Presentation   News Events   Archives    Links   Sections Submit a     paper Mail

FRENIS  zero 

 Psicoanalisi applicata alla Medicina, Pedagogia, Sociologia, Letteratura ed Arte  

  Home Frenis Zero

        

 

 

 "Marilyn, ultimo ciak"

 

 

 

   

 

di Elisabetta Rasy

 

      

 

 Questo testo è la recensione (apparsa su"Il Sole 24 Ore" del 2 settembre 2007) del libro di Michel Schneider <<Marilyn. Ultimi giorni, ultima notte>>, Bompiani, pagg. 448,, euro 18,50. La recensione apparsa su "Il Sole 24 Ore" è preceduta da una nota di Giuseppe Leo.  

 

 

 

  L'uscita del libro di Michel Schneider, tradotto in italiano ed edito da Bompiani, rappresenta certamente un riuscito tentativo di presentare, in una forma narrativa accattivante per il grande pubblico, un'aggiornata ricostruzione della biografia di Marilyn Monroe, con particolare riguardo alla storia dei suoi disturbi psicologici, del suo controverso rapporto con lo psicoanalista Greenson, e delle ipotesi finora avanzate sul suo suicidio. Al contempo è doveroso lamentare una grave lacuna nel libro di Schneider: l'assoluta mancanza di qualsiasi riferimento al libro di un italiano, il Prof. Luciano Mecacci dell'Università di Firenze che con Laterza nel 2000 pubblicò il volume "Il caso Marilyn M. e altri disastri della psicoanalisi". In quell'opera, oltre ad una mirabile ricostruzione del ruolo che il rapporto con Greenson ebbe nella biografia della diva hollywodiana, veniva messo in evidenza il dedalo di relazioni inquietanti e poco chiare che Greenson intratteneva con altri psicoanalisti che in qualche modo ruotavano intorno a lei ed al suo entourage. Così Greenson era anche il fratello di Elisabeth Greenschpoon, che era a sua volta moglie di Milton Rudin, a sua volta legale di Marilyn. Come anche legale di Frank Sinatra (che fu amante di Marilyn), a sua volta analizzato dallo stesso Greenson. Il pregio del libro di Mecacci fu quello di estendere lo studio documentato di simili sconfinamenti e violazioni di "setting" ad altri casi emblematici, come quelli di Anais Nin (analizzata da Allendy), di Gershwin (in analisi con Zilboorg), oltre che ai casi totalmente inventati (il "Diario di una giovinetta" della Hug-Hellmuth) o manipolati. I "triangoli " sentimentali, i conflitti di interesse (economici, professionali), le violazioni del segreto professionale vengono illustrati con utili diagrammi esplicativi dei casi storici più emblematici di 'mala-analisi'. Un  capitolo davvero degno di encomio (pionieristico per la letteratura di lingua italiana) era quello dedicato ai suicidi (o morti giudicate tali) di psicoanalisti. Personalmente ho trovato altamente stimolante il libro di Mecacci per la metodologia di ricerca sulle fonti e per la chiarezza espositiva, tanto da basarmi su di esso nei miei studi in corso sulla biografia di Tatiana Rosenthal (una delle psicoanaliste suicide menzionate da Mecacci) e su altri illustri 'psycho-suiciders' (Tausk, Federn, Stekel, ecc.). In un recente incontro a Firenze con lui, il prof. Mecacci mi esprimeva l'unico 'regret' di non aver potuto utilizzare, come fonte documentaria per il suo libro, le registrazioni audio delle sedute di Greenson con Marilyn che purtroppo erano state pubblicate solo successivamente all'uscita del volume.

Duole notare che non solo nel libro di Schneider, ma addirittura nella recensione di Elisabetta Rasy non si fa alcuna menzione dell'imprescindibile lavoro di Mecacci. Davvero una lacuna imperdonabile!

Giuseppe Leo (6.09.2007)

 

 

 

Anni fa durante un giro per Los Angeles mi portarono a vedere la villetta dove Marilyn Monroe era morta, di un suicidio controverso, la notte del 4 agosto del 1962. Fui colpita dalle dimensioni della casa: modesta e anonima rispetto alla magnificenza e grandiloquenza delle esuberanti ville hollywoodiane di stile moresco, rinascimentale, gotico o di un non stile eclettico, cifra trionfante dei vicini studi cinematografici. Chiesi come mai la celebre diva avesse un così rattrappito alloggio. Cattiva amministrazione, mi fu risposto.  Anche le quattrocentocinquanta pagine  che lo scrittore e psicoanalista francese Michel Schneider ha dedicato agli ultimi trenta mesi della vita della celebre bionda in "Marilyn. Ultimi giorni, ultima notte" (in uscita da Bompiani, pagg. 448, euro 18.50) raccontano una storia di cattiva amministrazione. Ma non di soldi si tratta, quanto degli investimenti e dei contratti di una materia più mercuriale del denaro, l'anima. Schneider sa che sul mito di Marilyn sono state scritte migliaia di pagine, ma sa anche che i miti sono una riserva di caccia inesauribile per chi decide di tirarne fuori una storia nuova. Nella storia che gli interessa in fondo Marilyn è un deuteragonista. Il protagonista è il dottor Ralph Greenson, uno psicoanalista ebreo d'origine russa, all'epoca cinquantenne, che nel 1933 a Vienna ha incontrato Sigmund Freud.

