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 Psicoanalisi applicata alla Medicina, Pedagogia, Sociologia, Letteratura ed Arte  

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   "Da dove vengono i genitori? Psicoanalisi dopo la Shoah"

 

 

 

 

   

 

di Jean-Jacques Moscovitz

 

      

 

 Questo testo di Jean-Jacques Moscovitz è la prefazione, o meglio sarebbe dire l'"avant-propos" del libro "D'où viennent les parents? Psychanalyse depuis la Shoah", pubblicato da PENTA éditions/L'Harmattan (Parigi) nella collana <<Collection Psychanalyse, médecine et société>> diretta da Abram Coen. Si ringrazia Cosimo Trono (Direttore di Penta éditions) e Jean-Jacques Moscovitz per aver autorizzato la pubblicazione di questo testo, per la prima volta in versione italiana, su "Frenis Zero". La traduzione in italiano è a cura di Giuseppe Leo.  

 

 

 

  Scrivere è prossimo a ciò che comincia. Per uno che pratica la psicoanalisi, scrivere si caratterizza per una necessità immediata: la ripetizione propria dell'inconscio che si accompagna sempre a questa misteriosa paura di cominciare. Ciò è tanto più vero in quanto tra pratica psicoanalitica e dire su tale pratica esiste un residuo di senso da esaurire. Se si scrive, questo resto procede da un'analogia, quella tra l'esperienza della cura e lo scritto stesso.

Nel passaggio dall'esperienza della pratica psicoanalitica a quella della sua scrittura nasce un altro atto non veramente <<altro>>, non assolutamente differente dal primo atto -  quello che si effettua precisamente tra analizzando ed analista.  Al bambino che chiede: <<Che mestiere fai?>>, l'analista risponde: <<Innanzitutto ascoltare/parlare con chi viene a trovarmi per questo, ma anche leggere/scrivere, elaborare la psicoanalisi da solo o con altri>>. Non tralasciamo che questo mestiere implica il fare: nulla. Questo nulla non va preso nel senso di <<nihil>>, ma significa lasciarsi lavorare, modellare da ciò che è evenemenziale: il quotidiano, l'arte, il desiderio, l'amore. Scrivere sostiene allora l'essenziale del nostro proposito, appartiene ad una memoria della memoria, trascende l'analogia esperienza/scrittura al fine di trasmettere.

Freud, ne "L'uomo Mosé ed il Monoteismo"(1), situa l'enigma dell'uccisione del padre al centro della sua scoperta, ma egli scansa l'enigma del femminile (cosa vuole la donna?). Nell'elaborazione dell'identificazione più primordiale, detta incorporazione (Einverleibung), ciò che genera l'inconscio in senso equivalente al dire, è precisamente per lui l'enigma generato dall'uccisione del padre. Tale similarità inconscio/linguaggio sarà in seguito teorizzata da Lacan.

 

   Foto: J. Lacan
 

In psicoanalisi, il cominciare fa sorgere la questione che tocca l'origine del simbolico. L'origine implica un momento inaudito, senza voce, un silenzio primordiale, un'antecedenza, un problema irriducibile, in breve, un'aporia propria dell'interpretazione dell'atto psicoanalitico come formulato da Freud: <<Da dove vengono i bambini?>>. Oggi, tale questione ne richiama un'altra intrinseca a ciò che si effettua non solo nel quotidiano delle sedute, ma anche durante e prima, in modo tale che tali momenti facciano da sponda all'inconscio. L'aspetto temporale richiede che quest'altra questione, inversa alla precedente, sia: <<Da dove vengono i genitori?>> Essa richiede che ogni psicoanalista sia consapevole della radicalità del film di Claude Lanzmann, Shoah(2), che è la nomina, ossia un nuovo operatore di simbolizzazione di ciò che è accaduto a livello individuale e collettivo, politico, dopo il processo di Norimberga. Lo psicoanalista non può dunque trascurare la memoria storica dell'Europa degli anni 1933-1945, alla quale d'altronde il freudismo fu mescolato suo malgrado.

