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Rivista "Frenis Zero" - ISSN: 2037-1853

Edizioni "Frenis Zero"

Recensioni Bibliografiche

 

  "LOGICHE DELL'INCONSCIO?"

 

 

  di Salomon Resnik

  

 

  Il 1 aprile 2010 Salomon Resnik compirà 90 anni. Vogliamo festeggiare questo importante traguardo con la pubblicazione di questo articolo dell'illustre psicoanalista franco-argentino, che da tanti anni ha un rapporto continuativo con l'Italia, e con Venezia in particolare. Nella parte inferiore di questa pagina web potete trovare una sua scheda biografica.


 

 

Prima d’ogni sistema logico esiste il Lògos come Verbum, come sostanza in movimento o, secondo Eraclito, sostanza e causa del mondo.

Gli uomini sono ottusi nei confronti dell’essere del Lògos” dirà Eraclito.

Poi gli Stoici vedranno nella ragione il principio attivo del mondo, che anima, ordina e guida il principio passivo di esso che è la materia.

La materia irrazionale o informe è già presenza viva nell’Essere d’una potenza che in sé stessa è capace di modificare la forma, il contenuto e il ritmo della materia. Si potrebbe pensare anche a un’aritmia (senza movimento uniforme, asimmetria), o anche ad una dis-ritmia (disturbo del ritmo), che acquista senso e continuità nel tempo e nello spazio tramite un’esperienza di vita. Immagino che nell’irrazionale inconscio abiti una dynamis sicuramente ondulatoria, che, come le onde del mare e dei suoni, dispiega pluralità di ritmi. Il ritmo è la manifestazione del tempo nello spazio. Nel ritmo c’è cadenza simmetrica e pausa. La pausa è l’espressione spaziale del tempo. Il ritmo è fondamento della vita, della vita d’ogni organismo che vibra e di ogni movimento del cosmo. Penso che nell’universo come nella dimensione inconscia dell’essere ci sia una pluralità di ritmi e di sensi. Essendo il movimento e il ritmo in particolare, espressione di vita organizzata, la musa del poeta d’ogni espressione creativa è fondamentalmente musicale. Di fatto è la musica che fa onore alle muse, all’arte per eccellenza, preservando nel suo nome l’aggettivo femminile moysiké (da moysa, musa). Nel senso antico la musica non era una scienza particolare ma comprendeva tutto ciò che si riferiva alle muse, ossia ogni scienza ed arte. Quali sono i ritmi o le aritmie o le dis-ritmie del sistema inconscio? Quando ho ascoltato per la prima volta, nella mia adolescenza, la musica di Schoenberg e di Alban Berg mi sono detto – già lettore di Freud e studente in medicina e psicoanalisi – che l’inconscio viene sicuramente orchestrato così. Parlando con un musicologo gli ho chiesto la differenza tra musica dodecafonica e atonale. La prima è nata da una necessità, quella di Schoenberg ed altri che avevano bisogno di aumentare la scala tonale per contenere tanta diversità. L’atonalità non è soltanto atonia ma molteplicità creativa di toni… Pare, secondo il mio interlocutore musicologo, che nella musica moderna ci sia spesso una combinazione tra toni, atonalità e strutture dodecafoniche.

L’essere, prima di nascere (l’embrione, il feto), è già materia viva musicale, cioè movimento, ritmo, potenza vegetativa e produttiva che non sarebbe indifferente alla polifonia rumorosa del mondo circostante. Potrebbe essere che una delle prime relazioni madre bambino (già intra-uterina) sia di carattere musicale.

La dottrina del lògos-musikè come ipostasi e realizzazione nel tempo verrà formulata da Filone di Alessandria.

Plotino afferma: “il lògos che agisce sulla materia è un principio attivo naturale, non è pensiero né visione ma potenza (enérgheia), ritmo (con le sue alternative) capace di modificare la materia. Il Lògos sarebbe una potenza che non conosce (ma agisce per presenza), attua come il sigillo che imprime la sua forma, o l’oggetto che riproduce il suo riflesso ondulatorio (materno) nell’acqua”. Pochi giorni fa durante l’incontro sull’autismo ho partecipato ad un gruppo seminariale nel quale una giovane psicologa presentava il caso di un bambino che quasi non parlava, che non giocava ma che riusciva a disegnare su un foglio bianco uno scribble (scarabocchio). La persona che presenta il caso, ispirata sicuramente da Winnicott, aggiunge un proprio scribble. A questo punto ho chiesto al gruppo e alla responsabile del seminario se si poteva chiedere alla persona che presentava il caso di riprodurre alla lavagna i due scribbles. Quello del bambino si caratterizzava per la sua modalità lineare, verticale, vigorosa, e continua; il suo interlocutore, la psicologa introduceva uno scribble ondulatorio, materno e continuo. Mi pareva evidente che era necessario confrontarsi con la diversità ritmica tra il bambino e la sua osservatrice terapeuta. Era ovvio che il foglio mostrava un transfert fondato sulla diversità d’identità. In termini ritmici, come in un elettrocardiogramma o elettroencefalogramma, ciò che appariva era la diversità di forme tonali; la presenza dell’alterità relazionale nel transfert. “Il transfert comincia con la vita” dirà Melanie Klein.

Nella sua diversità concettuale Anassagora di Clazomene espresse l’opinione che esistesse una quantità infinita d’elementi primordiali, “semi delle cose”, come egli li nominava (erano anche ritmi diversi); il più fine e puro degli elementi era per lui il noos: la forza motrice e creatrice dell’universo.