 

  Foto: Ralph Greenson


 

Nel gennaio del 1960 la diva invoca il suo aiuto. Non è il gesto di una donna in crisi: di psicoanalisti, anzi psicoanaliste, M. M. ne ha già avute tre, tra cui Anna Freud, a Londra nel 1956, durante le riprese de "Il Principe e la ballerina". Si tratta piuttosto di una necessità materiale: le è impossibile, malgrado i sedativi e gli antidepressivi, affrontare il set del film "Facciamo l'amore" senza il sostegno di un terapeuta. O almeno così sembra, perché la relazione che comincia in un albergo di Beverly Hills, a tende tirate, è, nel racconto che Schneider ne fa, una passionale commedia degli equivoci e degli errori, in cui la parola morte è scritta fin dall'inizio.

 

Greenson perde la testa per l'attrice, ma non vuole portarsela a letto, il suo obiettivo è più ambizioso: vuole salvarla, o forse incorporarsi in lei. Marilyn, che è spesso disperata ma tutt'altro che svampita, è abituata a lasciare che gli analisti prendano completamente in mano la sua vita, fino al punto di gestire i suoi rapporti con i sarti, con i registi o con i produttori; così ha fatto con Marianne Kris, allieva di Anna Freud, nella strenua lotta per tenere allacciato il delicato filo che unisce l'attrice al lavoro e soprattutto alla vita. Marilyn invece più che alla vita è strettamente avvinghiata alla sua immagine: nei momenti di depressione estrema l'unica consolazione sono interminabili sedute fotografiche, che rimandano sulla sottile frontiera di una carta patinata la luce di una stella che è morta molto tempo prima, quando ventenne a Hollywood concedeva il suo corpo a chiunque le prestasse attenzione e la sua nudità a chiunque fosse in grado di pagarla, o forse già nell'infanzia abbandonata e abusata.

Sedute fotografiche e sedute psicoanalitiche (nel testo francese, ottimamente tradotto da Fabrizio Ascari, il titolo è "Marilyn dernières séances") sono l'unico rifugio della bionda, mentre il matrimonio con Arthur Miller va in pezzi, gli amanti - da Yves Montand a Frank Sinatra - brillano rapidamente e si eclissano, e all'orizzonte, come ultime divinità mortifere, compaiono i fratelli Jack e Bob Kennedy con un seguito di spioni di diversa provenienza, dalla Cia alla mafia. Incompatibili ed inseparabili, Marilyn e il dottor Ralph si perdono ognuno nei sogni dell'altro - dopo la morte dell'attrice un'onda di melmoso discredito si abbatte sullo psicoanalista, che qualcuno addirittura accusa di esserne stato materialmente il killer - seducendosi a vicenda in un gioco dove ossessivamente scambiano la loro posta: l'immagine contro la parola, la parola contro l'immagine.

Se Marilyn è una devota della psicoanalisi, e l'uomo che invoca più spesso è il dottor Freud, Greenson all'inconscio sembra preferire il cinema, e non solo perché è l'analista dei divi. Cinema e psicoanalisi: qui è la scena del dramma, e del crimine. Ma non per le teorie che a posteriori ne hanno ricostruito e indagato il legame. Nel romanzo di Schneider, dove i documenti sono trattati come reperti mnestici in un caso clinico, i cineasti e gli psicoanalisti sono creature in carne e ossa che un capriccio della storia ha riunito nella città degli angeli: negli anni del nazismo e della guerra, unita dalla cultura e spesso dalla lingua, una comunità di espatriati europei intreccia un legame intenso tra il divano e lo schermo, appunto tra la parola e l'immagine.

Se Schneider non abbandona mai le quinte private della relazione Marilyn-Greenson  - così che sulla strana coppia scenda una luce nuova, torva a volte ma mai convenzionale - mette anche in scena un collettivo transfert hollywoodiano, con una folla di figuranti dai nomi prestigiosi - da Wilder a Huston da Strasberg a Mankiewicz - in cerca dell'anima sfuggente della città delle apparenze in un incessante viavai tra gli Studios e gli studi, tra la verticalità del set e l'orizzontalità del divano. Le regole dell'ortodossia saltano travolte dalla irregolarità dell'entertainement, dall'imperiosità dello show che non deve fermarsi, e anche dal denaro che gioca un ruolo tutt'altro che insignificante. Così non ci sorprendiamo, persi nella fitta e affascinante trama allestita dallo scrittore francese che vira dal noir al poliziesco alla love story con frammenti porno, di ritrovare in una sorta di albero genealogico finale accoppiamenti più che tendenziosi, se Jacqueline Kennedy, sempre legata al glamour hollywoodiano, prende il posto già occupato da Marilyn sul divano di Marianne Kris dopo la morte del marito che era stato uno degli ultimi amanti della diva. O, ancora, quando seguiamo il passaggio - per lascito testamentario - dei proventi dei diritti dell'immagine di Marilyn, vorticosamente cresciuti post mortem, da Hollywood direttamente nelle casse del "Centro Anna Freud".

Elisabetta Rasy

 

 

Responsabile Editoriale : Giuseppe Leo

Copyright - Ce.Psi.Di. - Rivista "FRENIS ZERO" All rights reserved 2004-2005-2006-2007