La scrittura, in quanto altra faccia dell'ascoltare/parlare, implica, in quanto tale, la precarietà dell'alterità del soggetto parlante. Una tale precarietà, a partire dal nazismo e dal suo tentativo di uccisione dell'umano, viene riattivata continuamente. La storia, dopo una tale catastrofe, può porsi come negatrice assoluta del tempo, essere da allora il nemico del genere umano rompendo questa alterità che si reggeva già in tal modo. Il nazismo ha destrutturato le condizioni necessarie al buon funzionamento della memoria. Esso ha generato l'oblio. Nel migliore dei casi, tale oblio - che nel campo psicoanalitico richiama la traccia mnesica - si presta ben poco a che la rimozione possa essere eliminata e, più spesso, sprofonda confusamente nelle vicissitudini della simbolizzazione. Allora la sua cancellazione, oblio dell'oblio - forclusione costruita - , prende più spesso il sopravvento sulla sua eventuale inscrizione.

Attualmente, il rischio non è ancora quello di contribuire a quella stessa cancellazione  e di produrre una distruzione della memoria come anche delle sue possibilità di trasmissione inconscia? Questa, ammettendo l'esistenza dell'inconscio, è interessata alla memoria storica, quella dei fatti, dei ricordi portati dalle parole, non può restare indifferente di fronte al pericolo di sparizione di questa alterità al contempo fondatrice del soggetto e del rapporto che egli stabilisce col mondo.

E' in effetti in tale alterità, la nostra, quella di ciascuno, che si articolano - oggetto della psicoanalisi - il desiderio di trasmetterne la sua forza ed anche la funzione del Padre così importante nella nostra presa di coscienza dell'esistenza della morte, e del nostro rapporto nei confronti della vita e della sua trasmissione.

L'attualità del nostro tempo, contrassegnato dal nazismo, ossia da un qualcosa al di là dell'antisemitismo in atto, deve tener conto del fatto che la storia ha escluso gli ebrei d'Europa, li ha proiettati fuori dal mondo, al punto di negare se stessa.  Oramai, la nostra epoca si è  agghindata di un'attitudine mostruosa: quella di decostruire le condizioni di individuazione delle realtà oggettive, e dunque devastatrici, attraverso l'utilizzazione distorta della parola. Ricordiamoci della difficoltà, o meglio dell'incapacità,  che i rifugiati manifestano di fronte al loro 'entourage', ai loro bambini, di dire riguardo a ciò che è accaduto, là nel campo di concentramento, o dell'impossibilità della testimonianza dei figli dei vecchi carnefici.

Ciò non deve incitare, obbligare continuamente lo psicoanalista a porre domande alla sua disciplina? E' la funzione dello scritto psicoanalitico, assunto come analogo alla memoria ed equivalente alla pratica, di interrogare ciò che fonda l'esperienza della cura oggi, di porre domande al rapporto della psicoanalisi nei confronti della clinica, della sua etica, della sua origine simbolica, in breve, del suo sapere e della sua trasmissione.

Come dire oggi che la psicoanalisi è anche un'esperienza di memoria frantumata, di amnesia ignorata, che implica di reperire il ritorno delle parole, parole del soggetto che dimentica? Uscire da ciò che ne fa solo un segno nel recinto analitico, al fine di allontanarsi dal senso che inonda la parola, la rinchiude, obbliga la psicoanalisi a rinnovarsi, al prezzo di mantenere aperta la crisi del soggetto. Vale a dire che là ci sono i limiti non solo dell'azione dello psicoanalista nell'interpretazione, ma anche quelli che separano l'individuale dal collettivo. Una sospensione del sapere va riconosciuta, va scacciata, dunque va incontrata, al fine di raggiungere una giusta misura di ciò che è attuale. Nell'attuale in cui si tiene il discorso analitico, che lo si sappia o meno.  Come valutare il dispositivo di esperienza dell'oblio del soggetto, e di conseguenza del soggetto destinato all'oblio, quando il suo ritorno si effettua nella cura? Il dire diviene la necessità di operare un salto verso lo scritto. Ciò deriva dallo scarto irriducibile tra i due enigmi posti da Freud e che ci guidano: quello del padre e quello del femminile. In effetti, questi due enigmi non stabiliscono alcun rapporto tra di loro, ma scarto, cesura, assenza di rappresentazione e si enunciano in Lacan con questa formula: <<rapporto sessuale non inscrivibile nell'inconscio>>(3).

