentico
dell'etnologia secondo lui, ed invitando i suoi lettori ad
apprendere l'unicità della condizione umana nella diversità, egli
ha <<metamorfosizzato in profondità la nostra cartografia
interiore, spostando il centro del nostro universo mentale ed i
confini che una società troppo sicura di sé vi aveva innalzato>>
come scrive Denis Bertholet nell'ultimo "Cahier de l'Herne"
dedicato al fondatore dell'antropologia strutturale.
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Claude Lévi-Strauss è il primo a
respingere le pratiche etnologiche che, egli scrive, <<sistemano i
popoli studiati entro categorie separate dalla nostra, mettendole
il più vicino possibile alla natura, come implica
l'etimologia della parola selvaggio [dal latino 'silva', 'foresta',
N.d.Traduttore.] e, in modo più esplicito, l'espressione tedesca 'Naturvölkern';
o anche al di fuori della storia quando essa li denomina primitivi
o arcaici, cosa che è un altro modo rifiutare loro un
attributo costitutivo della condizione umana>>. Egli ricusa allo
stesso tempo la nozione implicita e pregnante <<di un progresso
continuo lungo una via sulla quale l'Occidente solo avrebbe
bruciato le tappe>>. Poiché, agli occhi di Claude Lévi-Strauss, che
l'esprime in "Race et Histoire" del 1952, e poi in "Il
pensiero selvaggio" dieci anni più tardi, le modalità di pensiero
delle società dette "primitive" non si distinguono per il loro
grado di razionalità, essendo il pensiero selvaggio - espressione
che egli utilizza per descrivere il pensiero allo stato "brut", "naturale" -
"logico, nello stesso senso e allo stesso modo del nostro". Il suo
esame della magia e del mito rovescia le prospettive: allorquando
l'universalismo occidentale era fino ad allora sotteso dall'idea
del progresso lineare (si veda tra gli altri Montesquieu, Hegel,
Marx, Weber, Durkheim, ecc.), ecco che appariva un altro
universalismo che affermava che esistono delle leggi dell'attività
mentale comuni a tutte le culture.
<<I miti ci fanno conoscere molto
delle società da cui provengono, essi ci aiutano ad esporre le
forze intime del loro funzionamento, chiariscono la ragion
d'essere di certe modalità di operare dello spirito umano, tanto
costanti nel corso dei secoli e tanto generalmente diffuse in
spazi immensi, che non possono non essere ritenuti fondamentali per
cercarli in altre società e in altri domini della vita mentale in
cui non si sospetterebbe che essi intervenissero>>. Agli occhi di Lévi-Strauss,
il "pensiero selvaggio" è una scienza del concreto, ed è tipico dell'antropologo il mettere sullo stesso piano la
"scienza" dei miti, propria di tutte le società, e quella del
bricolage: <<Il pensiero mitico dispone di un tesoro di immagini
accumulate dall'osservazione del mondo naturale: animali, piante
coi loro habitats, coi loro caratteri distintivi, coi loro impieghi in
una cultura determinata. Esso combina questi elementi per
costruire un senso, allo stesso modo del "bricoleur" che, messo a
confronto con un compito, utilizza i materiali per dar loro un
altro significato, diverso, se così si può dire, da quello che
aveva sin dalla sua prima destinazione>>.
Per compiere questa autentica
rivoluzione dello sguardo, l'antropologo adotta un metodo che
supera al contempo l'empirismo, che pretende di descrivere una
realtà supposta oggettiva, ed il funzionalismo (Malinowski) che
ritiene che le strutture mentali inconsce non fanno altro che
trasmettere nello spirito degli uomini certe esigenze della vita
sociale incarnate dalle istituzioni che hanno una funzione precisa
per il gruppo o per l'individuo.
A questo punto, egli sostituisce
un nuovo approccio della realtà sociale fondata su un'analisi
qualificata come "strutturale" della cultura, intesa come
l'insieme dei segni e dei sistemi simbolici che creano senso nella
vita collettiva. Questo metodo di interpretazione, che si fonda
allo stesso tempo sugli apporti della psicoanalisi e della
linguistica, postula che esiste un senso cosciente, che gli
individui o le società danno ai loro discorsi o ai loro atti
di "strutture" - o di sistemi - soggiacenti che fissano un quadro
alla loro espressione, e che si tratta di aggiornare. Claude
Lévi-Strauss cerca così di forgiare una scienza umana che
abbraccia la totalità dei fatti sociali attraverso l'espediente
della loro interpretazione in termini di logica inconscia.