Nel mio immaginario fantastico concepisco il noos primordiale come un testimone inaspettato ma presente nel caos originario, un “piccolo dio” che per presenza tacita, invisibile ma eloquente agisce sull’insieme, dettando senso e ordine. L’insieme originario sarebbe quindi già presente nel Caos primordiale. Il piccolo dio noos riesce a concepire il Caos ed è testimone di come il disordine (Caos) diventa ordine (Cosmos). La presenza del noos, per qualche “ragione”, induce un certo ritmo nel disordine, nella dis-ritmia: così sul fondo, sotto forma ondulatoria nasce l’abisso. Questo l’ho imparato quando come studente di medicina facevo analisi di laboratorio in un ospedale. Ricordo con che emozione vedevo nascere l’abisso dall’insieme quando osservavo la centrifuga che conteneva materia viva (urina) in movimento a spirale discendente: sul fondo della spirale vi era un buco in movimento. Penso così che il Caos trasformato in abisso introduca l’idea di spazio in movimento, di vita, all’interno di un contenitore o ricettacolo. Nella sapienza greca, il ricettacolo (ypodoché) è quello che contiene tutto ciò che si genera" (Timeo 49 A 5-6). Lewis Conford, nella sua geniale traduzione inglese della Repubblica, utilizza il termine chòra: lo spazio, il luogo definito dove gli elementi dell’universo sono contenuti, ricevuti. Possiamo subito osservare che il termine  chòra richiama l’idea di uno spazio interno: il ricettacolo è, infatti, il luogo che contiene, che riceve, persino che ospita, come madre nutrice.

 

Un’immagine di concavità e di rotondità proviene quindi dal paragonare il ricettacolo con una nutrice (che per metonimia si identifica col suo amorevole abbraccio) e con una madre (che fin dal neolitico è tutta intera una parte di sé: l’utero e, per analogia, la terra solcata che accoglie il seme).

 L’introduzione della nozione di ricettacolo avviene nel momento in cui Platone vuole mostrare, accanto all’azione d’intelligenza, l’azione della necessità di un contenitore primordiale. Il momento o l’istante del passaggio dall’intelligenza al sensibile (o viceversa per me) configura l’idea di continuità nel ritmo trasformativo. Platone parla di due principi fondamentali: le idee e il divenire. Quest’ultimo moderato dal noos demiurgo. Il noos, il piccolo dio, è concepito già come determinante in Platone.

Io ho sempre pensato che l’uomo interiore fosse anche abisso carnale in movimento o grotta viva. Anni fa una paziente schizofrenica, Mrs Cooper, riesce a sognare e mi racconta un sogno strano: era in un grande teatro e di fronte a lei si svolgeva una scena che le ricordava le sedute psicoanalitiche ma, veniva colpita da enorme ansietà quando, guardando giù verso la platea, scopriva che al suo posto c’era un vuoto, un abisso infinito. Questo è stato un momento molto importante perché la paziente aveva scoperto attraverso “il teatro del transfert” che aldilà del suo mondo proiettivo delirante c’era, dentro al proprio teatro interiore, uno spazio senza fondo. Io la vedo oggi come una scoperta angosciosa di un suo spazio mentale in statu nascendi. Si tratta forse di un’esperienza caotico-catastrofica in via di strutturazione, di organizzazione. La scoperta onirica della sua vita intima appare come spazio mentale senza fondo. Il sogno è un altro campo rispetto a quello del transfert relazionale con lo psicoanalista. Il sogno, segnala Freud, ha la sua propria skené: “Eine andere Schauplatz”.

Martin Heidegger, nel suo scritto I quatto stadi dell’accadere della verità (pag.45)[1], riprende il discorso della caverna in Platone cominciando con la citazione: “Immaginate di vedere degli uomini in una dimora sotterranea a forma di caverna. Il suo ingresso è in alto, rivolto al chiarore del giorno e si estende lungo tutta la caverna. In questa dimora gli uomini si trovano fin dall’infanzia, incatenati alle gambe e al collo. Per questo essi rimangono allo stesso posto e guardano a ciò che sta davanti a loro. A causa delle catene non sono in grado di girare la testa. Ma un chiarore viene loro da dietro, da un fuoco che brilla dall’alto e da lontano. Tra il fuoco e gli uomini incatenati, alle loro spalle, corre in alto una via lungo la qualche immaginate sia costruito un muretto simile agli schermi che i giocolieri erigono davanti agli spettatori, e al di sopra dei quali mostrano i loro giochi di prestigio…”. Gli incatenati vedono di fronte solo le ombre di quello che succede fuori nel mondo e che si riflette sulla parete. Ma la fantasia di uscire, di nascere, non manca. Come uscire dal buio e andare verso la luce? “Supponete che le catene vengano sciolte”, dice Platone, “e improvvisamente gli uomini possano girare il collo e elevare lo sguardo verso la luce. Tutto questo solo soffrendo, ma non sarebbero ancora in grado di vedere quelle cose di cui prima vedevano le ombre.” Questo corrisponde al secondo stadio. Nel terzo c’è l’autentica liberazione dell’uomo verso la luce originaria. Ciò che succede è autentica realtà in sé stessa o si tratta della realtà di un sogno? In questo stadio si tratta di un’uscita per me “immaginaria” alla luce del giorno dove l’uomo si sente accecato dal chiarore. “L’adattamento dello sguardo dal buio al chiaro si compie ora passando attraverso ambiti diversi. L’autentica liberazione richiede perseveranza, pazienza sufficiente a percorrere effettivamente i singoli gradi del familiarizzarsi con la luce.” Si tratta di una vera nascita, di una sveltezza, d’una rivelazione.

“Ma qual’è la connessione fra idea e luce? E innanzitutto, cosa significa idea?”, si chiede Heidegger.

“Quando si è legati al quotidiano, uno è costretto ad affidarsi a ciò che è corrente e in uso. Idea è ciò che si dà e che c’è, che si vede. Ma che tipo di vedere è quello nel quale vediamo l’idea? Vedere con gli occhi del corpo?” segnala Heidegger “ Vediamo l’ente  in quanto qualcosa che è. Io vedo la porta, con gli occhi naturalmente, non certo con le orecchie.” Vediamo la porta o facciamo la porta con gli occhi?

Come concepire l’uscita della caverna? Questo dipende dall’essere dentro o fuori da un sogno. “Udiamo suoni e rumori (musica), vediamo colori, il bagliori il brillare, lo scintillare, lo splendore, il chiaro e lo scuro. Vediamo forme spaziali e sentiamo forse il passaggio del tempo”. Ma come si capisce lo spazio venendo dall’infinito? Come si capisce il tempo venendo dall’eternità? La luce è forse legata alla libertà. La libertà propone l’angoscia ma anche la possibilità del vincolo, della relazione. Tra libertà e poter essere, tra luce ed ombra, l’idea sviluppa la sua capacità di simbolizzare e di avere progetti.