1. L'enigma: <<Cos'è un padre?>> rinvia all'esistenza in quanto tale, quella dell'Uno e della fobia di non essere ed apre all'interrogarsi sulla morte del padre per uccisione. Da ciò il carattere essenziale della funzione paterna nel complesso d'Edipo. E' là il nodo dello slancio fondamentale nell'ipotesi dell'inconscio freudiano.

2. L'enigma: <<Cosa vuole la donna?>> solleva la questione del desiderio ed instaura l'isteria come discorso per riempire ed al contempo per aprire in continuazione il processo del desiderio della donna e dunque quello dell'uomo. Essa cerca l'uomo. Essa vuole il pieno, mentre la fobia cerca il vuoto, dal lato paterno. Il passaggio dall'una all'altra di queste due strutture, fobia ed isteria, qui utilizzate in senso metaforico, aggiorna un tentativo di rapporto di questi due enigmi. In effetti, esse implicano due modelli possibili di relazione rispetto al sapere: finzione oppure pratica del fantasma. Se la finzione prolifera, come nell'isteria, essa si dissolve una volta sorpresa e rivelata. All'opposto, la fobia attualizza una paura di sapere sull'esigenza di un Uno che non può  che peggiorare ed esacerbarsi in un terrore di fare il due.  Ciò vuol dire forse che il padre, come enigma della creazione della vita da una parte e, dall'altra, come enigma dell'esistenza della morte, fa preliminarmente presa  sul femminile come enigma del desiderio? L'insostenibile del due presuppone che l'Uno - il mono- richieda la presenza dell'Altro, dato che una volta conosciuta la finzione diviene, sul versante della fobia, pratica del fantasma. La fobia si fa teorizzazione del sapere isterico. Così lo scarto, destinato a diventare differenza assoluta, persiste tra questi due enigmi che si esprimono metonimicamente: padre/donna, fobia/isteria, pratica del fantasma/finzione, dire/scritto... Ma essi resistono sempre l'uno rispetto all'altro. Un tale scarto è irriducibile rispetto ad un reale contro il quale l'essere inciampa. In ciò si costituisce il soggetto dell'inconscio. Da qui deriva l'entrata nella scrittura, quella ad esempio di Freud.

Così, nel suo testo su Leonardo da Vinci (4) Freud non può accedere nella pratica del suo fantasma del femminile. Egli interpreta l'uomo Leonardo che qualifica come ossessivo, ma  in cambio egli non può essere da lui interpretato. In compenso, quando Freud scrive il <<suo>> Mosé, egli esce dalla finzione concernente il padre. Munito di tale sapere - mentre il mito manteneva la sua ignoranza - , egli ci propone la giustificazione di una tradizione concettuale soggiacente alla vita, a partire dalla morte del padre per uccisione, e che egli denomina come quella della religione monoteista.  In questo egli è interpretato dal suo Mosé che viene a fare da limite rispetto all'inscrizione di un sapere sulla morte. Sorge allora l'esigenza di uno scritto, di un'innovazione che ricordi il suo testo su <<Il "Mosè" di Michelangelo>>. Freud vi mostra in che modo persista la necessità di lasciar posto a delle tracce strutturate in un fantasma sempre secondo in rapporto a delle tracce anteriori. Le Tavole della Legge sono  state già frantumate. Solo le seconde sono inscrivibili, leggibili, trasmissibili. Il detto passando ad essere scritto crea rottura, affrancamento. La prima identificazione col padre, secondo Freud, è un quadro in cui s'inscrivono le tracce mnesiche primordiali.