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Il primato
della cultura |
Una
struttura inconscia verrà compresa attraverso l'analisi delle
relazioni tra le differenti componenti dei sistemi di
significazione studiati. Così il sistema di parentela è un
linguaggio che, proprio come i miti ed i riti, non può essere
compreso se non nelle sue componenti strutturali. Nel processo
d'analisi delle strutture inconsce, emergono delle invarianti,
ad es. la proibizione dell'incesto, che Claude Lévi-Strauss fa
uscire dall'universo determinista della biologia per
posizionarlo sul terreno della riproduzione sociale.
Contrariamente alle spiegazioni biologizzanti del tabù, Claude
Lévi-Strauss mette in evidenza il fatto che la proibizione
dell'incesto permetta lo stabilirsi di rapporti sociali tra
famiglie differenti, attraverso lo scambio matrimoniale,
creando così una rete di relazioni sociali. Così facendo,
l'antropologo non espelle il fatto biologico, essendo il
pensiero "inscritto nel corpo", ma afferma una gerarchia di
spiegazione differente:<<Le forme della cultura che gli uomini
adottano qui o là, le loro modalità di viverle così come esse
hanno prevalso nel passato o prevalgono ancora nel presente,
determinano il ritmo e l'orientamento della loro evoluzione
biologica assai più di quelle che non sono determinate
da esse>>. Al di sopra dell'ordine biologico e al di là della
razionalità conscia esiste l'ordine della cultura.
In
definitiva, come sottolinea François Dosse nella sua "Storia
dello strutturalismo", Claude Lévi-Strauss dimostra
<<l'universalità dei meccanismi del pensiero al di là delle
differenze di contenuto>>. <<L'insieme dei costumi di un
popolo forma dei sistemi>> scrive Claude Lévi-Strauss in
"Tristi Tropici". <<Sono convinto che tali sistemi non
esistono in un numero illimitato; e che le società umane non
creano mai in modo assoluto, ma si limitano a scegliere certe
combinazioni da un repertorio ideale che sarebbe possibile
ricostituire>>. Claude Lévi-Strauss sostituisce ai discorsi
gerarchizzanti sugli scarti (di razionalità e di sviluppo) tra
le culture e tra i popoli, una ricerca delle <<leggi d'ordine
invarianti attraverso le epoche e le culture>>, permettendo ai
suoi occhi di <<superare l'antinomia apparente tra l'unicità
della condizione umana e la pluralità apparentemente
inestinguibile delle forme sotto le quali noi le
comprendiamo>>.
L'approccio di Lévi-Strauss è stato al centro delle polemiche
e degli scambi intellettuali degli anni '60 e '70. Alcuni
hanno percepito nello strutturalismo un "iperrazionalismo" (Clifford
Geertz), altri, più conservatori, vi hanno visto un
relativismo culturale minaccioso (Roger Caillois). Ma resta il
fatto che, come afferma François Dosse, <<lo strutturalismo ha
permesso, in definitiva, di pensare la pluralità delle
modalità di essere e di pensare, e di affermare che tutte le
società umane sono espressioni complete dell'umanità senza un
valore gerarchico>>. |
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Bibliografia in francese:
"Tristes Tropiques", Plon, Paris 1955 et 1973.
"Anthropologie structurale", Plon, Paris, 1958 et 1974.
"La pensée sauvage", Plon, Paris, 1962.
"Le regard éloigné", Plon, Paris, 1983. Sullo
strutturalismo :
François Dosse, "Histoire du structuralisme" , La
Découverte, Paris, 1991.
Clifford Geertz, "The Interpretation of Cultures",
Basic Books, 1973.
"Lévi-Strauss", Les Cahiers de l’Herne, sotto la direzione
di Michel Izard, Paris, 2004.
Fernand Braudel, "La dynamique du capitalisme",
Arthaud, Paris, 1985.
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