L’essenza della verità in Heidegger sarebbe la sveltezza, ma qui dipende, secondo me e secondo la mia preoccupazione per la presenza dell’Inconscio, da dove deve essere situata la porta dell’uomo interiore. Quale è la sua relazione con il profondo?

L’interpretazione del mito della caverna invita il nostro mondo immaginario a cogliere le proprie preoccupazioni ontologiche. Io, qui, mi interesso del significato metaforico del mito e della sua luce e delle sue ombre. L’occhio che vede, che ascolta, che sente, mette in atto l’inevitabile trasformazione della nostra percezione. Venire al mondo è sentirsi gettato fuori nel mondo: Geborfenheit.

 La grotta-corpo materno introduce la storia della nascita. L’avventura di nascere è sicuramente diversa in ognuno. Scoprire il cielo, la terra e l’acqua, la pluralità del paesaggio, gli oggetti animati e inanimati, è un’esperienza di svelamento e allo stesso tempo di minaccia. Il bambino non  è sempre preparato a tale rito di passaggio. Ha bisogno del rituale dell’aiuto e della comprensione; di capire anche che la vita è movimento e che l’acqua scorre e che il vento soffia. Il respiro è un atto fondamentale e forse già un’esperienza depressiva basilare: abbandonare il parassitismo intrauterino, l’ossigeno materno e introiettare e proiettare l’aria (O. Fenichel parla già di introiezione respiratoria come esperienza fondante). Ma dove nasce la fantasia e quindi la fenomenologia? L’uomo che fugge la caverna e scopre l’acqua nella secca scopre lo specchio e quindi la fantasia che è l’idea che si rispecchia nell’acqua. Se l’acqua scorre come il tempo, nel fiume, la fantasia si trasforma continuamente e ciò che appare, il phanestai è in continuo stato di rivolgimento alchemico.

Penso alla nuova vita, all’atto di nascere al mondo e al feto prigioniero della sua matrice. Il feto, persona a-venire, porta già con sé le sue ombre… ontologiche e filogenetiche.

Che cosa succede ancora quando la creatura si guarda nell’acqua come in uno specchio? Là c’è una scoperta, una trasformazione: le ombre-fantasmi che porta con sé si confronteranno con il suo riflesso nel mondo. Quando Heidegger, seguendo Platone, parla di gioco, ha sicuramente in mente il fatto che a Platone piaceva il Teatro delle Ombre che aveva con sé come cosa preziosa. Si tratta anche per me di giocare con le ombre e i riflessi delle mie idee sulla realtà quotidiana per concepire la vita come un’esperienza magica. Tale scoperta fa parte della dimensione poetica e avventurosa dell’esistenza. Non dimenticando il mio essere bambino e il mio amore per l’inatteso, per il surrealismo, ho trovato in un mercato di Londra una vecchia lanterna magica e me la sono comperata. Mi sarebbe piaciuto avere anche un teatro di ombre…

Veniamo tutti dalla caverna. Veniamo tutti dall’occulto, dalla notte, la notte che parla sotto forma di enigmi, ragione d’essere del mistero.

Il mistero e il mito, figli del caos originario, dispiegano e rivelano al buon osservatore i loro enigmi anche nel segreto talvolta visibile, che acceca.

Le parole segrete (myo) e il Lògos hanno un’esistenza latente a priori della nostra coscienza. Così segnala il mio grande maestro e amico, il filosofo italiano Rodolfo Mondolfo.

L’occulto, che fugge la ragione fredda e che eccede la ragione logico-meccanica, è illimitato, si espande al di là dei propri limiti… Talvolta per timidezza rimane all’interno dei limiti corporei: la caverna. Si tratta di una realtà sempre presente e pregnante. Lo stato di solitudine originaria esige un interlocutore nella sua odissea di nascere. Il neonato viene al mondo richiedendo solidarietà dal sensibile. La donna primipara, solitaria nella sua prima esperienza, dovrà andare all’incontro con un altro essere solitario. Così nasce il conflitto e poi la solidarietà madre bambino.

L’inconscio, che è il soggetto del mio discorso di oggi, è un’esperienza a priori, viene dall’occulto o da un visibile accecante ed enigmatico. L’inconscio in Freud è una verità del corpo (1923). L’Io è per Freud realtà corporea che impara a parlare il linguaggio che in parte porta con sé (linguaggio inconscio) e che dovrà confrontarsi con il dire del paesaggio del mondo. L’inconscio è realtà linguistica, modo di sentire, di ascoltare, di dire. L’inconscio è linguaggio fondante che agisce, che disvela e illumina la coscienza lucida. Ma la coscienza è limitata come il corpo stesso dell’uomo che ha forma, cioè i suoi limiti, i suoi confini. Gli enigmi (il termine significa “la notte parla”) richiedono un lettore, un traduttore ispirato, non un epistemologo razionale e freddo. Ci vuole il transfert, il sentire dell’altro e del proprio essere. Il transfert nasce con la vita (Melanie Klein) come già detto e forse anche prima, nella grotta materna.

L’inconscio nasce con il bambino e fa parte della natura ontogenetica e filogenetica dell’essere. Per uscire al mondo dovrà imparare a respirare e a contemplare l’aspetto affascinante e incomprensibile e traumaticamente doloroso di ogni esperienza percettiva. Percepire è già ferita inevitabile, che fa parte della memoria dolente, delle tracce che le sensazioni lasciano nella materia inconsciamente umana.

 

 

 

 

COME SI ACCEDE ALL’INCONSCIO?

Le vie d’accesso alla nostra realtà inconscia sono multiple e io dovrò fare una scelta.

Anni fa ho letto un libro di Aldous Huxley intitolato Le porte della percezione. Mi è venuto adesso alla mente come un’ombra viva, un’impronta incarnata nei miei ricordi. Aldous, il grande scrittore, prova tramite la mediazione forse della mescalina, la porta per entrare in contatto col fondo della sua caverna (il suo inconscio). Scopre così che oltre la sua coscienza razionale esiste un’altra “ragione”, un profondo sentire, un immaginario oniroide immenso, “materia e realtà” che meraviglia ed angoscia, ma che lo affascina.