Questo quadro è stato attaccato dal nazismo. Ricordiamolo: poiché essa fa parte delle operazioni di trasmissione della parola, la psicoanalisi deve non solo dirlo, ma anche scriverlo. Essa deve mostrare le conseguenze del nazismo nell'attualità del nostro tempo.

Dopo i tre momenti maggiori del pensiero e del sapere freudiano, un quarto, specifico del nostro proposito, ne deriva: quello della memoria. Esso è costitutivo di ciò che è attuale nella psicoanalisi.

Se il primo momento resta il nodo della sessualità infantile, di cui L'interpretazione dei sogni rappresenta il più importante avanzamento prodotto da Freud nel fondare la sua disciplina, il secondo è l'istinto di morte, non meno necessario alla pratica ed alla teoria.

Il terzo momento dopo il 1945, dopo Freud è quello proprio all'insegnamento di Lacan che, ponendo <<l'inconscio  strutturato come un linguaggio>>, inscrive l'esperienza freudiana come  sovversiva  del desiderio, annoverandola prima delle discipline affini, delle quali nessuna può vantarsi di avere un ruolo maggiore nella nostra civiltà, nella nostra cultura.

Infine, il quarto momento, che si vuole trasmettere a partire dal film Shoah di Claude Lanzmann, lancia un nuovo interrogarsi sul fondamento del soggetto dell'inconscio, sulla funzione obbligata di un aspetto irrappresentabile dell'umanità. Umanità che il nazismo con la sua soluzione finale della questione ebraica ha voluto, e ci è quasi riuscito, de-finire, rendere rappresentabile in modo concreto per annientarla, e per negare questo annientamento stesso.

Così, nella lettura de "L'uomo Mosè e la religione monoteista" di Freud, sarà affrontato il cambiamento di statuto della morte a partire dall'omicidio di massa degli ebrei. Con l'insegnamento di Lacan, è l'etica del soggetto, per salvare la castrazione della 'gadgettizzazione', di cui ci si interrogherà. Con il film Shoah, è il luogo simbolico della rappresentazione e dell'immagine che verrà usato per svuotare la parola del nazismo, parola contro la quale il Terzo Reich ha commesso un attentato senza precedenti. E le cui conseguenze proseguono ancora nell'attualità del nostro tempo. E questo affinché l'orrore non faccia più da origine, bensì da vicino, dato che il nazismo provoca nell'umanità di oggi, nella sua interiorità più intima, delle conseguenze terribili per molti.

E' questo che il femminile ci ricorderà per situare il soggetto tra padre e donna ed indicare così che una parola deve essere nuovamente accolta nella psicoanalisi: la memoria, come memoria frantumata. Essa solleva la questione: <<Venire da dove?>>. E' questo ciò  con cui ciascuno deve innanzitutto confrontarsi, che lo voglia o no.

Da qui il sottotitolo proposto per questa nuova edizione: Psicoanalisi dopo la Shoah.

 

 


 

 

NOTE:

1) S. FREUD, L'Homme Moise et la Religion monothéiste, trad. C. Heim, Paris, Gallimard, 1986. Una prima edizione (francese, Nota del Traduttore) è uscita sotto il titolo: Moise et le Monothéisme, trad. A. Berman, Paris, Gallimard, 1967.

2) LANZMANN, Claude, Shoah: prima uscita del film in Francia nell'aprile 1985; dopo, uscita di libro in cofanetto nel 2001. Per i DVD: una co-produzione "Les films Aleph, Historia Films" con la partecipazione del ministero della Cultura; per il libro "Shoah", Paris, Gallimard, [1985] 2001 (2a. edizione).

3) J. LACAN, Encore, livre XX, Paris, Le Seuil, 1975. Seminario del 9 gennaio 1973, pag. 35.

4) S. FREUD, Un souvenir d'enfance de Léonard de Vinci, Paris, Gallimard, 1977.

 

Responsabile Editoriale : Giuseppe Leo

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