Anni fa in Argentina alcuni psicoanalisti che ho apprezzato moltissimo e ricordo con affetto, utilizzavano in certi casi clinici l’acido lisergico, soprattutto con pazienti molto bloccati. A me la mia analista disse che non ne avevo bisogno e ho capito così che le porte delle mie percezioni interne erano aperte all’inconscio.  Devo scegliere alcune porte, o crearle, per penetrare con voi nella caverna dell’ignoto o del già conosciuto senza saperlo del tutto.

 

LA NASCITA E PRESENZA DEL BAMBINO

Poiché il mio libro Biographie de l’inconscient è anche un autoritratto o un’autobiografia dei miei percorsi psicoanalitici, comincerò dall’infanzia, con l’intenzionalità ludica che ho sempre coltivato. Penso alla capacità di giocare, in Winnicott, e al senso dello humour che felicemente mi accompagna. Penso al senso dello humour e della vocazione artistica di mio padre come funzione guida. Penso anche alla funzione paterna di alcuni miei analisti, e al tentativo di assumere la paternità della mia vita e dei miei pensieri.

Alcuni giorni fa una paziente, che chiamerò Astrid, mi ha raccontato un sogno che dice così: “Ero in un grande spazio, una specie di stanza in disordine. Alcuni settori non erano del tutto definiti… Tutto in movimento e in sottofondo un rumore infernale.” Io ho guardato il suo corpo: era incinta e le ho detto: “Questo non è un sogno suo”. “Come non è mio?” mi chiede la paziente, e io rispondo: “E’ il  sogno di un feto impaurito”. La paziente sorride e io aggiungo: “Il sogno parla forse di un tentativo di dialogo e delle discordie tra il suo Io fetale e il suo bambino a venire”.

Il transfert ludico è fondamentale in psicoanalisi e nella vita.

La stessa paziente associa in un’altra occasione col suo piccolo bambino di 4 anni, François, un po’ eccitato e apparentemente contento di aspettare un fratellino. Egli dice: “Sono contento di aspettare il mio fratellino e so che devo crescere, diventare grande”. “Sì –risponde la mamma- ma tu hai sempre il succhiotto”. A questo punto il bambino risponde che avrebbe buttato nella pattumiera il succhiotto e il suo vecchio bambolotto (oggetto transazionale).

Prendendo la mamma per la mano, il piccolo François le chiede di accompagnarlo in cucina: là, in modo rituale e sacro, apre la pattumiera e sacrifica i suoi due valenti talismani. Ambedue rimangono in silenzio, in uno stato di tensione, di fronte alla cerimonia: si trattava di un rituale doloroso. “Io”, dice la mamma, “in contatto con il mio feto-bambino, sono rimasta sorpresa ed emozionata”.

Ho pensato ai riti sacrificali della vita, quando uno deve abbandonare un luogo, un paese, un oggetto o una relazione preziosa. Penso anche ai riti di iniziazione presenti in tutte le culture. Il libro I riti di passaggio di Van Gennepp (1908) è sempre sotto gli occhi della mia coscienza lucida. L’ho letto quando ero a Londra e facevo gli studi di antropologia sociale.

Ho continuato in seduta a guardare Astrid, la mia paziente, anche attraverso il suo piccolo François, che risveglia nella sua mamma le discordanze e i sacrifici che il suo proprio Io fetale dovrà assumere. Tra amore e litigio l’io fetale di Astrid e il suo feto dovranno confrontarsi, accordare le sue discordanze.

Naturalmente ho ricordato che in tutte le donne incinte, incontrate nella mia esperienza di vita professionale, ritrovo momenti di crisi equivalenti. Forse Eraclito aveva ragione quando parlava della guerra (Polemos) come metafora viva presente in noi, forse prima della nascita. Non c’è guerra senza pace né pace senza guerra, Eros e Thanatos sono fratelli inseparabili: si tratta  di trovare un ritmo, un’armonia. Per Melanie Klein l’energia è, in gran parte, figlia di Thanatos. Ci vuole una certa violenza interiore per svezzarsi e per cominciare a camminare, quindi un sacrificio.

Ho pensato molto, in questa seduta, al mio caro, vecchio bambino Samuel Beckett e ho detto a me stesso ad alta voce; “come il piccolo Clov, in Finale di partita, François butta simbolicamente nella pattumiera, i suoi genitori".

I personaggi di Beckett, parlano dal profondo della sua caverna intima diventata pattumiera. Egli duplica tale immagine per svezzare o buttare sadicamente nelle pattumiere i suoi genitori mutilati e separati tra di loro. La Klein ci fa sempre ricordare la ferocia istintiva e irrazionale dell’inconscio del bambino nei primi mesi e anni di vita. I primi anni di vita sono anni di guerra, di guerra per sopravvivere. Lei ci parla anche di un Super-Io boia, torturatore, come il vecchio padrone (forse James Joyce) che occupa espansivamente il centro del suo mondo, e del quale il suo segretario-assistente vuole sbarazzarsi per diventare un vero Samuel Beckett. Poi quale bambino non avrebbe voluto separare i suoi genitori, mutilati o meno, mettendoli ognuno nella sua pattumiera-locus?

Ma in ogni bambino che abita nell’adulto coesistono colpa e nostalgia. Così il piccolo Clov che abita nel suo corpo adulto ha bisogno, ogni tanto, di aprire il coperchio delle pattumiere, per ascoltare le voci dolenti del papà e della mamma.

 

Apparentemente Beckett avrebbe lasciato la sua madre “persecutrice” in Irlanda, ma è andato a Londra, alla Tavistock Clinic, per ritrovare un padre che lo aiuti nella sua depressione: ritrova Wilfred Bion.

 

    

 

 

Ma occupato con Samuel Beckett, dove ho lasciato la mia paziente Astrid? in quale spazzatura l’ho buttata?

Sento nostalgia e colpa in piena seduta, colpa di dissociare liberamente. O forse non del tutto, perché mi tranquillizzo pensando che è importante ritornare al transfert, ma il viaggio di andata e ritorno è stato chiarificante.

In queste disquisizioni ho ritrovato ricordi e metafore vive.

Astrid mi aspetta e mi racconterà nella prossima seduta un altro sogno: “Ho sognato una casa con due stanze simmetriche, separate da un muro a metà. Nel muro c’erano due fori con due spioncini. Sono abituata – dice Astrid- a questi fori, che devo fare talvolta nella mia professione di architetto.”

 

Poi c’è una pausa, siamo ambedue distesi e pensiamo, quasi allo stesso tempo, che questo sogno era una continuazione del precedente. Si tratta di una guerra tra due feti? il feto-bambino e l’io fetale dell’adulto-madre? Bisogna accettare che è difficile per ogni Io-bambino, anche il bambino madre, dividere il proprio spazio corporeo con uno sconosciuto: il bambino a-venire. Nel sogno, madre e bambino hanno ognuno un loro spazio diviso da un muro, ma ognuno deve vigilare l’altro forse con diffidenza infantile nella fantasia onirica della madre attraverso l’occhio del muro: si tratta di ribadire il territorio dell’uno e dell’altro e di condividere lo spazio di vita: ognuno nel proprio ruolo.

L’altro, il nuovo altro, è un nemico-amico o un futuro bambino-amico, col quale dividere il mondo, il grande campo di gioco. Non dobbiamo confonderci tra di noi, pare dire Astrid nel suo secondo sogno; questa volta, dobbiamo evitare la guerra. Preservare l’amicizia madre-feto o tra due feti (dimenticare le divergenze) è un modo di convivere insieme fin dalla nascita: poi si vedrà. In questo secondo sogno, Astrid dovrà guardare di tanto in tanto con i suoi occhi o mirini esterni, che cosa succede tra guerra e pace, tra lei e il suo bambino. Così la funzione materna di preservare la vita del bambino dovrà dialogare “logicamente” tra sentimenti opposti e trovare qualche soluzione.

Forse nascere insieme un’altra volta come madre è una nuova esperienza. Questa seconda volta il problema si pone ancora ma in un altro modo: come convivere con due bambini e dividere ancora il campo di gioco.

 

TRA GIOCO, SOGNI E DELIRI (altre porte della percezione dell’inconscio)

 

Melanie Klein apre la porta dei giochi e introduce giocattoli da dividere col bambino per entrare in contatto con le sue intenzioni inconsce. Io, curioso di questi giochi fondanti, quando il bambino comincia ad imparare a giocare, ho chiesto alla Klein di avere in supervisione un bambino piccolo. Così re-inizio la mia formazione di psicoanalista infantile a Londra. La Klein non voleva offrirmi supervisione perché preferiva darla agli allievi in formazione (io già ero psicoanalista). Quando le ho detto che ero disposto a re-iniziare la mia formazione, mi ha consigliato di farla con Mrs. Bick. Melanie Klein stessa mi ha inviato il bambino Clive che aveva 15 mesi. Clive era molto depresso e preoccupato (come Astrid) per la nascita della sua sorellina. Comincia a piangere di notte, è triste di giorno e non vuole giocare con la mamma. Là è dove inizio io il mio contatto con lui. Ma su questo caso ho già parlato in altre occasioni, incluso il mio libro sui sogni. È proprio in questo libro che riferisco il primo sogno del piccolo Clive.

Durante una seduta Clive guarda la mia mano e le dice: “io ti ho visto ieri”. “Come tu mi hai visto ieri?”. “Si” risponde Clive. Mi prende per mano e mi porta verso un angolo della stanza dove c’è un lavandino. Mette la mia mano nel lavandino, apre il rubinetto dell’acqua, prende vari oggetti e li getta dentro, dicendo: “con la tua mano prendi tutto quello che trovi”.

Clive usa la mia mano come strumento da sommergere nell’inconscio del sogno, e mi fa raccogliere dentro l’acqua pezzetti di legno e alcune bambole mentre lui vi spezzetta dentro un cartoncino. Il gioco consiste nel mettere la mia mano, e qualche volta la sua, nell’acqua, per tirare fuori gli oggetti sommersi.

“Cosa sta succedendo?” gli chiedo io. “Erano bambini” risponde.

Io ho pensato che si trattava del primo sogno raccontato a me da Clive e che il cartoncino a pezzi era un modo sadico e inconscio di spezzettare l’immagine perturbante della sua sorellina neonata, alla quale, allo stesso tempo, era affezionato. Per tale ragione egli si sentiva triste e depresso, responsabile inconsciamente dei suoi attacchi: posizione depressiva. Quando gli chiedo “dove hai visto tutto questo?”. Egli risponde “nella mia stanza a letto, di notte.”. “Quando hai chiuso gli occhi?” gli chiedo. La mia mano poteva rappresentare anche il padre guida che lo aiuterà a capire il messaggio del suo inconscio.

Il gioco dentro e fuori dal sogno introduce il piccolo Clive alla porta della percezione delle zone oscure della sua piccola caverna in movimento.

 

L’INCONSCIO NEL DELIRIO E LE SUE LOGICHE

 

I. Matte Blanco cita l’esempio del Professor Bumke. Un paziente psicotico è morso da un cane e si dirige rapidamente all’ospedale locale e sceglie il reparto di odontoiatria. Ciò che pare strano ha la sua logica, una logica analogica. Egli evidentemente stabilisce una relazione simmetrica tra denti che mordono e i segni del morso canino. Si potrebbe così costruire una logica sillogistica delirante seguendo il modello aristotelico: tutti coloro che hanno problemi dentali devono andare dal dentista, io sono stato morso (da un cane), quindi devo andare rapidamente in un reparto di odontoiatria. Un altro sillogismo delirante potrebbe essere: io sono stato morso da un cane quindi devo andare in un servizio odontoiatrico veterinario. Questo sarebbe un pensiero analogico più specifico ma sempre fuori dalla norma quindi delirante.

         Nel caso citato e nelle sue variazioni sillogistiche domina un principio analogico fondato sul concetto di simmetria.

         Un paziente schizofrenico specializzato in logica, è riuscito ad avere un dottorato e poiché ha intuito che io mi interesso delle logiche dell’inconscio, mi ha detto: “Per noi schizofrenici il principio di contraddizione aristotelico non viene accettato”. Tale affermazione mi ha convinto ancor di più della necessità ideologica, nella psicosi dissociativa, di pensare linearmente in parallelo. Confrontare l’opposizionismo e quindi l’alterità a livello del pensiero, crea ansietà, bellicosità, guerra e quindi pericolo di crisi. La convinzione delirante è dura ed “inébralable” come sostiene la psichiatria classica francese. Il dubbio mette in evidenza la fragilità di base dell’essere frantumato o in pericolo di disfarsi. Nell’incontro sull’autismo qui a Venezia e a proposito della mia riflessione sul ripiego autistico e le psicosi è venuta fuori da altri colleghi l’immagine della sabbia. Io avevo lavorato molti anni fa con la sabbia con bambini autistici e ho potuto capire soprattutto adesso che aprirsi al mondo in questi pazienti è sinonimo di sciogliersi. Di là la paura di aprirsi, di provare a comunicare. Tale tentativo sarebbe equivalente ad un’esperienza catastrofica o crisi acuta. D’altra parte il passaggio dallo stato autistico alla psicosi o lo psicotico stesso con tratti autistici potrebbe sperimentare l’apertura al dialogo come uno sciogliersi e sparire. Qui si pone il problema della materia o tessitura dell’io corporeo o del self vissuta in certi casi come di natura granulare o corpuscolare come la sabbia stessa. Talvolta appare il sentimento di liquefazione. In un caso di catatonia quasi letale citato da me in Persona e Psicosi un giovane paziente schizofrenico grave in stato di mutismo e negativismo ha aperto la bocca per dirmi dopo la pioggia, mentre ascoltavamo tutti e due il rumore dell’acqua raccolta da una infermiera: “Quell’acqua sono io.” “Quindi” ho risposto “noi due dobbiamo raccogliere il te stesso trasformato in liquido”. Mi ha sempre interessato quella materia viva che è l’inconscio-conscio corporeizzato ed investigare la sua natura in ogni caso. Così ho potuto constatare che in certe alienazioni della natura corporea il paziente può identificarsi con il legno (Pinocchio è un legno che parla), con la pietra nella pietrificazione dell’essere oppure liquefarsi, trasformarsi in fumo come un fantasma o diventare invisibile. Poco tempo fa un mio paziente, Samuele, mi ha confuso con la propria ombra. Era seduto nel caffé all’angolo vicino al mio studio della rue Bonaparte a Parigi dove spesso iniziava le sedute con me in modo allucinatorio. Un giorno dirigendomi al mio studio l’ho visto seduto che parlava. Mi sono avvicinato e lui mi ha guardato come se non esistessi corporalmente e fossi la sua ombra. Quando gli ho parlato, mi ha chiesto: “Lei è africano?” “Non sono la tua ombra nera, sono il dottor Resnik e ti propongo di venire con me a lavorare insieme”. Samuele si risvegliò dalla sua estasi delirante e camminando con lui ho capito che il campo analitico della seduta era più vasto (in espansione) rispetto ai pazienti nevrotici.

         Pochi giorni fa ho preso in analisi una giovane paziente schizofrenica di diciotto anni. Non parlava, veniva accompagnata da sua madre che era americana e che aveva abitato con la figlia in Italia e adesso in Francia. La madre mi ha detto che la figlia poteva parlare le tre lingue. Poiché rimaneva muta le ho avvicinato fogli di carta ed anche matite e lei ha disegnato una forma simmetrica molto particolare. Le ho chiesto di che cosa si trattasse e mi ha detto in italiano: “E’ la forma di una palestra di cui ho sognato. C’erano due squadre di ragazze come me che si sfidavano a pallavolo.” Dopo una pausa le segnalo che c’è una lotta tra due squadre nella sua testa. Due insiemi di idee che sono in concorrenza, che non si mettono d’accordo.

Intuitivamente completo il disegno della palestra con un contorno che la trasforma in volto che lei si occupa di completare mettendo gli occhi, il naso e la bocca.

Lo guardiamo insieme e ambedue riconosciamo il volto e il taglio di capelli di sua mamma. E’ stata una scoperta per noi due che nella sua mente dissociata, trasformata in palestra c’era un opposizionismo di idee ed una sfida, sfida che lei non poteva assumere nella sua testa e che veniva proiettata in sua madre e forse in me (transfert materno). 

Le piace il gioco e decide di fare altri disegni; fa un’ala, un fiore con i petali chiusi che ricorda l’esperienza di Jung con il mandala, che significa circolo in sanscrito, poi un piccolo spettro bambino. Lo spettro rappresenta la bambina impaurita chiusa dentro se stessa (una serie di circoli concentrici-il fiore) e l’ala di cui avrebbe bisogno per prendere il volo ed uscire dalla depressione. Poi disegna un volto bizzarro con un fiocco in testa come per collegare la sua Spaltung e occhi grandi stile manga giapponese secondo lei. La bocca è avida e si completa con il disegno di una zucca  dalla quale emerge la metafora infantile “succhiare”: grande bisogno orale. Poi disegna ancora un altro fiore con i petali aperti. La sua chiusura autistica si sta aprendo ma è piena di spine per difendersi da un mondo minaccioso. Dentro al fiore trova figure di uccelli ed il marchio Citroen. Nella seduta seguente fa una figura secondo lei di un ragazzo triste con i capelli in disordine e scrive la parola “Medhi” che è il nome dell’amico che ha disegnato. Io le segnalo che si tratta di se stessa e che dalla sua testa esce un desiderio: “m’aide?” Lei sorride ed io aggiungo “Je vais t’aider si tu m’aides à t’aider.” In questo modo di comunicare emerge una logica dell’inconscio della paziente e  mia che ci permette di costruire un linguaggio  comune: un dialogo. In un’altra seduta costruisce un cubo che chiama scatola trasparente e aggiunge di sentirsi spesso così. Io completo dicendo che il suo corpo è un contenitore, una scatola di un essere che ha bisogno talvolta di diventare invisibile.

 

DISCUSSIONE

I. Matte Blanco cita Freud dicendo: “Non è infrequente che certe associazioni libere possano nascere non solo da un centro ma da diversi spunti, alcuni contraddittori ed anche antitetici.” Secondo me Matte Blanco trae ispirazione dal libro di K. Abel Ueber den Gegensinn der Urworte (1884) per scrivere un saggio del 1909 con lo stesso titolo Sul significato antitetico delle voci primordiali. Vale la pena a questo punto di riprendere alcuni concetti di Freud pertinenti al mio discorso di oggi. Per esempio Freud segnala che le categorie dei contrari, o elementi contraddittori, cercano di combinarsi nel processo onirico per costituire una unità che rappresenta ambedue talvolta in stato di tensione o di lotta come nel caso della mia paziente citata. Secondo Freud il negativo, il no, non esiste nei sogni. Nei vecchi interpreti dei sogni, gli oniromanti, un elemento del sogno può rappresentare anche il suo opposto.

Abel e Freud, come più tardi Matte Blanco, si familiarizzano con il concetto di pensieri simmetrici, concetto che il professor Pietro Bria svilupperà nella sua introduzione al libro di Matte Blanco The unconscious as infinite sets. Qualche mese fa dovevo intervenire in una discussione su una radio francese, France Culture, sul tema della schizofrenia. Dovevo dire al gruppo che la seduta seguente sarebbe coincisa con un mio intervento alla radio. Ho anticipato di un giorno la seduta con il gruppo. Tutti sono venuti meno Otis, un giovane pittore che ha avuto diverse crisi acute per le quali è stato ricoverato ma che abitualmente era sempre presente. Il gruppo preoccupato mi ha chiesto di telefonargli ed egli ha risposto dicendo: “Sapevo che lei doveva parlare alla radio il martedì ma questo non impedisce di fare la seduta alla stessa ora.” Io racconto al gruppo la risposta di Otis ed Ellis, un fisico atomico che soffre anche lui di schizofrenia, ha risposto: “Forse Otis ha in parte ragione, per un atomo questo è possibile.” Questa coincidenza e giustapposizione di tempi diversi nello stesso spazi è compatibile con alcuni concetti sulla logica dell’inconscio in Matte Blanco. Sembra infatti che per Ellis la concezione di Matte Blanco funzioni bene. Ellis non è solo interessato ad aspetti qualitativi ma anche a fenomeni atomici quantitativi. Di fatto lui ha inventato una macchina che conta gli atomi. Credo che la metafora dell’atomo metafisico che pensa e che parla il linguaggio bi-logico di Matte Blanco corrisponda ad una delle tante forme, forse infinite secondo Matte, del pensiero inconscio. Ho trovato utile il libro di Remo Bodei su Le logiche del delirio (editore Laterza) ma soprattutto di grande valore il libro Unconscious Logic di Eric Rayner (Routledge 1995) dove vi è anche una grande apertura rispetto alle logiche dell’inconscio e il tentativo dell’autore di confrontare il pensiero di Matte-Blanco con quello di Bion, Piaget, Bateson e di Edelman nelle neuroscienze.

 

CONCLUSIONE

Il mio contributo  è un accenno ad un problema molto complesso che richiede di essere approfondito e completato in un’altra occasione. Ciò che ho provato a fare è di dare alcuni esempi per giustificare il mio approccio sul tema “Logiche dell’inconscio” sul quale sto lavorando per  un’edizione inglese. Secondo la mia natura io preferisco partire dalla pluralità di punti vista suggerita anche dai miei pazienti che durante tutti questi anni di lavoro e di ricerca mi hanno aperto tante porte e tanti interrogativi.

Volevo aggiungere che non posso identificarmi totalmente con ogni tentativo di dare una spiegazione logico-matematica o di categorizzare in modo sintetico quello che per me richiede uno sforzo per comprendere, per comunicare, per trasmettere. La diversità logico concettuale di ogni sogno, di ogni delirio, di ogni modo di essere nel transfert mi propone alternative diverse: per esempio creare un linguaggio fenomenologico capace di trasmettere in ogni situazione diversa il funzionamento di quello che noi nominiamo inconscio. La griglia di Bion dà sicurezza ad alcuni colleghi perché permette di contenere e ridurre lo sconosciuto in categorie logico-matematiche chiare. Questo non mi soddisfa e non piaceva nemmeno a Bion stesso quando si trattava di entrare in contatto con il vissuto del transfert e di aiutarmi a capire i miei pazienti, durante le supervisioni. Il professor Ignacio Matte-Blanco era un uomo pieno di umanità ed emozione, mio grande amico. Egli è riuscito a suo modo a trovare una formulazione logico-matematica comprensibile per alcuni ma non per tutti. Io, personalmente, secondo la mia natura ho difficoltà qualche volta nel capire le sue formulazioni, soprattutto quando si tratta di ciò che egli chiama generalizzazione. Sono convinto che anche nel caso di Bion ogni elemento alfa è diverso da un altro elemento alfa o beta. La mia vocazione fenomenologica tende a scoprire e a trovare la metafora utile per trasmettere un’esperienza al paziente o a me stesso. Ricordo che Bion stesso mi diceva che la psicoanalisi dovrebbe trovare il proprio linguaggio scientifico e liberarsi dalle scienze formali e dalle classificazioni delle scienze di Bacon. Trovare o inventare il proprio linguaggio “scientifico”, il proprio sistema di valori e il modo personale per comunicarlo è un’esperienza sui generis. Secondo me bisogna che ogni analista ritrovi o inventi il proprio stile e ritrovi la propria identità professionale senza trasformarla in scuola: ognuno dovrà trovare il proprio modo di lavorare, quello che si avvicina di più alla propria natura. Mi riferisco al principio di spontaneità e all’intuizione.

L’ultima cosa che posso dire è che nel modo di comunicare è implicito il concetto di arte e di artigianato. La psicoanalisi è una techné personale che richiede una formazione approfondita con maestri che stimolino a trovare la propria idiosincrasia professionale. Ho avuto il privilegio di aver trovato maestri che hanno suscitato tale sentimento in me. E’ quello che io stesso come maestro ho provato a realizzare con tutti quelli che mi sono stati vicini. A loro che ora sono i miei amici i miei ringraziamenti.

 


 

[1] Heiddeger M; L’essenza della verità; Adelphi, Milano, 1997

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Salomon Resnik nasce a Buenos Aires, l'1 aprile 1920, da genitori russo-ebraici emigrati in Argentina.

Si laurea alla Facoltà di Medicina di Buenos Aires discutendo la tesi sulla "Sindrome di Cotard". Diventa nel 1954 membro associato dell’Associazione Psicoanalitica Argentina e membro titolare nel 1957. Si interessa, verso la fine degli anni ’50,  di deliquenza giovanile e di psicoanalisi infantile, poi del trattamento psicoanalitico della psicosi in bambini e adulti.

 Pioniere nell’applicazione della psicoanalisi nell’autismo infantile e nel trattamento della schizofrenia in Argentina, allievo e collaboratore del suo maestro Dr. Enrique Pichon-Riviere, anche lui  interessato al mondo della cultura, si occupa dell’applicazione della psicoanalisi nel sociale: psicoterapia di gruppo e dinamica istituzionale.

 Già nel 1950, in collaborazione con il Dr. Usandivares e il Dr. Morgan, inizia la prima esperienza terapeutica in gruppo istituzionale di pazienti psicotici cronici.

Salomon Resnik vive le vicissitudini della cultura della Buenos Aires dell’epoca. Legato a Jorge Luis Borges e a Aldo Pellegrini, medico anch’egli e noto critico di arte moderna. Vive il milieu che lo stimola ad interessarsi alle scienze umane, all’arte e alla letteratura.  Collabora al gruppo surrealista di Buenos Aires e contribuisce alla rivista Ciclo, di arte ed avanguardia.

Nel 1953 scrive un lavoro interdisciplinare inerente la musica e la psicoanalisi.

Nel 1955 conosce a Ginevra, al Congresso Internazionale di Psicoanalisi, Melanie Klein, dalla quale rimane molto colpito. Da questo incontro nasce il progetto di continuare la sua formazione a Londra proprio con la Klein.

Dal 1957 vive in Europa, prima a Parigi per un anno, dove studia con Roger Bastide, Levi-Strauss, Maurice Merleau-Ponty e Gurvitch. Continua le sue ricerche sulla schizofrenia nell'Ospedale Saint Anne e nel servizio di ammissione del Dr. Daumezon.

Nel 1958 prende contatto con il Dr. Francis Tosquelles, il Dr. Jean Oury e Roger Gentis promotori della psicoterapia istituzionale che giocherà un ruolo importante nello sviluppo dell'applicazione della psicoanalisi al sociale.

Alla fine del 1958 realizza il suo sogno di arrivare a Londra e assiste ai seminari di M. Klein, Bion e altri. Viene analizzato da Herbert Rosenfeld per oltre dieci anni. A Londra, con l'appoggio del prof. Morris Carstairs (che esercita a Londra e a Edimburgo) e del Dr. Winnicott, lavora nell'ospedale psichiatrico Netherne Hospital nel Surrey con l'incarico di una comunità terapeutica di psicotici giovani.

Nel 1959 collaborerà con il Cassel Hospital a Richmond con Thomas F.Main, creatore del termine "Comunità Terapeutica". Collabora con il Dr. Maxwell Jones all'Henderson Hospital a Belmont e con il Dr. Foulkes a Londra.  Lavora in una Child Guidance Clinique a Guilford e approfondisce i suoi studi sugli stati precoci della vita del bambino con  M. Klein e E. Bick.

Realizza gli studi di Antropologia Sociale nel 1963 all'University College di Londra e collaborerà al Dipartimento di Psicologia Sociale dela London School of Economics. A Londra, alla fine degli anni 60, prende contatto con Italo Calvino, che è interessato ai suoi scritti e lo invita a pubblicare le sue opere presso la casa editrice Einaudi. Prende così contatto con gli intellettuali italiani.

Nel 1970 è in Francia dove lavora con gli intellettuali francesi e i suoi colleghi psichiatri e psicoanalisti con vocazione umanistica. "Maitre de Conference" in Psichiatria alla facoltà di Medicina di Lione e presso la Sorbonne a Parigi, collabora come professore a contratto tenendo corsi per post graduati nella Facoltà di Medicina dell'Università Cattolica di Roma, alla cattedra di Psichiatria di Ancona e quella di Napoli.

A Venezia, dove comincia ad essere presente regolarmente collabora con la fondazione Cini, su invito dei professori Vittorio Branca e Carlo Ossola, per un periodo di vent’anni, nel campo della pittura, della letteratura e delle scienze dell’uomo.

 Nel campo psichiatrico – psicoanalitico collabora alla formazione di psicoterapeuti e di bambini ed adulti presso una associazione fondata a Venezia, il C.I.S.P.P. (direttore E. Levis). Nei corsi di questa scuola si includono sempre partecipazioni di filosofi e esponenti della cultura come Aldo Gargani, Renzo Mulato, Alberto Panza, Edmundo Gomez Mango di Parigi.

Contribuisce alla fondazione dell’ASVEGRA, una scuola di formazione in psichiatria e in psicoterapia con indirizzo individuale, gruppale e  sociale (istituzionale).

Attualmente vive e lavora a Parigi, mensilmente tiene seminari e gruppi a Venezia; continua ad occuparsi di formazione a Venezia presso il CISPP.

Ha collaborato con colleghi in formazione in Ucraina, promuovendo lo scambio culturale con colleghi psichiatri e psicoanalisti attraverso congressi e gruppi di lavoro che hanno coinvolto anche psichiatri e psicoanalisti italiani.

 

 

 

 

 

 

        

 

 

 

 

 

 
 

 

 

 

 
 

 

 

 

 

 

 

 

 

Responsabile Editoriale : Giuseppe Leo

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